Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 27 - GIUGNO 1999
Coste protette come
Renzo Moschini
 

Nel novembre del ' 97 ad Ancona a "Parcoproduce" dedicammo un convegno nazionale ad "un progetto per le coste italiane protette in una logica di sistema". 8220 km di costa del nostro Paese giustificavano ampiamente 1' iniziativa a cui contribuì soprattutto il Parco del Conero. Lungo questo serpentone costiero operano attualmente 24 parchi: nove sull'Adriatico, nove sul Tirreno, sei in Sicilia e tre in Sardegna ai quali si aggiungono 54 riserve naturali interessate e correlate in qualche modo ai parchi.

Che un Paese con queste caratteristiche scoprisse con tanto ritardo il problema delle coste può sorprendere, ma anche in questo, purtroppo, non eravamo soli perché come vedremo anche in Europa le cose non andavano molto meglio. Lo diciamo non certo per consolarci del mal comune, quanto per avvertire subito che il tema delle coste ha una dimensione europea di cui finalmente si sta interessando anche la comunità. Ma di questo parleremo più avanti. Prima vogliamo ricordare che questa tardiva "scoperta" del problema è dovuta a moltissimi fattori di cui si occupa approfonditamente un recente libro dedicato alle Aree protette marine (DIVIACCO e altri; edizioni Comunicazione) al quale rimandiamo. Qui basta sottolineare che la costa, il punto, cioè, su cui si sono abbattute le più pesanti e spesso rovinose conseguenze di uno sviluppo incontrollato della urbanizzazione, è stata e per molti aspetti continua ad essere considerata la linea in cui terra e mare si dividono anziché quella in cui essi si incontrano. La stessa legislazione in materia, a cominciare dalla prima legge organica sul mare (la 979/82), presenta questo limite che segna, d'altronde, tutta la poco edificante vicenda delle riserve marine che dopo 20 anni sono ancora quasi ferme al palo.

La scoperta della costa, quindi, ancorché tardiva, ha il merito di avere individuato quel punto in cui protezione a terra e a mare, anziché dividersi, si incontrano. Coerentemente con questa impostazione, quando abbiamo affrontato un paio di anni fa l'irrisolta questione delle aree protette marine, abbiamo cercato di superare qualsiasi visione "settoriale", di separazione dei campi, rilevando anche le non poche contraddizioni che la stessa normativa nazionale contiene. La più vistosa, ma certamente non la sola, è che mentre a terra, bene o male (e con limiti di cui ci siamo occupati di recente in un seminario del Centro Giacomini a Bologna), la "classificazione" delle aree protette evita di fare di ogni erba un fascio, a mare perdura un assemblaggio indistinto e informe per cui situazioni assolutamente diverse sono collocate nell'unica e vaga tipologia di riserve. A conferma di questa confusione rilevata già in tempi ormai lontani dallo stesso Ministero dell'Ambiente in una dimenticata relazione sullo stato dell'ambiente, potremmo forse citare il parco nazionale dell'Arcipelago de la Maddalena. Un parco nazionale il cui territorio riguarda un solo comune: quello, appunto, de La Maddalena. Non esiste in Italia e forse all'estero un caso analogo di parco nazionale.

D'altronde, quando si è trattato di intervenire in realtà riguardanti un solo comune come nel caso di Ustica - che sicuramente presenta profonde differenze - si è proceduto all'affidamento della gestione alla amministrazione comunale e non alla istituzione di un parco nazionale con relativo ente. Abbiamo voluto fare questo accenno non già per spostare 1' attenzione su aspetti che andranno presto e seriamente ripresi e vagliati in altra sede, quanto per dimostrare che gli interventi a mare presentano, nonostante due leggi nazionali ormai più che collaudate, contraddizioni, incoerenze e sovente veri e propri pasticci il cui superamento - ecco il punto - sta soprattutto nel raccordare i due momenti della protezione troppo a lungo concepiti come separati e distinti. Del resto non è un caso che le competenze sia terrestri che marine siano state in tempi recenti collocate entrambe presso il Ministero dell'Ambiente dopo essere state per molti anni dislocate in ministeri diversi. Ma non basta averle riportate sotto un unico tetto se poi le politiche, gli interventi restano separati e comunque poco coordinati.

Quando un paio di anni fa la nostra federazione ha affrontato con specifiche iniziative e documenti l'argomento ha infatti posto l'accento su questo intreccio tra protezione a terra e a mare che trova appunto nella linea di costa il suo naturale punto di incontro. Con ciò ovviamente non intendevamo negare la specificità della protezione marina quanto collocarla nella sua reale e concreta dimensione e contesto. Niente di ciò che succede in mare ed al mare è scindibile dalle scelte, le politiche che vengono compiute e seguite a terra. Ciò che vale per i bacini idrografici vale con le varianti del caso anche e non di meno per il mare. E stato un punto controverso sul quale non sono mancate polemiche anche strumentali e gratuite con le quali si è cercato di presentare questa corretta impostazione (come vedremo largamente acquisita in sede internazionale) come volta a negare alle riserve marine una loro peculiarità anche gestionale.

Ma ciò che allora abbiamo chiaramente affermato è che nessuna peculiarità è tale da consigliare, specie in determinate situazioni costiere, gestioni separate della protezione.

Il caso Liguria sotto questo profilo ha assunto un rilievo nazionale esemplare proprio perché lì chiunque può toccare con mano cosa significhi ignorare questa connessione riconosciuta giustamente per il Parco delle Cinque Terre ma negata a Portofino soltanto perché qui opera un parco regionale.

Rimane un mistero (si fa per dire) perché l'esigenza di una gestione unitaria che vale alle Cinque Terre non debba valere pochi chilometri a monte per Portofino le cui caratteristiche ambientali non sono certo così diverse da richiedere soluzioni tanto difformi.

Ma a questo punto è giunto il momento di allargare il discorso al dibattito e al lavoro in corso presso gli organi dell'Unione europea su questi temi, ai quali pensiamo che il nostro paese debba partecipare attivamente.

E singolare però - ci sia consentita questa notazione preliminare - che dei due documenti ai quali faremo riferimento. "Per una migliore gestione delle risorse del litorale" (programma europeo per l'assetto integrato delle zone costiere) e "Verso una strategia europea per la gestione delle zone costiere (GIZC), principi generali e opzioni politiche", che si riferiscono al programma dimostrativo sulla gestione integrata delle zone costiere della UE 1997-1999, si debba venire a conoscenza e in possesso per iniziativa di una associazione, la LIPU, senza che finora dalle sedi ministeriali sia pervenuta alcuna segnalazione e informazione. Non intendiamo riaprire polemiche o sparare sulla Croce rossa, ma dopo aver sentito citare a proposito e sproposito il ruolo delle strutture centrali per garantire adeguati ed efficaci rapporti con gli organi comunitari nel momento in cui si trattava di definire con la legge Bassanini le materie e le funzioni da trasferire, ci chiediamo se documenti di questi tipo meritano o no l'attenzione del ministero.

Nell'attesa di conoscere le ragioni di questa inspiegabile latitanza vorremmo sommariamente accennare al contenuto di questi due importanti documenti di "riflessione", preparati dal gruppo di esperti tematici del programma dimostrativo, che ha lo scopo di stimolare un ampio dibattito e che si fonda su una serie di ipotesi e non anticipa assolutamente la posizione definitiva della Commissione. Il documento di riflessione ha impegnato le direzioni generali Ambiente, Sicurezza nucleare e Protezione civile; Politica della pesca, Politica regionale e coesione. Se dunque i documenti, e specialmente il secondo che è recentissimo, essendo stato stampato nel '99, non "anticipano" le posizioni definitive della Commissione, sicuramente prospettano autorevolmente le linee sulle quali nei vari Paesi europei tutti i livelli istituzionali saranno chiamati prima a decidere e poi ad agire. Già la definizione di zona costiera con cui si apre il primo documento - per chi come noi è da mesi ormai impelagato in polemiche e controversie da "cortile" - dovrebbe indurci a qualche salutare autocritica. "E zona costiera una striscia di terra e di mare di larghezza variabile in funzione della configurazione dell'ambiente e delle necessità di assetto, che raramente corrisponde ad entità amministrative o di pianificazione esistenti. I sistemi naturali costieri e le zone dove le attività umane sono legate allo sfruttamento delle risorse del litorale possono quindi andare al di là delle acque territoriali ed estendersi per chilometri all'interno". Ci scusiamo della citazione ma ne valeva la pena. A fronte infatti di questa definizione che bene evidenzia l'integrazione tra ambienti e territori anche assai distanti fra di loro, nel recente decreto ministeriale con il quale è stata istituita la riserva marina di Portofino, per giustificare l'esclusione del parco si è usato questo argomento, e cioè che il parco "risulta esponenziale anche di interessi propri di comunità i cui beni naturalistici si contraddistinguono in modo diverso da quelli propri dell'Area Marina Protetta in argomento e possono richiedere 1' adozione di politiche, strumenti e iniziative di tutela e valorizzazione non pienamente compatibili con quelli finalizzati alla tutela e valorizzazione dei beni dell'Area Marina Protetta". In sostanza, si considerano direttamente interessati alla fascia costiera solo alcuni comuni che fanno attualmente parte del parco perché gli altri potrebbero essere portatori di interessi contrastanti con quelli della riserva marina. Se così fosse sarebbe stato più che mai necessario coinvolgere nella gestione della riserva anche quei comuni (e non escluderli) per evitare che possano sviluppare attività incompatibili con le esigenze di tutela della fascia costiera e marina. Insomma, della definizione del documento nel decreto si è ignorata proprio quella non corrispondenza tra zona costiera e confini amministrativi e della pianificazione che non a caso si è cercato di superare attraverso lo strumento parco che non segue appunto i confini tradizionali amministrativi e neppure quelli degli strumenti ordinari della pianificazione. Il consorzio previsto dal decreto ministeriale ripropone, invece, i tradizionali confini amministrativi con una scelta che contraddice proprio la concezione della tutela quale è configurata dalla legge-quadro sulle aree protette e dalle leggi regionali. E, dunque, un "arretramento", un ripiegamento istituzionale e culturale dettato da ragioni che poco hanno a che fare con la tutela.

Afferma infatti il documento europeo: "le attività umane nelle zone costiere sono molto numerose (industria, turismo, pesca, acquicoltura ecc.), ma non sono necessariamente maggiori rispetto alle altre zone. I problemi subentrano quando queste attività tendono a svilupparsi insieme sulla stretta fascia del litorale entrando in conflitto tra loro e con gli interessi di tutela di ambienti naturali e paesaggistici". Insufficienti non sono tanto le normative e gli strumenti ma il coordinamento tra i numerosi soggetti che influenzano 1' evoluzione delle zone costiere per cui anche singole misure non raggiungono il loro obiettivo o addirittura lo ostacolano. Ci sono problemi che anche i singoli Stati membri della Unione non possono per questo trattare separatamente quando si tratta di patrimonio naturale e culturale comune, trasferimento di sostanze inquinanti e di sedimenti, flussi turistici, sicurezza marittima. La comunità attraverso le politiche dei trasporti, della pesca, dell'ambiente, dell'agricoltura, dell'energia, dell'industria e del turismo influenza l'evoluzione delle zone costiere. Da qui l'esigenza di approntare una strategia comunitaria per la gestione integrata delle zone costiere in uno spirito di sussidiarietà e di concertazione. I programmi operativi INTERREG IIC in via di preparazione prevedono, nella maggior parte dei casi, un tema di lavoro riguardante 1' assetto integrato delle zone costiere.

Il secondo documento, nel fissare i "principi generali per una buona gestione delle zone costiere europee", aggiunge che "una gestione sostenibile richiede quindi necessariamente un'attenzione simultanea nei confronti di tutti i numerosi sistemi che agiscono in modo significativo sulle dinamiche costiere" e dal "momento che le componenti marina e terrestre delle zone costiere sono strettamente correlate (dai processi umani e fisici), qualunque iniziativa per la gestione delle zone costiere che desideri avere successo dovrebbe includere entrambe". Insomma, "l'assetto delle zone costiere non è efficace senza il sostegno di tutti i livelli e i settori dell'amministrazione interessati alla zona obiettivo dell'intervento".

E perché non ci siano dubbi sul significato e valore generale di queste affermazioni sulle quali entrambi i documenti insistono, non ignorando naturalmente che vale sempre il principio della concreta contestualizzazione delle varie situazioni, nel fissare le opzioni politiche per una strategia europea in materia di GIZC si sottolinea che "una politica europea efficiente in materia può essere attuata soltanto se esiste una stretta collaborazione tra le istituzioni europee e la piena partecipazione delle amministrazioni nazionali, regionali e locali" . Sotto questo profilo il documento rileva criticamente che "gli studi suggeriscono che alcune politiche comunitarie potrebbero sostenere maggiormente l'obiettivo della GIZC di adottare una gestione integrata della componente terrestre e di quella marina chiarendo e risolvendo i dibattiti sull'applicazione di queste politiche del mare". Di questa esigenza di miglioramento del coordinamento tra le politiche dell'UE per soddisfare gli obiettivi "integrati" si è fatto carico nel discorso introduttivo ai seminari sull'attuazione della GIZC organizzati a Goteborg nell'ottobre 1998 l'on. Langerhagen (PE). Una critica specifica in questo senso è stata rivolta alle agenzie nazionali che spesso non informano i livelli amministrativi più bassi. A questo punto, dopo aver cercato di dare il senso dei due documenti finora ignorati (e probabilmente sconosciuti) nel nostro Paese, qualche annotazione si impone. La prima è che non occorre essere animati da spirito polemico o essere prevenuti nei confronti del ministero (ma anche delle regioni) per dire che l'impostazione generale sulla quale gli organi comunitari intendono aprire un dibattito e portare avanti importanti sperimentazioni poco si attaglia ad una serie di comportamenti concreti ai quali solo in parte e sommariamente abbiamo fatto riferimento in questa nota, essendocene più ampiamente occupati in altre occasioni ed anche in questo numero.

L' integrazione, un principio - è bene ricordarlo fissato dall'art. 130R del trattato di Maastricht, non pare davvero ispirare le politiche per la protezione costiera. Anzi, per essere più precisi, va detto che finora le politiche e molte scelte relative alle aree marine protette eludono il nodo costiero, ossia il rapporto con la terra. E lo eludono tagliando fuori, ad esempio, le regioni che nella strategia europea ma anche nazionale specialmente dopo le leggi Bassanini hanno un ruolo fondamentale.

Riesce francamente difficile, dopo aver letto i due documenti dei quali abbiamo cercato di tratteggiare i passaggi essenziali, capire come si possa pensare all'osservanza e rispetto del principio di sussidiarietà bypassando le regioni. Anche il rapporto con i comuni e le province, in questa visione che rimane sostanzialmente centralistica, non è destinato a fare da leva e da lievito ad una nuova gestione integrata ma soltanto a riprodurre vecchie e fallimentari operazioni di disarticolazione e di conflitto istituzionale.

La Rivista e la nostra Federazione dovranno, penso, valutare in che modo contribuire ad una discussione che coinvolga i molteplici soggetti interessati ai temi posti dai due documenti. Con questa nota abbiamo voluto soltanto farli uscire dalla clandestinità.