Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 24 - GIUGNO 1998
 

Parchi tra locale e globale
Renzo Moschini



Il dibattito istituzionale e specialmente i decreti Bassanini hanno comprensibilmente e giustamente calamitato l'attenzione anche per quel che riguarda la politica ambientale ed in particolare le aree protette. Forse anche per questo da più parti si sono manifestate perplessità sulla "eccessiva" attenzione rivolta a questi problemi considerati alla fin fine astrusi e di scarso interesse per i parchi. C'era e c'è in questa differenza verso i problemi istituzionali una evidente sottovalutazione della portata effettiva dei processi in corso, ma anche un giusto richiamo ad una "concretezza" che è bene raccogliere. E giusto infatti non dimenticare quel che scriveva alcuni anni fa Gambi sulla italica "propensione a generare istituzioni in cui calare solo dopo - "a giusta misura" - la realtà". Con il risultato che siamo l'unico paese d'Europa che costituito lo Stato nell' 800 senza alcun atto contestuale o successivo di generale ridefinizione territoriale delle circoscrizioni, "conservi e presenti irrazionali sia i comuni, sia le province, sia le regioni" (E. Rotelli - 94)."' Con alle spalle questa non invidiabile "tradizione" si spiega perciò che da più parti si continui a nutrire una profonda diffidenza verso le tematiche istituzionali al punto di vedervi pericoli di una "deriva" che metterebbe, specie nel caso-dell'ambiente e delle aree protette, a rischio anche quello che di buono e a fatica è stato fatto in questi ultimi anni.
E anche per questa ragione che faremmo male a sottovalutare l'insieme del lavoro che in quanto "Centro Studi Valerio Giacomini" il Coordinamento Nazionale dei Parchi, la Regione Lombardia ed il Parco regionale Alto Garda Bresciano hanno prodotto nel secondo convegno di Gargnano dedicato alle "Aree protette e la riforma istituzionale italiana" fin dal 16 ottobre 1997.
Fu - quello - uno dei primi appuntamenti, se non addirittura il primo, che confrontò le esperienze nazionali e internazionali di governo dell'ambiente a partire dalla dimensione locale.
E fu in quella sede che, dopo aver confrontato alcune tra le più significative esperienze di governo dei parchi in Europa, fu posto il tema dei possibili effetti della riforma Bassanini sulla disciplina delle aree protette, nonché il tema, anch'esso complementare, del possibile rapporto tra le identità locali (culturali, sociali, antropologiche) e la dimensione della forrna di governo delle aree protette.'2'
Quest'ultima relazione in particolare suggeriva la possibilità di dare un"anima e una ragione oggettiva, storica, alle fredde e spesso casuali perimetrazioni dei parchi, nonché all'aggregazione di Enti Locali nei consigli di gestione delle aree protette. Un'anima in gran parte già viva e presente per ragioni storiche, da risvegliare, oppure un'anima che - partendo da radici minime - riesca ad essere generata dalla nuova consapevolezza delle popolazioni di unirsi attorno ad un progetto comune davvero straordinario, innovativo, e di grande portata.
Ora, senza tornare su questi temi, vorremmo riprendere questa riflessione muovendo però da un diverso angolo visuale, partendo cioè da un altro approccio che come vedremo, più di quanto un esame superficiale lasci intravedere, evidenzierà- almeno lo speriamo - le connessioni strette tra problematiche istituzionali e processi e dinamiche reali ai quali neppure le aree protette possono e debbono sottrarsi e chiamarsi fuori. E oggi largamente diffusa l'opinione che i grandi processi in atto di mondializzazione, globalizzazione o come vogliamo chiamarli rischiano di passare al rullo compressore della omologazione le realtà nazionali e ancor più quelle locali.
Opporsi a questa possente spinta è considerato da molti opera vana tanto da rendere poco credibili e realistiche anche, e soprattutto, in campo ambientale quelle risposte che abbiano come punto di partenza realtà locali ed oggi anche nazionali, che in passato dettero invece forza ed efficacia allo slogan ambientalista: "agire localmente e pensare globalmente". E tuttavia, come ormai debbono riconoscere anche non pochi scettici, proprio a fronte di questa nuova situazione mondiale, emergono come fattori nuovi e apparentemente contraddittori rispetto ai processi omologanti richiamati, il rilancio e una sorprendente vitalità della dimensione locale, al punto che - ha scritto Martinotti -, se la globalizzazione si usura "sorte persino peggiore è toccata al termine derivato "glocale (globale/locale)" per descrivere i legami tra sistema globale e quello locale che scorge in ogni sussulto localistico i primi raggi del sol dell"avvenire, dimenticando quante barbarie possono celarsi nella supposta purezza del piccolo.~3~ E vero, infatti, che anche originali culture locali sono state mantenute in vita artificialmente o siano state "resuscitate" in tempi recenti per finalità turistico folcloristiche per un certo gusto del diverso e per ragioni politiche. (Ferro. 1983).'4' L'utilizzo di tutto questo - purché ancora contenga e conservi un briciolo di autenticità, è visto da Mariano Guzzini - nella già citata relazione al Convegno Internazionale del Centro Studi Giacomini (Gargnano, ottobre 97) - come "germe" e punto di partenza per la riscoperta e la ricostruzione del "genius loci" di nuovo e più condiviso formato. L'anima del "nuovo luogo" si potrebbe - secondo questa ipotesi - ricostruire partendo dalla dimensione della forma di governo, e, riperimetrata a partire dal "genius loci" ricostruito. Naturalmente questo nuovo luogo così ricostruito, sarebbe esattamente l'opposto del "non luogo" che per definizione è senza alcun "genius", senza identità e senza progetti confessabili.Come annota Diamanti non è facile "orientarsi in questa babele di riferimenti territoriali", da cui emerge tuttavia un peso rilevante del localismo rispetto al contesto nazionale.
Identità locale e nazionale infatti, come conferma una indagine, "prevalgono e dividono gli orientamenti sociali, secondo un ordine già emerso in altre occasioni, che vede la dimensione locale sopravanzare quella nazionale".'S'
Ha ragione Bodei quando dice che "dobbiamo registrare una sorta di "strabismo percettivo" perché da un lato, assistiamo all'avanzare della "globalizzazione", dall'altro lato alla chiusura in se stesse delle culture locali e alla loro volontà di sottrarsi all'omologazione planetaria", perché la propria storia locale non entri, o meglio, non sia fagocitata in una "storia mondiale". Il nostro senso storico tende nuovamente, per compensazione rispetto al pericolo di sradicamento, a valorizzare la dimensione locale o quella privata,
ritenute più gratificanti o più sicure di fronte alle sciagure e alle miserie del pianeta.'6' Insomma, pur in un contesto tutt' altro che privo di contraddizioni ed anche talvolta di confilsione è innegabile che è andata sempre più emergendo una dimensione locale nuova, non riducibile a mero fenomeno "vernacolare" e folcloristico. E il territorio, il "primo degli specchi per il cui tramite l"umanità scopre se stessa come soggetto collettivo", il territorio intriso di materialità e naturalità che torna a giocare un ruolo preciso e incisivo. E stato detto che è come se il territorio si "ribellasse" alla deterritorializzazione (politico-statale) e parlasse nel pensiero dei suoi abitanti fino a determinarne la forma.'7'
L'ambito locale ci determina e concorre in modo inevitabile e imprescindibile a costruire la nostra individualità e a darci le possibilità di successo nell'azione. E in "loco" che si cerca di saldare interessi vari e diversi sia che si tratti di proteggere gli impianti di una fabbrica, la professionalità della forza lavoro ivi formatasi, sia che si tratti di tutelare il "proprio" ambiente, tanto più se esso è anche, se non soprattutto, il frutto e il prodotto della propria storia.
A processi che spingono ad una deterritorializzazione, delocalizazione di attività tanto da rendere appunto indifferente la scelta territoriale (vedi appunto il crescere dei cosiddetti "non luoghi") se ne accompagnano altri con caratteristiche assolutamente diverse che esaltano invece quei caratteri che la globalizzazione tende a "cancellare". Ma il territorio in questo caso non torna semplicemente a giocare un ruolo in quanto mero contenitore di attività e interventi indistinti che potrebbero alla stessa stregua essere allocati altrove. Si veda al riguardo i distretti industriali.
Ieri, e non soltanto al sud, lo sforzo prevalente era quello di attrezzare, predisporre delle aree per insediamenti industriali, commerciali ed anche scientifici (parchi). Vere piste di atterraggio accompagnate da incentivi e agevolazioni di vario tipo e natura. Oggi il distretto industriale ha ben poco a che fare con questi caratteri.
Il Ministro dell'Industria Bersani a proposito dei distretti, chiamato a darne una spiegazione e una definizione, ha parlato addirittura di "mistero della vita", per dire dell'impossibilità di riprodurre artificialmente il distretto, il cui segreto sta nella "conoscenza sedimentata nel tempo".'8'
Il distretto è una realtà in cui si sono accumulate conoscenze produttive, pratiche e teoriche, che da un lato sono costate immensi sacrifici e hanno richiesto tesori di operosità e creatività nei decenni passati, dall'altro hanno consentito di pagare le nostre bollette energetiche e alimentari.'9' Anche la discussione economica tutta appiattita su parametri, percentuali, indici ritrova in un certo senso un anima che fa dire a Vittorio Foa; parliamo un po' più di geografia e un po' meno di economia. Non è un caso che anche il dibattito sul sud, sulle condizioni per uscire da una situazione di crisi senza ricadere nella padella dell'assistenzialismo, ma neppure ignorando che si tratta di una economia esposta al mercato punti, o quanto meno cerchi di puntare sui patti territoriali, sui contratti d'area, i prestiti d'onore.
Misure e progetti insomma, per usare ancora le parole di D'Amato, volti ad uscire, ad esempio, anche da gran parte dei programmi dei fondi strutturali, degli investimenti a pioggia, come collazione di piccole e grandi istanze. Da queste spinte a radicare, localizzare l'iniziativa sia pubblica che privata, in cui si incontrano su nuove basi non clientelari imprenditori, operatori e istituzioni locali, nasce la richiesta di nuovi poteri agli enti locali per rendere più veloce, più semplice ciò che oggi è complicato, lento, farraginoso perché centralizzato, ma anche per commisurare progetti e interventi alle reali condizioni del territorio. Il territorio insomma come momento e punto di ricucitura, di ricostruzione, di rilegittimazione di un rapporto tra istituzioni e cittadini che altro non è poi che il problema del consenso, nozione ben nota in particolare a chi si occupa di ambiente e di aree protette.
La questione dei distretti industriali, insomma, anche alla luce del dibattito sui decreti Bassanini, ripropone su basi niente affatto astruse e di ingegneria istituzionale, bensì estremamente concrete, il problema del ruolo che le realtà locali possono giocare in rapporto ai processi di mondializzazione. Intendiamoci, ciò avviene in una condizione di permanente tensione perché, sempre per restare sul terreno ambientale, la scala "locale" è quella in cui si può più facilmente ed efficacemente affrontare la questione della fiducia, della possibilità cioè di misurare e risolvere in maniera negoziata, anche gli effetti della politica economica sull'ambiente - il che fa propendere per la scelta decentralizzata e quindi, come è stato detto, per il trionfo del "piccolo", al tempo stesso la pervasività dei danni ambientali allarga smisuratamente gli spazi, rompe violentemente i confini locali e regionali, quando non addirittura nazionali mettendo in crisi gli assetti territoriali non soltanto locali .
Da qui la contraddizione che non può generare continua tensione perché le due spinte divaricanti possano in qualche misura comporsi.
Le aree protette non possono non vivere questa contraddizione essendo per peculiare natura quanto di più legato alla dimensione "locale", ma anche soggette e pericolosamente esposte alla "pervasività dei danni ambientali".
Si tratta in altri termini di realtà fortemente e inestricabilmente legate ad entrambe le dimensioni e non riducibili pertanto ad una soltanto di esse, come talvolta invece sembra emergere anche dal dibattito istituzionale in cui il braccio di ferro tra centralisti e localisti sembra perdere di vista proprio l"ambivalenza in cui il tutto non sta interamente né da una parte né dall' altra.
Del resto la proposta di inserire il passato storico ed antropologico tra i presupposti delle perimetrazioni delle aree protette, (12) nonché l'ipotesi di ancorare la dimensione della forma di governo (nazionale, regionale, interprovinciale etc) alle identità ricostruibili o - al limite - costruibili, e quindi ad un nuovo "genius loci" vivo e vegeto, in grado di essere la spinta propulsiva di progetti e di programmi non localistici e non velleitari, si poneva esattamente in una dimensione diversa e lontana sia dal centralismo che dal localismo.
Analoghi problemi, sia pure sotto un diverso punto di vista, pongono le trasformazioni in atto nelle realtà urbane ed in particolare metropolitane, ed entrambi questi profili riteniamo richiedano una maggiore attenzione anche da parte di chi si occupa di aree protette.
Mi rendo conto che possano sembrare accostamenti un po' arditi, tali da suscitare di primo acchito non poche perplessità. Vorremmo perciò cercare di esporre qualche considerazione a sostegno di questa tesi che può apparire un pò bizzarra.
Prima però va detto qualcosa sulle città, così come abbiamo fatto per i distretti industriali. E noto che specialmente nelle grandi aree metropolitane vanno assumendo una fisionomia o meglio una funzione sempre più marcata e vistosa proprio quei "non luoghi", ossia quelle realtà più povere di riconoscibilità, di identità che connotano l'ambiente urbano o urbanizzato.
E la città dispersa, il segno di come la complessità ambientale cresca oggi più di qualsiasi capacità di organizzazione; si veda appunto la crescente urbanizzazione della campagna dovuta ai minori costi e la maggiore accessibilità e visibilità delle strutture produttive e della distrubuzione che si sostituiscono ai vecchi insediamenti industriali di piccolo taglio, sino alla formazione di vere e proprie aree o strade mercato con i loro vasti spazi aperti di servizio.
Tutto questo con la costellazione di vari agglomerati che non dilagano uniformemente nella campagna, ma incontrano nel loro espandersi una fitta rete di sistemi storici preesistenti; non solo i centri urbani minori, ma una consolidata relazione tra topografia, suddivisione del suolo e coltivazione agricola rappresentata da sistemi di irrigazione, canali, infrastrutture e insediamenti produttivi vivi o abbandonati. Più che a macchia d'olio abbiamo un modello di intensità e qualità urbana che dal centro alla periferia anziché decrescere incontra una serie di contropendenze e irregolarità che aumentano la complessità anche nel senso della definizione; il costruito definisce e condiziona gli spazi aperti.
Agire per regolare la campagna urbanizzata può dunque influire non solo ad evitare una occupazione, ma anche a meglio definire il ruolo degli spazi urbanizzati."3' Una recente esposizione fotografica di Gabriele Basilico ordinata in sei sezioni "del paesaggio italiano", con immagini in cui l'uomo è assente, danno una idea della "perdita" di identità, di bellezza delle città e del territorio. Uscendo da Milano, Torino, Roma, Napoli quel che si incontra - dimensioni a parte - è qualcosa "in cui i modelli si ripetono, le culture appaiono omogenee".
Una periferia napoletana non è poi tanto diversa da una periferia milanese. Un punto fondamentale di svolta nella politica delle aree protette è rappresentato a giudizio pressochè unanime dal superamento della concezione del parco come territorio separato, come isola. Ma in che rapporto può stare oggi una area protetta con fenomeni della portata e dalle implicazioni quali abbiamo cercato fin troppo sommariamente di richiamare? Ecco il nocciolo della questione a cui volevamo arrivare. Rispetto alla realtà urbana e urbanizzata l'area protetta si è generalmente, almeno finora, collocata quasi come una via di fuga, una "riserva" di verde, di pulito e di tranquillità rispetto al cemento, all'inquinamento e al caos della città. Regge ancora questo modello, vista l"espansione invasiva e incontrollata di "non luoghi", i quali però, all'insegna anche del brutto, del rumoroso e del trafficato stanno sempre più assumendo anche un ruolo di socializzazione, di ritrovo del tempo libero? Può apparire paradossale - e purtroppo lo è - ma siamo in presenza di una nuova via di fuga per il cittadino, di segno contrario e opposto proprio a quella dell'area protetta. All'insegna del consumo, della congestione, dell'uso dell'auto prende corpo una dimensione "concorrente", sarei tentato di dire, rispetto a quella propria dell'area protetta. Ne discende, sempre che quanto fin qui detto abbia un senso, che il contrattacco, per dirla enfaticamente, delle aree protette deve puntare a "conquistare" la città. E non semplicemente nel senso di offrire un richiamo, una attrattiva più forte di quella esercitata da periferie contraddistinte da agglomerati commerciali e di consumo. Il contrattacco deve mirare più ambiziosamente e impegnativamente ad "entrare", penetrare le città riappropiandosi di spazi verdi, di spazi agibili spesso bisognosi di recupero, risanamento, rinaturalizzazione. Il parco urbano, nell'accezione comune, non dà probabilmente pienamente conto di questa esigenza, tanto il termine parco, inteso come protezione, evoca appunto ambienti non urbani o urbanizzati.
A questo punto però forse è meglio soffermarci su un paio di esempi tra di loro non solo distanti territorialmente, ma anche perché nel primo caso: a Parco Lama Balice (14) Si tratta ancora di un progetto, mentre nel secondo caso: Parco Nord Milano"5' fortunatamente, possiamo ragionare sui risultati di una significativa esperienza concreta. La Lama Balice è la più estesa delle nove lame che attraversano il territorio di Bari e che formano un sistema di solchi erosivi confluenti verso l'Adriatico. La caratterizzano tre tipi di paesaggio: l'uno antropizzato, costruito dall'uomo su terreni pianeggianti dove il paesaggio agrario è costitutito prevalentemente da colture legnose specializzate di ulivo consociato a mandorlo e altro; I'altro paesaggio è naturale o seminaturale, ubicato lungo la depressione naturale nella quale si trovano residui di macchia mediterranea; il terzo paesaggio, infine corrisponde alla superficie occupata da due cave di calcare (circa 45 ha) ed è fortemente degradato. Il tutto è ricco di fauna e di flora. La Lama che nel complesso ammonta a poco meno di 300 ha racchiude, come molti territori del nostro paese, valori floro-faunistici e paesaggistici, testimonianze archeologiche e storico-architettoniche di una storia millenaria. Questo rapporto storico tra ambiente naturale e presenza dell'uomo ha contribuito alla formazione di un ecosistema dove gli elementi che lo costituiscono hanno trovato il loro equilibrio facendone un "unicum" di particolare pregio degno di essere recuperato e valorizzato per questa tipicità. Il parco naturale attrezzato (PNA) integrato in un più vasto Parco urbano ha preso la denominazione impropria di Parco naturale di Lama Belice che confina con i territori amministrativi di Modugno e Bitonto.
Seguendo il "sistema francese" il progetto prevede una fascia centrale ad elevato valore naturalistco mentre verso la periferia si prevedono zonizzazioni (55 ha a nord e 65 ha a sud) sempre più antropizzate con aree dotate di attrezzature sportive e per il tempo libero. Per verificare l'indice di gradimento delle popolazioni interessate e soprattutto per capire fino a che punto si è disposti a sopportare gli oneri di una operazione del genere, è stata condotta una indagine sulla base di un questionario "ad hoc". Maggiore adesione e disponibilità l'hanno manifestata i fruitori abituali "effettivi", ossia dei quartieri più vicini, minore la disponibilità dei residenti degli altri quartieri cittadini. Può con questi limiti, circa 1'80% degli intervistati ha dichiarato il suo interesse all'intervento ed anche una certa disponibilità ad accollarsene gli oneri.
Non è certo un caso che dopo venti anni il progetto del parco torni alla attenzione degli esperti e della pubblica amministrazione che ora naturalmente dovrebbe non attenderne altri venti per fare davvero qualcosa. E in ogni caso la conferma che anche le città non possono più fare a meno di porsi in maniera nuova di fronte al problema della protezione e della tutela di territori "urbani", le cui finalità non si discostano ormai da quelle più proprie e specifiche dei parchi.
Il parco regionale della cintura metropolitana Nord Milano è stato istituito invece nel 1975 ed è gestito da un Consorzio dei comuni di Milano, Bresso, Cinisello Balsamo, Cormano, Cusano Milano, Sesto San Giovanni .
Il parco la cui superfice è di 600 ettari comprende un"area periferica a nord di Milano ancora sostanzialmente indenne dalla conurbazione con zone adibite ancora a coltivo e varie attrezzature, tra cui l'aereoporto di Bresso, l'Ospedale Bassini, il Centro scolastico Nord Milano e attrezzature sportive pubbliche e private, nonché complessi di interesse storico e artistico: la Villa Torretta di Sesto S.Giovanni, il complesso della Villa Manzoni e relativo parco a Cormano. Una legge regionale dell'85 ha collocato il parco in una categoria che lo definisce di "importanza strategica per l'equilibrio ecologico delle aree metropolitane, per la tutela e il recupero paesistico e ambientale delle fasce di collegamento tra città e campagna, per la connessione delle aree esterne dei sistemi di verde urbani, per la ricreazione e il tempo libero dei cittadini mediante la più efficace gestione del paesaggio".
Un articolo di legge che è stato giustamente detto "assomiglia ad un programma, per una concezione disciplinare, che definisce un tipo di parco inteso come strumento di una politica del verde a livello territoriale". "5'
Va aggiunto in risposta a certi critici superficiali di talune esperienze regionali - e tra queste sicuramente quella lombarda - che quell' articolo di legge è il segno più tangibile e convincente della "lungimiranza" del legislatore regionale, il quale aveva compreso il valore di un intervento metropolitano, certo di scarso peso quantitativo per chi insegue soltanto le percentuali, ma di enorme significato per chi sa guardare oltre i numeri.
Il parco è impegnato a riqualificare alcune aree di sua proprietà, destinate a verde boschivo e alle attrezzature di fruizione.
Ieri l'immagine era quella tipica di una area di periferia urbana, fatta di aree agricole residuali in attesa di trasformazione e disseminata di discariche abusive, di depositi all'aperto, di demolitori, di orti spontanei, di baraccapoli più o meno mimetizzate, di aree industriali dismesse e in stato di abbandono.
Oggi un terzo dell'area (215 ha) è parco realizzato, attrezzato e fruibile per i cittadini. Un'altro terzo dell'area è rappresentato dalle attrezzature e dai servizi pubblici o di uso pubblico o comunque dall'edificazione anche privata consolidata e immodificabile (se non in tempi lunghi).
L'ultimo terzo dell'area vincolata comprende le aree potenzialmente disponibili per la trasformazione a verde. A differenza dell'area barese qui il parco è una realtà operante e attiva da anni.
Anche a chi abbia scarsa dimestichezza e conoscenza del parco i nomi dei comuni che vi fanno parte richiamano immediatamente una realtà tra le più congestionate e urbanizzate d'Italia e tra le più soggette agli assalti invasivi di una espansione che purtroppo spesso ha travolto e cancellato con la natura le testimonianze di una storia plurisecolare. Incuneata in una realtà che ha un bisogno vitale di "respirare" nel senso più letterale del termine, I'area del parco Nord Milano costituisce un vero presidio, un anticorpo rispetto a quel rullo compressore di cui abbiamo parlato.
E facile capire come in realtà tanto critiche e in presenza di allarmanti fenomeni quali quelli che abbiamo richiamato nell'articolo, parchi con le caratteristiche di quello di Milano Nord più e più immediatamente e direttamente delle altre aree protette anche enormemente più grandi e famose sono chiamati a misurarsi con i problemi più delicati della protezione.
perché qui, nelle condizioni di maggiore esposizione ai rischi sia della omologazione che della distruzione ambientale, si misura e si gioca la capacità nostra di coniugare, come si dice, sviluppo e tutela. Anche per questo appare datata qualsiasi politica che non guardi davvero a tutta la realtà dei parchi, nella sua più variegata e ricca tipologia. A chi concepisce la politica delle aree protette in termini di mera contabilità è chiaro che i 600 ettari della cintura milanese o i 300 di quella barese dicono poco o niente.
Ma se finalmente si saprà guardare oltre la punta del proprio naso e si lascerà per un momento il pallottoliere per guardare alla concretezza dei problemi non sarà difficile comprendere che in certe piccole aree collocate però in zone cruciali e nevralgiche del paese (si pensi al piccolo Parco
regionale di Portofino, tra S. Margherita Ligure, Portofino e Rapallo, dimostratosi assolutamente strategico per modificare la "rapallizzazione" dell'intero territorio, si pensi al parco regionale del Conero, con una parte di Ancona al suo interno) si gioca, al pari che negli estesi territori del sud, una partita decisiva che deve poter contare alla stessa stregua sull'impegno e l'attenzione di tutte le istituzioni.

Riferimenti e fonti bibliografiche

1) Coppola Pasquale, Scale della diversità, itinerari dell 'unità, in Geograf a politica delle regioni italiane Biblioteca Einaudi.
2) Per le due relazioni, Tassi Arduino e di Guzzini Mariano cfr. "Parchi" Maggioli Editore n. 21.
3) Martinotti Guido, Una periferia grande come il mondo, in Reset n. 43/97.
4) Diamanti Ilvo, Il Sole 24 ore dell'1113198.
5) Bodei Remo, Se la storia ha un senso. Moretti & Vitali.
6) Cotturri Giuseppe: Globalizzazione e territori, in Democrazia e Diritto n. 4/96.
7) Bersani Pierluigi in: Il Sole 24 ore 1112198.
8) Beccattini Giacomo in: Il Sole 24 ore dell' 1112198.
9) Perulli Paolo Neoregionalismo - I'economia - arcipelago. Boringhieri Bollati.
10) D'Amato Antonio, Mezzogiorno risorsa nascosta. Sperling&Kupfer Editori.
11) Corona Gabriella, Diritto e Natura: la fine di un millennio. Meridiana n 28/97.
12) Cfr. Guzzini - Parchi 21.
13) Lospalluti Michele, Il Parco di Lama Balice in: Bollettino di Italia Nostra 12/97. Il Parco è stato istituito con legge n. 19/97 della Regione Puglia.
14) Speciale Parco Nord Milano; Folia, Il Verde Editoriale 2/95.