Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 28 - OTTOBRE 1999
 

1a Conferenza nazionale sul paesaggio Una conferenza "incompleta"
Roma, 14-15-16 ottobre 1999
Luciano Saino*
 



Se la Prima Conferenza nazionale per il Paesaggio, tenutasi a Roma a metà ottobre, doveva servire ai parchi italiani per verificare il livello di interesse loro riservato dal Ministero per i Beni culturali e ambientali, bisogna riconoscere che la risposta è risultata del tutto deludente. Qualcuno forse si illudeva, dopo le leggi 431 (dell' 85) e 394 (del '91), che i parchi potessero rappresentare il luogo ideale per svolgere una funzione di salvaguardia paesaggistica, ritenuta essenziale anche dalla Costituzione; bene: deve volgere le proprie speranze altrove. Si ha l'impressione che i burocrati del Ministero siano ancora fermi al 1939, epoca in cui risultavano istituiti quattro Parchi nazionali, per giunta senza competenze paesaggistiche. Essi sono del tutto estranei ed insensibili al fatto che i parchi nazionali siano diventati nel frattempo più di venti; che le Regioni, in modo diverso, si siano adoperate per istituire oltre un centinaio di propri parchi i quali, per definizione, sono luogo di incontro di elementi naturali e umanità, quindi contenitori ideali e privilegiati di paesaggi da tutelare nell'accezione moderna del termine. Nelle giornate della Conferenza, per lo meno nelle sessioni tematiche da me frequentate, la parola "parchi" non è mai stata pronunciata, se non da un meritevole funzionario del Ministero dell'Ambiente, ed è risultata netta l'impressione che gli operatori dei parchi, politici o tecnici non importa, siano considerati degli originali perditempo, privi della minima facoltà o capacità di incidere sulle questioni importanti tra le persone che contano. La tutela del paesaggio è nelle salde mani dello Stato, come d'altra parte è ampiamente dimostrato dal perfetto stato di conservazione delle coste italiane, dal livello ininfluente dell'abusivismo edilizio, dalla stabilità dei nostri versanti montani. Perché dunque si dovrebbero cercare alleati, per di più incompetenti, per svolgere una funzione che sta dando risultati così buoni? Al rappresentante della Federazione Italiana dei Parchi, nella Conferenza, è stato concesso un intervento di otto minuti al termine di una seduta, quando erano rimaste presenti non più di venti persone. Erano intervenuti prima il rappresentante di una associazione di agricoltori, gli assessori di Roma e Reggio Calabria, rappresentanti di ordini professionali e persino un rappresentante della società Treno ad Alta Velocità, cui è stato concesso un supplemento di tempo perché potesse illustrare gli sforzi che si stanno facendo per il paesaggio: scavando milioni di metri cubi di materiale in cave di prestito, costruendo collinette di calcestruzzo su cui poggiare binari. Credo che nell'associazione occorra rendersi conto che probabilmente occorre battere strade diverse da quelle fino ad ora percorse, visto che la nostra disponibilità al dialogo con le altre istituzioni e con le organizzazioni sociali non è giunta sino agli orecchi dei burocrati dello Stato.

 

Le aree protette e la tutela del paesaggio

Con la promulgazione della 1.431/85 e della 1. 394/91, il Piano del Parco deve assumere valore anche di Piano Paesistico e come tale deve contenere nozioni e sviluppare proposte sul paesaggio che sono conseguenti alle due leggi.

Dal 1991 quindi i Parchi si sono trovati in prima linea rispetto alla questione del Paesaggio e hanno dovuto organizzarsi per dare risposte concrete ai legami che le leggi hanno imposto fra Parchi e

1.1497/39, cioè fra tutela della natura e tutela del Paesaggio. Questo salto di qualità culturale, che assoggetta alla tutela della 1. 1497/ 39 non più soltanto contesti puntuali ma intere categorie di beni naturali come le montagne, i laghi, i mari e appunto i Parchi, ha generato fra i gestori delle aree protette da un lato grande soddisfazione ma dall'altro ha imposto loro profonde riflessioni (fino ad allora nella maggior parte dei casi mai o poco affrontate) tese ad indagare in che cosa i due filoni, ambientale e paesistico, si distinguono e che cosa hanno in comune per poterli integrare, in modo utile e gestibile, in un unico strumento che è appunto il Piano del Parco.

Il dibattito è stato reso ancora più acceso dal fatto che nella voce "parchi" la 394/91 comprende diverse situazioni ambientali, naturalistiche, storiche e socio-culturali.

I parchi sono diversi non solo perché tutelano oggettivamente cose tra loro diverse ma anche perché sono inseriti in ambiti sociali diversi, perché hanno relazioni con il "mondo esterno" diverse, perché svolgono funzioni diverse.

Soprattutto va sottolineata la differenziazione storica e socio-culturale tra Parco e Parco, dato che ciò che distingue e lega al tempo stesso la questione paesistica e quella della tutela naturale è la presenza e la funzione dell'uomo all'interno di un'area protetta.

Condivido infatti la teoria di diversi studiosi in materia secondo cui la differenza e la compenetrazione tra il concetto di paesaggio e quello di natura sta proprio nel ruolo che vogliamo attribuire all'uomo.

L'elemento naturale è un fatto oggettivo che quasi prescinde dall'individuo, nel paesaggio l'elemento centrale non è il territorio o la natura ma una loro rappresentazione elaborata dai sensi dell'uomo: la vista innanzi tutto, ma non solo, è noto infatti che occorre anche saper vedere, saper ascoltare e saper provare emozioni.

Questo è uno dei motivi per cui è giusto affermare che il paesaggio è un bene culturale e come tale va protetto.

Se si condividono questi concetti, non solo si ammetterà la complementarietà fra l'aspetto naturalistico e quello paesistico-percettivo (dato che tutti i parchi sono più o meno antropizzati o sono visitati), ma ci si troverà d'accordo nel convenire che proprio nei parchi l'aspetto paesistico assume la dimensione e l'importanza che la legge 431/85 vuole ad esso attribuire, nel momento in cui essi, attraverso il loro piano, riusciranno a massimizzare quel "valore aggiunto" (per dirla con il Prof. Gambino) che deriva dalla compresenza in un parco di valori diversi: se essi riusciranno a sfruttare cioè l'effetto congiunto dei caratteri naturali e dei caratteri culturali che di solito caratterizzano i paesaggi dei nostri Parchi.

Dunque, si può dire che l'uomo è al centro di un'area protetta, come e quanto l'elemento naturale posto sotto tutela e credo che questo sia lo spirito della 431/85.

Il discorso del rapporto tra uomo e ambiente naturale ci porterebbe lontano, fuori dal tema, però è bene tenerlo presente per dosarlo nel modo e nei tempi giusti, dato che se da un lato questo rapporto potrebbe essere erroneamente usato per definire "sostenibile" ogni intervento umano che non risulti apertamente conflittuale e distruttivo, dall'altro dovrebbe porre in seria difficoltà anche certe frange di ambientalismo esasperato che pretenderebbero di ridurre i Parchi a specie di "santuari mummificati" in cui l'attività o anche la presenza umana è da considerare come una indebita intrusione. Non è da escludere, anzi è auspicabile, che all'interno di un'area protetta ci siano "santuari" (la presenza di aree di riserva integrale è prevista e opportuna) e come tali vadano gestiti, ma è nell'interesse stesso dei Parchi non essere eccessivamente intransigenti riguardo all'equazione Parchi forte naturalità ed anche non essere intransigenti rispetto ai criteri di perimetrazione delle aree protette che ne conseguono.

Ci siamo subito convinti che una rigida normativa per la miglior tutela delle aree forestali poteva coincidere con la normativa di carattere paesaggistico, mentre le aree del parco agricoloforestale, adiacenti alle riserve, caratterizzate dalla presenza di elementi plasmati dall'uomo nel corso dei secoli (filari, siepi, colture tipiche come marcite e risaie) dovevano essere tutelate paesaggisticamente da una normativa più articolata, più elastica, più intelligente; una normativa che influenzasse tutto il Piano, anche le norme che riconducono alle discipline strettamente scientifiche che sono alla base della gestione di un Piano del Parco come la botanica, la zoologia, I'agronomia e l'architettura.

Un'evoluzione concettuale non indifferente rispetto alla normativa del Piano attuale che fissa in maniera un po' rigida, asettica, quasi distaccata ciò che si può fare o che non si può fare in una certa area del parco, al fine di tutelare certi valori o di renderne "compatibili" altri, mai, o poco, tenendo conto della presenza dell'uomo, che invece viene coinvolto nel momento in cui il piano acquisisce i contenuti paesistici.

Allora, una volta scomposto, anche se in modo un po' strumentale e scolastico, il territorio in "unità di paesaggio" si è cercato di individuare da un lato gli aspetti naturalistici forti e non negoziabili con una normativa che facesse coincidere le regole di corretta conservazione naturalistica con quelle di tutela paesaggistica, dall'altro, nelle altre unità paesaggistiche, una normativa che ponesse il cittadino o l'operatore in condizione di verificare preliminarmente egli stesso la liceità e la coerenza del proprio intervento rispetto all'interesse più generale della tutela del paesaggio.

Non numeri, rapporti o perimetrazioni puntuali di aree vincolate che altro non hanno che complicare, banalizzare e burocratizzare il rapporto tra Ente Parco e cittadino, ma indicazioni di visuali, orizzonti o punti di osservazione in cui inserire virtualmente l'opera o l'intervento verificandone già a livello comunale la compatibilità con il contesto circostante, anche in un'ottica di collaborazione fra soggetti istituzionali diversi .

Non solo le zone morfologicamente più interessanti, come i terrazzi della valle fluviale, ma anche le vaste aree agricole, contenitori di testimonianze storiche di una civiltà di cui è permeato il paesaggio lombardo, devono essere osservate da punti di vista significativi. L' uomo quindi viene posto al centro del paesaggio e gli si danno gli strumenti affinché esigenze sociali, procedure colturali coerenti con i tempi, aspirazioni di carattere economico aziendale condivisibili, insomma, lo sviluppo sostenibile, non diventino strumento personale legittimato per distruggere testimonianze culturali che sono patrimonio dell'intera comunità ma che invece sappiano inserirsi in un contesto che evolve in modo razionale.

Ciò vale naturalmente anche per i pareri che il Parco è chiamato a dare in ordine alle numerose opere pubbliche che attraversano il Parco del Ticino, che si estende da nord a sud per oltre 100 km, separando in due le aree ad economia più forte che ci sono nel nostro paese, vale a dire quella lombarda e quella piemontese.

Rimane da sperare che questo sforzo non sia solo apprezzato dagli Enti locali che hanno votato il Piano, ma anche dallo Stato, che in questi ultimi anni è stato "molto attivo" sul nostro territorio con aeroporti, autostrade, linee ad Alta Velocità, ecc. e che tra l'altro, mantiene la responsabilità della tutela paesaggistica del 1939.

Credo che questo sforzo possa essere definito progettazione del paesaggio in un'ottica, però, di partecipazione consapevole che è poi la via politica che si tenta faticosamente di percorrere nel nostro Paese.

* Vicepresidente Federazione italiana parchi e riserve naturali