Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 24 - GIUGNO 1998
 

I parchi nazionali nella Riforma Bassanini

Il processo di riforma messo in moto dalla legge n. 59/1997 (c.d. Iegge Bassanini) appare articolato in più momenti, tutti rilevanti per il sistema delle aree protette. Il primo momento è costituito dalla attuazione dell'art. 9 della legge n. 59 con il d.lgs. n. 281/1997 che, in sede di definizione e ampliamento dei compiti della Conferenza Stato-regioni, ha soppresso il Comitato per le aree naturali protette e ne ha attribuito i compiti alla Conferenza. Il secondo è quello relativo alla attuazione del Capo I della legge n. 59 con il d.lgs n. 112/1998, che ha individuato i compiti di rilievo nazionale e per il resto ha disposto i conferimenti delle funzioni e dei compiti amministrativi alle regioni e agli enti locali.
Il terzo è quello previsto dal Capo II della legge n. 59 relativo al riordino delle amministrazioni centrali e degli enti nazionali, che deve però ricevere ancora attuazione.
La previsione da parte della legge n. 59 di un ampio conferimento, oltre dei compiti nelle materie di competenza regionale, di tutti i compiti amministrativi statali "localizzabili", compresi quelli esercitati "tramite enti o altri soggetti pubblici" aveva, per la verità, suscitato delle preoccupazioni per la sorte degli Enti parco nazionali. Varie prese di posizione del Ministro dell'ambiente, della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera (v. il Documento conclusivo della Indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della legge n. 394 del 1991) e delle stesse regioni (v. il Documento delle Regioni presentato alla Prima Conferenza nazionale delle aree naturali protette, Roma, 25-28 settembre 1997) hanno tuttavia mostrato - sia pure con toni diversi - come nella sostanza fosse largamente condiviso l'intento di mantenere l'impianto della legge n. 394; né, in questo quadro, veniva messa in discussione l'esistenza degli Enti parco nazionali. In questa stessa prospettiva si sono mossi, dunque, i primi lavori svolti in sede tecnica per la elaborazione del decreto legislativo di conferimento ex Capo I della legge n. 59. La bozza di decreto, elaborata dall'apposito Gruppo di lavoro istituito dal Ministro della funzione pubblica e messa in circolazione i primi giorni di gennaio 1998, confermava innanzitutto l'importanza della collaborazione tra lo Stato e le regioni in ordine al governo del sistema nazionale delle aree protette, a tal fine richiedendo l'intesa in seno alla Conferenza Stato-regioni per l'adozione della Carta della natura e in seno alla Conferenza unificata per quella delle Linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento ai valori naturali e ambientali, nel cui ambito - si specificava - doveva essere effettuata anche l'individuazione e delimitazione delle aree protette.
Si proponeva infatti la soppressione del programma triennale per le aree protette che - secondo l'art. 4 della legge n. 394 - doveva "specificare" i territori che formano oggetto del sistema delle aree naturali protette.
Per le parti del programma triennale aventi ad oggetto lo svolgimento di attività regionali e locali, evidentemente non si riteneva più ammissibile - visti i principi della legge n. 59 - il permanere di una pianificazione statale di settore, anche finanziaria, incidente appunto nella sfera di competenza regionale.
Inoltre, per le parti riguardanti le attività nazionali, il programma appariva uno strumento troppo (e inutilmente) complesso (come del resto evidenziato anche dalle sue difficoltà di funzionamento e dalle lentezze verificatesi nella fase di elaborazione e attuazione); mentre, in particolare per il riparto dei finanziamenti tra le aree protette nazionali, si sarebbe potuto provvedere - una volta soppresso il programma - attraverso meccanismi più semplici e al contempo più rispettosi dell'autonomia e delle esigenze di funzionalità degli Enti parco nazionali.
In secondo luogo, per quanto riguarda quest'ultimi, la bozza interveniva da un lato sulla composizione del loro consiglio direttivo, in modo che le regioni il cui territorio è interessato dal parco avessero in ogni caso un loro rappresentante nel consiglio direttivo; dall'altro interveniva sulla procedura di elaborazione del piano del parco (alla quale doveva uniformarsi anche quella relativa al regolamento), consentendo alle regioni e agli enti locali di partecipare da subito alla predisposizione del piano secondo modalità da stabilire insieme all'Ente parco e, di conseguenza, riducendo i passaggi e i tempi delle fasi successive di discussione e approvazione del piano stesso. In sostanza, la bozza escludeva la possibilità di conferimenti in ordine ai parchi nazionali e riaffermava il ruolo fondamentale in materia degli Enti parco nazionali.
Intendeva, però, tenere conto dei mutamenti che l'attuazione della legge n. 59 avrebbe comunque prodotto in ordine all'ampliamento delle competenze e dei poteri delle regioni, e in parte degli enti locali, nelle materie del governo del territorio, della tutela dell'ambiente, della promozione dello sviluppo economico e sociale: donde l'opportunità - una volta escluso, come appena detto, il conferimento - di rafforzare, però, il carattere "misto", di "amministrazione composta" (v. F. Fonderico, Il governo dei "grandi spazi": la protezione della natura mediante i parchi nazionali, in C. Desideri e F. Fonderico, I parchi nazionali per la protezione della natura, Milano, Giuffrè, 1998), degli Enti parco nazionali e delle procedure relative al piano e al regolamento del parco, perfezionando e sviluppando così un modello di tipo collaborativo che, comunque, è già contenuto nella 1. n. 394. La bozza di decreto legislativo del Gruppo di lavoro, quindi, non solo manteneva fermo il modello e il ruolo degli Enti parco nazionali, ma per più aspetti - utilizzando in particolare le indicazioni contenute nell'art. 3 comma 1, lett. c), d), g) della legge n. 59 - rendeva tali Enti più solidi, fondandone la legittimazione su una più diffusa e condivisa responsabilità nei confronti della tutela della natura.
Conseguentemente alla tendenza di fondo ora accennata, la bozza - applicando qui anche il principio di efficienza di cui all'art. 4, comma 3, lett. c) della legge n. 59 - introduceva alcune modificazioni nella disciplina degli Enti volte ad accrescerne l'autonomia e la funzionalità: prevedeva che l'approvazione dello statuto seguisse una procedura simile a quella stabilita per le università (art. 6, comma 9, legge n. 168/1989) e attribuiva direttamente agli organi dell'Ente parco la nomina del direttore (oggi spettante a~ Ministro dell'ambiente). Nei confronti delle proposte ora accennate vi è stata tuttavia una reazione negativa e piuttosto radicale da parte di alcuni settori dell'ambientalismo e anche da parte del Ministro dell'ambiente.
Anche se, per la verità, a determinare tali reazioni hanno probabilmente contribuito soprattutto preoccupazioni più generali originate dagli atteggiamenti antiunitari presenti in alcune parti del Paese e da certe tendenze "federaliste", ritenute poco attente alla sorte della tutela della natura, emerse in seno alla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali. La questione è anche rimbalzata sulla stampa quotidiana dove, con toni tragici da "ultima spiaggia", si sono informati i lettori del rischio incombente di una regionalizzazione dei parchi nazionali.Cosa questa che nessuno in realtà aveva proposto e, anzi, era stata decisamente esclusa.Tra l'altro, pur volendosi rafforzare - come si è visto - il carattere "misto" degli Enti parco, nella bozza accennata i membri "nazionali" del consiglio direttivo dell'Ente restavano comunque in maggioranza, così come restava di nomina governativa il presidente (sia pure di intesa con la regione: ma così già voleva la legge n. 394!) e gli Enti restavano pur sempre soggetti a vari e rilevanti (e per la verità eccessivi) poteri di controllo statali. Come che sia, le proposte ricordate non hanno avuto seguito nel testo definitivo del d.lgs. n. 112, nel quale la trattazione della materia delle aree protette appare fortemente ridimensionata, non senza, però, che si pongano delicati problemi interpretativi. Le disposizioni riguardanti le aree naturali protette nel d.lgs. n. 112 sono in parte concentrate nella Sezione II ("Parchi e riserve naturali") del Capo III ("Protezione della natura e dell'ambiente, tutela delI'ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti") del Titolo III ("Territorio ambiente e infrastrutture"); in parte sono contenute in altri articoli dello stesso Titolo (art. 52) e Capo (art. 69). Sotto il profilo sistematico il d.lgs. 112 costituisce, dunque, una importante novità rispetto agli approcci finora prevalsi e rispetto al d.p.r. n. 61611977, nel quale - nel Titolo V "Assetto ed utilizzazione del territorio" - la "protezione della natura" era inserita nel Capo II ("Urbanistica")ed é separata sia dalla "Caccia" (che comprendeva la protezione faunistica") alla quale era dedicato il Capo VI, sia della "Tutela dell'ambiente dagli inquinamenti", alla quale era dedicato il Capo VIII. Con il d.lgs. viene fatto perciò un importante passo avanti verso l'affermazione del carattere primario e insieme di una visione unitaria dell'interesse ambientale (anche se altri aspetti restano ancora separati); verso il superamento della separazione tra il tema della conservazione della natura da un lato e quello della difesa dagli inquinamenti dall'altro; dando così anche un contributo importante al superamento della concezione delle aree protette come una sorta di "isole" di conservazione. Tentando ora una ricostruzione sintetica dei contenuti del d.lgs. n. 112 rilevanti per le aree protette, vengono in rilievo i seguenti aspetti:

  • a) In ordine al governo complessivo del sistema nazionale delle aree protette, il d.lgs n. 112 ha seguito di massima la bozza di decreto prima accennata, introducendo tuttavia su alcuni punti delle modificazioni tutt'altro che secondarie.
    In primo luogo le "linee fondamentali" che nella legge n. 394 e nella bozza di decreto avevano ad oggetto solo i valori naturali e ambientali, hanno ora ad oggetto anche la difesa del suolo, l'articolazione delle reti infrastrutturali, il sistema delle città e delle aree metropolitane.
    Divengono dunque la sede di valutazione unitaria e di scelta generale sugli usi del territorio e, quindi, anche la sede nella quale dovrebbero armonizzarsi i vari interessi che ad esso si riferiscono (ma le "linee" vanno elaborate comunque "sulla base della Carta della natura" come richiede la legge n. 394 e non smentisce il d.lgs. n. 112). Per altro verso, però, le "linee" perdono di specificità: in particolare, diversamente da quanto previsto nella bozza, non contengono più la funzione di individuazione delle aree protette nazionali, che ora è una funzione nazionale per la quale va solo "sentita" (art. 77, comma 2 del d.lgs.) la Conferenza unificata. In generale, scelte più chiare e decise da parte del d.lgs n. 112 sulla collaborazione tra Stato e regioni in merito al governo complessivo del sistema delle aree protette avrebbero consentito di dare maggiori assicurazioni a quanti temevano che - venuti meno l'organo ad hoc (il Comitato per le aree naturali protette) e il programma triennale sarebbe stato poi difficile ricostituire un centro preciso e unitario di attenzione per le aree protette. In attesa, dunque, di interventi correttivi e chiarificatori sul punto (pure consentiti dalla legge n. 59), bisognerà valorizzare al massimo il ruolo della Carta della natura e delle "linee fondamentali", che costituiscono ora i momenti decisionali più importanti nei quali deve esprimersi la collaborazione tra Stato, regioni ed enti locali su tutti gli aspetti più rilevanti del sistema nazionale delle aree protette, compresa la loro individuazione. Andrà poi trovata una adeguata organizzazione in seno alla Conferenza, eventualmente con la costituzione di un apposito comitato (come consentito dall'art. 7 del d. Igs. n. 281/1997), e andrà definito - rispetto a tale organizzazione - il ruolo, che al momento è rimasto in sospeso, della Segreteria tecnica (già prevista dalla legge n. 394 come supporto al Comitato per le aree naturali protette) e della Consulta tecnica per le aree naturali protette (anch'essa già prevista dalla legge n. 394 e indicata dall'art. 75 del d.lgs. n. 112 tra gli organi collegiali da sottoporre a riordino).
  • b) Per quanto riguarda la disciplina delle aree protette e in quest'ambito dei parchi nazionali, il d.lgs. si è limitato - per la definizione dei compiti e delle funzioni che restano di rilievo nazionale - a disporre (art. 77 comma 1) un rinvio generalizzato ai compiti attribuiti allo Stato dalla legge n. 394; conferendo poi, all'art. 78 comma 1, alle regioni e agli enti locali "tutte le funzioni amministrative in materia di aree naturali protette non indicate all'art. 77", vale a dire non oggetto del rinvio. A parte ogni considerazione sulla tecnica legislativa di rinvio utilizzata, forse non illegittima ma certo poco opportuna rispetto ai principi stabiliti dalla legge n. 59, si può constatare che il rinvio e, poi, il conferimento sono formulati in modo poco chiaro e tale da poter dar luogo a equivoci di portata tutt'altro che secondaria. Senza entrare qui in una analisi interpretativa troppo dettagliata, le questioni che si presentano sono sostanzialmente due.
    La prima riguarda il fatto che non è chiaro se i compiti riservati allo Stato dal comma 1 dell'art. 77 sono solo quelli relativi alle aree protette nazionali o anche quelli relativi alle aree protette regionali (ex art. 4, comma I della legge n. 394), anche se vi sono vari argomenti soprattutto di ordine sistematico, che fanno decisamente propendere per la prima tesi.
    La seconda questione, ancora più delicata, riguarda il fatto che, interpretando letteralmente l'art. 77 (che indica come compiti di rilievo nazionale i compiti attribuiti allo Stato in materia di parchi e riserve e non i compiti degli Enti parco nazionali) e l'art. 78 comma 1 ( che conferisce le funzioni riferendosi in genere alle aree naturali protette), si potrebbe ritenere che, tra le funzioni conferite alle regioni e agli enti locali, vi siano anche quelle degli Enti parco nazionali. Il d.lgs. avrebbe cioè introdotto (ma in modo interstiziale e quasi di nascosto!) un modello del tutto nuovo rispetto alla legge n. 394, nel quale a livello nazionale si individuano, si istituiscono e si disciplinano i parchi nazionali, che però verrebbero poi gestiti dalle regioni (che potrebbero addirittura decidere anche un modello di gestione diverso dall'ente).
    Sarebbe questo un risultato davvero paradossale di una scelta - quella del rinvio generalizzato sulla quale probabilmente ha pesato soprattutto l'ansia e il desiderio di mettere al sicuro i parchi nazionali da ogni modificazione.
    Non mancano, comunque, anche in tal caso, argomenti e collegamenti letterali, logici e sistematici - in particolare basati sulla disposizione dell'art. 69, comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 112 (che elenca tra i compiti di rilievo nazionale "la conservazione e valorizzazione delle aree naturali protette ... di importanza internazionale o nazionale") e sul comma 2 dell'art. 78 (sull'affidamento alle regioni o agli enti locali della gestione delle riserve statali, che diverrebbe incomprensibile se fosse vera l'interpretazione sopraccennata) - che consentono di limitare la portata del conferimento di cui al comma I dell'art. 78 e di salvaguardare, così, l'esistenza degli Enti parco nazionali. Rimane il fatto, comunque, che una materia tanto importante e bisognosa di certezze è ora oggetto, invece, di una normativa poco chiara e imprecisa.
  • c) Per le riserve naturali statali il d.lgs n. 112 non prevede il conferimento, ma un ''affidamento" della gestione alle regioni o agli enti locali, dal quale sono escluse - afferma espressamente il comma 2 dell'art. 78 - le riserve "collocate" nei parchi nazionali, in ordine alla gestione delle quali tuttavia non si dice nulla.
    Sarebbe, però, piuttosto curioso che, nel momento in cui lo Stato affida ad un soggetto diverso le proprie riserve, non le affidasse, invece, proprio agli Enti parco, nei confronti dei quali ha importanti e diretti poteri di varia natura ed ai quali era già previsto dall'art. 31 comma 3 della l. n. 59/1991 che fossero affidate le riserve istituite su proprietà dello Stato. Poiché si parla in generale di riserve statali, dovrebbe essere chiaro, poi, che l'affidamento alle regioni o agli enti locali o, se collocate nel loro territorio, agli Enti parco può riguardare tutti i tipi di riserve (terrestri, marine, biogenetiche, ecc).
In conclusione, il d.lgs. n. 112 - più che prevedere nella materia delle aree naturali protette un ulteriore ampio conferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali (le funzioni conferite sono in sostanza quelle previste dall'art. 4 della 1. n. 394, che lo Stato esercitava tramite il programma triennale) - rafforza (in particolare a seguito della soppressione del programma triennale) l'autonomia e la responsabilità delle regioni in questo campo. Sotto questo profilo è evidentemente di grandissima importanza lo sviluppo autonomo di aree protette regionali e locali, nel rispetto comunque delle decisioni generali che le stesse regioni avranno contribuito a stabilire nella Carta della natura e nelle "linee fondamentali" (e questo è fondamentale per assicurare l'unitarietà e la continuità della politica di protezione). E tuttavia, a meno di non cadere in un approccio di tipo dualistico (per il quale non mancano per la verità spunti e punti di appoggio nel testo del d.lgs. n. 112), è evidente come un ruolo fondamentale delle regioni e degli enti locali (per il contributo che essi possono dare alla protezione della natura, ma anche a garanzia della loro autonomia e delle esigenze delle collettività che rappresentano) sia proprio quello che si esprime a livello della collaborazione con lo Stato nel governo del sistema nazionale delle aree protette e, poi, nella partecipazione alla gestione dei parchi nazionali.

Si sono visti, però, i problemi che si pongono in ordine al primo aspetto e si è visto come il d.lgs abbia scelto di non sviluppare ulteriormente nella prospettiva della collaborazione il modello dell'Ente parco nazionale. L'occasione che la delega della legge n. 59 offriva per consolidare e sviluppare il modello collaborativo impostato dalla legge n. 394 non sembra, dunque, che sia stata colta. Resta da vedere se l'ulteriore fase della riforma, di attuazione del Capo II della l. n. 59, potrà essere una nuova occasione per tornare sul tema, stavolta con maggiore successo.


Carlo Desideri
Direttore Istituto Studi sulle Regioni