Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 27 - GIUGNO 1999
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Renzo Moschini
 

Due pesi e due misure con parere inutile
Altri si occupano in questo numero della tormentata vicenda di Portofino. Ma le polemiche, destinate a continuare, hanno finora lasciato in ombra un aspetto forse minore ma meritevole di qualche considerazione.
Ridotta all'osso la questione di Portofino potremmo condensarla in questi termini: dovendo istituire una riserva marina di modeste dimensioni in una area dove esiste un parco istituito dal 1935, è necessario e ragionevole istituire un altro ente o è preferibile, come consiglia il buon senso, avvalersi con gli accorgimenti del caso di quello che già c'è e funziona?
A questa semplice domanda il Ministero dell'Ambiente nonostante le sollecitazioni e le proposte avanzate in questo senso ha deciso per l'affidamento ad un nuovo organo che altri ora dovrebbero istituire. Conclusione: per il Ministero dell'Ambiente il parco che esiste dal 1935 e gestisce un territorio pregiato da decenni non ha evidentemente i titoli, non è in grado di assicurare quello che dovrebbe essere invece garantito da un organismo al momento inesistente, di cui peraltro dovrebbero far parte tutti quelli già autorevolmente presenti nell'ente parco.
Insomma è preferibile creare un problematico nuovo ente, un doppione di dubbia legittimità (nel consorzio infatti dovrebbero essere rappresentate associazioni come il WWF che, in base alla legge 142, non possono farvi parte) - quello esistente -, piuttosto che affidarsi ad un ente collaudato, sperimentato, dotato di strutture e di amministratori che fanno dignitosamente il loro lavoro da anni. Al Parco di Portofino il ministro in sostanza manda a dire brutalmente che non si fida e che piuttosto che affidargli la gestione della riserva è disposto a battere una strada che comporta incalcolabili perdite di tempo e sicuramente anche spese inutili, complicazioni amministrative e istituzionali e tutto nel momento in cui si parla tanto di semplificazione ecc. In compenso alle Cinque Terre, dove il parco nazionale che dovrà prendere il posto di quello regionale ancora non è stato istituito, il nuovo ente gestirà (come è giusto) anche la riserva marina. Insomma, per chi non avesse capito, un parco che ancora deve nascere e che comunque dovrà affrontare tutti i noti e non facili problemi di primo avvio può gestire (ripetiamo, giustamente) anche la riserva marina. Non può farlo, invece, un parco che il suo apprendistato lo ha fatto ormai da decenni.
Ma, si era obiettato a Roma, noi non possiamo affidare una riserva statale ad un parco regionale, perché la legge 394 non lo consente, anzi lo vieta. In ogni caso, per esserne più sicuri, chiederemo un parere al Consiglio di Stato. Era una scusa bella e buona per prendere e perdere tempo, perché la legge era chiara, ma tant'è.
Ora, però, il parere richiesto è stato espresso e il Consiglio di Stato ha detto quello che già si sapeva, e cioè che il ministero può scegliere tra "un ente pubblico o una associazione ambientalista o scientifica". Non solo, ma avendo la legge 426 recentemente abrogato il comma della legge-quadro in cui si parlava di affidamento della gestione a eventuali parchi confinanti con l'area marina, cade anche ogni residua interpretazione alla quale si era attaccato il ministero per non accogliere la richiesta del Parco regionale di Portofino. Infatti il ministero obiettava che, non essendo Portofino Parco nazionale, non era possibile affidargli la gestione di una riserva dello Stato. A parere di molti, ed anche nostro, si trattava di una interpretazione di comodo e pretestuosa che ora, comunque la si voglia valutare, cade perché quel comma è stato cancellato e la scelta da fare, come ha detto il Consiglio di Stato, è esclusivamente tra "enti pubblici e associazioni". E il Parco di Portofino, fino a prova contraria, è a tutti gli effetti un ente pubblico con tanto di incontestabile riconoscimento.
Ma anche questa volta il ministro, nonostante il parere da lui stesso richiesto, ha emanato un decreto che sancisce la esclusione del parco. In una dichiarazione alla stampa egli si è giustificato (della serie: la toppa è peggio del buco) sostenendo che non poteva dare la riserva in gestione alla regione. Ma la regione non l'ha mai chiesto, limitandosi correttamente a indicare il Parco di Portofino come naturale e più idoneo ente gestore. Si sa che tutte le scuse sono buone quando non si vuol fare una cosa. Ma chi governa non deve inventare scuse che non stanno né in cielo né in terra. Deve invece ricercare buone intese con le istituzioni in base alla legge. Non si può ad ogni piè sospinto presentare i parchi come Cornelia presentava orgogliosamente i suoi "gioielli" e poi, al momento opportuno, rilasciar loro pubblica patente di incompetenza e di inaffidabilità.
A costruire una immagine credibile e affidabile di un parco occorre tanta fatica e sudore. A sputtanarla basta poco. Nessuno ci ha pensato mentre approntava il decreto? Nessuno ha calcolato che una tale decisione equivale, praticamente, ad una patente di inaffidabilità?

P.S. A poco sono servite le proposte della regione e del parco; infatti è stato deciso di costituire il consorzio con la esclusione del WWF. Così, mentre ovunque si sottolinea l'indissolubile intreccio tra ambiente costiero-marino, avremo due enti distinti e separati.

La Convenzione delle Alpi ha tagliato (finalmente) il traguardo
A 8 anni dalla firma avvenuta il 7 novembre 1991 a Salisburgo, anche il nostro Paese ha ratificato la Convenzione per la protezione delle Alpi di cui nel precedente numero di Parchi aveva parlato Giulio Ielardi in un articolo molto documentato e puntuale al quale rimandiamo.
Il testo licenziato in prima battuta dal Senato è stato a fine maggio approvato dalla Camera dei deputati che vi ha apportato però rilevanti e significative modifiche che il Senato, pensiamo, recepirà per non dar luogo ad ulteriori ritardi.
Il pomo della discordia tra Senato e Camera aveva riguardato l'attribuzione della competenza per l'attuazione della Convenzione, che il testo del Senato affidava al Ministero dell'Ambiente il quale avrebbe dovuto per questo avvalersi della Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente. Per le questioni di massima rilevanza il ministero avrebbe dovuto acquisire il parere di un comitato consultivo presso il Servizio conservazione della natura. Alla Camera, relatore Mattarella poi sostituito da Bianchi, la Commissione esteri aveva ribaltato questa impostazione ritenendo che le materie oggetto della Convenzione non riguardassero unicamente il Ministero dell'Ambiente ma soprattutto non fossero competenza prevalente dello Stato. Da qui la proposta di affidare alla Presidenza del Consiglio un compito di mero coordinamento per funzioni affidate principalmente a regioni ed enti locali. Dopo una discussione più volte interrotta per varie vicissitudini parlamentari è stato trovato quello che potremmo definire un onorevole compromesso tra le due posizioni che avevano suscitato non poche discussioni tra "centralisti" e "federalisti". I primi ovviamente arroccati sulla strenua difesa del ruolo del Ministero dell'Ambiente contro "i malintesi federalismi" (vorremmo che l'on. Pieroni quando troverà il tempo ci spiegasse una buona volta quale è il "federalismo beninteso" di cui lui sembra l'unico ed esclusivo custode e interprete) e i federalisti favorevoli ad un ampio decentramento di competenze. Il testo approvato dalla Camera risolve questo conflitto attribuendo l'attuazione della Convenzione al Ministero dell'Ambiente, d'intesa con i ministeri interessati ai relativi specifici protocolli e d'intesa con la Consulta Stato-regioni dell'Arco alpino di cui faranno parte i presidenti delle regioni e delle province autonome, due rappresentanti dell' Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM), due rappresentanti dell' ANCI, due dell'UPI e i sottosegretari dei Ministeri dell'Ambiente; Industria, Commercio e Artigianato; Politiche Agricole, Trasporti e Navigazione; Lavori Pubblici; Interno; Beni e Attività Culturali e il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio.
La Consulta Stato-regioni dell'Arco alpino sarà periodicamente convocata dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Anche per le Alpi, dunque, è passata l'idea giusta e largamente acquisita, anche se non pacifica e scontata, che occorre il massimo di concertazione istituzionale con la massima valorizzazione delle istituzioni decentrate.
Non possiamo che rallegrarcene, anche se comprendiamo e condividiamo le critiche per non
avere il testo previsto la costituzione di una segreteria tecnica operativa. Ci auguriamo, pertanto, che dopo l'approvazione della Convenzione, alla cui attuazione nessuno più dei parchi alpini è interessato, non trovino più spazio posizioni che, purtroppo, abbiamo anche recentemente sentito circolare per l'Appennino, e cioè che solo i parchi nazionali dovrebbero essere coinvolti. Sulle Alpi, vista la sproporzione tra parchi nazionali e regionali a favore dei secondi, più che un imperdonabile errore sarebbe una follia.
Ma siamo sicuri che nessuno vorrà, ora che la Convenzione può finalmente decollare, mettere i bastoni tra le ruote?
Anche per questo sarebbe bene che i parchi alpini cercassero più di quanto hanno fatto finora, peraltro con ottimi risultati, di mettere a punto proprie proposte da sottoporre il prima possibile alla nuova Consulta.

L'intesa fra Ministero dell'Ambiente e Unione delle province
Alla luce di quanto appena detto sulla Convenzione alpina non possiamo che rallegrarci del protocollo di intesa sottoscritto ai primi di giugno fra il Ministero dell' Ambiente e l'UPI che riguarda vari temi ambientali e tra questi le aree protette. Come avevamo avuto modo di verificare direttamente non molto tempo fa in un incontro con i rappresentanti dell'UPI, le province stanno assumendo un ruolo sempre più incisivo sulle tematiche ambientali e della pianificazione che interessano e coinvolgono anche le aree protette. Non solo, ma sono sempre più numerose le province che istituiscono proprie aree protette alle quali ovviamente la nostra Federazione e i coordinamenti regionali sono fortemente interessati come avevo avuto modo di ribadire nel numero precedente parlando del "Tormentone provincia". Che questo ruolo delle province trovi ora un riconoscimento diretto e autorevole anche da parte del Ministero e del Ministro dell'Ambiente come dicevamo - non può che essere considerato positivamente.
La concertazione, la leale collaborazione istituzionale ed altre espressioni equivalenti sempre più ricorrenti e frequenti nel dibattito politico e culturale mostrano d'altra parte che la via delle intese, dei protocolli è un percorso obbligato per chiunque voglia dare gambe alle nuove scelte di politica nazionale che oggi va sotto il nome di "nuova programmazione".
Via obbligata inoltre per realizzare quelle riforme amministrative ed anche quelle costituzionali in programma da troppo tempo, la cui attuazione ha indispensabile bisogno non di contese e conflitti ma di collaborazione tra i diversi livelli istituzionali.
L'intesa fra Ministero dell'Ambiente e UPI è da annoverare quindi senz'altro tra questo tipo di collaborazione che alle aree protette, espressione tipica di concertazione tra istituzioni diverse, non può che giovare. Specie se essa contribuirà a rimuovere quelle diffuse diffidenze oggi facilmente riscontrabili tra Stato e regioni, tra Stato ed enti locali, tra regioni ed enti locali. Se agli uni non sempre piace il decentramento agli altri non piace il centralismo. E se il centralismo dello Stato risulta ostico a regioni ed enti locali, il neocentralismo regionale è visto con comprensibile disagio da parte delle province e dei comuni i quali fra di loro non sempre concordano su come posizionarsi rispetto alle regioni e allo Stato.
Queste posizioni conflittuali sono emerse in tante occasioni durante il dibattito generale sulle riforme ma riaffiorano continuamente ogni qualvolta si debbono prendere decisioni operative, ad esempio, in ordine ad una riserva marina o alla istituzione di un parco. In molti casi allora assistiamo a vari tentativi, più o meno scoperti, di mettere una istituzione contro l'altra, di giocare le giuste diffidenze degli enti locali contro le regioni, o degli enti locali contro lo Stato. L'intesa sottoscritta al Ministero dell'Ambiente contribuirà - ne siamo sicuri - a ridurre anche gli spazi per manovre di questo tipo le quali intorbidano le acque e disturbano i rapporti complessivi che debbono istaurarsi tra i vari livelli istituzionali.

P.S. La decisione "ratificata" in sede di Conferenza unificata con il parere favorevole dell'UPI e della Provincia di Genova per la costituzione di un consorzio "aggiuntivo" per la gestione della riserva marina di Portofino che era stata richiesta dal parco regionale appoggiato dalla Regione Liguria da questo punto di vista non è un buon segnale.

Il Centro studi Valerio Giacomini fa "scuola".
Il seminario tenutosi il 18/19 giugno a La Maddalena su "Parchi e sviluppo" per iniziativa del Centro studi Valerio Giacomini, di cui parliamo in altra parte della Rivista conferma - se ce n' era bisogno - quanto scrivemmo nel numero precedente, e cioè la crescita di questo centro che in poco tempo è riuscito a "farsi" un nome.
Lodarsi - si sa - non è elegante ma è doveroso riconoscere che l' idea di mettere insieme l' impegno di una autorevole regione come la Lombardia e quello del Coordinamento nazionale dei parchi (oggi Federazione) e del Parco regionale dell' Alto Garda Bresciano per dar vita ad un Centro studi intitolato a Valerio Giacomini si è rivelata felice.
E vero che oggi di parole come collaborazione, concertazione, tavoli di consultazione si fa molto uso e talvolta abuso, per cui può non fare notizia che istituzioni e organizzazioni diverse decidano di mettersi insieme per realizzare come nel nostro caso ricerche, studi ecc.. Ma ci sono tematiche e aspetti anche molto importanti che nonostante tutto questo invito e impegno a collaborare anziché a fare ognuno per conto suo restano tuttora confinati ai margini di un dibattito che li considera evidentemente poco appetibili.
Il Centro Giacomini è una di queste positive e felici eccezioni ripagata meritatamente dal notevole successo delle sue iniziative le quali - e quella de La Maddalena l'ha pienamente confermato - riescono a far discutere intorno allo stesso tavolo ricercatori delle più diverse discipline, amministratori e tecnici di tutto l'arco istituzionale e, come è accaduto in Sardegna, anche rappresentanti di importanti istituti di credito, giovani imprenditori ed in particolare donne.
Di tutto ciò va dato atto innanzitutto alla Regione Lombardia che in questo impegno ha profuso tecnici e risorse senza le quali il Centro nonostante la buona volontà della Federazione dei parchi e del Parco dell'Alto Garda bresciano non avrebbe potuto fare quello che in così poco tempo è riuscito a fare.
E i risultati sono evidentemente convincenti e apprezzati se ora anche in Liguria si sta discutendo della istituzione di un "Centro studi per la vita del mare" di cui dovrebbero far parte, oltre alla regione, la nostra federazione e l'acquario di Genova.
Lo statuto già approvato dagli organi della federazione come quello del Centro Giacomini, di cui si è fatto tesoro, fissa i compiti peculiari di que-
sto nuovo Centro che riguardano lo sviluppo di iniziative di ordine culturale, scientifico, educativo e pubblicistico, inerenti alla tematica delle aree protette marine e costiere. Temi come ben sappiamo non solo finora negletti ma spesso affrontati con respiro angusto, al di fuori di una visione "unitaria" delle politiche di protezione.
Il nuovo centro che si affiancherà così, non solo idealmente, al Centro Giacomini e in qualche modo lo integrerà allargando l' orizzonte e il campo di ricerca e di studio ci auguriamo possa presto cominciare ad operare. Non gli mancheranno di sicuro gli argomenti e i problemi.

Cosa fare dei residui passivi dei parchi nazionali?
Il rappresentante del Ministero dell'Ambiente, intervenendo al seminario de La Maddalena, ha ricordato le ragguardevoli cifre dei residui passivi accumulati dai parchi nazionali. Si tratta in effetti di una notevole quantità di risorse che testimonia una persistente difficoltà dei nuovi parchi nazionali ( non di tutti naturalmente) a spendere. E quando si dice spendere si dice soprattutto e principalmente capacità di progettare. Che questa difficoltà sia dovuta anche in notevole misura alle fragili strutture operative dei nuovi parchi è evidente e per molti versi neppure sorprendente. Ma qui si sconta anche una carenza "nazionale" dovuta al fatto che pur avendo assunto il Ministero dell'Ambiente i parchi nazionali quale unico ed esclusivo punto di riferimento non si è riusciti a fornire input giusti sul da farsi. In altri termini, se ai nuovi parchi è mancata finora una adeguata capacità di programmare e progettare interventi per mettere a frutto le risorse disponibili, al ministero e alle sue strutture operative è mancata quella spinta propulsiva che avrebbe dovuto sostenere il non facile decollo dei nuovi enti . D' altronde basta pensare ai ritardi ormai storici nel mettere a punto la carta della natura dalla quale sarebbero dovute e potute scaturire indicazioni preziose sul da farsi proprio a sostegno di quelle politiche di tutela a parole da tutti considerate prioritarie. A testimoniare la fragilità e l' imbarazzo degli organi ministeriali a delineare concretamente indirizzi generali vi è anche l'assoluta mancanza di attendibili e serie indagini sulla
composizione e qualità della spesa delle aree protette di cui ci si limita a vantare i risultati acquisiti sul piano statistico.
Ma i residui passivi pongono anche un altro problema non meno rilevante e urgente.
Mentre, infatti, i parchi nazionali non riescono a spendere, molti parchi regionali hanno i progetti ma non i finanziamenti per realizzarli. Ora, è bene ricordare che i finanziamenti statali dovevano essere equamente ripartiti tra parchi nazionali e regionali, cosa che in questi quasi 10 anni non è mai avvenuta. Insomma, chi ha i soldi non ha i progetti, chi ha i progetti non ha i soldi (sufficienti). E possibile che non si riesca a sciogliere questa assurda contraddizione? Come si spiega che i parchi regionali non possano avere dallo Stato finanziamenti che riescono invece con i progetti ad ottenere dalla Unione europea? Sappiamo che ci sono delle remore anche di ordine procedurale e normativo, ma come può ragionevolmente giustificarsi che allo Stato sia impossibile fare quello che può e sa fare la Comunità?

A quando il riordino?
La Consulta tecnica dopo essere stata a "bagno maria" per un bel po' è stata finalmente insediata. Solo che nel frattempo, nel periodo cioè intercorso tra le designazioni dei suoi membri e l'insediamento, è entrata in vigore la legge Bassanini la quale prevede per la Consulta tecnica come per quella del mare il "riordino". A quanto pare di questo "dettaglio" finora nessuno si è ricordato, tanto è vero che le cose procedono come se niente fosse avvenuto. E pur vero che la legge non chiarisce le finalità e i criteri del riordino da effettuarsi ma questo semmai dovrebbe indurre non a scantonare bensì a individuare su quali basi e con quali obiettivi è opportuno mettere mano al riordino. Alcuni dei compiti della vecchia Consulta (che in verità non ha mai brillato anche per la scarsa considerazione in cui è stata tenuta dal ministero) sono venuti meno mentre l'esigenza di assicurare alla Conferenza unificata, a cui fa riferimento, ad esempio, la Carta della Natura, adeguata "consulenza" è più forte.
Ebbene, può la Consulta tecnica, eventualmente insieme a quella del mare, le cui competenze generali sono state ormai ricondotte al Ministero
dell'Ambiente, essere questo organo di "consulenza" per Stato, regioni ed enti locali?
Perché non pensare ad un organo eventualmente unificato (la legge prevede oltre alla soppressione anche l'accorpamento degli organi da riordinare) in modo che le aree protette terrestri non siano separate e distinte da quelle marine, in cui trovino posto le rappresentanze dei parchi e delle associazioni ambientaliste?
Quel che è accaduto anche in questi mesi e non soltanto in riferimento alle aree protette marine conferma che gestioni e decisioni "politiche" prive di filtri tecnico-scientifici seri producono "piccoli mostri". Stato e regioni si sono posti questo problema?

Le regioni si rivolgono al Presidente del Consiglio
Il Presidente della Conferenza delle regioni, Vannino Chiti, si è rivolto al presidente del Consiglio "quale garante dell'azione del Governo" per superare "le difficoltà che le regioni stanno incontrando in quest'ultimo periodo nei rapporti con il Ministro dell'Ambiente a causa di una impostazione centralistica che il ministro Ronchi sta attuando nella politica ambientale". La lettera prende spunto dalla vicenda di Portofino, il cui decreto ministeriale non prevede il coinvolgimento della Regione Liguria. A sostegno di questa richiesta Vannino Chiti propone che le regioni avviino un lavoro istruttorio volto ad identificare - anche mediante una raccolta di dati a livello nazionale - "tutte le questioni di maggior contrasto in materia ambientale, per definire il quadro generale della situazione" .
In altre occasioni non avevamo mancato di rilevare criticamente la insoddisfacente e precaria iniziativa delle regioni sui problemi "nazionali" riguardanti le aree protette che segnarono negativamente anche la poco gloriosa vita del Comitato per le aree naturali protette ora abrogato. Ci auguriamo che questo intervento di Chiti, ampiamente giustificato dopo le ultime decisioni del ministro su Portofino, segni l'avvio di un confronto più continuo e costruttivo tra Stato e regioni sulle politiche dei parchi che dovrebbe anche trovare sedi consultive permanenti.