Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 30 - GIUGNO 2000


Agricoltura biologica nei parchi naturali siciliani
Pietro Columba*
 

I tre parchi naturali regionali in Sicilia, "Nebrodi", "Etna" e "Madonie", dai nomi dei massicci sui quali sono ubicati, rappresentano i due terzi delle aree protette dell'Isola; insieme con 84 riserve naturali e 12 riserve marine, costituiscono un importante sistema naturalistico esteso 274.515 ettari (11% dell'intero territorio). I parchi siciliani sono serbatoi di preziosi patrimoni naturalistici e culturali ed evidenziano forme di adattamento tra l'attività antropica e l'ambiente antiche e complesse nelle quali l'agricoltura gioca un ruolo di grande importanza; in queste aree, quindi, l'attività agricola costituisce un fattore di stabilità e può contribuire alla valorizzazione del territorio in un modello di sviluppo di lunga durata. L'agricoltura biologica, per il suo rapporto più armonioso con i cicli naturali, può fare parte di questi sistemi apportando i benefici ambientali e sociali che le si riconoscono e può, a sua volta, giovarsi delle migliori condizioni colturali che derivano dalla assenza di contaminazioni e dalla maggiore complessità biologica che gioca un ruolo primario per il mantenimento di buone condizioni sanitarie delle piante in assenza di strumenti di controllo sintetici. Anche sotto il profilo commerciale la collocazione all'interno dei parchi è potenzialmente vantaggiosa sia per le possibili valorizzazioni d'immagine che per le occasioni di vendita e consumo determinate dai flussi turistici. La situazione dell'agricoltura biologica nei parchi, che di seguito verrà analizzata più in dettaglio, evidenzia gravi carenze ma conferma una potenzialità di sicura consistenza sulla quale costruire l'assetto futuro attraverso un cammino che, tuttavia, non si prospetta né breve né facile.

L'indagine nel Parco dei Nebrodi
Il campione selezionato consiste di 35 aziende ricadenti nei Comuni di Alcara Li Fusi, Bronte, Capizzi, Caronia, Cesarò, Longi, Militello Rosmarino, Mistretta, Randazzo e S. Fratello. A conclusione delle rilevazioni si sono dovute scartare 15 aziende poiché, 12 non ricadevano all'interno del perimetro del parco e 3 non sono risultate biologiche ma aderenti ad altre misure agroambientali (Al e B31). Non si è ritenuto di reintegrare il campione rilevato per la notevole omogeneità riscontrata nelle tipologie aziendali. In definitiva la rilevazione è stata condotta su venti aziende prevalentemente ricadenti nelle zone B, C e D. Tutte le aziende rilevate hanno adottato la tecnica biologica dopo l'emanazione dei regolamenti comunitari e quindi diverse sono da considerare ancora in conversione. La natura montana del territorio è evidente nella collocazione delle aziende a quote mediamente prossime agli 800 m s.l.m. con numerosi casi anche oltre i 1.000 metri, pertanto le aziende sono spesso ubicate in zone con scarsa viabilità e difficoltà di accesso e la giacitura è prevalentemente acclive o mista. Circa i tre quarti delle aziende sono lontane sia dal centro abitato che dall'abitazione del conduttore (pochi i casi in cui il conduttore risiede in azienda) che deve percorrere generalmente da 10 a 25 chilometri per raggiungere il centro aziendale. Ancora più marcata è la distanza tra il centro aziendale e le ditte fornitrici dei mezzi tecnici (sementi e concimi biologici) spesso dislocate a Erma, Catania e Palermo. Il 63% delle aziende è dotato di un parco macchine (trattori di varia potenza, attrezzi vari, decespugliatore, motozappe, ecc.) per le operazioni colturali, altre ricorrono al noleggio (soprattutto mietitrebbia, ranghinatore e pressaimballatrice). Un altro elemento significativo è la presenza in azienda di acqua che generalmente non viene utilizzata per uso irriguo ma bensì per il fabbisogno animale e domestico; numerose sono le sorgenti affioranti, i laghetti collinari, i bevai, i pozzi e le vasche di raccolta.
La forma di conduzione più frequente è quella diretta con manodopera familiare prevalente; il titolo di possesso dei terreni, nella maggior parte dei casi è la proprietà dell'intera superficie aziendale mentre in cinque aziende si fa ricorso all'affitto, sotto il profilo formale, di terreni di proprietà familiare e per i quali non viene corrisposto nessun compenso reale, in quattro casi l'affitto riguarda quasi l'intera superficie. L'estensione delle venti aziende rilevate supera, in complesso, i 1.000 ettari per il 78% formata dalla SAU. Le dimensioni delle aziende variano tra un minimo di 6,2 e un massimo di 129,7 ettari con una media di 53,2 ettari. Circa i due terzi della SAU complessiva risultano condotti biologicamente (558 ettari); in particolare 17 aziende hanno destinato al biologico più del 50% della SAU e nove di queste hanno convertito al biologico l'intera superficie agricola utilizzata. La utilizzazione del suolo è ripartita tra i seminativi (490,1 ettari) e le coltivazioni legnose (68,2 ettari). In particolare 14 aziende presentano un indirizzo cerealicoloforaggero (strettamente legato alla zootecnia) mentre le coltivazioni legnose, realizzate in 6 aziende, sono costituite da oliveti ad eccezione di un'azienda che conduce un noccioleto biologico e di una seconda che conduce un agrumeto. Le colture biologiche più rappresentative risultano le foraggere (347 ha), il frumento duro (102 ha) e l'olivo (58 ha). Le foraggere sono rappresentate da veccia, avena, orzo, trifoglio alessandrino, festuca (...) coltivate in rotazione o avvicendate; i cereali rappresentati dal frumento duro appartengono alle varietà Duilio, Simeto e Appulo; la produzione di olio si ottiene da oliveti centenari e le varietà risultano la Santagatese e la Minuta. Le produzioni di foraggere (sia fieno che foraggio fresco) e di cereali sono destinate all'alimentazione degli animali presenti in azienda. Il valore totale della PLV biologica delle aziende rilevate si è calcolato, secondo i criteri esposti in metodologia, pari a oltre 1 miliardo di lire (poco più di 2.000.000 L/ha) e risulta composto per il 55% dal valore commerciale della produzione (612 milioni) e per il 45% dall'importo di premi e sovvenzioni (506 milioni); il solo premio derivante dall'adozione del metodo biologico (misura A2 del Reg. CEE 2078/92) costituisce circa il 30% della PLV. Il reddito lordo aziendale determinato è risultato nel complesso poco più di 700 milioni di lire (1,3 milioni di lire ad ettaro) per l'incidenza (38,7%) dei costi colturali (espliciti). I costi di maggiore incidenza risultano quelli determinati dalle operazioni meccaniche e manuali; in particolare per i salari rivolti a compensare la manodopera extraziendale e familiare per le operazioni di raccolta delle olive e per la potatura; in genere le aziende effettuano le lavorazioni meccaniche con mezzi propri e raramente ricorrono al noleggio. Il costo per gli acquisti dei mezzi tecnici è assai modesto (10%); i fertilizzanti sono impiegati in modo discontinuo e vengono acquistati solo in pochi casi: si è imputato un modesto costo per l'utilizzazione del letame aziendale. L'estensione a foraggere biologiche determina un finanziamento complessivo ex 2078/92 di circa 200 milioni nelle 13 aziende rilevate (oltre 15,5 milioni ad azienda). Come riportato in precedenza, la valutazione dei risultati economici delle foraggere ha richiesto delle operazioni di stima, infatti queste vengono utilizzate per l'alimentazione del bestiame aziendale sia con il pascolamento che con lo sfalcio. Il valore dei foraggi prodotti si è, quindi, assunto pari al prezzo di affitto (1) delle superfici a pascolo che, nella zona, varia da 400 mila lire per ettaro a un milione, in funzione della "ricchezza" del foraggio; pertanto si è prestata attenzione a valutare il pregio alimentare in relazione alla composizione della foraggera ed alle condizioni colturali. Appare piuttosto nettamente il ruolo dei premi nella composizione del valore della produzione (45,7%), mentre i costi risultano modesti (400 mila lire/ettaro) e vincolati alla spesa per l'acquisto delle sementi che assume un valore medio di 191 mila lire/ettaro e di poche operazioni di lavorazione del terreno. Il frumento duro viene coltivato in otto delle aziende rilevate per una produzione complessiva di circa 1.300 quintali. La resa risulta modesta (circa 15 q/ha) ed anche il prezzo di vendita appare inferiore a quello della produzione convenzionale; non esiste, infatti, una "filiera" del frumento ma l'utilizzazione è frequentemente zootecnica. La PLV complessiva risulta di 158 milioni, quasi l'80% della quale è determinato da premi e integrazioni.·
L'olivicoltura, rinvenuta in 6 aziende si estende su una superficie di 58 ettari; la resa totale di olive è di 198,8 quintali e la resa in olio di 486 quintali, destinati all'autoconsumo o ad un circuito "commerciale" strettissimo costituito dalle relazioni di parentela ed amicizia. Le varietà utilizzate sono la Santagatese e la Minuta. Mediamente la resa in olive si attesta intorno a 33 quintali per ettaro con oscillazioni tra 23,8 e 45 quintali di olive per ettaro e rese in olio del 25%. La quotazione commerciale rilevata è di 6.0008.000 L./kg che conduce a valutare una PLV di circa 80 milioni sulla quale minore risulta l'incidenza delle incentivazioni (circa il 30%) mentre l'incidenza del costo di produzione è da attribuire per il 70% ai salari familiari ed extrafamiliari. Il reddito lordo medio per ettaro è di 6,4 milioni di lire e varia tra 3,9 e 8,6 milioni di lire in relazione alla resa colturale in olive, che appare comunque modesta. Il costo di produzione in media risulta di oltre 3 milioni di lire e la maggior incidenza è da imputare al costo delle operazioni colturali (meccanizzate e manuali), che rappresentano circa il 98% dei costi per ettaro (il 30,6% da attribuire ai costi sostenuti per le operazioni meccaniche e il 67,4% per quelle manuali). I costi di produzione delle aziende si presentano piuttosto vicini al valore medio e solamente l'azienda 8 si discosta dalla media per la elevata incidenza dei salari extrafamiliari e delle operazioni meccanizzate (4,2 milioni di lire/ha). Non si sono rilevate operazioni tese al controllo delle avversità entomologiche in quanto i danni causati dalla "mosca dell'olivo" sono poco consistenti nelle aziende poste a quota 500 m s.l.m. e per la presenza di una olivicoltura destinata esclusivamente alla produzione di olio. I costi sostenuti per le operazioni manuali sono da imputare alle operazioni di raccolta e alla potatura. Il tempo medio impiegato per la raccolta è di 225,6 ore/ha (da 116 a 315 ore/ha). Successivamente le drupe raccolte vengono ammassate nei magazzini e raggiunta la quantità minima lavorabile vengono inviate, per la molitura, ai frantoi. Il prezzo medio per la molitura si aggira intorno alle 270 L/K di olive lavorate. In media il costo delle operazioni manuali per ettaro è circa 2,9 milioni di lire, composto per oltre il 51% da manodopera extrafamiliare e il resto da mano dopera familiare (i parenti del conduttore svolgono parte del lavoro durante il periodo della raccolta). Le superfici pascolative del territorio (rappresentate dalle superfici destinate a seminativo, a pascolo e dalle superfici boscate) quasi sempre vengono sfruttate dalle aziende zootecniche con allevamenti poco intensivi e le colture realizzate, pertanto, sono destinate all'alimentazione del bestiame, sia che si tratti di erbai e pratipascoli che di cereali quali frumento e orzo. Nelle 15 aziende rilevate a indirizzo cerealicolozootecnico il numero di capi allevati risulta composto da 598 bovini, 760 ovini, 711 caprini. Le produzioni animali quindi rappresentano una componente dell'attività delle aziende agricole che operano nel settore dell'agricoltura biologica, infatti la quasi totalità delle aziende impiega le risorse naturali rinnovabili (deiezioni zootecniche, colture foraggere, leguminose e cereali) che contribuiscono a salvaguardare e migliorare la fertilità del suolo a lungo termine e allo sviluppo di un'agricoltura sostenibile; questa tendenza sembra essere in linea con il regolamento n. 1804/99 relativo alle produzioni zootecniche biologiche.

L'indagine nel Parco dell'Etna
Le aziende che commercializzano prodotto biologico, riescono a spuntare prezzi superiori a quelli del prodotto convenzionale in misura anche superiore al 100%. Si tratta di aziende che applicano il metodo biologico da molti anni, ancora prima del Reg. CEE 2092/91, sia piccole che grandi come estensione, che certificano ed eseguono a proprie spese le analisi sul prodotto. La rilevazione diretta ha riguardato quindici aziende, pari al 20% delle aziende biologiche individuate all'interno del Parco dell'Etna; di queste, 7 ricadono nel Comune di Bronte, 3 nel territorio di Sant'Alfio, 2 nei Comuni rispettivamente di Castiglione di Sicilia e Biancavilla e infine una nel territorio comunale di Randazzo. La collocazione altimetrica risulta concentrata verso quote medioalte, 3 aziende sono localizzate intorno ai 1.000 m s.l.m. e le restanti tra i 600 e i 900 m s.l.m. La maggior parte delle aziende, attratte dal contributo finanziario, ha adottato l'agricoltura biologica dal primo anno di applicazione del Reg. CEE 2078/92; fanno eccezione tre aziende che applicavano il metodo colturale biologico ancor prima della emanazione del Reg. CEE 2092/91. Di queste, una vende l'olio d'oliva prevalentemente certificato biologico, una vende il pistacchio come convenzionale sul mercato locale e la terza, da alcuni anni, si limita ad eseguire il minimo delle operazioni colturali per percepire il contributo ma ha sostanzialmente rinunciato al biologico per problemi di mercato. Una sola azienda esercita l'attività agrituristica e applica il metodo biologico per valorizzare il servizio prestato. Delle aziende rilevate, tutte imprese individuali, i due terzi, quelle di dimensioni maggiori (11 ha in media), sono capitalistiche e capitalistichecoltivatrici e conducono l'88,9% della SAU biologica. Le tre aziende condotte con sola manodopera familiare sono estese mediamente 3,5 ettari ed insistono sull'8,6% della SAU biologica. Due le aziende condotte con manodopera familiare prevalente, di piccola dimensione (in media 1,5 ha) investono solamente il 2,5% della SAU biologica rilevata. Il titolo di possesso dei terreni, generalmente è la proprietà dell'intera superficie aziendale (80% delle aziende e 79% della superficie aziendale complessiva); in due aziende si sono riscontrate superfici in affitto ma per una di queste riguarda una proprietà familiare e non comporta la corresponsione di un compenso reale. Infine, una sola azienda presenta, su poco più del 50% della superficie (12 ettari), un contratto di comodato. Tutte le aziende rilevate sono dotate di fabbricati (in media 245 mq) prevalentemente in muratura, adibiti ad abitazioni e magazzini, in diversi casi viene considerata l'eventualità di destinarli all'agriturismo. Le aziende rilevate sono generalmente in possesso di un parco macchine completo. Tra i problemi incontrati nell'attuazione dell'agricoltura biologica, gli imprenditori lamentano in particolare quelli fitosanitari: la psilla nel pero, la cimice nel nocciolo e la cosiddetta campa (2) nel pistacchio; gli alti costi per la raccolta, in particolare per il nocciolo ed il pistacchio (3) che costringe spesso gli imprenditori a prelevare solo parte del prodotto o non raccoglierlo in annate con basse rese. Sotto il profilo gestionale si lamenta il ritardo nell'erogazione dei premi e la difficoltà della commercializzazione dei prodotti biologici che si vorrebbe maggiormente promossa e valorizzata da iniziative pubbliche. La superficie complessiva delle aziende rilevate è di 138 ettari, di cui l'89% è costituita da SAU biologica, la restante parte è ricoperta prevalentemente da tare (5%), boschi di castagno e roverella (4%), piante di olivo sparse (2%). La coltivazione biologica costituisce mediamente il 98% della SAU. Il valore della PLV biologica delle aziende rilevate è pari a circa 376 milioni (poco più di 3.000.000 L./ha). Esso è formato per il 51% dal valore commerciale della produzione (194 milioni) e per il 49% dall'importo del premio derivante dal Reg. CEE 2078/92 misura A2 (183 milioni). La PLV per ettaro, mostra il massimo valore per la coltura del pistacchio (4,65 milioni/ettaro) ed il nocciolo (3,54,6 milioni/ettaro); per queste colture si rilevano i valori più bassi d'incidenza dei costi e dei premi sulla PLV. Nel complesso, il reddito lordo aziendale è pari a 234 milioni. Le colture biologiche rilevate, e più rappresentative all'interno dell'area protetta, sono il nocciolo (65,8 ha), il pistacchio (13,2 ha), la vite da vino (13,8 ha), l'olivo da olio (12,1 ha), il pero (5 ha) ed il melo (2,9 ha). La superficie a nocciolo, presente in quattro aziende, riceve un finanziamento ex 2078/92 di circa 108 milioni. La produzione di nocciole complessiva è di 550 quintali con resa media di 10 q/ha. La PLV si aggira intorno ai 222 milioni (circa 3.600.000 L./ha), formata per il 49% dal premio 2078/92. Il reddito lordo per ettaro oscilla intorno ai 2,3 milioni ed i costi riguardano prevalentemente le operazioni manuali, per lo più svolte con l'impiego di salariati. Risultano assenti le operazioni colturali rivolte alla fertilizzazione e al controllo delle fitopatie, eccetto per una azienda, di 28 ettari, che esegue un trattamento contro la cimice (spese del prodotto a carico del SOPAT) che, peraltro, non ha dato buoni risultati, ed una concimazione fogliare (spese prodotto 50% a carico del SOPAT). Solamente quest'azienda vende le nocciole come biologiche, nella Provincia di Messina, le altre anche se certificano il prodotto, lo immettono sul mercato del prodotto convenzionale. Il pistacchio risulta prevalentemente coltivato in quattro aziende, per lo più a conduzione familiare, con una produzione media annua totale di 50 quintali (la raccolta si effettua ad anni alterni). Il prodotto viene tutto immesso sul mercato locale insieme al convenzionale. La PLV unitaria si aggira intorno ai 5 milioni per ettaro, costituita per il 33% dal premio. Il reddito medio lordo per ettaro varia da 2,7 a 4,5 milioni ed i valori più bassi si hanno essenzialmente nelle aziende con maggiore quantità di lavoro meccanizzato. Come nella coltivazione del nocciolo, anche per il pistacchio non si eseguono fertilizzazioni. I trattamenti antiparassitari sono rivolti al controllo della campa, attraverso l'impiego di poltiglia bordolese e/o olio bianco. Le tre aziende con vite da vino, presentano una resa di 1011 quintali a ettaro, per una produzione totale di 150 quintali. La PLV complessiva risulta di circa 39 milioni, coperta per il 58% dal premio. Il reddito lordo per ettaro varia da 1,2 a 2 milioni, in relazione alla quantità di lavoro impiegato. In genere, le operazioni colturali appaiono piuttosto sommarie, in particolare, le fertilizzazioni non vengono eseguite. L'olivicoltura si è rilevata in due aziende. In una si estende su una piccola superficie ed il prodotto viene destinato all'attività agrituristica mentre nell'altra interessa l'intera SAU (10,83 ettari); tuttavia circa metà dell'impianto è ancora poco produttiva e determina una resa media annua di 4,2 quintali per ettaro. Quest'azienda riesce a vendere come biologico (13.000 L./litro) solo una piccola parte (circa 100 litri) dell'olio prodotto (in tutto 9 quintali). Presenta una PLV di circa 19,2 milioni di lire, formata per il 53% dal premio. Il reddito lordo per ettaro è pari a poco più di un milione. L'azienda esegue le pratiche di fertilizzazione mentre sporadici risultano i trattamenti fitosanitari. Tra i costi di produzione incidono maggiormente le operazioni manuali ed in particolare la raccolta. Il pero, rinvenuto in tre aziende, determina una produzione molto bassa (35,6 quintali), dovuta soprattutto alle scarse rese per gravi danni da psilla. La PLV complessiva risulta di 12 milioni e notevole è il ruolo dei premi nella sua composizione (70%). Il reddito lordo per ettaro è molto basso (mediamente 542.000 L./ha), aggravato, oltre che dalla scarsa produzione, dall'elevato costo per i controlli antiparassitari e le pratiche di fertilizzazione. Inoltre, il prezzo del prodotto (de stinato interamente al mercato convenzionale) è molto basso (1.000 L./Kg). Di contro, il melo generalmente non presenta problemi fitosanitari e di mercato. Le tre aziende che lo coltivano determinano una produzione di 48 quintali (circa 15 quintali per ettaro) destinata al mercato locale convenzionale. La PLV totale risulta pari a 10 milioni e il 47% del valore è determinato dal premio. Il reddito lordo per ettaro oscilla tra 1 e 1,8 milioni. Tra i costi assumono un significativo peso quelli sostenuti per i trattamenti fitosanitari e le pratiche di fertilizzazione.

L'indagine nel Parco delle Madonie
Sono state rilevate 11 aziende per una superficie totale di 520 ettari per il 94% costituiti dalla SAU (494 ha). Queste ricadono nei Comuni di Polizzi Generosa (1), Scillato (3) Collesano (3), Castelbuono (1), Cefalù (1); inoltre, le superfici di due aziende ricadono tra i Comuni di PollinaCastelbuono Cefalù e CastelbuonoGeraci. In media l'adozione dell'agricoltura biologica ha riguardato il 70% della superficie coltivata (341 ha) mentre poco più di un terzo delle aziende applica il metodo biologico sull'intera superficie. In tutte le aziende rilevate si è riscontrata la conduzione diretta con ricorso a manodopera extrafamiliare che spesso supera in quantità la manodopera familiare. Il 63% dei conduttori svolge la propria attività esclusivamente in azienda e nel 25% dei casi le aziende si avvalgono del lavoro dell'intera famiglia, contrastando la tendenza della zona che vede le forze attive agricole in contrazione. Il regime di possesso registra una incidenza delle superfici in affitto del 48% sul totale delle superfici rilevate; nella maggioranza dei casi i rapporti di locazione avvengono tra membri della stessa famiglia. In 2 casi l'affitto riguarda l'intera superficie aziendale mentre in 6 di esse è assente. Nelle restanti l'incidenza delle superfici affittate varia dal 53% al 96,5%. Nelle aziende esaminate si è rinvenuta una presenza generalizzata, sebbene piuttosto eterogenea, di fabbricati. La superficie coperta totale risulta di 4.180 mq e varia da un minimo di 60 mq a un massimo di 1.300 mq. Solo 3 delle aziende rilevate usufruiscono della certificazione dei prodotti e sono quelle che seppur in modo discontinuo commercializzano sul mercato del prodotto biologico. La conversione al metodo biologico è avvenuta scalarmente negli anni ma solo dopo l'attuazione del Reg. CEE 2078/92. Le aziende rilevate sottendono una superficie complessiva di 525 ettari, 492 dei quali di superficie agraria utilizzata. L'estensione dedicata all'agricoltura biologica risulta di 345,8 ettari (70%); infatti, otto aziende risultano biologiche per più del 50% e quattro di queste lo sono integralmente. Le colture biologiche si ripartiscono interamente tra seminativi (169 ettari) ed arboreti (176,8 principalmente oliveti e qualche agrumeto) mentre le altre superfici sono costituite prevalentemente da pascoli e boschi. In particolare 4 aziende hanno un orientamento colturale prevalentemente cerealicoloforaggero a destinazione zootecnica (4), 5 aziende hanno un orientamento olivicolo e 2 aziende frutticolo (agrumi e ficodindia). L'80% degli agrumi (i limoni) e il 66% dell'olio sono collocati sul mercato dei prodotti biologici: è da notare che queste sono le produzioni di 2 aziende. Delle restanti quantità di agrumi prodotti il 6% è piazzato sul circuito convenzionale e il 12% resta invenduto. Delle produzioni d'olio non collocate sul mercato dei prodotti biologici il 17% è venduto sui circuiti convenzionali, il 4% è adibito ad autoconsumo e il 12% resta invenduto. Per ciò che riguarda le produzioni foraggere, siano esse fieno o foraggi freschi, sono generalmente utilizzate per l'alimentazione degli animali in azienda fornendo solo una piccola parte delle unità foraggere necessarie. I cereali e le leguminose da granella sono per la totalità utilizzate per l'integrazione alimentare degli animali. Per ciò che riguarda la produzione di grano duro il 64% è venduto sul mercato convenzionale e il 46% è utilizzato per l'integrazione alimentare degli animali. La produzione di fichidindia è tutta venduta al mercato convenzionale mentre della produzione orticola solo il 50% è piazzato sul mercato convenzionale, il resto rimane invenduto. Nel complesso la PLV delle aziende rilevate risulta di 1,4 miliardi di lire pari in media a 4,5 milioni per ettaro ma è fortemente variabile con gli ordinamenti colturali. Il contributo dei premi e integrazioni alla formazione della PLV è sostenuto (32%) e per oltre la metà è determinato dalle provvigioni per l'agricoltura biologica (17,4%). In relazione alle colture ed alle estensioni le aziende ricevono annualmente tra 2,3 e 173 milioni di contributi pari ad una media di circa 40 milioni ad azienda (1,3 milioni per ettaro). L'ammontare dei premi per l'agricoltura biologica risulta di 245 milioni circa (700.000 lire per ettaro). Il valore del reddito lordo aziendale supera, nel complesso, il miliardo di lire (circa 3 milioni per ettaro); i costi di maggiore incidenza risultano quelli determinati dagli acquisti di materiali e servizi (spese varie) e, in particolare dall'esecuzione delle operazioni meccanizzate, incidenza di poco inferiore si riscontra per i salari rivolti a compensare la manodopera extraziendale, particolarmente onerosa per le operazioni di raccolta nell'olivo. La coltura dell'olivo è praticata in 6 delle aziende analizzate per una produzione totale di 3.854 q di olive e di 827 q di olio. La superficie totale risulta 153,6 ha; in aziende assai difformi per superficie (da 3 a 70 ha) e produzione di olive, in media 16,7 q/ha ma che oscillano da 7 a 52,5 q/ha. Le rese medie in olio variano dal 15% al 30% (in media 22,5%); parimenti le produzioni per ettaro di olio, in media di 3,7 q, variano da 1,1 a 10,5 q/ha. I frantoi della zona sono numerosi ed alcuni sono autorizzati al trattamento delle olive da coltivazione biologica. Il prezzo medio richiesto per la molitura è di circa 25.000 lire per quintale di olive lavorate. L'olio, generalmente, non viene imbottigliato ma venduto al frantoio o direttamente in azienda al dettaglio. I prezzi realizzati oscillano da 500.000 a 1.000.000 L./q; il prodotto certificato biologico spunta prezzi superiori solo quando viene imbottigliato raggiungendo la cifra di 17.000 L./l (1.900.000 L./q). L'esigua quantità di prodotto imbottigliato viene destinata all'esportazione mentre le aziende più piccole destinano buona parte dell'olio prodotto all'autoconsumo. I risultati economici conseguiti dalle aziende olivicole non si prestano ad una interpretazione univoca poiché per alcune aziende, e per la n. 10 in particolare, si notano degli scostamenti dalla media, delle rese colturali e dei prezzi di vendita, estremamente accentuati. La produzione unitaria di olive in cinque delle sei aziende risulta compresa tra 7 e 14 q/ha che, abbinata a prezzi di vendita dell'olio variabili da 500.000 a 900.000 lire per quintale, determina valori della PLV prossimi ai 2 milioni per ettaro (ad eccezione di un'azienda con 5,6 milioni per ettaro). L'azienda n. 10, in ragione di una resa colturale dichiarata di 52 q/ha di olive (10,5 q/ha di olio) valorizzata dal più alto prezzo di vendita consentito dal parziale imbottigliamento della produzione, raggiunge un valore della PLV di 13,7 milioni per ettaro. Analoghe osservazioni si possono condurre in merito ai valori risultanti per il reddito lordo aziendale. Sebbene sembri possibile una parziale sopravvalutazione dei risultati, questi appaiono anche indicativi di una potenzialità meglio espressa in un'azienda condotta con criteri agronomici più rigorosi, è l'unica che dichiari fertilizzazioni consistenti e operazioni di potatura regolari, e che meglio valorizza commercialmente la produzione. Gli incentivi di cui godono le aziende olivicole biologiche ammontano a circa 256 milioni incidendo per oltre un quarto sulla formazione della PLV. In particolare il premio per l'agricoltura biologica costituisce una frazione compresa tra il 16,6 e il 52,8% della PLV; ovviamente costituisce eccezione l'azienda n. l 0 che per l'alto valore della produzione riceve un contributo per l'agricoltura biologica (49 milioni) che incide di meno (6,8% della PLV). I costi di produzione appaiono assai più omogenei attorno al valore media di poco inferiore ai 2 milioni per ettaro; le differenze più evidenti sono da attribuire alle modalità di esecuzione delle operazioni manuali e tra queste alla regolarità delle potature. La coltura del grano è praticata soltanto da due delle aziende rilevate; la produzione complessiva risulta di 1250 q realizzata su 85 ha (resa media 15 q/ha). Soltanto la metà del prodotto viene venduta sui circuiti convenzionali e spunta un prezzo di 28.000 L./q. La parte rimanente viene destinata all'alimentazione animale. Il valore complessivo della PLV ammonta a 141.420.000 lire e si ripartisce quasi esattamente tra le due aziende; infatti, mentre la differenza di rese produttive dichiarata conduce a valori dissimili della produzione la forte componente costituita dai premi (75% della PLV tra 2078/92 e integrazione) determina il riavvicinamento dei va lori di produzione lorda vendibile. I costi medi per ettaro sono determinati prevalentemente dalle operazioni meccanizzate mentre modesta è l'incidenza dei salari. Il valore del reddito lordo aziendale risulta di 42,7 e 45,4 milioni nelle due aziende. La coltivazione delle foraggere è presente in 4 aziende cerealicolozootecniche per una superficie complessiva di 55 ha. Il fieno prodotto è generalmente piazzato sui circuiti convenzionali e spunta un prezzo medio di 29.000 L./q. La quantità immessa sul mercato è il 34% circa del totale. La parte rimanente viene destinata all'alimentazione degli animali aziendali. Poiché i foraggi sono parzialmente reimpiegati per l'attività zootecnica, non biologica, si è valutato la PLV realizzabile cedendo il foraggio franco azienda di produzione. Anche in questo caso appare rilevante l'apporto che proviene dal sostegno all'agricoltura biologica (38% della PLV). Il costo di produzione, quasi esclusivamente da attribuire alle operazioni meccanizzate ed all'acquisto di sementi, incide per circa 640.000 lire per ettaro e conduce a valutare il reddito lordo aziendale pari a circa 1,4 milioni per ettaro.

Considerazioni conclusive
L'agricoltura nei tre parchi naturali regionali in Sicilia soffre fortemente i fenomeni di marginalizzazione e regressione che affliggono in modo generalizzato larga parte del mondo agricolo dell'Isola, tuttavia continua a rivestire un ruolo importante tanto sotto il profilo sociale per l'elevata incidenza degli attivi agricoli che sotto il profilo ambientale per le vaste superfici che ancora detiene. L'agricoltura biologica si conferma un importante strumento per contenere l'esodo rurale e per l'assetto del territorio grazie alla sua capacità di mantenere buoni livelli di attività e contrastare i fenomeni di abbandono dell'agricoltura. Tuttavia questi risultati non si possono considerare durevoli perché determinati in maniera troppo rilevante dal supporto economico fornito attraverso i programmi agroambientali e gli altri regimi di sostegno e troppo poco dalla capacità reddituale delle aziende. In particolare si è constatato come la vendita di prodotti biologici costituisca più l'eccezione che la regola e come non sia in atto alcun processo di valorizzazione delle risorse ambientali all'interno dell'attività agricola biologica, come l'agriturismo sia pressoché assente nelle aziende biologiche, e come i prodotti vengano assorbiti in circuiti convenzionali e spesso paracommerciali basati su rapporti individuali e con significativa incidenza dell'autoconsumo. Le prospettive a medio termine potrebbero consentire ancora una relativa stabilità, i programmi di sviluppo rurale e le misure agroambientali continueranno ad alimentare flussi finanziari verso queste realtà ancora per alcuni anni, infatti mentre si andranno esaurendo le provvigioni previste dal Reg. CEE 2078/92 relative alle ultime sottoscrizioni, si attiveranno nuove risorse attraverso il Piano di sviluppo rurale che concentra le (poche) risorse primariamente nelle aree protette e di interesse naturalistico e quindi nei tre parchi. Oltre l'orizzonte 20002006 delineato negli atti programmatori è difficile prevedere i possibili sviluppi dello scenario agroambientale ma la perpetuazione della situazione attuale, in quanto artificiosa, appare poco sostenibile nel lungo periodo. La realtà osservata non è però priva di spunti interessanti che suggeriscono potenziali sentieri di sviluppo con articolazioni specifiche per i tre parchi. L'attività agricola nel Parco dei Nebrodi nei confronti intercensuari appare in contrazione (22% degli attivi agricoli in condizione professionale tra il 1971 e il 1991) tuttavia costituisce ancora una occasione occupazionale rilevantissima assorbendo il 34% degli attivi. La caratterizzazione più spiccata è quella dei pascoli e dei seminativi in buona parte destinati alla zootecnia basata sugli allevamenti ovini e bovini ma consistenti superfici sono utilizzate dall'olivicoltura e, con minor incidenza, dalla corilicoltura. La situazione dell'agricoltura biologica all'interno del parco è apparsa coerente con l'assetto agricolo più generale del territorio ad eccezione dell'attività zootecnica che solo di recente è stata codificata dal Reg. CE 1804/99 e che quindi non è ancora rappresentata. Proprio l'emanazione della normativa sulla zootecnia biologica può costituire una grande occasione per valorizzare le estensioni a foraggere biologiche oggi esistenti che, assieme ai pascoli naturali, sfruttando le norme transito rie di attivazione del regolamento, possono costituire la base ideale per un'attivazione rapida, quasi immediata, delle produzioni zootecniche biologiche. In aiuto dovrebbe intervenire anche la misura agroambientale (F1b) del PSR che prevede di finanziare i pascoli naturali facenti parte di aziende zootecniche biologiche con un contributo che nelle aree protette è di 450 euro/ha. L'agricoltura nel territorio del Parco dell'Etna assorbe ancora il 27,8% della popolazione attiva in condizione professionale; rispetto agli altri parchi è più marcatamente orientata alle colture frutticole e, tra queste, in particolare alle colture del nocciolo e del pistacchio. Completano il panorama dell'arboricoltura significative estensioni frutticole, pero e melo, nonché la viticoltura da vino e l'olivicoltura. Sono relativamente meno presenti i seminativi e le attività zootecniche. Le colture del pistacchio e del nocciolo conferiscono una caratterizzazione molto forte del territorio alla quale si accompagna una gastronomia tipica di grande pregio che annovera numerose specialità dolciarie; ne sono esempio rinomato i prodotti della Condorelli di Belpasso ma si può ipotizzare una maggiore valorizzazione della dolceria etnea. Anche in questo caso l'agricoltura biologica rilevata rispecchia l'orientamento colturale del territorio e riconferma tutte le difficoltà agronomiche e commerciali di un'agricoltura disagiata per l'asprezza del territorio ma di grande valenza paesaggistica. I pistacchieti e noccioleti sono spesso più assimilabili a formazioni boschive che tipicamente agricole e potrebbero costituire il supporto per una maggiore diffusione dell'attività agrituristica che nel territorio avrebbe il vantaggio dell'eccezionale attrattività costituita dalla natura vulcanica e dalla possibilità di flussi turistici invernali legati all'escursionismo ed alla presenza degli impianti sciistici. Il Parco delle Madonie è interessato tanto da una forte presenza di attività cerealicolo zootecniche e di estensioni pascolative, quanto da colture legnose agrarie basate sull'olivicoltura (64%) e sulla viticoltura; in posizione più marginale ma di interesse sono anche la corilicoltura e la frassinicoltura. L'involuzione dell'agricoltura montana e collinare si riflette nella forte concentrazione della poporazione nei centri abitati, pur tuttavia l'attività agricola continua ad essere fortemente praticata e coinvolge il 27,4% della popolazione attiva. L'agricoltura biologica si caratterizza ancora una volta per la tendenza a permanere più saldamente sul territorio rispetto all'agricoltura convenzionale e le superfici medie delle aziende con agricoltura biologica risultano superiori alla media. Le aziende biologiche osservate suggeriscono anche in questo caso diversi sentieri di sviluppo: la zootecnia biologica che al pari di quanto osservato per il Parco dei Nebrodi, può valorizzare le foraggere biologiche e l'olivicoltura. Qualche riflessione più specifica può essere sviluppata proprio in merito a quest'ultima: mentre le aziende rivelano una forte approssimatività colturale, che si limita a qualche lavorazione del suolo e irregolari potature, un'azienda sembra condotta secondo criteri piuttosto rigorosi e valorizza la produzione attraverso un imbottigliamento di parte del prodotto e una commercializzazione più efficace sul mercato dei prodotti biologici. I risultati di questa appaiono assai più favorevoli in termini di rese e reddito e ne riducono la dipendenza dalle provvigioni pubbliche. Ovviamente un caso isolato può non essere riproducibile ma sembra indicativo. Il quadro generale dell'agricoltura biologica nei parchi, ma il discorso sembra generalizzabile, rivela una sorta di incentivazione alla non agricoltura. La normativa ha fin qui consentito il percepimento di somme consistenti indipendentemente dal risultato colturale e l'incidenza dei premi nella formazione della PLV lo dimostra chiaramente. Molti imprenditori trovano conveniente adottare una gestione minima delle colture, riducendo quanto più possibile i costi, e rinunciando a perseguire buone rese produttive. Un simile approccio non può certo costituire un modello di sviluppo ma un adattamento alquanto precario e di breve periodo. La normativa più recente introduce dei correttivi vincolando la corresponsione dei premi alla commercializzazione biologica di almeno il 50% della produzione. Anche queste precauzioni tuttavia non garantiscono che i comportamenti osservati non si ripetano e, peraltro, non sembrano sufficienti per passare da un intervento a supporto dell'agricoltura (biologica) ad un incentivo capace di avviare processi di sviluppo locale. Perché questo avvenga è necessario che si attivino iniziative di sistema capaci di realizzare sinergie tra iniziative imprenditoriali che valorizzino le maggiori risorse del ter ritorio. Lo strumento che maggiormente sembra adattarsi al perseguimento di queste finalità sembra, oggi, da ricercare all'interno delle politiche di sviluppo locale basate sul modello dei patti territoriali. Anche nel Piano di sviluppo del Mezzogiorno, per il futuro prossimo venturo, si ipotizza una organizzazione dei territori locali per Progetti integrati territoriali (PIT); peraltro questi progetti, configurano una modalità operativa che aderisce in maniera piena alla logica ed al metodo dei patti territoriali che, guarda caso, si potrebbero configurare fin da ora come una particolare modalità attuativa dei citati PIT. I patti territoriali costituiscono uno strumento che sta suscitando vasti consensi e diffuse iniziative da parte delle comunità locali, anche la comunità madonita è promotrice di un Patto delle Madonie. Tuttavia, i primi riscontri ottenuti in recenti studi sull'esperienza pattizia in Sicilia suscitano una certa perplessità segnalando una propensione a fare dei patti delle semplici aggregazioni di iniziative assai poco collegate tra loro e quindi incapaci di promuovere quelle sinergie che si considerano alla base dei processi di sviluppo. L'attuazione da parte della regione degli strumenti programmatori deve però trovare riscontro in una recettività locale ad intraprendere modalità di azione innovative; nel caso dei parchi naturali, i possibili promotori di iniziative di sviluppo dovrebbero potersi individuare nelle comunità locali e nell'apporto determinante degli Enti Parco. Se infatti si sono potute osservare importanti potenzialità in termini di risorse territoriali e culturali, tuttavia, affinché queste possano tradursi in sentieri di sviluppo incisivi a lungo termine sull'assetto dei territori e delle comunità, è necessario far funzionare armoniosamente il meccanismo della programmazione negoziata che ha i suoi attori principali all'interno delle forze sociali e della pubblica amministrazione.

 

* Università di Palermo

 

Note

  • (1) Si intende per affitto l'acquisto di erba in piedi.
  • (2) Il termine identifica genericamente i danni causati sui frutti e sui rametti da curculio nucum, palomena prasina e operea linearis.
  • (3) Generalmente, per le altre colture, si è rivalutata la vendita del prodotto all'albero.
  • (4) La zootecnia è principalmente rivolta all'allevamento ovicaprino (796 capi); si sono, inoltre, rinvenuti 45 equini e 61 bovini.