Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 32 - FEBBRAIO - 2001


Per ricostruire il rapporto uomo - natura
di Roberto Gambino
 

Quale ruolo potrà svolgere il parco naturale nel modellare il nostro futuro? e più precisamente nella ricostruzione del rapporto uomo/natura, che con ogni evidenza rappresenta una delle sfide centrali del nuovo millennio? La domanda, soprattutto in prospet tiva europea, non è certo banale. Non ci si può infatti nascondere che, nonostante o forse a causa della spettacolare crescita che i parchi naturali hanno conosciuto nella seconda metà del XX secolo (in Europa, decuplicato il numero dei parchi), il loro ruolo e la loro stessa concezione sono radicalmente in crisi. In modo apparentemente paradossale, al successo indubbio delle politiche dei parchi, all'impetuoso incremento del loro impatto economico, sociale e culturale, ha corrisposto una crescente consapevolezza dei limiti di tali politiche e della necessità di "andar oltre" i parchi, ripensandone missioni e significato.
L'immagine tradizionale del parco naturale sembra riflettere fin dalla nascita, a metà dell'Ottocento, la separazione tra natura e cultura. Nell'immaginario collettivo, la persistente bipolarizzazione dei due opposti stereotipi - il parco naturale e il centro storico - incarna la divisione tra due diversi sistemi di valori, tendenzialmente non comunicanti, potenzialmente confliggenti. La celebrazione della natura, nel pensiero dei padri dei primi parchi (a partire da F.L.Olmsted, fondatore del Parco di Yosemite) occupa un posto centrale nei miti di fondazione del "nuovo mondo", ma resta la motivazione dominante nell'istituzione dei primi parchi europei, fino almeno agli anni ‘50 o ‘60 (anche se l'equiparazione crociana tra le bellezze naturali e quelle artistiche nell'unicità dell'emozione estetica già colora in modo peculiare l'esperienza italiana negli anni ‘20, in cui nascono i nostri primi grandi parchi e, non casualmente, le prime leggi di tutela del patrimonio).
Nella vicenda americana, l'enfasi sulla wilderness - come irrinunciabile ricerca "solitaria" della natura selvaggia ed inviolata - si è spesso caricata di toni anti-urbani, non privi di analogie con quelli che connotano l'espansione "privatistica" dei suburbia e degli exurbia (E. Carr, 2000) che ospitano "il popolo delle villette" lontano da quello dei grattacieli. Ma anche nelle vicende europee, un vasto arsenale di metafore e luoghi comuni (i santuari della natura, gli ultimi paradisi, le arche di Noè) testimonia il radicamento "naturalistico" delle concezioni correnti dei parchi naturali. Ed è interessante osservare che tali concezioni persistono anche quando - a causa soprattutto della diffusione dei parchi naturali verificatasi dagli anni ‘60 in avanti, che ha fatto sì che essi si trovino sempre più spesso localizzati in prossimità o all'interno di contesti densamente urbanizzati - non trovano più riscontro che in una piccola parte delle aree effettivamente protette. Non casualmente, la maggior parte delle aree protette europee è classificata a livello internazionale (IUCN, 1994) nella categoria dei "paesaggi protetti", che implica la fusione di valori naturali e culturali, mentre nel 1998 uno dei maggior parchi italiani, quello del Cilento e Vallo di Diano, è stato riconosciuto dall'Unesco come "paesaggio culturale" di rilevanza mondiale.
L'idea tradizionale del parco naturale continua a contrapporsi, nell'immaginario collettivo, all'idea della città come luogo centrale del "progetto moderno": il logos che si contrappone alla physis, il "cantiere del cambiamento" descritto nelle rappresentazioni rinascimentali, l'espressione suprema delle tensioni utopiche e innovative che percorrono il territorio abitato, la manifestazione concreta ed esclusiva della cultura contemporanea, fonte di ogni produzione di ricchezza. Anche quando il teatro principale del cambiamento è ormai migrato dalla città verso le frontiere mobili della "metropoli senza confini", anche quando sono ormai recisi i rapporti organici che ancora nella visione ottocentesca di Carlo Cattaneo la legavano alla campagna in un "corpo inscindibile" e nelle limpide geometrie funzionali del Christaller alla sua "regione complementare", anche quando la città destrutturata e "decontestualizzata" si dissolve negli spazi esterni rurali e naturali completamente profanati o smantellati, e la produzione di ricchezza e di nuovi valori è sempre più spesso sovrastata dalla produzione delle "nuove povertà ambientali" e di esternalità pesantemente negative. In questi nuovi scenari, la separazione natura/cultura, emblematicamente riflessa nella contrapposizione parchi/città disegna una prospettiva intrinsecamente fallimentare, come dimostrano da un lato i processi, apparentemente inarrestabili, di continua erosione del patrimonio di biodiversità e di progressiva espansione delle "impronte ecologiche" delle città (segnale allarmante del loro crescente "debito" energetico e biologico nei confronti del territorio circostante) e, dall'altro, la crescita di domande sociali, largamente inappagate, di "natura", di paesaggio e di qualità ambientale: in una parola, di vivibilità. In questo senso, anche i tentativi di "andare oltre i parchi" (Romano, 1996) con politiche sicuramente importanti e irrinunciabili, come quelle per le "reti ecologiche" (concepite come reti di infrastrutturazione ecologica del territorio complessivo), mostrano i loro limiti, nella misura in cui si propongano di salvare il territorio abitato agendo sugli spazi e le risorse naturali, senza intaccare i processi insediativi e produttivi, da cui la funzionalità e la sopravvivenza di quegli stessi spazi e di quelle stesse risorse inevitabilmente dipendono (A.V.,2000). Ed è proprio in questi nuovi scenari urbani e territoriali che va quindi ripensato il rapporto tra parchi e città, tra conservazione della natura e innovazione antropica, tra le "domeniche della vita" e la quotidianità del lavoro e dell'abitazione.

1, paesaggi culturali e significato culturale dei paesaggi.

La Convenzione europea del paesaggio recentemente approvata dal Consiglio d'Europa va in questa direzione. Essa parte dalla constatazione che il paesaggio, risultante dall'interazione continua tra fattori naturali e culturali, costituisce una componente fondamentale del patrimonio ereditario, e stabilisce che la sua protezione "si applica all'intero territorio europeo, interessando gli spazi naturali, rurali, urbani e peri-urbani", riguardando "sia i paesaggi rimarchevoli che quelli ordinari, tutti condizionanti la qualità della vita della popolazione".
Ovviamente, ciò è particolarmente vero nei "parchi abitati" che costituiscono la grande maggioranza dei parchi regionali europei ed una quota rilevante degli stessi parchi nazionali, che son veri e propri "working landscapes". Ed è ancor più vero in quei parchi che presentano un'elevata densità di testimonianze storiche e di valori culturali, come spesso avviene in Italia.
Ma il superamento della tradizionale seprazione natura/cultura ha un significato più generale. Esso richiama la nostra attenzione sulla rilevanza culturale che va riconosciuta anche in quelle aree in cui i valori naturali sono dominanti - come in molti grandi parchi del Nord Europa o nelle remote aree montane - o dove gli antichi insediamenti sono stati abbandonati. Come ha stabilito la Convenzione delle Alpi firmata nel 1991 dai paesi alpini, i territori montani, compresi quelli mai sfruttati dall'uomo, hanno un intrinseco significato culturale, riconosciuto a livello mondiale: le Alpi non sono soltanto un grande fatto naturale, sono anche uno straordinario edificio antropologico-culturale e un complesso sistema economico e sociale nel cuore dell'Europa. In questa prospettiva, i processi di declino economico e demografico che investono larga parte dei territori rurali - configurando una "transizione" di dimensioni epocali - stanno diventando un problema cruciale, in cui la conservazione del paesaggio e gli interessi culturali possono confliggere con le crescenti opportunità di rinaturalizzazione e di espansione della "wilderness". Mentre, da un lato, tali processi disegnano nuovi promettenti scenari, dove le pressioni e le interferenze antropiche sulle dinamiche naturali possono essere ridotte od eliminate, dall'altro le opzioni culturali e la tutela del patrimonio paesistico possono spesso richiedere politiche volte a mantenere la presenza umana e le attività tradizionali, assicurando la "cura" del territorio. Tali politiche possono essere altresì richieste, in determinate condizioni, per la difesa del suolo e per la prevenzione dei rischi idrogeologici. Inoltre, i problemi di "manutenzione" del territorio si legano alle preoccupazioni per la conservazione della biodiversità: sembra diffondersi in Europa la consapevolezza delle connessioni storiche tra la biodiversità e la diversificazione paesistica e culturale, nella misura in cui la conservazione della prima richiede la gestione attiva di stadi successionali altamente instabili, strettamente legati alla frammentazione territoriale ed alle diversificazioni economiche, sociali e culturali pregresse.
Tutto ciò implica che la biosfera non può essere separata dalla sociosfera e dalla semiosfera, nè i significati culturali dai valori naturali, con evidenti riflessi nella concezione e nel ruolo dei parchi, sullo sfondo di importanti evoluzioni del pensiero contemporaneo (Cini, 2000). Il superamento di quella separazione, sollecitato dagli evidenti fallimenti del progetto moderno, non può certo prescindere dalla "riscoperta dell'anima" (Hacking, 1996) che costringe la scienza a rimisurarsi con le implicazioni retoriche e cognitive delle battaglie spirituali, dall'irruzione del "bello e del sacro" nell'agire scientifico (Bateson, 1989) che incrina le false oggettività delle strategie cognitive, dalla consapevolezza che esiste, come già avvertiva Lorenz (1974), l'"altra faccia dello specchio" e che l'evoluzione filogenetica si lega all'evoluzione culturale, dalla dissoluzione di ogni pretesa di assumere la "naturalità della natura" e la "datità" dell'ambiente naturale come quadro sicuro ed immobile di riferimento. Evoluzioni importanti, che sembrano delineare una nuova "etica della responsabilità" (Jonas, 1997) di fronte alla dilatazione globale ed alle ripercussioni di lungo termine degli attuali processi decisionali.
Il crescere delle incertezze - che consegue alla crescente imprevedibilità dei processi reali ma anche alla crescente consapevolezza che "non si conosce mai abbastanza"- alimenta le paure ed induce, o dovrebbe indurre, al senso del limite e alla pratica della prudenza, nei confronti degli altri e delle generazioni future. In questa luce, il rapporto natura/cultura è destinato a mutare. L'etica della responsabilità globale e lo sviluppo di una nuova "riflessività sociale" (Giddens, 1997) inducono certo a respingere l'hybris della cultura occidentale (Bateson, 1972), la pretesa arrogante di dominare la natura e di scaricare sui posteri il rischio degli insuccessi, pongono in discussione l'"impeto prometeico" (per usare la celebre espressione che il Gottmann dedicava all'epopea americana) del progetto moderno. Ma implicano anche l'impegno a "prendersi cura della terra", a "collaborare con la terra" (come raccomanda l'Adriano della Yourcenar), evitando di lasciare le cose come stanno, di rifugiarsi dietro alla passiva accettazione dei processi di degrado in atto.

2, parchi e contesto territoriale.

Nell'esperienza dei parchi europei, l'integrazione dei parchi nei loro contesti territoriali è diventata un problema centrale. L'importanza e l'attualità di questo problema sono in primo luogo legate alla richiamata diffusione spaziale dei parchi naturali (Ced-Ppn, 1994-2000). Molti di essi sono ora localizzati in prossimità o all'interno delle aree urbanizzate e industrializzate, o comunque esposti a crescenti pressioni, tanto più minacciose quanto più piccola è la loro dimensione (meno di 400 km2 in media, meno di 50 km2 per il 32% di loro). Una parte rilevante (21%) è costituita da vere e proprie "isole assediate", piccoli spazi naturali o semi-naturali circondati da un contesto crescentemente ostile, mentre un'altra parte (3%) è costituita da quelli che appaiono a tutti gli effetti parchi urbani. Molti (parecchi parchi regionali soprattutto italiani e francesi, molti parchi dei Lander tedeschi, ed anche non pochi parchi nazionali) ospitano importanti insediamenti umani o sono circondati da essi. La diffusione spaziale dei parchi ha infatti incrociato cambiamenti importanti nei processi economici, sociali e culturali - primo fra tutti la diffusione urbana degli ultimi decenni - che hanno profondamente modificato i problemi da affrontare dentro ed attorno alle aree protette. L'inquinamento, le devastazioni e i rischi derivanti dall'urbanizzazione, spesso sottratta ad ogni ragionevole controllo, dalle infrastrutture e dal turismo, o dalla "modernizzazione" dell'agricoltura e delle attività silvopastorali, hanno un impatto sulle condizioni ambientali dei parchi assai più aggressivo e irreversibile di quello tradizionalmente esercitato dalla caccia e dalla stessa agricoltura o pastorizia, anche quando si manifestano all'esterno dei perimetri protetti.
Le reazioni degli ecosistemi interni dipendono sempre più da ciò che avviene nelle bioregioni in cui ricadono. Data la piccola dimensione di molti parchi europei, i rischi dell'"insularizzazione", con tutte le conseguenze negative sulla biodiversità, sono largamente diffusi.
I problemi della protezione ambientale e della conservazione della natura dentro ai parchi sono perciò sempre più interrelati coi problemi e i conflitti dello sviluppo economico e sociale dei loro contesti territoriali.
I temi dello sviluppo sostenibile stanno assumendo un significato specifico per gran parte dei parchi europei. E' questa la ragione per cui essi sono sempre più concepiti come essenziali laboratori per la ricerca di più sostenibili percorsi di sviluppo, con la sperimentazione di nuovi modelli d'interazione tra processi sociali e processi naturali e di nuove attività basate sulla conservazione anzichè lo sfruttamento distruttivo della natura. In molti casi l'istituzione di un parco riflette appunto la speranza che esso possa funzionare da "motore di sviluppo" per un'area sfavorita.
Ma questi obbiettivi concernono l'intero territorio, non le sole aree protette. Perciò le politiche dei parchi debbono integrarsi in politiche territoriali più ampie.
Come l'Iucn affermava nel 1996, ciò richiede di pianificare "adottando gli ecosistemi o le bioregioni come la scala geografica appropriata per i programmi di gestione delle risorse, nell'ambito dei quali le aree protette sono inglobate come componenti di un paesaggio diversificato, comprendente aree agricole, boschi di produzione, bacini di pesca, insediamenti umani e infrastrutture".
Se consideriamo la pianificazione dei parchi in Europa (dove il 66% dei parchi è dotato di piano o lo sta formando) notiamo una tendenza emergente a tentare di connettere i parchi e gli altri spazi naturali con le reti ecologiche. Reti locali e regionali possono essere concepite come parti della Rete Ecologica Europea, lanciata nel 1993 dalla Conferenza di Maastricht sul patrimonio naturale, volta ad applicare il principio di sostenibilità e particolarmente "a sviluppare la resilienza dei sistemi naturali nei confronti di avversi cambiamenti ambientali", riducendo i rischi di insularizzazione. In questo quadro trans-scalare, i parchi possono essere visti come nodi importanti delle reti interregionali, e, nel contempo, come reti locali di nodi costituiti da differenti aree o risorse.
E questa concezione può essere ulteriormente arricchita prendendo in considerazione, oltre alle connessioni ecologiche, anche i "corridoi ambientali" (per usare l'espressione coniata da Ph. Lewis nel 1964), basati su strade e percorsi, formazioni boschive ed altre configurazioni naturali che possono favorire l'appropriata fruizione delle risorse naturali e culturali dentro e fuori delle aree protette. E' questa, in definitiva, la concezione soggiacente alcuni importanti progetti, come, in Italia, il Progetto APE (Appennino Parco d'Europa).
Nonostante il loro interesse strategico, le reti ecologiche non bastano a trattare la complessità degli attuali ecosistemi, soprattutto in quelle aree caratterizzate da "naturalità diffusa" che ancora interessano buona parte dei territori rurali europei. In queste aree il problema focale è quello di preservare la qualità e la continuità della "matrice ecologica" risultante dall'interazione tra componenti antropiche e naturali. E ciò richiede la considerazione dei bisogni, delle attese e dei comportamenti delle comunità rurali. Più in generale, l'espansione della protezione ambientale all'intero territorio non può evitare di far riferimento alla pianificazione e alla gestione paesistica, che in molti paesi europei sta assumendo grande rilievo. Queste tendenze suggeriscono l'emergere di nuovi concetti sul ruolo territoriale dei parchi, pensati sempre più come parti integranti e inseparabili di sistemi più vasti: e questa considerazione potrà avere un impatto notevole sul quadro istituzionale in cui la conservazione della natura è chiamata a muoversi nel prossimo futuro.

3, i parchi come processi socioculturali.

Le considerazioni precedenti assumono ancora maggior peso se si considera il crescente pluralismo dei processi decisionali per il governo del territorio. L'espansione spaziale delle politiche di conservazione non può infatti non basarsi sulla cooperazione tra molti attori e molte istituzioni.
Come notava l'IUCN nel 1996, essa va supportata "con azioni che incoraggino la cooperazione tra i proprietari dei terreni, gli abitanti e le comunità locali, i produttori e gli utenti delle risorse; l'uso di incentivi economici, agevolazioni fiscali, permute e altri meccanismi per promuovere la conservazione della biodiversità; e lo sviluppo di capacità tecniche ed amministrative che incoraggino i portatori locali d'interessi, le istituzioni accademiche e di ricerca e le agenzie pubbliche ad armonizzare i loro sforzi".
L'approccio cooperativo riflette ovviamente la necessità del consenso, ben sperimentata nell'esperienza dei parchi europei: "le aree protette possono sopravvivere solo se sono viste come un valore, nel senso più ampio: per la nazione nel suo insieme e per le popolazioni locali in particolare".
Ma la pianificazione e la gestione cooperativa implicano anche la ricerca di sinergie e complementarietà che possano produrre un "valore aggiunto" e consentano di raggiungere risultati che non potrebbero essere raggiunti dai singoli attori. In particolare, esse possono favorire l'"empowerment", il rafforzamento del governo locale e degli attori locali, direttamente coinvolti nella gestione delle risorse, accentuandone le responsabilità. E' interessante notare che in Europa, nonostante le grandi differenze nei contesti politici e istituzionali, l'orientamento ad approcci inter-governativi e cooperativi sta emergendo anche in paesi la cui legislazione è ancora permeata da ordinamenti gerarchici (come, nel caso italiano, sembra suggerire la stessa L.394/1991, parzialmente corretta a questo riguardo dalla L.426/1998).
Per effetto dell'orientamento cooperativo, si può osservare nell'ultimo decennio un importante spostamento d'attenzione, da parte dei pianificatori, degli operatori e dei politici, dai "prodotti" della loro attività (piani, progetti, regole e realizzazioni) ai "processi" con cui essi possono esere conseguiti. Le esperienze di pianificazione e di gestione hanno in effetti mostrato che i processi sociali di presa delle decisioni, di formazione ed attuazione dei piani (come fare, con chi fare, con quali mezzi) sono spesso più importanti dei loro risultati.
E' questa, ad esempio, la prospettiva del programma della Scozia ("Lavorare con la popolazione scozzese per prendersi cura del nostro patrimonio naturale") o del recente programma del Peak District National Park inglese ("Modellare il futuro": primo documento per il nuovo Management Plan): queste ed altre esperienze sembrano condividere il concetto di "lavorare insieme" con l'esperienza americana delle Greenways (in particolare con quella esemplare dell'Hudson River Greenway).
In questa prospettiva i processi di negoziazione tra differenti portatori d'interessi stanno assumendo crescente importanza per la risoluzione dei conflitti ambientali, come pure il confronto esplicito dei differenti interessi, con la considerazione di tutti i costi e benefici associati ad ogni scelta di conservazione o di sviluppo.
Pianificare un parco sta diventando sempre più un processo complesso d'interazione sociale ed istituzionale, basato su intese e concertazioni, scambi di conoscenza e valutazione incrociata: il "social learning", i processi d'apprendimento collettivo stanno diventando più importanti dei vincoli e dei comandi che ogni singolo decisore (a cominciare dalle autorità di gestione dei parchi) è in grado di stabilire. La pianificazione cooperativa (o il "compact planning" di derivazione americana) sta diventando la regola, ancorchè non esplicitamente prevista dal quadro istituzionale e legislativo. Sempre più, il parco tende ad essere visto come un processo sociale, economico e culturale, anzichè come un evento calato dall'alto in una realtà aliena.

4, il ruolo specifico dei parchi nella valorizzazione conservativa del territorio.

Nel prossimo futuro, i parchi sembrano quindi destinati a svolgere un ruolo significativo nei processi di conservazione attiva e di valorizzazione di compendi straordinari di risorse naturali-culturali, come "nodi d'eccellenza" delle reti volte a supportare lo sviluppo sostenibile dell'intero territorio. Essi non possono più essere concepiti come isole di natura incontaminata, messe al riparo dai processi economici e sociali e governate da istituzioni separate; anche se molti di essi continueranno ad offrire un'esperienza essenziale di natura ed in generale richiederanno forme speciali di protezione istituzionale contro le minacce rappresentate da molti processi antropici.
Ma queste considerazioni non sono sufficienti a chiarire il ruolo specifico dei parchi. Infatti, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale-culturale e la ricerca di forme sostenibili di sviluppo non riguardano solo i parchi ma l'intero territorio.
C'è dunque una missione specifica che solo i parchi possono adempiere nel modellare il nostro futuro?
Un connotato distintivo dei parchi naturali è fin dalla loro nascita (ed attraverso l'evoluzione di più di un secolo) il loro valore simbolico emergente.
Esso va molto oltre il loro valore ecologico nel cogliere, di regola, peculiari mescolanze di "bellezza naturale", di unicità paesistica, di significati storici e di rilevanza culturale. Come traccia o memoria della nostra relazione con la natura, essi sono potenti, insostituibili "metafore viventi" di una nuova possibile alleanza tra l'uomo e la terra.
Questa missione non è lontana dalle motivazioni spirituali ed educative che animavano i padri dei primi parchi naturali a metà dell'800 (Fein, 1972); ma sta diventando ancora più importante nell'attuale società della comunicazione. Il ruolo comunicativo dei parchi è destinato, nel prossimo futuro, a prevalere su ogni preoccupazione "funzionale".
Una nuova partnership tra processi sociali e naturali implica d'altronde un'adeguata comprensione di come le dinamiche ecologiche ed i vincoli ambientali influenzano le scelte umane e sono a loro volta influenzati da esse.
I parchi naturali hanno offerto, fin dalla loro nascita, uno straordinario terreno di sperimentazione per la ricerca scientifica.
La ricerca, la pianificazione e la gestione dei parchi hanno contribuito in misura notevole all'avanzamento della conoscenza scientifica della natura ed ai tentativi di "progettare con la natura", come raccomandava McHarg (1969).
Questo contributo sta diventando sempre più insostituibile, soprattutto in Europa, in relazione alla devastazione ed al degrado degli spazi naturali.
Ad esso si associa la missione educativa: i parchi sono sempre più spesso concepiti come punti focali per l'educazione ambientale. Mediante le attività di comunicazione e di "interpretazione" (che, non a caso, occupano uno spazio crescente nelle politiche dei parchi) si può aiutare la gente ad imparare a vivere in armonia con la natura.
Infine, le politiche dei parchi svolgono un ruolo di crescente importanza nella valorizzazione delle identità locali, vale a dire nei confronti delle sfide centrali della globalizzazione.
Nell'esperienza europea, i parchi sono sempre più spesso concepiti come strumenti essenziali di rivalutazione e rafforzamento dei valori, delle specificità e delle culture locali. Localizzati spesso in aree "perdenti", esposte al declino economico, sociale e culturale, essi possono essere visti dalle comunità locali come un potente mezzo per affermare i loro diritti, le loro competenze e la loro identità collettiva.
Come espressione di una nuova, seppur confusa e controversa, soggettività territoriale, essi aprono spazi strategici al "progetto locale" (nel significato ampio e complesso datogli da Magnaghi, 2000).
A questa condizione, essi possono contribuire efficacemente ad evitare il rischio che la conservazione dei valori locali si inaridisca in una difesa nostalgica e senza speranza del passato, inserendo tali valori in reti aperte di innovazione e di sviluppo sociale e culturale.