Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 24 - GIUGNO 1998
 

La carta della natura: quale ruolo per le aree protette?
Cesare lasen



Il 12 giugno si è svolta a Pavia un'importante sessione scientifica per proporre il punto della situazione su questo misterioso "oggetto", previsto dalla stessa legge quadro 394/91, e che aveva suscitato tante attese.

Il dibattito sulla rivista è già stato avviato, con l'articolo, sul numero 23 del febbraio 1998 a pag. 70 a cura di Rossi & Zurlini. Il Coordinamento Nazionale Parchi e Riserve mi ha delegato a proporre (al workshop di Pavia) una relazione che sintetizzi il pensiero e le attese degli organi di gestione delle aree protette.

Il compito è arduo per molteplici motivi, ciò che non stupisce se si considera la straordinaria varietà delle situazioni in cui sono nati ed operano i parchi e le riserve italiani, ma soprattutto per la carenza di informazione sull'argomento.

Di fatto, e questo è il primo punto, le aree protette non sono state coinvolte nella redazione di questo strumento conoscitivo.

Da informazioni assunte presso i competenti uffici ministeriali che stanno lavorando a questo progetto, si evince che non è mancata la buona volontà ma che si è ancora assai distanti dalla possibilità di poter disporre di uno strumento di conoscenza veramente efficace per la pianificazione.

Vi è anzitutto un problema di scala; 1:250.000 può servire come livello di rappresentazione cartografica per l'intero territorio nazionale ma è certamente insufficiente per gli scopi applicativi delle singole aree. Poco si sa anche sui criteri che sono stati utilizzati per individuare le aree (di circa 10.000 Kmq), in collaborazione con i Servizi Tecnici Nazionali, da rappresentare su scala 1 :50.000 (un minimo vitale anche per i parchi di cospicue dimensioni).

Ora è noto che diversi parchi si stanno già attrezzando, per fortuna e necessariamente, per ridurre i propri piani o hanno comunque commissionato ricerche e indagini che hanno fornito informazioni cartografiche georeferenziate. A maggior ragione le Regioni (e altri enti locali) hanno investito cospicue risorse per dotarsi di tali sistemi. Una domanda che sorge spontanea è questa: la Carta della Natura vuole essere un sistema di conoscenze da valutare come punto di partenza per stimolare i necessari approfondimenti a scala locale o, invece, nasce da un'esigenza di immagine che accontenta l'occhio quando ci si presenta in consessi internazionali e diventa quindi un punto di arrivo? E chiaro che al mondo dei parchi interessa soprattutto la prima alternativa.

Se così non fosse non sarebbe neppure il caso di organizzare convegni sull'argomento.

E pur vero che anche il lavoro e le consulenze, comunque necessarie per raggiungere l'obiettivo minimo espresso dalla seconda alternativa, producono crescita e contribuiscono a mantenete rapporti con enti e istituti di ricerca universitaria, nonché ad affermare le metodologie per il trattamento informatico dei dati di ingresso, ma questo non potrebbe soddisfare le attese degli enti di gestione e difficilmente giustificherebbe l'entità degli investimenti effettuati.

Prima di esaminare i contenuti del citato contributo di Rossi & Zurlini, vorrei ricordare che l'esperienza diretta, sia pur molto parziale, in veste di collaboratore per i dati floristici e vegetazionali nella Regione Veneto in ordine al programma Bioitaly, consente di esprimere valutazioni critiche sui dati di ingresso che rappresentano la base del sistema informativo.

Le Regioni hanno svolto un lavoro molto eterogeneo e una puntuale applicazione delle normative europee che avrebbe richiesto l'organizzazione di un serio lavoro di campagna e i tempi consoni per la stesura delle schede finali (attualmente a Bruxélles in attesa che i cosiddetti S.I.C. siti di interesse comunitario - vengano discussi e approvati). I dati di partenza sono quindi molto differenziati, per qualità, quantità e modalità di approccio, da regione a regione.

Condividendo le premesse del citato articolo già apparso su questa rivista ci si limita ad alcune osservazioni di natura pratica, in questo caso nella duplice veste di informatore (settore botanico) e gestore di area protetta (presidente di un parco che ha già approvato il suo piano ambientale).

  • la legge quadro esplicita l'opportunità di una raccolta di dati già disponibili presso vari enti. Fatta salva la volontà dei singoli tecnici operanti presso il servizio del ministero, tra l'altro con contratti a termine, va segnalato un ambiente piuttosto blindato che impedisce o comunque non favorisce quegli scambi che avrebbero permesso, fin dalle fasi organizzative iniziali, un salto di qualità.

    Non risultano richieste ufficiali di collaborazione in tal senso (rivolte al mio o ad altri parchi) e quindi gli enti di gestione sono stati tenuti fuori (per scelta o per casualità contingenti?) da tutto ciò che riguarda la Carta della Natura.
  • Una volta redatta, questa Carta della Natura, a prescindere dalla validità dei dati di ingresso, che richiederebbe un controllo più rigoroso per evitare che vi sia chi si avvantaggi senza meriti, potrà incidere in modo sostanziale sulle linee di pianificazione del territorio? E ipotizzabile che da essa possano scaturire vincoli e prescrizioni che evitino ulteriori distruzioni di un territorio già gravemente compromesso da urbanizzazioni e alterazioni che stiamo pagando come anche recenti fenomeni evidenziano? O prevarrà la voglia, pure assai comprensibile per altri aspetti di natura burocratica che poco hanno da spartire con i temi ambientali e con la politica di protezione, di semplificazione e quindi di riduzione dei vincoli ambientali? In questo secondo caso, tutt'altro che improbabile, che valore effettivo potranno avere le indicazioni di Carta della Natura? Sono interrogativi che attendono risposta ma che sono proposti nella speranza che tale strumento venga affinato, potenziato e valorizzato per rispondere ad esigenze applicative.
  • Per una valutazione sinottica del patrimonio naturale è indispensabile poter lavorare sui biotopi, spesso aree di rilevante interesse scientifico e naturale (talvolta più degli stessi parchi, dimensioni a parte), quindi su scala che, da un minimo di 1:25.000 per aree estese, dovrebbe attestarsi su carte tecniche regionali 1:10.000 o 1:5.000.
    Anche per poter individuare e proporre nuove aree da sottoporre a particolari regimi di tutela la scala di riferimento è essenziale e dovrebbe essere di sufficiente dettaglio.
  • Analogamente il lungo elenco degli obiettivi della Carta della Natura, segnalati nel citato articolo, può trovare riscontro solo se si lavora a scala adeguata, di buon dettaglio.
  • Il sistema informativo delle aree protette è probabilmente rimasto negli auspici. Agli enti parco nazionali sono pervenute, a più riprese, circolari inerenti standard di dotazioni informatiche e si è spesso parlato di disponibilità di personale del ministero per avviare il collegamento informatico. Probabilmente la diversità delle situazioni (in alcuni casi davvero anomala) e le carenze obiettive di personale (sia degli enti parco che dello stesso Servizio Conservazione Natura) non hanno fatto decollare il programma. In ogni caso gli standard informatici richiesti sono troppo onerosi per un ente parco di piccole o medie dimensioni. Il nostro Piano del Parco rimanda ad esempio ad un progetto speciale per un SIT (sistema informativo territoriale) una simile organizzazione. Nel frattempo si stanno accumulando dati molto interessanti ma resta il problema che per renderli efficaci e trasferibili, è necessario effettuare un cospicuo investimento iniziale, prevedendo oneri di gestione non trascurabili e la disponibilità (ancora più aleatoria) di risorse umane adeguatamente preparate. Se si volesse lanciare l'operazione a livello nazionale, con uno specifico progetto, non si potrebbe evitare di consultare, quanto meno, chi ha già affrontato la tematica e potrebbe rilevare a livello locale gli effettivi ostacoli per il funzionamento del sistema.
  • L'esperienza metodologica già acquisita, sia pure con i limiti su evidenziati, è certamente un patrimonio da non sprecare.
    E necessario tuttavia, molto umilmente, evitare di lavorare a lungo sui soli presupposti tecnici e metodologici. In tal senso la conoscenza effettiva di un territorio resta punto di partenza essenziale, non vicariabile da strumenti di analisi sofisticati e spacciati quali modernissimi.

    Si va diffondendo, infatti, I'idea che si possa rappresentare il territorio e i suoi valori ambientali, sempre più ricorrendo a metodi di osservazione indiretta, con largo ricorso alle più moderne tecnologie (che spesso richiedono costosi investimenti) quali le riprese satellitari, ignorando che una valida conoscenza può essere acquisita, almeno in gran parte dei nostri territori montani, solo lavorando tenacemente, spostandosi a piedi, effettuando rilievi diretti, utilizzando persone che amano e conoscono i luoghi da censire.

    Non mancano infatti in circolazione documenti cartografici che non trovano puntuale rispondenza con i dati effettivi sul terreno e che, soprattutto, risultano scarsamente utili nella gestione del territorio.
  • A volte la tipificazione di una metodologia o la standardizazione di un elenco provocano sensibili guasti. E noto infatti che negli habitat prioritari (es. progetto Biotopi Corine) vi sono clamorose omissioni e semplificazioni che generano obiettive gravi difficoltà nell'identificazione delle caratteristiche ambientali di un sito di interesse comunitario.
    Si ha quasi l'impressione che prevalga una mania di schedatura che finisce con allontanare sempre più i dati segnalati da quelli reali.
  • Se, come da più parti si sollecita, si intende focalizzare l'attenzione sulla conservazione della biodiversità, il rapporto di scala diventa fondamentale (e dovrà essere di buon dettaglio) e le scelte metodologiche che si attuano devono puntare alla più spinta localizazzione possibile, e la conoscenza diretta del territorio diventa così insostituibile. Sulla necessità di continuare a lavorare su basi a torto considerate tradizionali, si deve segnalare, a titolo esemplificativo, che in tutta la Regione Veneto non esistono carte della vegetazione, di buon dettaglio fitosociologico, su aree di apprezzabile ancorché limitata estensione, che risultino utili a livello di pianificazione territoriale. E mia convinzione che tali dati debbano essere invece implementati e conseguiti prima di potersi dedicare a esercitazioni di natura informatica o alla traduzione di dati derivanti da tecniche di telerilevamento.

 

Spesso non esiste una sufficiente conoscenza dei parametri naturalistici di base, mentre è molto più allettante elaborare nuove carte tematiche, variamente colorate, utilizzando le risorse, le grandi capacità di calcolo delle elaborazioni numeriche.

Si concorda, infine e ciononostante, sull'opportunità che Carta della Natura venga adeguata e valorizzata. Si rileva che l'affermazione "necessita un'ampia partecipazione da parte di tutti gli Enti e le istituzioni competenti" resta oggi un mero auspicio in quanto questo obiettivo, ritenuto dagli stessi autori non sufficiente, è di là da venire. Per assicurare la continuità nel tempo e un riconoscimento istituzionale è necessario, preliminarmente, che si faccia una verifica puntuale anche sui contenuti e sulle finalità, evitando di ragionare solo sui metodi e sulle potenzialità.

Se dotati di adeguate risorse e sulla base di precise e realistiche direttive, gli enti territoriali locali (parchi anzitutto ma anche le Comunità Montane o i comprensori) potrebbero diventare i principali protagonisti dell'elaborazione di questa Carta che ha senso solo se diventerà uno strumento utile a fini applicativi e non documento da vetrina. Il Ministero dovrebbe fornire gli indirizzi generali e curare l'organizzazione complessiva e la raccolta dei dati ma nessuno meglio dei locali può conoscere i materiali già disponibili e valutare il loro livello di consistenza.

 

Cesare Lasen
Presidente del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi