Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 24 - GIUGNO 1998
 

La valorizzazione complessiva dei beni ambientali
Mariano Guzzini*
 

Nell'ormai lontano maggio scorso, inaugurando la nuova sede dell'Istituto Adriano Olivetti (al secolo, Istao) di Ancona, nella prestigiosa e amata sede di Villa Favorita, Sabino Cassese, in qualità di presidente di quell'importante Istituto di ricerca post universitaria dovuto alla passione ed alle capacità di Giorgio Fuà, ha svolto una relazione su "La gestione imprenditoriale dei beni culturali" alla presenza di una vasta rappresentanza di uomini (e donne) di cultura, accademici e non, ma tutti intellettuali letterati, oppure intellettuali economisti, di amministratrici e amministratori (anch'essi, in buona sostanza, quasi tutti intellettuali letterati), e di esponenti di primo piano della realtà imprenditoriale (di formazione più economica - pragmatica), che per l'intera giornata hanno approfondito il tema. Vicino a me sedeva Giorgio Mangani già assessore alla cultura del Comune di Ancona, editore ed attuale presidente della Mole Vanvitelliana, il quale intitolò un libretto che mi capitò di recensire a suo tempo proprio su questa rivista (numero 6, ottobre 1995) e che si occupava di questi temi, "la tutela impossibile". Era un pamphlet che faceva da seguito ad un precedente volume ("La tutela difficile'', rapporto sui beni culturali delle Marche) dopo venticinque anni di esperienza regionale, intrecciando le questioni della tutela dei beni culturali e di quelli ambientali, ed interrogandosi sulle occasioni che nelle Marche non erano ancora state colte per rendere la scelta civile della tutela anche una occasioni di sviluppo.
 

Tra barriere e terre di nessuno
Con Giorgio Mangani notiamo che, a qualche armo di distanza, gli argomenti vengono riproposti con le barriere e le terre di nessuno confinarie di sempre, quasi che sia improponibile, indelicato o controproducente porsi il problema di tutelare e valorizzare i beni ambientali nel loro complesso e con una sola politica capace di tener presente che si ragiona di qualcosa che comprende da un lato i beni culturali e da un altro i beni naturalistici.
E ben vero che - così facendo - si rischia di scompaginare vecchie ma consolidate culture accademiche che hanno portato al proliferare di Soprintendenze e di ministeri separati e impenetrabili. Ed altrettanto vero che gli intellettuali letterati che sanno tutto su Omero e di Traiano, ben difficilmente riuscirebbero a confrontarsi con un orto botanico, un giardino dei semplici o un parco marino. Ma se ci si pone - come è successo a Sabino Cassese, in Ancona - il problema di una gestione imprenditoriale dei beni culturali per cogliere la novità di un processo che rifiuta i musei come sepolture di opere d'arte, ma si pone l'obiettivo di valorizzare il contenuto, e si parte di qui per interrogarsi sul significato di "bene culturale" da tutelare, e sul senso della tutela e della valorizzazione, perché è così difficile compiere anche il passo successivo, che ci consente di riconoscere come componenti della stessa famiglia i beni ambientali e quelli culturali, superando la storica contrapposizione tra città e contrada, tra castelli e boschi, tra natura e cultura? Si può capire il tecnico della tutela con cultura archeologica, o artistica, che ormai ragiona solo in termini di "mura ed archi" da riportare alla luce, o di quadri e statue da restaurare ed esporre. Si può capire il tecnico della tutela urbanistica, perso in piani e contropiani in cubature di crinale e di fondovalle, in strutture e infrastrutture senza un attimo di respiro per alzare la testa e azzardare una valutazione d'insieme. Si può capire chi ha fette di potere che non intende né accorpare né risuddividere. E si possono capire i molteplici intrecci tra i protagonisti di ciascuno di questi micro universi che si condizionano tra loro in mille modi. Ma è molto meno comprensibile la distrazione del pattuglione dei nuovi arrivati, che, in quanto nuovi, sono privi del peso dei vecchi modi di intendere materie, ambiti e competenze. Mi riferisco anche a tutti i nuovi consulenti ed esperti ministeriali di nuova nomina, e complessivamente, all'intero nuovo governo, ma più precisamente mi riferisco al mondo dell'impresa e al mondo della ricerca universitaria, che da pochissimo si confrontano con il tema di una impostazione di tipo imprenditoriale del tema della valorizzazione dei beni ambientali, e che lo fanno a mio personale modo di vedere - con un eccesso di diffidenza verso i vincoli e verso gli ostacoli posti dalla tutela, piuttosto che affrontare con ottimismo e con proposte forti il terreno inesplorato di una valorizzazione complessiva dei beni culturali e ambientali che sono una ricchezza unica ed in certi casi perfino indivisibile del nostro Paese. E impressionante come alcuni che intervengono su questa materia credano di essere in mare aperto, mentre ancora sguazzano in pochi centimetri d'acqua, magari anche con i bracciali e la ciambella di salvataggio di laute prebende pubbliche. Ed è specularmente impressionante l'innocenza di chi continua a presentare proposte di legge (o ipotesi di lavoro nelle riunioni) che prevedono una impossibile autosufficienza economica delle aree protette italiane, senza essere neppure sfiorati dall'idea di collegare i temi della gestione imprenditoriale della valorizzazione di tutto ciò che è bene ambientale, per realizzare uno sviluppo economico e sociale nuovo e sostenibile.
 

Tra sussidiarietà ed asimmetrie
Certo, è assai probabile che impostando così la questione alcune delle difficoltà che Sabino Cassese già individuava per gestire imprenditorialmente i beni culturali, si aggravino. Per toccare solo il punto che svariate volte abbiamo esaminato dal nostro versante, quello del rapporto tra ministeri e regioni.
Cassese osserva (in un testo che è stato pubblicato anche sul domenicale de "Il Sole 24 Ore", il 17 maggio scorso) che il percorso previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 che ha dato attuazione alla legge 15 marzo 1997, n. 59, per quanto riguarda i musei ed i beni culturali prefigura nuovi conflitti. Soprattutto dove è prevista una "valorizzazione da svolgere in forma cooperativa, tra Stato e regioni, province e comuni" lo strumento della Commissione regionale per i beni culturali e le attività culturali, composta in modo misto con rappresentanti del centro e della periferia "non può non far sorgere conflitti". A questa osservazione, Cassese aggiunge una ulteriore considerazione del tutto ragionevole: "Infine non va sottovalutato il problema che deriva dall'asimmetria tra un corpo di tecnici della tutela non affiancato da un corpo di tecnici della valorizzazione.
In futuro, gli addetti alla tutela rimarranno isolati, rispetto a coloro che si interessano della valorizzazione?
Oppure si aprirà la prospettiva opposta, secondo la quale gli esperti della tutela ridiventeranno la forza trainante del settore?".
Di fronte a queste prospettive, insieme al tema dell'estensione del significato di "bene ambientale" e proporre di sperimentare strumenti unificati e dialoganti fra loro per esercitare la tutela e la valorizzazione ai vari livelli e nei vari rami dell'albero repubblicano con aspirazioni federaliste potrebbe apparire un invito di sapore terroristico a buttare benzina su un fuoco già vispo e preoccupante. Eppure se ci riflettessimo con calma, e se avesse un senso la sussidiarietà e la necessità di semplificazione dei centri decisionali, non si vede perché la valorizzazione dei beni ambientali debba restare un sottocodice dei beni culturali relativamente all'urbanistica, alla tutela e valorizzazione dei centri storici e del paesaggio, e un sottocodice dell'ambiente relativamente alla medesima urbanistica, e all'assetto del territorio e alla tutela e valorizzazione dei centri storici e del paesaggio contenuti nelle aree protette, con un duplicarsi di tutela e di valorizzazione che già oggi portano a parchi archeologici che si infilano all'interno di parchi naturali, a piani che studiano le stesse cose rispondendo a referenti tutti pubblici e tutti differenti, in una allegra confusione che fa dell'ltalia il soggetto preferito delle battute europee sull'inutilità dell'esercizio del governo. Infine, uscendo dall'ingegneria amministrativa per rimettere un momento piede nella nuova aula magna dell'lstituto Adriano Olivetti, non di riesce a capire perché industriale del peso di quelli che si occupano davvero di questi temi non si propongono di investire complessivamente in un progetto di valorizzazione di beni architettonici e naturali, quando l'ultimo degli operatori turistici sa entrando nella logica che al suo pacchetto di offerta deve aggiungere il valore aggiuntivo del parco, potendolo fare, se svolge la sua attività all'interno di una area protetta.



Appuntamento a metà novembre
La città di Ancona da un paio di anni e sede di "Parco produce", una esperienza espositiva di Marche fiere e dell'Ente regionale per la manifestazioni fieristiche, per molti versi coraggiosa e avventuristica, fino ad oggi unica in Italia, che ha offerto ai parchi l'occasione di incontrarsi di ragionare insieme in un numero forse fin troppo abbondante di convegni sulle caratteristiche economiche dell'attività di ciascuna area protetta. Per la terza edizione, prevista per metà novembre, dal 12 al 15, si sta lavorando ad appuntamenti convegnistici particolarmente mirati all'educazione ambientali, a partire da un primo convegno di apertura, che sottolinea le opportunità di una visione d'insieme dei beni ambientali, della loro tutela e della loro valorizzazione, nell'ottica di un parco che produce anche sviluppo, occupazione e ricchezza. Sarà quindi probabilmente quella una buona occasione per riprendere il filo di queste riflessioni, nella speranza che possa essere di aiuto per rendere irrazionale e sgangherato il cammino del futuro eventuale sistema dei parchi italiani.

"Della redazione di "Parchi"