Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 28 - OTTOBRE 1999
 

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A quando il riconoscimento?
 



Tra novembre e dicembre si sono tenute le assemblee nazionali dell'Anci e dell'Upi e per la prima volta una seduta della Conferenza delle regioni a Bruxelles alla presenza di alcuni ministri. I rappresentanti dei comuni, delle province e delle regioni hanno avuto modo in questi appuntamenti di confrontarsi anche vivacemente ma sempre costruttivamente con il Presidente del Consiglio D'Alema e numerosi ed autorevoli ministri tra i quali Amato, Iervolino, Letta, De Castro su un ventaglio ampio e variegato di temi. Quelli delle riforme istituzionali, del federalismo sui quali era ripreso anche in parlamento il dibattito, hanno fatto la parte del leone senza però relegare nell'ombra tutta una serie di problemi delicatissimi da quello dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini alla ripartizione delle risorse finanziarie.

Ancora una volta i tradizionali appuntamenti delle associazioni degli enti locali e la conferenza delle regioni hanno offerto, insomma, l'occasione per un confronto franco e serrato a tutto campo tra i responsabili delle istituzioni decentrate e quelli del governo nazionale.

Tutti questi incontri si sono conclusi con l'impegno reciproco di continuare il confronto sulle varie proposte e iniziative del governo che prima di decidere consulterà le associazioni per conoscerne le posizioni e le osservazioni.

A fine anno anche i parchi hanno tenuto a Firenze la loro tradizionale assemblea nazionale ma ancora una volta i rappresentanti delle oltre 100 aree protette aderenti alla federazione dei parchi non hanno potuto dibattere i loro problemi confrontandosi direttamente con i Ministri dell'ambiente o di altri ministeri pur fortemente interessati alle tematiche della protezione. Lungi da noi ovviamente la tentazione di stabilire assurdi confronti tra la federazione dei parchi e le associazioni dell'Anci e dell'Upi e della Conferenza delle regioni. E tuttavia innegabile che fatte tutte le debite e doverose differenze anche le aree protette sono un momento tutt'altro che irrilevante di quel sistema istituzionale chiamato oggi a rispondere del 'governo' di parti delicate e importanti del nostro territorio. Appare pertanto sempre più inspiegabile e comunque censurabile il fatto che nel momento in cui l'associazione rappresentativa della stragrande maggioranza delle aree protette italiane si riunisce per verificare l'impegno, i risultati e i problemi dei parchi alle prese oggi più che mai con scelte politiche nazionali e europee di grande momento e significato, il ministro non senta prima ancora che il dovere il bisogno di parteciparvi.

Da anni i parchi come i comuni, le province, le comunità montane si riuniscono ma essi, a differenza degli altri soggetti istituzionali, non riescono a dialogare, confrontarsi, interloquire seriamente, organicamente e continuativamente con il ministro e il ministero.

E ciò non soltanto in occasione delle assemblee nazionali ma anche in tutte quelle altre circostanze in cui si debbono assumere decisioni riguardanti le aree protette. Gli enti locali attraverso le loro associazioni questo rapporto con il governo l'hanno ormai stabilito e collaudato al punto che nessuna decisione, legge, provvedimento che li riguardi è adottato senza la loro preventiva consultazione e valutazione.

La federazione dei parchi è invece regolarmente ignorata mentre non lo sono altre associazioni certamente importanti le quali però non 'rappresentano' in alcun modo i parchi.

E questo un punto sul quale è bene soffermarsi un momento perché specialmente con il WWF non sono mancate anche su queste pagine talune polemiche che hanno suscitato in alcuni lettori sorpresa e perplessità. Diciamo subito che esse non mettono in discussione il nostro rapporto di amicizia con una associazione che stimiamo, ma esse segnalano innegabilmente un problema da chiarire.

E il problema è questo: le associazioni ambientaliste rappresentano culture, concezioni da sempre impegnate a fianco e sostegno delle aree protette ma non le rappresentano istituzionalmente. Sta qui la differenza non d'importanza ma di ruoli tra la federazione e l'associazionismo ambientalista e non. La rappresentanza delle aree protette come di qualsiasi altro soggetto istituzionale non può che essere espressa 'direttamente' e 'volontariamente' dagli enti di gestione che sono i soli titolari della rappresentanza istituzionale, politica e giuridica.

Se qualche associazione, oltre a impegnarsi a sostegno di politiche sempre più efficaci e adeguate ai compiti di oggi intende anche in qualche modo rappresentare istituzionalmente i parchi, sbaglia.

Le associazioni hanno ovviamente tutto il diritto anzi il dovere - di occuparsi di parchi dal momento che sono addirittura presenti con loro rappresentanti negli enti di gestione. Ma non hanno alcun titolo per 'rappresentarli' in nessuna sede perché questo compete unicamente ad associazioni espressione degli enti che questa adesione 'deliberano' volontariamente e autonomamente con tanto di pagamento delle quote. Queste polemiche non intendiamo naturalmente drammatizzarle ma non potevamo evitarle in presenza di iniziative e prese di posizione con le quali l'associazione del panda ha teso ad assolvere a ruoli e occupare spazi che non gli sono propri. Queste sortite a carattere diciamo così, 'concorrenziale' per di più improntate ad inaccettabili 'discriminazioni' e differenziazioni tra parchi e istituzioni, per cui la federazione andrebbe contestata (come è avvenuto in Liguria) in quanto 'amica' delle regioni e 'critica' nei confronti del ministero, non giovano a nessuno e contribuiscono soltanto a fare confusione.

I parchi sono espressione del complesso del sistema istituzionale e la federazione che li rappresenta non può che ricercare con 'tutti' i livelli istituzionali il confronto e l'intesa senza preferenze, su un piano di perfetta parità e senza bisogno di 'intermediari' che si attribuiscono ruoli impropri e indebiti di rappresentanza istituzionale.

Ecco perché nel denunciare - e non è certo la prima volta - il comportamento ingiustificato e a nostro giudizio sbagliato del ministero vogliamo ribadire anche, perché sia assolutamente chiaro che noi non intendiamo semplicemente manifestare il nostro disappunto per un 'riconoscimento' che crediamo di esserci ampiamente meritato e che invece ci è negato e tarda, che di questa 'concertazione' con la federazione dei parchi hanno bisogno le istituzioni tutte e non soltanto ovviamente le aree protette.

Noi intendiamo insomma manifestare una critica politica perché il mancato riconoscimento e coinvolgimento della nostra federazione prima ancora che mortificare una associazione che opera con grande serietà ed efficacia, 'penalizza' il ministero al quale viene a mancare un prezioso e insostituibile punto di riferimento e di confronto per il suo operato.

Quando il presidente del consiglio e tanti ministri intervengono alle assemblee dei comuni e delle province o si incontrano con le regioni non lo fanno certo per 'compiacere' I'A.N.C.I. o l'U.P.I. o le regioni. Lo fanno molto più semplicemente e responsabilmente perché quel dialogo, quel confronto non raramente vivace e polemico è indispensabile ad entrambi.

Possibile che al ministero dell'ambiente non si riesca a comprendere questa semplice verità?

A Parco produce dello scorso novembre per la prima volta, almeno in maniera così esplicita e chiara, abbiamo sentito il ministro Ronchi riferirsi ripetutamente al sistema delle aree protette e ai parchi nazionali e regionali senza fare differenze anche per quanto riguarda i finanziamenti. E un fatto importante e come tale lo abbiamo positivamente registrato e salutato. Ma allora cosa si aspetta a trarne tutte le conseguenze politiche? Vi sono questioni sulle quali il ministero avrebbe dovuto già avviare un confronto con i parchi, citiamo per tutti il riordino della Consulta tecnica e la riforma degli enti parco nazionali. Non si può certo pensare né di rinviare ulteriormente questi passaggi né tanto meno di affrontarli senza finalmente istituire un tavolo di confronto e concertazione in cui in maniera trasparente si possano valutare e concordare le soluzioni più idonee nell'interesse di tutti.

Renzo Moschini

 



La discussione su 'Parchi'

La federazione e la redazione della rivista hanno avviato una riflessione sul carattere e i compiti di 'Parchi' che ha tagliato felicemente il traguardo dei dieci anni. Che se ne discuta dopo che da piccola pattuglia di parchi regionali la federazione è diventata una robusta organizzazione alla quale aderiscono ormai oltre un centinaio di aree protette e di istituzioni è bene perché questa 'crescita' pone innegabilmente nuovi e complessi problemi. L'essere riusciti in questi anni, pur in estrema carenza di risorse, a realizzare una rivista letta, seguita e molto apprezzata negli ambienti culturali come testimoniano le ricorrenti citazioni 'bibliografiche', ad esempio, in tantissime tesi sul tema delle aree protette è cosa importante che fa onore e dà prestigio alla federazione.

Ma una rivista rivolta ai parchi e ai loro problemi deve riuscire anche a 'coinvolgere' e 'interessare' chi opera in prima fila giorno dopo giorno negli enti di gestione sia in veste di amministratore che di operatore.

Non viene meno certo l'esigenza di mantenere quell'impronta culturale di estrema apertura che ha connotato in tutti questi anni 'Parchi' con cui ci siamo rivolti a quel mondo di cui parlava in anni molto lontani Renzo Videsott quando pensava ad una rivista sui parchi da pagare magari con l'equivalente del valore di uno stambecco; parlamentari, uomini di governo, uomini di pensiero, studiosi, naturalisti.

Noi ci siamo riusciti senza immolare alcun stambecco ma ora dobbiamo riuscire a coinvolgere di più chi non opera 'fuori' ma dentro i parchi. Per questo stiamo discutendo della rivista che dai dati in nostro possesso sembrerebbe essere più letta e utilizzata all'esterno piuttosto che all'interno dei parchi.

Ciò pone non pochi problemi a chi fa la rivista ma ne pone non di minori a chi opera nei parchi perché se è vero che all'interno è meno letta è altrettanto vero che sono pochi anche quelli che ci scrivono. E questo è un punto importante che non può essere risolto unicamente dalla redazione.

Bisogna chiedersi come mai tanti presidenti o direttori di parco pur impegnati a dare alle aree protette un ruolo spiccato in tante direzioni e su tanti problemi poi non sentono il bisogno, la 'voglia' di scrivere, far conoscere queste loro esperienze.

La rivista soltanto in questo modo potrà agire sui due piani ugualmente importanti ossia quello 'interno' tra chi opera nell'ambito delle aree protette e quello tra chi opera all'interno e chi opera all' 'esterno' che a differenza dei tempi di Videsott riguarda non soltanto i rappresentanti dell'associazionismo ambientalista.

Insomma perché Parchi sia più letta nei parchi bisogna che sulla rivista ci scrivano di più quelli che delle aree protette hanno la titolarità e responsabilità. Ciò farà bene alla rivista ma anche ai parchi

Dobbiamo infatti rallegrarci del fatto che oggi su diverse riviste si trovino più frequenti riferimenti e riflessioni sull'impegno e le realizzazioni di tanti parchi ma dovrebbe far pensare il fatto che spesso queste riflessioni e approfondimenti non si trovino sulla nostra rivista ad opera degli artefici e protagonisti di queste realizzazioni.

Renzo Moschini

 



Una crescente presenza culturale ma soltanto al centro-nord

In pochi anni con una rapidità che non può che far piacere il Centro studi Valerio Giacomini è riuscito ad affermare una presenza nel dibattito culturale e scientifico sui temi della protezione con particolare riferimento agli aspetti istituzionali riconosciuta e apprezzata in molte e autorevoli sedi. Chi ha seguito gli appuntamenti del Centro studi ha potuto verificare per la rilevanza dei temi trattati e per la prestigiosa presenza di studiosi ed esperti, non soltanto italiani, che questo nostro giudizio non è inficiato o dettato da un eccessivo di partigianeria.

Ed è proprio questa positiva esperienza che ha stimolato altre istituzioni oltre alla nostra federazione a dotarsi di strumenti culturali che possano fornire nuove sedi e occasioni di ricerca e confronto scientifico e culturale su temi che appaiono sempre più complessi e impegnativi anche per le aree protette. E ormai a buon punto, ad esempio, la istituzione di un Centro per la ricerca sui problemi del mare tra la Regione Liguria, la nostra federazione e 1' Acquario di Genova una struttura privata di valore internazionale già impegnata con successo nel campo della educazione ambientale. E mentre a Genova nel momento in cui viene istituito il Santuario dei cetacei sta per decollare questo nuovo centro, in Toscana a Prato si sta verificando la possibilità di istituire un Forum nazionale sui problemi delle aree protette. Il Forum a differenza dei centri studi dovrebbe consentire a tutte le forze oggi a vario titolo e nelle più diverse sedi interessate alle politiche di protezione e gestione ambientale; organizzazioni economiche, sociali di categoria, produttive, ambientaliste, culturali, istituzionali di potersi incontrare e dibattere, partendo da approcci e interessi diversi, le molteplici tematiche riconducibili in qualche modo alle aree protette. La scelta di Prato da questo punto di vista non è casuale. Prato è la 'capitale' dei distretti industriali ossia di quei sistemi economici locali oggi studiati in tutto il mondo in quanto realtà in cui i radicamenti e le tradizioni locali hanno trovato e trovano un punto di forza per 'collegarsi', proiettarsi nella dimensione globale. In questo senso il distretto ha connotati in qualche modo affini a quelli di una area protetta il cui scopo è quello di far leva sul valore di un ambiente pregiato non 'esportabile' per immetterlo in una dimensione nazionale e internazionale conservandone le specifiche peculiarità.

Se queste iniziative, in parte felicemente collaudate e in parte concretamente allo studio, non possono che essere salutate come un segno di grande sensibilità e maturità delle istituzioni e del mondo delle aree protette, va anche detto che purtroppo esse fino a questo momento riguardano soltanto una parte del paese.

Noi vorremmo che ciò che al centro nord si sta facendo potesse stimolare e aiutare anche le istituzioni e i parchi del sud a valutare, studiare la possibilità di realizzare iniziative analoghe.
La ricerca scientifica e il dibattito culturale non sono per i parchi un lusso ma una necessità, ecco perché anche dalle pagine della rivista che a questi profili ha sempre dedicato grande attenzione vorremmo rivolgere un appello alle istituzioni e parchi del sud a prendere in seria considerazione la possibilità di dare al centro nord un 'fratello' o 'sorella' meridionali.

Renzo Moschini

 



Il ruolo dei Direttori dei Parchi Nazionali: colonna vertebrale del sistema dei Parchi

La figura del Direttore di Parco Nazionale viene introdotta all'articolo 9, comma 11, della 1. 394/ 91. Esso recita: "Il Direttore del parco è nominato dal Ministro dell'ambiente previo concorso pubblico per titoli ed esami di dirigente superiore del ruolo speciale di "Direttore di parco" istituito presso il Ministero dell'ambiente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ovvero con contratto di diritto privato stipulato per non più di cinque anni con soggetti iscritti in un elenco di idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco, istituito e disciplinato con decreto del Ministero delI'ambiente. In sede di prima applicazione della presente legge, e comunque per non oltre due anni, il predetto contratto di diritto privato può essere stipulato con soggetti particolarmente esperti in materia naturalistico - ambientale, anche se non iscritti nell'elenco".

Dall'articolato emergono alcune volontà chiare. In primo luogo quella di assicurare autonomia alla figura del Direttore rispetto agli organi "politici" dell'Ente, con il fatto che la nomina deriva da un ente diverso da quello dell'Ente Parco. In secondo luogo, però, si dà la possibilità agli organi dell'Ente di poter esprimere un gradimento, o meno, sulla figura e l'operato del Direttore.

Il Direttore, poi, è l'organo responsabile della concreta gestione del parco, ovviamente nel rispetto degli atti di competenza degli organi di direzione "politica" dell'Ente parco. Questi aspetti sono meglio esplicitati nel noto decreto legislativo 29, e nelle norme attuative della cosiddetta Legge Bassanini.

E quella del Direttore, allora, una figura cardine del funzionamento di un Parco nazionale e, quindi, estendendo il ragionamento su scala nazionale, il ruolo dei Direttori è essenziale per il funzionamento concreto degli Enti Parco e, di conseguenza, per la conservazione della natura che in essi deve essere operata.

In un'ottica che vede sempre più i Parchi italiani inseriti in un sistema nazionale che, pur nelle forti diversità geografiche, ambientali e sociali, si esprima come un soggetto in rete in grado di tutelare interessi economici non indifferenti, nell'ambito del carico di responsabilità gestionali ed amministrative che, al momento, interessano 1'8% del territorio nazionale, quello più bello e più ricco di potenzialità ambientali ed economico - compatibili, il ruolo professionale del Direttore deve essere tenuto nella giusta considerazione.

Oggi la dovuta considerazione cui si accennava poc'anzi non è ancora completa e i direttori dei Parchi soffrono di una situazione ibrida e poco chiara. La mancata realizzazione di alcuni adempimenti istituzionali, li costringe ad una precarietà che non fa bene, oltre alla loro serenità personale, ai Parchi. A questo proposito non può ritardare ulteriormente l'avvio del concorso pubblico per titoli ed esami di dirigente superiore del ruolo speciale di "Direttore di parco" istituito presso il Ministero dell'ambiente di cui parla il comma 11 dell'art. 9 della legge 394/91, e che viene ribadito nei commi 25 e 26 dell'art. 2 della 1. 426/98.

Si verrebbe a creare, in tal modo, una figura professionale autonoma e fortemente qualificata che possa rappresentare l'ossatura, la colonna vertebrale cui si fa riferimento nel titolo, del sistema dei Parchi. Una figura che da un lato garantisca il Ministero dell'ambiente in termini di unitarietà di veduta generale del sistema, e dall'altra garantisca i singoli Enti Parco in termini di professionalità, ai quali va riservata ovviamente la facoltà di scegliere la terna, così come previsto dalle leggi vigenti.

In questa ottica di sistema andrebbe prevista, ed attuata, la rotazione su scala nazionale dei Direttori dei Parchi. Quali dirigenti nazionali esperti di gestione di aree protette, questi dovrebbero poter portare la loro esperienza e professionalità in tutte i parchi nazionali italiani, indipendentemente dalla loro provenienza geografica. Questo li rafforzerebbe in termini di autorevolezza, autonomia e professionalità, e, nello stesso tempo, fornirebbe al Ministero dell'ambiente un "corpo" di dirigenti preparati e affidabile su cui contare.

Esperienze analoghe esistono già all'estero e danno risultati soddisfacenti: si pensi al sistema dei parchi statunitensi e al ruolo che vi svolgono i sovrintendenti che, come è noto, non sono legati a un singolo Parco ma ruotano negli anni.

Sganciando dopo un certo numero di anni un Direttore da un territorio, si ha anche il vantaggio di impedirgli di doversi misurare con il logorio derivante dal continuo confronto con le popolazioni locali per quanto riguarda le inevitabili decisioni impopolari che può essere costretto ad adottare.

Sarebbe opportuno aprire un dibattito su questo tema finalizzandolo, tra l'altro, anche al sollecito dell'indizione del concorso e, perché no, all'adozione del sistema di rotazione in tempi brevi da parte del ministero.

Maurizio Fraissinet

 



Il pagamento di un biglietto di ingresso nei Parchi italiani

In un discreto numero di Paesi la visita ad un parco nazionale presuppone il pagamento di un biglietto di ingresso. In alcuni casi, poi, il biglietto è anche abbastanza costoso, è il caso, ad esempio, dei 10 dollari che si pagano negli Stati Uniti. Il visitatore paga il biglietto d'ingresso sapendo che sta acquistando la possibilità di godersi una giornata in un territorio protetto, incontaminato, a naturalità diffusa, nel quale, magari, osservare anche animali selvatici di grande fascino: orsi, leoni, elefanti, leopardi, zebre, rinoceronti, tigri, balene, aquile, avvoltoi, ecc..

La conservazione della natura costa ed è giusto quindi che il visitatore paghi; in cambio, del resto, egli riceve un servizio in termini di natura protetta da godere. Potrebbe essere questo, in estrema sintesi, il ragionamento a monte del ticket dei parchi statunitensi, sudafricani, kenyani, canadesi, indiani, ecc..

E applicabile questo principio nei parchi italiani? E questa un'importante questione che va affrontata e risolta all'indomani dei grossi sforzi compiuti dal governo nazionale e da alcune regioni per tutelare discrete percentuali di territorio nazionale istituendo le aree protette.

Qualche Parco, del resto, ha già provveduto ad attivare forme di pagamento. Nel Parco regionale della Maremma si paga un biglietto di ingresso che comprende anche il passaggio su di un pulmino; nel Parco nazionale d'Abruzzo si paga in estate per accedere alla Camosciara, ciò anche al fine di ridurre l'impatto di un numero elevato di visitatori e di meglio conservare il bene prezioso dei camosci d'Abruzzo, elemento faunistico di alto pregio che può essere osservato visitando per l'appunto la Camosciara; il Parco nazionale dell'Arcipelago della Maddalena ha provveduto a introdurre il pagamento di un ticket per quelle barche che intendono raggiungere alcune spiagge particolarmente belle e delicate, ciò, anche in questo caso, è finalizzato alla riduzione dell'impatto di un numero eccessivo di visitatori e di far godere realmente il bene naturale a chi paga che, altrimenti, lo troverebbe devastato da orde incontrollabili di visitatori; la Regione Sicilia ha istituito, nella propria legge finanziaria, la possibilità di far pagare un biglietto per l'accesso ai propri parchi.

Nel Parco nazionale del Vesuvio e nel Parco regionale dell'Etna si paga un biglietto per essere accompagnati alla visita del cratere, trattandosi di vulcani attivi, ma l'iniziativa è svincolata dagli Enti gestori dell'area protetta, sebbene, almeno per il Parco del Vesuvio, il passaggio della Riserva Naturale Alto Vesuvio - Tirone alla gestione dell'Ente Parco, comporterà l'opportunità per quest'ultimo di ricavarne un introito derivante dai diritti di concessione.

L'introduzione di ticket da parte degli Enti Parco, generalmente, non ha incontrato eccessive proteste e difficoltà. I visitatori dei Parchi, quelli veri e motivati, e come tali anche attivi da un punto di vista economico, rispetto a quelli spinti solo da mode massificanti e più onerosi che utili sotto il profilo economico - gestionale, salutano in genere favorevolmente l'introduzione di un pedaggio che, tra l'altro, ha anche l'effetto di ridurre il fenomeno del "turismo di massa", poco affine al turismo naturalistico.

La legge 394/91, del resto, all'art. 25, comma 5, prevede che le risorse finanziarie del parco possano derivare anche da diritti e canoni riguardanti l'utilizzazione dei beni mobili ed immobili che appartengono al parco o dei quali esso abbia la gestione. Nonostante le previsioni di legge, I'esperienza positiva di alcuni enti e l'indiscutibile vantaggio che ne deriverebbe per la conservazione della natura, l'eventuale introduzione di un pedaggio all'ingresso dei parchi italiani presuppone una riflessione.

In primo luogo va tenuto presente che la stragrande maggioranza dei parchi italiani contiene al suo interno dei centri abitati e che, pertanto, va garantito l'accesso libero agli stessi. Questo pone un primo problema circa la possibilità di istituire blocchi e pagamenti di accesso lungo le strade provinciali e/o comunali. Sebbene, in alcuni casi, come ad esempio il Vesuvio e l'Etna, ci sia la possibilità di operare il pagamento del pedaggio anche su tali tipi di strade, stante l'assenza di centri abitati nelle parti in quota dei vulcani, fatta eccezione per ristoranti e alberghi, sui cui reali svantaggi e vantaggi per il pagamento di un ticket ci sarebbe da fare qualche approfondimento, e comunque potrebbero rappresentare un problema superabile anche in termini di ristoro economico per la "eventuale" clientela perduta.

In considerazione di questa antropizzazione l'ipotesi più accreditabile sarebbe quella di far pagare l'accesso ad alcune località che tutelino i beni naturalistici e paesaggistici conservati dai Parchi. Ipotesi più facilmente praticabile, ma che avrebbe come svantaggio, se realizzata su ampia scala, di costituire aree più protette di altre all'interno del singolo parco, con l'eventuale sovraffollamento dei luoghi in cui non si paga e l'esposizione di queste ultime località a un maggiore danno ambientale.

Altro elemento da prendere in considerazione, anche come eventuale forma intermedia di approccio al problema, è quello di "vendere" ai visitatori pacchetti di servizi integrati, come potrebbe essere ad esempio un ticket per i musei, il pulmino, le guide, l'accesso alla riserva, ecc..

In ultimo occorre considerare che nei parchi italiani il principale bene che viene offerto ai visitatori è soprattutto il paesaggio incontaminato, gli ecosistemi ben conservati, e meno, invece, i grandi animali delle savane o delle foreste pluviali, con tutte le emozioni che questi ultimi sono in grado di suscitare sull'essere umano di ogni età.

Il problema comunque esiste e va affrontato e risolto.

Esiste perché i parchi non possono sopportare gli effetti devastanti del turismo di massa. Un turismo solo costoso e per nulla apportatore di benefici economici. I parchi devono promuovere sempre di più un turismo di qualità, l'unico in grado di garantire reddito e occupazione. Gli Enti parco, inoltre, devono introitare le risorse necessarie per garantire alla collettività internazionale la conservazione della biodiversità e la fruibilità corretta della stessa.

E poi non c'è da sottovalutare un altro aspetto, magari più etico: la natura incontaminata, l'acqua pulita, il paesaggio bello, I'aquila reale che vola sono beni preziosi che hanno un elevato valore intrinseco e ciò che vale va quotato per quello che vale, e non "regalato" come se fosse qualcosa priva di valore e, come tale, appunto, gratuita. Pagare un bene significa anche apprezzarlo, anche questa è educazione ambientale.

Maurizio Fraissinet