Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 27 - GIUGNO 1999
Dalla continuità ambientale alle reti ecologiche
Bernardino Romano *
 

La pianificazione nei parchi d'Abruzzo
11 secondo appuntamento del programma degli incontri .sul tema delle reti ecologiche elaborato dall'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente per il 1999 si è svolto a L'Aquila con l'organizzazione congiunta dell'ANPA, dell'Università dell'Aquila e dell'lstituto Nazionale di Urbanistica (INU). Il primo è stato quello di Milano, il 5 gennaio, poi Bari, il 4 giugno, seguono quelli di Torino, il 10 settembre, e di Catania, dall' 1 al 3 ottobre.
Il tema del workshop dell'Aquila è stato "Piano e progetto nel riassetto ecologico del territorio" e i lavori si sono svolli nell'aula magna della Facoltà di Ingcgneria, introdotti dall'Assessore all'Urbanistica e ai Parchi della Regionc Abruzzo, Slefania Pezzopane.
La prima sessione, coordinata da Giulio Tamburini, ha riguardato sostanzialmente le politiche indirizzate all'inserimento delle reti ecologiche nei meccanismi e nelle procedure di governo del territorio ed ha visto la partecipazione di Krzysztof H. Wojciechowski, della Maria Curie Sklodowska University di Lublino, sull'esperienza della rete ecologica della Polonia.
I lavori sono proseguiti con le relazioni di Piergiorgio Bellagamba dell'Università di Camerino, sulle implicazioni di rapporto tra i diversi enti operanti sul territorio rispetto alla affermazione dei concetti di ecocomettività, di Pierluigi Properzi, segretario nazionale dell ' INU, che ha sottolineato le modalità e le difficoltà per il corrente pensiero urbanistico di introdurre nelle procedure normative contenuti ecologici calibrati, di Antonio Penrotti, dirigente della Regione Abruzzo e Presidente della Commissione Nazionale INU per l'Appennino, sul tema del ruolo delle regioni nelle politiche ambientali con un richiamo al recente protocollo di APE finalmente operativo.
La sessione si è conclusa con gli interventi di Luca Santarossa, collaboratore dello IUAV di Venezia, sulle ricadute economiche delle reti ecologiche, e di Cesare Colorizio, presidente del Parco regionale Sirente-Velino, riguardo al ruolo possibile delle amministrazioni delle aree protette nella promozione e nella attuazione di politiche rivolte alla deframmentazione ecologica interna ed esterna dei parchi.
La seconda sessione del workshop è stata presieduta da Matteo Guccione, coordinatore del gruppo nazionale di lavoro ANPA sulle reti ecologiche, e ha visto gli interventi più orientati verso l'illustrazione di esperienze progettuali ed amministrative e di metodologie operative finalizzate.
In particolare Gloria progetti, dell' Università inglese di Reading, ha presentato un quadro delle iniziative europee in corso o consolidate; Ada Liorens, dell'Università di Barcellona, ha riferito in particolare di una interessante esperienza amministrativa condotta dalla Diputaciò de Barcelona, Area d'Espais Natural, sul progetto dell'Anella Verda, un sistema continuo di aree protette e spazi connettivi che circonda l'intera conurbazione barcellonese; Theo van der Sluis, del Netherland Institute for Forestry and Nature Research, ha illustrato esiti e caratteristiche gestionali della ormai ben nota rete ecologica olandese realizzata 10 anni fa; Daniel Franco, docente dello IUAV di Venezia, ha precisato il ruolo della progettazione agroforestale nel conseguimento di migliori condizioni ecologiche del territorio, mentre Nicola Martinelli, del Politecnico di Bari, e Mariavaleria Minblni, dell'Università "Federico 11" di Napoli, hanno presentato due casi di pianificazione comunale in cui attenzioni specifiche sono state prestate alle esigenze di connettività ecologica.
Marco Bologna, dell'Università di Roma 3, ha ribadito con decisione i contenuti e le finalità naturalistiche insite nella applicazione dei concetti di reticolarità ecologica; Bernardino Romano, dell'Università dell'Aquila, ha mostrato alcuni risultati parziali e stimoli di ricerca provenienti dal recente programma scientifico Murst 40% Planeco, in corso di svolgimento, mentre Andrea Filpa, dell'Università di Camerino, ha presentato alcuni dettagli di approfondimento progettuale di detrammentazione infrastrutturale infatti ad una esperienza sviluppata nell'ambito di una convenzione con il Parco nazionale dei Sibillini in merito allo studio della continuità ambientale tra parco e aree limitrofe.
Nell'occasione del workshop è stato allestito uno stand con dimostrazione dei contenuti del Sistema Informativo Territoriale Planeco, riguardante le elaborazioni sulla continuità ambientale nazionale, nonché della relativa pagina web (http://dau.ing.univaq.it/planeco/) sulla quale sono consultabili il programma della manifestazione, i testi torniti dai relatori e distribuiti ai partecipanti, nonché il primo e secondo numero della newsletter Planeco.
In Europa e nei vicini Stati dell'Est i concetti legati alla reticolarità ecologica e alla continuità ambientale stanno diffondendosi rapidamente all'interno delle politiche di pianificazione territoriale. Pur a diversi stadi di consolidamento e di attuazione possono citarsi iniziative in corso già da alcuni anni in Belgio, Francia, Cecoslovacchia, Albania, Danimarca, Estonia, Germania, Ungheria, Lituania, Polonia, Portogallo, Russia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Inghilterra, Olanda e Italia " Lo sviluppo di tali iniziative è da collegarsi, come è noto, alla emanazione delle direttive CEE 79/ 407/EC (Birds Directive) e 92/43/EC (Habitats
Directive) che riguardano specificatamente le esigenze di mantenimento della biodiversità attraverso la conservazione di habitat naturali in vario modo interconnessi alla scala paneuropea (2), oltre che a qualche caso di autonoma sensibilità politica nazionale.
Lo studio e la sperimentazione di interventi di mantenimento e di ripristino della continuità ambientale si stanno sviluppando in almeno due forme riconoscibili. Una di queste è legata ai criteri di connessione tra le diverse tipologie di verde urbano e di verde dell'hinterland in aree metropolitane (es. Barcellona, Roma, Milano, Budapest, Londra, Berlino (3)) e rivolta alle esigenze umane di qualità della vita, nonché ad esigenze di specie animali comunque residenti in questi ambienti fortemente antropizzati.
Una seconda forma del tema è quella invece delle ecoconnessioni in area vasta, in ambienti seminaturali o ancora naturali strategici per la presenza di specie di importanza internazionale.
La tendenza europea è quella di costituire reti ecologiche nazionali (es. Paesi Bassi, Polonia (4)), integrando le due tipologie connettive, pur conservando ad esse gli esclusivi attributi funzionali, coinvolgendo tutti gli spazi territoriali ancora suscettibili di ruoli biologici come aree protette a vario titolo, acque superficiali, siti diversi soggetti a norme di non trasformabilità, frammenti di territorio con utilizzazioni ecocompatibili (boschi, incolti, alcune forme agricole), in modo da ottenere configurazioni geografiche continue o puntualmente diffuse (stepping stones).
In Italia l'argomento si è sviluppato significativamente solamente da qualche anno e si contano ancora relativamente pochi contributi di studio e ancor meno di applicazione.
Sul fronte della iniziativa amministrativa nazionale si deve citare in primo luogo l'intervento dell'ANPA (Agenzia Nazionale per la Conservazione dell'Ambiente) che ha promosso la formazione di un working group italiano (Monitoraggio delle reti ecologiche, Programma triennale ANPA 1998-2000, Piano stralcio per lo sviluppo del Sistema nazionale conoscitivo e dei controlli in campo ambientale), finanziando ricerche ed esperienze distribuite sul territorio del Paese, attraverso la identificazione di casi di studio regionali (5'.
Sullo stesso argomento si sta incentrando una politica di sistema del Ministero dell'Ambiente nell'ambito dell'impegno dei fondi strutturali 2000-2006 (Rete ecologica nazionale).
Di un certo interesse scientifico-gestionale sono anche alcune esperienze precedenti sviluppate da amministrazioni locali che hanno già prodotto consistenti patrimoni di metodologia e di riferimenti operativi (Provincia di Milano).
Sul fronte prettamente scientifico è attualmente in corso la ricerca Planeco, finanziata dal Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica per il biennio 1998-2000 (Murst 40%) che coinvolge alcune strutture universitarie dell'Italia centrale, i cui obiettivi sono incentrati in particolare sul ruolo e sui criteri di azione della pianificazione territoriale riguardo all'argomento delle connessioni ambientali.
Del resto è evidente che nel nostro Paese, stante la stretta commistione dei sistemi antropico e naturale, le implicazioni di un eventuale network ecologico nazionale interferiscono a tutti i livelli della programmazione delle trasformazioni e dell'uso dei suoli.
Gli obiettivi delle ricerche in corso di sviluppo sono stati fin dall'inizio attinenti a due aspetti distinti: l'azione del piano per individuare, e poi conservare o ripristinare, la continuità ambientale del territorio e le modalità di orientamento degli usi all'interno delle aree protette, quando queste non siano più intese quali organismi insulari, bensì elementi polari delle reti ambientali (6), In merito al primo punto interviene la necessità di riconsiderare, nell'ambito delle dinamiche trasformative, i rapporti tra il territorio urbanizzato e quello non urbanizzato, utilizzando una serie di indicatori dinamici per determinare quadri attuali e scenari possibili delle condizioni di frammentazione. Gli elementi che intervengono sono quelli legati alla dispersione insediativa, alla densità ed alla permeabilità infrastrutturale, al rapporto spaziale e dimensionale delle forme d'uso del suolo naturale e insediato. Più in generale tale approccio dovrà riguardare tutti quei siti che, non tradizionalmente suscettibili di tutela istituzionale, in quanto non sono sedi fisiche riconosciute di emergenze naturalistiche localizzate, rivestono però possibili funzioni ecologico relazionali non ancora indagate.
Il secondo punto di approfondimento attiene al tema della pianificazione delle aree protette, e sta conducendo gradualmente alla revisione delle tecniche consuete di zonizzazione dei parchi mediante la ormai datata "struttura zonale concentrica". Questo tipo di articolazione dei gradi di tutela interna alle aree protette è finalizzato alla difesa delle core areas dalle pressioni trasformative provenienti dall'esterno, ma tende a lungo termine ad accentuare l'insularizzazione dell'entità "parco". Un modello in corso di valutazione è quello della "struttura zonale ramificata", ovvero di una configurazione di continuità ambientale finalizzata alla osmosi controllata tra interno ed esterno del parco delle componenti biologiche qualificanti residenti all'interno di esso (7).
Uno stimolo concettuale ulteriore proveniente dallo sviluppo della ricerca Planeco concerne le modalità di estensione al territorio "normale" di quei processi di pianificazione ecocentrici che vengono sperimentati nelle aree speciali di tutela ambientale.
Pur in presenza delle perplessità espresse da una certa parte del pensiero economico sulla opportunità di praticare questa estensione, va prendendo corpo un presupposto teorico che potrebbe definirsi come la "deantropizzazione" del piano. Si tratta, in altre parole, di attribuire al processo di pianificazione, che per sua natura è gestito dall'uomo per migliorare le condizioni di vita e di sviluppo dell'uomo stesso, un incremento di ruolo a strumento, sempre gestito dall' uomo per forza di cose, ma mirato anche a conoscere prima, e migliorare poi, le condizioni di vita e di sviluppo delle altre componenti biotiche presenti sul territorio.
Le attuali forme avanzate del piano pongono certamente attenzione alle presenze naturali, ma forse si tratta di una attenzione ancora troppo sbilanciata solamente verso la eliminazione delle interferenze tra la sfera antropica e quella faunistico vegetazionale mediante l'apartheid dei domini territoriali reciproci, oltretutto gestendo per questa ultima componente gli aspetti della conservazione, ma meno quelli dello sviluppo e della ricolonizzazione spontanea.
Nel merito specifico dei primi prodotti della ricerca Planeco si deve segnalare una prima identificazione degli elementi legati alla continuità ambientale alla scala nazionale che utilizza i dati Corine Land Cover, attraverso i quali è stato possibile elaborare la Carta nazionale della biopermeabilità.
Questa carta pone in evidenza la geografia delle utilizzazioni del suolo alle quali si può associare un livello almeno minimo di naturalità e nei cui contorni ricade probabilisticamente gran parte dei più significativi sistemi ambientali nazionali, ricavata dalle categorie Corine (aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali, aree agroforestali, boschi di latifoglie, boschi di conifere, boschi misti, aree a pascolo naturale e praterie di alta quota, brughiere e cespuglieti, aree a vegetazione sclerotizzata, aree a vegetazione boschiva ed arbustiva in evoluzione, rocce nude, falesie, rupi e affioramenti, aree con vegetazione rada, aree percorse da incendi, ghiacciai e nevi perenni, paludi interne, lagune interne, paludi salmastre, corsi d'acqua, canali e idrovie, bacini d'acqua, estuari, lagune). Un ruolo ambiguo è giocato dalle aree agricole, per le quali è necessario avere dati ulteriori per l'elaborazione di indicatori di frammentazione specifici legati alla geometria, al tessuto, alla conduzione.
Da questa prima modellazione a grande scala deriva un disegno della continuità ambientale caratterizzato dal ruolo dominante dell' arco alpino e della dorsale appenninica, ma anche con appendici significative di queste due polarità e con una ampia presenza di naturalità residue spazialmente disgregate.
Si tratta, come detto, di una continuità "apparente", perché ancora non è filtrata dalla dislocazione delle barriere alla permeabilità biologica, rappresentate in massima parte dal reticolo infrastrutturale e dalle aree urbanizzate, oltreché dai sistemi locali derivanti dalla loro concentrazione (tipica è la compresenza, in spazi ristretti, di infrastrutture parallele formate da autostrada, strada statale e ferrovia fiancheggiate da addensamenti insediativi lineari).
La frammentazione ambientale causata dalla struttura viaria ed urbana è, in Italia come in altri Paesi europei, estremamente frequente. In particolare le direttrici autostradali, ma anche ferroviarie, costituiscono, con le solide recinzioni laterali, linee di frammentazione fisica totale nei riguardi dei maggiori ecosistemi. La continuità ambientale è rilevabile in questi casi unicamente in presenza di viadotti o tratti in galleria che interrompono longitudinalmente l'occlusione infrastrutturale.
Linee elettriche e viabilità ordinaria intervengono poi a formare barriere ulteriori, anche se con livelli di occlusione più limitati.
Tra gli argomenti che vanno invece ancora approfonditi è il rapporto che intercorre tra la struttura della continuità ambientale e le reti ecologiche calibrate sulle singole specie o su gruppi di esse, anche se credibilmente si può affermare, sul piano statistico, che la struttura della continuità ambientale certamente contiene gran parte degli habitat e delle reti ecologiche di valenza strategica nazionale.
Un primo ordine di complessità nella ricerca scientifica nel settore è quindi propriamente legato alle interazioni tra il sistema della continuità ambientale, leggibile prevalentemente con riferimento alle componenti antropiche del territorio, e il disegno delle reti ecologiche, leggibile invece con riferimento stretto alle componenti biologiche, ma la cui identificazione è di ben più corposa difficoltà.
Un secondo ordine di complessità è collegato al problema del mantenimento, e dell'eventuale ripristino, delle condizioni di continuità ambientale che costituiscono l'aspetto pregiudiziale sul quale incardinare poi ogni politica di deframmentazione degli habitat.
E intuitivo che per conseguire tale risultato è necessario operare con lo strumento del piano, ma ad ogni livello di espressione di esso. Sarebbe infatti del tutto inutile recepire i connotati della continuità ambientale nei piani di coordinamento se poi gli strumenti urbanistici generali ed esecutivi non affrontano il problema.
Questa istanza ripropone nuovi scorci sul tema del rapporto tra i livelli di pianificazione. Infatti gli interventi di deframmentazione degli habitat naturali possono essere operativamente e decisivamente gestiti unicamente al livello del piano comunale e subcomunale (contiguità tra gli spazi verdi territoriali, soluzioni alternative alla realizzazione di opere di delimitazione della proprietà troppo estese, rinaturazione di porzioni di suolo, by-pass infrastrutturali, orientamento delle politiche agricole locali). Ma a questo livello, che le controlla, le configurazioni strategiche della ecocontinuità non sono visibili e rilevabili, mentre lo sono al livello di indirizzi nazionali e di coordinamento regionale che però possiedono una irrilevante capacità di incidenza sulla gestione minuta degli interventi.
Indubbiamente una delle risposte che le ricerche in atto dovranno fornire è anche quella connessa proprio con questi aspetti di ordine relazionale normativo.
Sempre in merito a quest'ultimo punto, in Italia resta centrale il problema del traghettamento delle sensibilità amministrative e politiche dalla promozione degli studi all'intervento legislativo, in seguito al quale il sistema della continuità ambientale potrebbe divenire uno dei riferimenti sostanziali per ogni successiva azione di pianificazione e di programmazione delle trasformazioni territoriali (8).
Gli studi condotti finora alla scala nazionale evidenziano che il processo di frammentazione ambientale è ancora attivo, che la istituzione di aree protette, pur numerose, non serve ad arginarlo (opinione del resto ormai consolidata nella comunità scientifica) e che unicamente la attuazione di politiche ad ampio raggio di azione può consentire il controllo degli interventi di infrastrutturazione, di espansione urbana e di consumo di suolo naturale in modo da garantire la permanenza almeno delle attuali condizioni di biocontinuità.
Le ricerche che riguardano più propriamente le reti ecologiche riferite a varie specie, con le indicazioni degli home range e dei corridoi ecologici interspecifici, sono, in Italia, ancora troppo limitate ad alcuni areali ristretti e, spesso, allo stadio modellistico di approfondimento, e molto tempo occorrerà prima che le conoscenze raggiungano uno stato tale di generalizzazione territoriale per supportare una operatività progettuale. Il mantenimento di condizioni di continuità ambientale, almeno dove questo è ancora ragionevolmente possibile, può rappresentare uno stadio propedeutico di importanza nodale e una funzione di elevata responsabilizzazione per la pianificazione nella prospettiva di allestimento di uno strumento che, dentro e fuori le aree protette, possa rivestire una valenza programmatica realmente eco comprensiva.

* DAU- Università dell'Aquila