Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 27 - GIUGNO 1999
Pim, Pum..."PAN" ricostruzione storica di una speranza
Sergio Fiorini *
 

La Federparchi ha recentemente siglato un protocollo d'intesa con le associazioni agricole. Parchi ed agricoltura, antichi rivali, scoprono affinità ed obiettivi comuni e possono divenire partners.
L'agricoltura, infatti, è stretta nella sua realtà intensiva dai surplus produttivi e dall'imperativo comune di tutelare il consumatore; i parchi sono sempre più pensati e riconosciuti come agenzie per la conservazione del territorio rurale e la tutela della presenza attiva della popolazione nei territori più svantaggiati sotto il profilo produttivo. Esistono ampi spazi comuni.
Il PAN - Programma agricolo nazionale - per le aree protette non è ancora decollato. La dotazione di 23 miliardi prevista dal programma stralcio del Ministero dell'Ambiente è perciò ancora ferma. Nel ritardo (il programma avrebbe dovuto essere varato, insieme agli altri del Piano, entro il 30 giugno) hanno pesato le divergenze di vedute tra Stato e Regioni. Queste ultime, competenti in materia di agricoltura, non hanno accettato un'iniziativa concepita solo come terreno di sperimentazione per alcuni parchi nazionali, inizialmente sei in tutto, senza inserire nella programmazione regionale gli interventi previsti. Quindi il Comitato Stato-regioni non ha ancora dato il via all'iniziativa. I fondi rischiano di non essere spesi e di venire riassorbiti dal Tesoro.
Questa brutta situazione, purtroppo non nuova nel nostro Paese, dimostra come la mancata considerazione delle aree protette in quanto sistema, siano esse nazionali o regionali, produce l'inapplicabilità (o comunque la difficile applicazione) delle misure anche coraggiose ed innovative introdotte per far crescere i parchi.
Il PAN deriva da una valutazione attiva del ruolo dei parchi che li lega al territorio abitato e coltivato e non solo alla classica tutela del patrimonio naturale, ma non è ancora riuscito a coinvolgere il mondo agricolo attraverso le associazioni di categoria ed a convincere le regioni.
I1 disegno è quello di favorire l'agricoltura tipica e culturale, i prodotti locali di qualità a rischio di scomparsa ottenuti con tecniche a basso impatto ambien-
tale anche con un progetto di marketing e la creazione di un marchio dei prodotti dei parchi.
Però può crescere la babele dei prodotti marchiati ed indurre confusione ulteriore nel consumatore che, andando avanti così le cose, avrà bisogno di un libretto di istruzioni per leggere un'etichetta.
Il marketing presso le catene della grande distribuzione, punto strategico per la commercializzazione anche dei cosiddetti prodotti di nicchia, deve essere preceduto da un accordo con i grandi gruppi, patrocinato dal Governo, che abbini la tutela del consumatore alla qualificazione dell'offerta commerciale ed affronti la questione degli standard delle forniture che oggi per i piccoli produttori sono proibitive in termini di quantità e di costi per l'introduzione e la permanenza nella rete di vendita.
Le lodevoli intenzioni debbono perciò rapidamente essere revisionate e messe in rete ed il programma rivisto e reso più attuabile; deve essere coordinato su base regionale ed incrociare i piani di sviluppo rurale regionale ed i meccanismi di applicazione dei fondi strutturali e delle misure di accompagnamento, interessare sin dall'inizio un numero più vasto di aree protette nazionali e regionali.
Occorre quindi che il PAN sia aggiuntivo rispetto alle misure esistenti, vada a beneficio dei produttori agricoli e sia riservato al sostegno alla produzione ed alla commercializzazione dei prodotti agricoli del sistema delle aree protette, per marcare per la prima volta la peculiarità dei parchi per il rinnovo dell' agricoltura rispetto ai meccanismi intensivi e produttivistici ed individuando in essi dei modelli di riferimento.
In ottobre dovrebbe tenersi la prima Conferenza nazionale sull'agricoltura e l'ambiente, congiuntamente organizzata dai Dicasteri interessati e dalle regioni a testimoniare di una evoluzione nelI'approccio a due temi che sono ormai sempre più correlati.
Ma se, come per il PAN, il rapporto tra parchi e Ministero dell'Ambiente piange, per molti altri aspetti quello con le regioni non ride.
Il caso dell'Emilia-Romagna, a torto o a ragione considerata esempio avanzato di governo regionale, è esemplare di come il sistema delle aree protette, anche e non solo rispetto all'agricoltura, viene trattato in modo assai marginale.
Se, da un lato, questa regione si è mossa assai bene sull'applicazione delle misure agroambientali 2078 e 2080 e sta incentivando adeguatamente le colti-
vazioni biologiche, dall'altro i parchi sono trattati alla stessa stregua di tutto il territorio e non si individua, per l'agricoltura in essi ed intorno ad essi presente, alcuna forma specifica di sostegno e di promozione.
A tutt'oggi non vi è nessun programma rivolto alle aree protette che non sia il classico insieme di investimenti varato dall'Assessorato all'Ambiente e gestito con i criteri protezionistici dell'ambientalismo degli anni Settanta ed Ottanta, come ad esempio il "triennale" che sta partendo in questi mesi. Si tratta di un programma ben dotato finanziariamente (oltre 20 miliardi di fondi interamente regionali) ma finalizzato con criteri dirigistici a quelle operazioni ambientali che, a giudizio delle strutture tecniche regionali, sono compatibili per un parco naturale secondo l'accezione più restrittiva.
Ogni iniziativa delle aree protette diretta ad una maggiore e più evoluta funzione dei parchi nei confronti della struttura economica e sociale, tra cui quelle rivolte alle comunità rurali e montane, è lasciata alla discrezione degli enti di gestione e spesso appena tollerata.
Dicono che i parchi devono servire per rivitalizzare la società locale con la sua cultura e le sue attività, dicono che devono essere responsabilmente gestiti dai consorzi degli enti locali e poi li ingabbiano co istruttorie e normative che spostano il terreno degli obiettivi e del governo verso il livello centrale. Improbabili coerenze.
Non sappiamo bene, appunto perché mai interpellatati, come l'Emilia-Romagna si presenterà alla conferenza di ottobre.
Auspichiamo innanzitutto che le aree protette, ormai con dieci anni di esperienze, siano chiamate a partecipare ed a contribuire alle idee.
Speriamo poi che sia redatto un unico documento regionale di indirizzo politico e che su di esso siano appuntate le ipotesi di integrazione delle politiche agricole e di quelle ambientali dicendo chiaramente che cosa la regione intende fare dei parchi di fronte agli appuntamenti per la riforma del sistema produttivo agricolo e quindi per il rilancio delle zone interne, in particolare dell'Appennino.
Nella consapevolezza, che almeno noi abbiamo, che gli strumenti non bastano senza le politiche e che anche le cose più belle ed evolute, come la ricerca scientifica sul territorio o l'educazione ambientale, girano su se stesse se non si confrontano in tempo reale con le problematiche di tutte le generazioni e di tutte le categorie che sono la ricchezza delle aree protette abitate. (Ma sino a quando?).

* Presidente del Parco del Gigante