Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 27 - GIUGNO 1999
Cent'anni di solitudine
Giulio Ielardi
 

Da inizio secolo ad oggi, e nonostante i suoi riconosciuti valori di unicità, il nostro paesaggio soffre d'abbandono. Da parte degli italiani che ne hanno minato anche gli esempi più belli col cancro dell'abusivismo edilizio, ma anche da parte delle istituzioni che se ne rimpallano la titolarità dal centro alla periferia e da un ministero all'altro. La prossima Conferenza nazionale promette di affrontare e sciogliere molti nodi, ma l'esperienza dei parchi non può e non deve essere ignorata.

"L' isolamento istituzionale della bellezza", come lo chiama Leonardo Benevolo, nasce poi assieme alla sua stessa tutela. Risale cioè a quell'anno magico per il Bel Paese, il 1939, in cui il governo fascista con la regia del Ministro Bottai licenzia le due leggi a tutt'oggi fondamentali per la tutela in Italia. Quattro settimane dopo il varo della norma sulle antichità e belle arti, la n. 1089, viene infatti approvata la legge intitolata "Protezione delle bellezze naturali", n. 1497, che a quadri e colonne da salvare aggiunge finalmente "le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali ". Sessant'anni dopo, col paese assai meno bello e dopo un primo ripensamento un ventennio fa, lo Stato decide che così non va e si appresta a rompere quell'aureo isolamento. Suscitando consensi, polemiche, attese per l'ormai prossima convocazione, dal 14 al 17 ottobre, della prima Conferenza nazionale per il paesaggio. Ma andiamo con ordine.

Le leggi del Regno
Le due leggi fondamentali del '39, in realtà, non giungevano a colmare un vuoto. Al contrario lo Stato liberale, dopo una lunga convivenza con le diverse normative in vigore negli Stati preunitari, un suo ordinamento del regime di tutela l'aveva impostato già e sarà quello sostanzialmente confermato dai nuovi provvedimenti in epoca fascista. Come la legge 364 del 1909 aveva istituito la rete delle soprintendenze e istituito lo strumentochiave della notifica per i beni d'interesse pubblico in mano privata, la legge 788 del '22 s'era già occupata dell'intera materia delle bellezze naturali. Ad ogni modo e fino ad oggi alla legge 1497 del 1939, che di quella del '22 riprendeva i principi, sono state affidate nel bene e nel male le sorti del paesaggio italiano. Cioè di quella sovrapposizione tra segni naturali e antropici dagli esiti così straordinari nel nostro Paese che ha lasciato fiorire su di sé decine di definizioni, dall'archivio di Lucio Gambi fino ai secoli poggiati addosso al territorio di Michele Serra.
La legge, riguardo a quelle bellezze panoramiche, funzionava così. Una commissione provinciale nominata dal Ministro (allora dell'Educazione, i Beni Culturali arriveranno solo nel 1975) compilava un elenco di località dove, recepite o meno eventuali osservazioni dei proprietari terrieri, erano vietate manomissioni che "rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che è protetto dalla presente legge". Interessante la composizione della commissione, dove, oltre al soprintendente, ai sindaci (allora i podestà) e ai rappresentanti delle categorie interessate, sedeva pure il presidente dell'ente provinciale per il turismo (e cioè l'altro comparto vistosamente assente, con l'urbanistica e l'ambiente, nell'attuale politica di tutela e valorizzazione dello straordinario paesaggio italiano). Di eventuali lavori era obbligatoria la presentazione del progetto alla soprintendenza, che aveva tre mesi di tempo per pronunciarsi (la Galasso porterà questo limite a due mesi). Pure, la legge prevedeva un momento di raccordo o almeno confronto con la disciplina urbanistica, contemplando 1' approvazione dei piani regolatori comunali in aree vincolate di concerto col Ministero dell'Educazione. Nessun riferimento naturalmente ai quattro parchi nazionali già esistenti, e cioè Gran Paradiso, Abruzzo, Circeo e Stelvio.
Tre anni dopo, e cioè nel 1942, è il turno della legge urbanistica (la n. 1150). Anch'essa tuttora in vigore, con un irrigidimento centralista prevede che i PRG possono essere modificati "d'ufficio" dal ministero anche allo scopo di assicurare
"Altro che rivederla, la 'mia' legge va applicata" Giuseppe Galasso, storico

L'aspirazione a rivedere la legge 431/85 e magari a sopprimerla si ebbe da quando fu varata. Le ostilità nei suoi riguardi sono state talmente subdole e aspre che è un miracolo, inconsueto in Italia, se oggi è ancora in vigore. Il vizio essenziale delle critiche alla legge, anche quando non provenivano da parti fin troppo materialmente interessate all'argomento,stanelratto che degli indubbi inconvenienti che sono sorti dalla sua prima applicazione e si protraggono tuttora viene ritenuta responsabile la legge stessa. Questo è assolutamente inaccettabile, non perché quella legge non sia migliorabile e rivedibile - come tutto ciò che nasce nell'azione politica e non soltanto politica e deve adattarsi tra l'altro al trascorrere del tempo - ma soprattutto perché gli inconvenienti più effettivi e autentici, non quelli assolutamente pretenziosi che tanto spesso sono messi in campo, derivano dal mancato adempimento delle regioni dell'obbligo fatto ad esse dalla legge di redigere i piani paesistici. Il loro varo e la loro attuazione farebbero cadere immediatamente i nove decimi delle critiche più sensate alla legge. Al momento attuale invece alcune regioni non hanno fatto proprio nulla in materia di piano paesistico, altre hanno assolto all'obbligo in maniera più che discutibile e pochissime sono quelle alle quali su questo terreno non si possono muovere critiche se non marginali. Una responsabilità enorme ha poi il ministero, il quale non si è quasi per niente avvalso della facoltà che ad esso dava la legge di sostituirsi alla regione qualora questa non ottemperasse all'obbligo della redazione del piano paesistico. Non voglio usare parole grosse, ma da questo punto di vista il ministero si presta largamente all'appunto se non altro di una grave omissione dei suoi compiti istituzionali e normativi. Quindi che oggi si voglia rivedere la legge può anche essere naturale e opportuno. Occorre però tener presenti almeno tre cose, per non dire di più. La prima è lo stato di attuazione della legge dal punto di vista dei piani paesistici, al quale ho accennato. La seconda è che se per revisione si intende una sostanziale rinuncia ad un regime effettivo e consistente di vincoli, allora per cortesia non si parli di revisione della legge ma di soppressione c si assuma la responsabilità di proporla e di ottenerla. Terzo: dovrebbe essere chiarificato quale sia l'obbiettivo principale della revisione se non è il regime dei vincoli, qualunque interpretazione si voglia dare della estensione e della natura di questi vincoli. E bisognerebbe dunque chiarire se si tratta soltanto di una facilitazione del lavoro amministrativo e anche giudiziario derivante dalla legge o se si tratta di altro.
Quanto ai rapporti tra i piani paesistici e i piani delle aree naturali protette, io credo che non bisogna avere il feticismo di alcun piano. Ciò premesso, esistono poi esigenze e problemi di coerenza e di funzionalità. Da più parti ho sentito parlare argomentatamente di frizioni tra la 431 e la normativa sui parchi, così come del resto con altre normative che comunque toccano l'ambito di applicazione della 431. Una delle insidie maggiori per la 431, sia detto tra parentesi, è che invece di attaccarla direttamente si è seguito il sentiero obliquo di disposizioni secondarie inserite in altre leggi quasi en passanf che ne modificavano di fatto le norme su questo o quel punto del territorio o della sua normativa. Ciò detto, direi che il coordinamento e la coerenza della normativa paesistica generale con quelle più particolari quale quella sui parchi è precisamente uno di quei compiti istituzionali e normativi ai quali il ministero dovrebbe prestare un'attenzione maggiore di quella che ha prestato negli ultimi dieci o dodici anni.
"la tutela del paesaggio e di complessi (...) ambientali". Ecco che tutela del paesaggio e pianificazione urbanistica prendono con decisione due strade diverse, obbedendo la prima a motivazioni soprattutto culturali (e affidate per la loro traduzione amministrativa a un' elite di tecnici e studiosi, quali i soprintendenti) e la seconda alle assai più esposte e fluttuanti direttive di sviluppo provenienti dai rappresentanti degli enti locali, pur sempre democraticamente eletti.

Lo Stato delle regioni
Ma ormai la Repubblica incalza, e con essa la carta costituzionale del 1945 che all'articolo 9 contiene quel preciso riferimento alla tutela paesistica che è l'eredità più alta di quella concezione estetizzante con cui la cultura italiana aveva finora saputo guardare all' ambiente. In realtà, come è noto, questa solenne dichiarazione entrò immediatamente in conflitto con la tumultuosa espansione industriale ed edilizia che caratterizzò gli anni del secondo dopoguerra.
Fatta la Repubblica, di nuove leggi sul paesaggio non se ne fecero, con l'eccezione della n. 586 del '56. Proposta dal senatore Umberto Zanotti Bianco, primo presidente di Italia Nostra, la norma introduceva un inasprimento di ben cento volte delle sanzioni pecuniarie previste dal codice penale (cioè un'ammenda da L. 4.000 a L. 24.000) per chi non rispettava i dettami della 1497. Anche qui si parlava di bellezze panoramiche, ma è una delle ultime volte perché sarà la commissione Franceschini, insediata nel '64 per indagare sulla situazione del patrimonio culturale della nazione e presieduta dalI'omonimo parlamentare, a muovere il passo decisivo. Nelle conclusioni del suo lavoro è scritto testualmente: "Si considerano beni culturali ambientali le zone corografiche costituenti paesaggi, naturali o trasformati dall'opera dell'uomo, e le zone delimitabili costituenti strutture insediative, urbane e non urbane che, presentando particolare pregio per i loro valori di civiltà, devono essere conservate al godimento della collettività. Sono specificatamente considerati beni ambientali i beni che presentino singolarità geologica, flori-faunistica, ecologica, di cultura agraria, di infrastrutturazione del territorio, e quelle strutture insediative, anche minori o isolate, che siano integrate con 1' ambiente naturale in modo da formare una unità rappresentativa".
Con gli anni Settanta, nate le regioni, lo Stato delega loro una serie di competenze tra cui, col d.P.R. n.8 del 1972, quelle relative al paesaggio comprese la redazione e l'approvazione dei piani territoriali paesistici. Continuano nel frattempo a piovere dal ministero decreti di vincolo delle "bellezze d'insieme" ai sensi della legge 1497. A leggere le aree interessate da quelli emanati nel solo triennio 1970-73 sembra di scorrere una lista di parchi e riserve: Gran Sasso, Altopiano delle Rocche (L'Aquila), Majella, Canale Monterano (Roma), sponde del Ticino (Pavia), Monte Conero (Ancona), laghi di Lesina e Varano e diverse zone interne al Gargano, Capraia (arcipelago toscano), palude di Colfiorito (Perugia), varie zone dei Colli Euganei (Padova) e via elencando. Con un successivo d.P.R., il ben noto 616 del '77, passa alle regioni anche l'urbanistica e nel nuovo livello istituzionale si ricompone così, almeno sulla carta, la separazione con la tutela paesistica. Si noti la differenza tra le funzioni urbanistiche trasferite alle regioni e le funzioni paesistiche "solo" delegate, alla base del famoso "doppio binario": solo in quest'ultimo caso, infatti, esiste il potere da parte del ministero di annullare eventuali decisioni in materia prese dalle regioni o dai destinatari di eventuali sub deleghe, cioè in sostanza i comuni (in rari casi le province, come in Calabria).

L'effetto "bomba" della Galasso
Si giunge così (e il lettore ci perdonerà le inevitabili semplificazioni e i "salti" di provvedimenti pure rilevantissimi, ma di contenuto più squisitamente urbanistico) alla legge sul paesaggio certamente più importante emanata dalla Repubblica, la n. 431 del 1985, meglio nota come legge Galasso dal nome del sottosegretario ai Beni culturali che se ne fece promotore, lo storico Giuseppe Galasso. Questi i punti salienti della legge, in estrema sintesi: obbligo di redigere i piani paesistici da parte delle regioni entro sedici mesi; immodificabilità dell'assetto del territorio nelle aree vincolate fino all'approvazione dei piani paesistici; obbligo esplicito da parte di chi viola le disposizioni sul vincolo paesaggistico, oltre alle sanzioni previste, al ripristino dello stato originario dei luoghi. Inoltre, e soprattutto, la legge sottopone a vincolo paesaggistico ai sensi della 1497/39 le seguenti categorie di beni: le coste marine e lacustri fino a 300 metri dalla battigia; i corsi d'acqua e relative sponde per una fascia di 150 metri per lato; le aree montuose alla quota oltre i 1.600 metri sulle Alpi e i 1.200 metri in Appennino; i ghiacciai e i circhi glaciali; i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna; i boschi, anche nelle aree colpite da incendi; le aree assegnate alle università agrarie e quelle gravate da usi civici; le zone umide individuate dalla Convenzione di Ramsar del 1971; i vulcani; le zone di interesse archeologico. Infine la legge prevede l'intervento sostitutivo dello Stato per la redazione dei piani paesistici in caso di inadempienza delle regioni. Si trattò quindi di un forte nuovo intervento centrale nella materia paesistica, non a caso preso a bersaglio da molte regioni che fecero ricorso, ma senza esito, alla Corte Costituzionale. Oltre a riconoscere la piena legittimità della nuova normativa la Corte anzi fece di più, sentenziando addirittura la priorità delle finalità della salvaguardia paesistica sulle stesse esigenze di sviluppo economico.
L'incidenza della Galasso sulle politiche territoriali italiane è potenzialmente enorme. Un dato su tutti. La superficie nazionale sottoposta a vincolo paesaggistico è oggi pari a 139 mila kmq, cioè il 46,14% di quella totale. Ai 52mila kmq vincolati dalla 1497, infatti, si aggiungono per complessivi 87mila kmq le aree interessate dalle categorie ambientali protette ope legis dalla 431 e cioè boschi, fasce marine e lacustri, ecc. e soprattutto montagne. E infatti questo il motivo che fa guidare la classifica dei paesaggi regionali più tutelati al Trentino Alto-Adige (ben il 95,89% del territorio vincolato), alla Valle d'Aosta (1'87,71%), alla Liguria (1'81,99%). In coda sono la Puglia (18,79%), la Sicilia (28,77%), I'Emilia-Romagna (34,10%).
L'esercizio del potere sostitutivo previsto dalla legge fin dal 1° gennaio 1987 è stato inaugurato solo otto anni dopo con la Campania, i cui piani paesistici mai fatti dalla regione sono stati redatti e approvati in 14 ambiti nel corso del '95. A seguito della diffida da parte del ministero partita nel luglio '97 a esercitare il medesimo potere sostitutivo, poi, entro lo stesso mese anche la Regione Lombardia ha adottato il piano che attende ora l'approvazione del Consiglio regionale. Non si è mossa invece la Calabria, diffidata assieme alla Lombardia, per cui nel febbraio dello scorso anno un d.P.R. ha disposto l'intervento sostitutivo da parte dell'allora Ministro Veltroni.
Stando ad un rapporto ministeriale del '98, Paesaggio e ambiente. I poteri della tutela, a disporre di un piano paesistico regionale sono di fatto Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana, Trentino Alto-Adige, Valle d'Aosta. Meno puntuali ed estese sono le norme pure in vigore in Basilicata, Friuli, Umbria e Veneto. La pianificazione paesistica in Molise, Sardegna e Sicilia riguarda solo alcune aree regionali, mentre non ha valore di legge (norme solo adottate e non approvate) o è addirittura assente in Calabria, nel Lazio, in Lombardia e in Puglia. La classifica dei buoni e cattivi, a dire il vero, andrebbe ulteriormente sfumata. Anche i piani regionali migliori, come ricordato nel rapporto, hanno riservato sorprese: ad esempio una scuola nel bel mezzo del Parco Ducale di Sassuolo, in Emilia-Romagna, o persino un grattacielo in riva al mare di Impe-
ria, in Liguria. Il rapporto contiene pure esempi illustrati, con tanto di efficace immagine virtuale, di scempi paesaggistici già avallati dalle istituzioni locali ed evitati grazie ai poteri ministeriali d'annullamento (2.839 su 157.482 progetti vagliati nel solo '97). I primati sono della Campania in negativo (953) e in positivo del Piemonte (solo uno). Il Bel Paese si è risparmiato così nuovi impianti sciistici al Parco nazionale dello Stelvio, pontili per barche nelle cale di Arzachena e Positano, villette residenziali a Rapallo e Palau, viadotti stradali poggianti su alcuni fiumi dell'Emilia-Romagna, un vero e proprio villaggio di case a due piani nell'integro ambiente rurale del Parco nazionale del Pollino e via cementificando.

"Conferenza già 'preordinata"
' Gaia Pallottino, vicepresidente Italia Nostra
Pur apprezzando molto l'iniziativa del ministro Melandri di realizzare una conferenza governativa sul paesaggio, peraltro annunciata già da tempo dal ministro Veltroni, vorrei esprimere le mie preoccupazioni nel merito delle modalità della preparazione della conferenza stessa e sul fatto che alcuni indirizzi appaiono già preordinati e non il frutto delle consultazioni avviate.
La constatazione che il paesaggio italiano, considerato da molti e dal ministro stesso uno dei beni più preziosi del nostro Paese, non è purtroppo adeguatamente tutelato, tanto da dover registrare negli ultimi anni una irreparabile perdita secca di paesaggio, non credo possa automaticamente farci decidere che le attuali leggi di tutela vadano gettate al vento. Viene fatto di pensare che debbano semmi essere rafforzate o forse modificate in modo da renderle più efficaci.
La considerazione poi che i piani paesistici che le regioni sono state delegate dalla Galasso a redigere non siano stati fatti altro che in pochissimi casi e con grande ritardo ci dovrebbe spingere non tanto a fare una nuova legge, quanto a imporre alle regioni di ottemperare ad un obbligo fin qui evaso.
Ma vediamo l'inter della preparazione della Confercnza. E stata insediata una Consulta formata da tutte le associazioni ambientaliste, di tutela ecc., che sono state richieste di formulare ipotesi e inviare contributi.
E stato insediato un Comitato scientifico molto numeroso e qualificato, che si è provveduto a suddividere in gruppi di lavoro su vari argomenti tematici, che stanno riflettendo, raccogliendo materiali e producendone altri.
Se si volesse andare ad una revisione del quadro normativo, ci si aspetterebbe che tutto ciò che Consulta e Comitato scientifico stanno producendo dovrebbe essere il punto di partenza per affrontare la nuova legge.
E invece non è così; mentre tutti o quasi vengono consultati, si agitano, pensano e scrivono in un eccesso quasi scriteriato di democrazia più virtuale che reale, i membri del gruppo I del Comitato scientifico pare che la legge la stiano già scrivendo.
Come sarà la nuova legge, quali ne saranno i principi informatori non è dato sapere.
Nel frattempo il dott. Mastruzzi, coordinatore del gruppo 2, oltre che direttore generale dei beni paesaggistici e ambientali, propone un documento che Italia Nostra ha già avuto modo di criticare e ha chiesto al ministro di respingere in toto.
La proposta in sostanza prevede di costituire un Fondo per il restauro del paesaggio degradato con i contributi di chi costruisce in contesti paesaggistici di pregio.
Sembra impossibile ma è proprio dal ministro che si avanza l'idea che per qualificare dei paesaggi se ne possano degradare altri. Certo è un altro elemento che non può non allarmarci.
In merito poi alla questione dell'opportunità di sedare i conflitti sul territorio determinati tra gli interessi locali più sviluppisti e gli interessi nazionali piuttosto volti alla conservazione, sono profondamente convinta che solo dall'esplicazione di tali differenze e dal confliggere tra le diverse posizioni si possa arrivare in forma aperta e democratica ad una soluzione accettabile per tutti.
Bisogna in sostanza non tanto eliminare e occultare i conflitti, utilizzando per esempio strumenti perversi e antidemocratici quali le conferenze di servizio, quanto trovare una sede dove il conflitto possa essere giocato e risolto, certamente non nella fase finale, ma all' inizio dell' iter di un progetto.
Ultima questione. Sembra quasi, leggendo molti dei documenti diffusi, che lo Stato centrale voglia espropriare le comunità locali del piacere di tutelare i propri beni culturali, sostituendosi ad esse.
Ovviamente non è così. Se i piani urbanistici volessero recepire i necessari vincoli per tutelare zone naturalistiche di pregio o beni culturali importanti, così come dovrebbero fare, non ci sarebbe alcun problema e forse neanche alcun conflitto.
saggio eccome, a cominciare dall'art. l, dove tra le finalità del provvedimento è compresa la conservazione "di valori scenici e panoramici". I "valori paesaggistici" tornano poi ad essere esplicitamente menzionati nell'art. 2, riguardo ai parchi regionali ma non (chissà perché) a quelli nazionali. Neppure un cenno è però dedicato al ministero che gestisce la tutela ultima di quei valori paesaggistici e cioè appunto quello dei Beni Culturali - "incredibilmente", chiosava indignato l'allora sottosegretario Willer Bordon nella sua audizione alla Camera del settembre '97 nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla 394 -. Unica eccezione era la presenza del Ministro nel Comitato per le aree naturali protette, poi soppresso però da uno dei provvedimenti Bassanini. Tantomeno il Ministero del Collegio Romano siede con suoi rappresentanti nei consigli direttivi dei parchi nazionali, laddove la legge gli preferisce senz'altro l'allora Ministero dell'Agricoltura e Foreste (provando a immaginare il contrario, avremmo avuto parchi peggiori o migliori?).
I piani paesistici sono menzionati appena, giusto lo spazio di chiarire che il piano del parco li sostituisce nelle aree protette nazionali quanto in quelle regionali. A tal riguardo non sarà inutile ricordare la paradossale situazione venutasi a creare qualche tempo fa al Parco nazionale del Cilento, all'orche l'ente parco fece ricorso contro i piani paesistici redatti proprio dal Ministero dei Beni Culturali con l'esercizio dei succitati poteri sostitutivi (il contrasto, quasi esemplare della confusione normativa esistente in materia, si è poi risolto in una collaborazione per la ristesura del piano). E quanto alle leggi fondamentali sul paesaggio - le più volte citate 1497/39 e 431/85 - completando l'opera di rimozione istituzionale per la legge sui parchi non esistono proprio. C'è spazio per loro solo in uno degli ultimi articoli della 394, tra le aree marine di reperimento e la copertura finanziaria, dedicato alle detrazioni fiscali a favore delle persone giuridiche che donino allo Stato beni vincolati.
Perso dunque il treno della 394 (e nulla cambierà al riguardo la legge di mini-riforma della 394, cioè la 426 di fine '98), la novità istituzionale più rilevante del decennio è probabilmente per il paesaggio italiano la nascita in seno al Ministero dei Beni Culturali, nel dicembre '94, dell'Ufficio centrale per i beni paesaggistici e ambientali. Qui vengono esercitati i poteri rimasti allo Stato dopo ild.P.R.616/77 e la Galasso, vale a dire poteri di controllo e poteri sostitutivi. In buona sostanza, si emettono i pareri a fini paesistici previsti dalla legge in caso di inerzia di regioni o comuni (in caso di sub delega) oppure, dove se ne ravvisano i motivi, si annullano autorizzazioni rilasciate dagli stessi. Operante da pochi mesi l'Ufficio, già i decreti di annullamento piovevano al ritmo medio di 240 al mese. A contenere un tale carico di lavoro e pure un rimpallo di incartamenti tra periferia (le soprintendenze, che istruivano le pratiche) e centro (l'Ufficio centrale che emette il parere, quasi sempre secondo le indicazioni pervenute) incomprensibile allo stesso direttore dell'Ufficio, nel dicembre del '96 è giunto con decreto ministeriale un limitato quanto opportuno assaggio di decentramento. Con tale provvedimento sono stati delegati ai soprintendenti dal direttore generale per

Piani provinciali, I'uovo di Colombo
Vezio De Lucia, urbanista
L'iniziativa della convocazione di una Conferenza nazionale sul paesaggio, intanto, è assai positiva. Si sono costrette tante persone a discutere di questi temi. Probabilmente sarebbe stato preferibile partire da una iniziale definizione dell'obiettivo, mentre si ventila di un d.d.l. di riforma della normativa esistente. A me non sembra, però, che sia questo il problema perché ciò implica un giudizio critico sulle leggi in vigore che io non mi sento di dare. Quelle leggi - ecco il problema sono state poco attuate e mal gestite. Sarà quindi necessario un maggiore coordinamento, però non mi sembra necessario rifare le leggi.
Bisogna partire da una premessa: il territorio si governa con la pianificazione, non con gli accordi di programma o simili. Poi dirò che, pur non essendo un grande sostenitore dei cosiddetti provvedimenti Bassanini, I'articolo 57 del decreto legislativo 112/98 a me pare la dimostrazione che anche piccoli aggiustamenti possono essere decisivi. I piani di bacino, dei parchi, paesistici sono tre livelli diversamente articolati che assai difficilmente possono essere ricondotti nell'ambito della pianificazione ordinaria. Aver detto, come l'articolo di legge citato fa, che il piano territoriale provinciale è la sede in cui quel coordinamento ha luogo a me sembra fondamentale, tanto più che ciò avverrebbe con legge regionale. Se a questo aggiungiamo che vanno contestualmente potenziate Ie strutture di tutela, come le soprintendenze ma non solo, è chiara la direzione da prendere.
La separazione attuale tra gli ambiti di intervento di parchi e soprintendenze, certo, non fa bene a nessuno dei due e vanno cercati momenti di integrazione. Però va pure mantenuta una dialettica che, specialmente in un Paese come il nostro, è utile, così come sono necessari momenti di approfondimento che solo elaborazioni specializzate su protezione della natura, tutela del suolo e del paesaggio possono fornire.
i Beni Ambientali e Paesaggistici i poteri sostitutivi e quelli di controllo relativi ai progetti di opere in aree vincolate che riguardano il territorio di un solo comune (cioè tutti i progetti di privati e quasi tutte le opere pubbliche).

Una semplificazione complicata
Ma il dibattito culturale e l'orientamento delle forze politiche richiedono provvedimenti più incisivi, e il pendolo parlamentare sembra di nuovo oscillare in direzione del decentramento. Subito dopo la Conferenza nazionale dei parchi del settembre '97, in cui per inciso il Mini stero per i Beni Culturali e Ambientali non è nemmeno invitato, viene approvata dal Parlamento la legge n. 352, meglio nota come legge Veltroni. Prevede, fra le altre cose, di approntare un testo unico nel quale siano riunite tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali, dunque anche quelle che riguardano il paesaggio. Finalmente pervenuto in Consiglio dei Ministri nel gennaio scorso, il testo approvato dal Governo ha però avuto finora un'accoglienza al più tiepida. Composto di ben 162 articoli e di un allegato, è ripartito in due titoli (beni culturali e beni ambientali) e ripropone la tradizionale e poco chiara ripartizione di competenze. La prima bocciatura è giunta dalla Conferenza Stato-regioni, che assieme ad Upi, Anci e Uncem ha osservato in generale il mancato rispetto dell'invito alla semplificazione amministrativa contenuto nella legge di delega, e in particolare ha invitato a "ricomporre, sul piano normativo, la tutela del patrimonio storico e artistico con la pianificazione urbanistica e con la tutela ambientale, competenze queste ultime attribuite costituzionalmente alle regioni". Dello stesso contenuto il parere pur favorevole delle competenti commissioni del Senato, dove il sottosegretario D'Andrea nel raccogliere l'invito ad utilizzare al massimo gli spazi che la delega offre ha replicato annunciando, dopo il confronto offerto dalla Conferenza nazionale del paesaggio, "un aggiornamento di tale normativa, ivi inclusa la legge Galasso". Anche la Camera ha espresso parere favorevole con osservazioni ma ancora a metà luglio, in sede di esame del progetto governativo di riorganizzazione dei ministeri, la Commissione Cultura
riteneva opportuno evidenziare che andrebbero meglio definite le competenze del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in ordine ai beni ambientali, "atteso che il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio non avrà competenza specifica su tali beni".
Curioso che in tutti questi passaggi nessuno abbia osservato come il testo unico abbia sostanzialmente trascurato il ruolo e le funzioni delle aree protette. L'ha fatto invece la Federparchi, che sottolinea come la proposta di testo unico ignori la 394 e le sue disposizioni, in particolare lo strumento del piano del parco il cui contenuto ricomprende quello proprio del piano paesistico. L'occasione del testo unico, secondo la Federparchi, andava quindi colta per ribadire la necessità di riunire i due strumenti in un solo piano, soluzione "logicamente consequenziale al fatto che i due piani sono volti in sostanza alla tutela degli stessi interessi e che, inoltre, la stessa autorità (la regione) è chiamata ad approvare i due piani". Inoltre, ha osservato la Federazione, il testo ha pure "dimenticato" l'esistenza del nulla osta rilasciato dal parco tra gli strumenti di autorizzazione a progetti inerenti ai beni ambientali, parchi e riserve compresi.
Mentre veniva elaborato il corposo articolato del testo unico, per la cui approvazione definitiva il Parlamento (al momento in cui scriviamo) ha da poco concesso ulteriori sei mesi di tempo, nel marzo '98 viene emanato dal Governo appunto il cosiddetto Bassanini due riguardante il "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali". Quanto al paesaggio, il decreto lascia in pratica tutto com'è. Piuttosto un passaggio di rilievo è quello dell'art. 57, laddove è prevista la possibilità per la regione di individuare nel piano territoriale di coordinamento provinciale lo strumento pianificatore di raccordo dei diversi piani settoriali (tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo nonché, appunto, delle bellezze naturali) naturalmente sulla base di accordi con le varie amministrazioni. Se son rose fioriranno.
Tutto confermato anche nel provvedimento istitutivo del nuovo Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (il decreto legislativo n. 368 dell'ottobre '98), pure nato sull'onda della Bassanini: i beni paesaggistici restano compresi nelle competenze del Collegio Romano e vi è intitolata una delle dieci direzioni generali, oggi diretta da Salvatore Mastruzzi. La legge affida poi alla nuova figura del soprintendente regionale per i beni culturali e ambientali, nominato con decreto dal ministro, l'eventuale compito di integrare gli elenchi delle bellezze naturali approntati dalle regioni secondo il d.P.R. 616/77.

Verso una nuova legge sul paesaggio?
Il compito di operare una riflessione collettiva del Paese sul paesaggio e di far nascere nuove politiche dall'esito più soddisfacente di quelle passate ed attuali è affidato dal ministero alla ormai prossima Conferenza nazionale, peraltro già annunciata nel 1998 e poi rinviata a questo ottobre. Nel documento preparatorio la critica all'ordinamento attuale in materia di tutela paesistica e segnatamente alla legge Galasso è esplicita (al riguardo già l'ex Ministro Paolucci parlava di fallimento "storico"). In particolare, vi è scritto, il potere d'intervento da essa assegnato allo Stato cade in una fase così avanzata del processo economico da risultare difficilmente accettabile. Inoltre, quanto alla redazione obbligatoria dei piani paesistici da parte delle regioni, non sono state previste forme di verifica qualitativa degli strumenti adottati né la creazione di indirizzi e criteri unitari per la loro redazione. Una simile messa in evidenza dei limiti della legge lascia presagire una ormai matura disposizione del ministero alla presentazione di una nuova normativa sul paesaggio, d'altronde intravista nel disegno di legge sull'architettura recentemente presentato.
Come si realizzerà una migliore integrazione con la pianificazione urbanistica? Come verrà aggiornato l'attuale sistema vincolistico, affrontando la sussidiarietà Stato-regioni? La situazione di partenza non è delle più rosee, se al primo posto tra gli esempi di sperimentazione in corso tra ministero ed enti locali nel documento preparatorio viene citato il Progetto Castelli Romani avviato assieme a regione, comunità montana e parco regionale: la presidenza di quest'ultimo, però, confessa sconsolata di non esserne al corrente se non per una singola e ormai lontana riunione colloquiale di cui si sono perse le tracce. E ancora, quali strumenti verranno opposti all'odierna debolezza della pianificazione paesistica (ma non solo, poi), causata dal deficit di rappresentatività delle amministrazioni di scala sovracomunale ma pure dalla scarsa sensibilità degli italiani verso i valori ambientali? E il ruolo e l'esperienza maturata sul campo dai parchi in merito alla tutela attiva del paesaggio, troveranno un riconoscimento? A seguire da vicino il dibattito, a iniziare da questa attesa Conferenza - aspettando l'a/tra, quella sui parchi organizzata dall'Ambiente - le aree protette hanno tutto da guadagnare. E senza sentirsi dietro una porta e col cappello in mano, anzi. In fondo a rompere quell"'isolamento istituzionale della bellezza" ci sono riusciti non altri, ma proprio loro. Ci vuole un patto coi comuni, e i parchi battano un colpo Pio Baldi, Soprintendente per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio
L'esigenza di rivedere le norme paesistiche c'è, anche se a parer mio può essere soddisfatta attraverso ritocchi di provvedimenti già esistenti. Non sta a me dire quali, ci penserà l'ufficio legislativo del ministero. E certo che ci troviamo in mezzo a un conf~nto serrato tra Stato ed enti locali, e una presunta nuova legge porterebbe a un contenzioso infinito. La legge Galasso ha dei limiti culturali e gestionali che sono poi quelli già nella legge del '39, la 1497. Non è possibile che un Comune faccia il piano regolatore, che questo venga prima adottato e poi approvato, che i terreni cambino di valore a seconda delle destinazioni previste, che soldi pubblici vengano spesi per far redigere il piano e che poi, solo alla fine e magari a vent'anni dall'inizio di questo tortuoso percorso, arriviamo noi e cioè la soprintendenza che può dire di no e mandare tutto all'aria. Tutto questo provoca disagio agli stessi soprintendenti, figuriamoci ai cittadini.
Sui nostri tavoli giungono decine di migliaia di richieste - ventimila all'anno solo nel Lazio - per autorizzazioni di opere in aree gravate da vincolo paesistico Al novanta per cento riguardano pali della luce, tombini, interventi minimi su cui però dobbiamo rispondere entro due mesi e che ci portano a non dedicare il dovuto approfondimento ai pochi casi realmente importanti.
L'ipotesi allora a cui io guardo (il sorprendente Baldi è tra gli organizzato della Conferenza, in seno al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, ndr) è quella di un patto. Noi cediamo una parte dei controlli a valle sulle cose più futili ai comuni, che li effettuano in base ai loro regolamenti edilizi. In cambio le soprintendenze devono poter partecipare agli studi preliminari e alla stesura dei piani regolatori, in accordo con le province e le regioni. Oggi il paesaggio italiano è uno sfacelo e non possono essere lasciate sole le soprintendenze a far da diga, anche perché poi i T.A.R. ci annullano quasi tutto.
Quanto ai parchi, il loro errore è pensare che fatti i piani di assetto - che noi neanche vediamo, in fase di stesura - tutte le autorizzazioni finiscano lì. Noi non la pensiamo così e questa situazione bisognerà che prima o poi trovi una soluzione. I parchi devono farsi conoscere di più e migliorare la loro comunicazione con 1' esterno (1' arch. Baldi, per sua stessa ammissione, prima di questa intervista non conosceva la Federparchi, ndr).