Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 32 - FEBBRAIO - 2001


Parchi di costa, Parchi di mare
di Renzo Moschini
 

Nel dibattito sulle aree protette per la verità piuttosto discontinuo e spesso ‘nervoso' il ‘comparto' delle aree protette marine appare assolutamente defilato e marginale. In più occasioni si è avuto anzi l'impressione di un vero e proprio fastidio, quasi una insofferenza da parte anche di ambienti e sedi a questo preposte ,ad un serio approfondimento di aspetti la cui problematicità e contraddittorietà si evidenzia sempre più da mano a mano che le aree protette marine escono dagli elenchi per prendere finalmente corpo in esperienze concrete ancorchè tardivamente e tuttora in numero limitato.
Insomma sembra proprio di toccare un nervo scoperto che suscita reazioni talvolta indispettite, comunque scarsamente disponibili al dialogo quasi che le cose non meritassero alcuna seria verifica e riflessione .
Ecco, in questa nota noi vorremmo affrontare alcuni aspetti che invece a nostro giudizio non solo richiedono una attenta e pacata verifica ma anche sollecite correzioni di indirizzo nella gestione e nella stessa normativa delle aree protette marine.E per quanto possa apparire superfluo o scontato non è male ribadire in premessa che quando si parla di aree protette marine (per ora assemblate in questa formula assolutamente inadeguta nella sua genericità) ci si riferisce pur sempre ad aree protette da considerarsi a tutti gli effetti parte non separata anche se specifica del sistema complessivo.
Da anni in tutti i documenti e protocolli internazionali le aree protette terrestri sono sempre accomunate con un ‘o' o una barretta a quelle marine. Con il che certo non si intende disconoscerne le peculiarità che sono innegabili come lo sono del resto quelle di altre numerose tipologie di aree protette la cui diversa ‘classificazione' e tipologia non ne fa venir meno però-ecco il punto-le strette connessioni e affinità dovute principalmente alle loro comuni finalità che prevalgono su qualsiasi altra connotazione e diversificazione istituzionale o d'altro genere.
L'integrazione terra-mare è concetto chiave non solo nei casi più evidenti di aree protette costiere e litoranee ma anche nelle situazioni di più accentuata specificità marina in cui non viene mai meno l' interdipendenza tra i due momenti.E già qui in effetti si presenta un primo rilevante problema dovuto al modo come nel nostro paese si è giunti a disciplinare il sistema delle aree protette sul piano nazionale.
E' noto che nell'82 con la legge cosiddetta del mare (la 979) fu prevista la istituzione di un ventina di riserve marine che facevano capo al Ministero della marina Mercantile la cui gestione era affidata ad una Commissione di riserva presieduta dalla Capitaneria di porto che poteva ‘eventualmente' essere affidata in base ad una convenzione ad associazioni scientifiche e ambientaliste.
Sul piano nazionale nonostante che in una serie di regioni si fossero varate leggi e istituiti parchi regionali, mancava una qualsiasi normativa sulle aree protette che il Parlamento avrebbe varato soltanto nel dicembre del 91.
Qui ci imbattiamo in una singolarità se non in una vera e propria anomalia che come vedremo segnerà il percorso successivo della legislazione sulle aree protette; in un paese che da decenni ha alcuni parchi storici privi di una normativa nazionale di riferimento la prima legge a carattere nazionale in materia riguarda ‘solo' le riserve marine. Ora come sappiamo la legge sul mare di fatto fino al 91 (ed anche dopo) non produrrà effetti tangibili ma riuscirà ugualmente a segnare con un marchio di ‘settorialità' una materia che meno di qualsiasi altra può sopportarla. Fino al 91 infatti mentre è già entrato in funzione il nuovo Ministero dell' Ambiente veniamo a trovarci in questa curiosa situazione;i parchi nazionali e le riserve dello stato fanno capo al ministero dell'agricoltura,le riserve marine al ministero della marina mercantile. Un caso davvero esemplare di disarticolazione e di confusione che non potrà non ripercuotersi sugli sviluppi successivi. Quando il Parlamento varerà la legge quadro n.394 è chiaro che questa situazione condizionerà negativamente talune scelte. Un tributo ,ad esempio,viene pagato al Ministero dell'Agricoltura rinviando ad un tempo successivo la definizione del regime di gestione che intanto resta alle sue dipendenze.
E' il ‘compenso' per la perdita della titolarità sui parchi nazionali tanto è vero che i previsti 6 mesi di tempo fissati dalle legge per definire il passaggio delle riserve ai parchi e alle regioni diventeranno quasi 10 anni .
Anche il Ministero della marina Mercantile viene ‘compensato' lasciandogli sia pure sulla base del ‘concerto' con il Ministero dell'Ambiente ,la titolarità delle riserve marine con tutto il suo armamentario;Consulta del mare etc. Qualcosa naturalmente cambia; i parchi marini sono equiparati a quelli nazionali terrestri, mentre le riserve però non vengono meglio definite.Nell'insieme tanto il vecchio elenco della 979 quanto quello nuovo aggiuntovi dalla 394 non specificherà quali dovranno essere parchi e quali riserve.Il che determina questa strana situazione ,che mentre la 394 definisce sia pure con quei ‘compromessi' gestionali di cui abbiamo parlato a proposito del Ministero dell'Agricoltura ed anche di del Ministero della Marina Mercantile cosa sono i parchi e cosa sono le riserve (ma non come dovranno essere gestite), per le aree protette marine il quadro rimane confuso e indistinto tanto è vero che nei due elenchi si parla indifferentemente di parchi e riserve senza precisare quando ricorrano i requisiti e le caratteristiche degli uni e delle altre.
L'altra novità è che le riserve marine che rientravano in base alla legge sul mare nel piano delle coste e della difesa del mare ora rientrano anch'esse nel piano triennale per le aree protette.
Un importante passo in avanti verso la ‘integrazione' dei vari tipi di aree protette lo si registra qualche anno dopo con il passaggio delle competenze in materia dal Ministero della marina Mercantile al Ministero dell'Ambiente con conseguente abrogazione della Consulta del mare che si accompagna peraltro alla abrogazione del comitato per le aree naturali protette e del piano triennale in virtù delle leggi Bassanini e della istituzione della Conferenza Stato-Regioni. Ma come avremmo visto anche alla prima conferenza nazionale dei parchi e nel corso della stessa indagine della Camera sulla attuazione della legge 394 sul punto non si registrano significativi e tangibili passi in avanti perché mentre da un lato la situazione permane ‘confusa' riguardo alla ‘tipologia' delle aree protette marine, dall'altra la pervicacia con cui si ‘rivendica' allo Stato la esclusiva e assoluta titolarità del comparto genererà come a Portofino (ma non solo) sconcertanti ‘parti' con proliferazione di organismi gestionali su cui torneremo.
Qui premeva evidenziare che con la abrogazione delle sede preposta anche alla classificazione verso la quale in verità sia i ministeri che ne facevano parte che le regioni avevano mostrato un totale e ostentato disinteresse, cala definitivamente la tela al punto che anche nei tre parchi nazionali Asinara, Maddalena, Arcipelago Toscano non viene ‘escluso' di affiancare all'ente di gestione del parco una commissione di riserva per la parte marina ,con tanti saluti all'integrazione terra mare,alla semplificazione,efficacia etc etc.
A questo punto vorremmo passare ad una analisi un po più ravvicinata non senza sottolineare però che per quanto questi aspetti abbiano pesato e continuino a pesare negativamente sui risultati piuttosto deludenti di questi quasi venti anni di politica per la protezione marina ad essi non può evidentemente essere addossata l'intera responsabilità che va evidentemente ricercata anche in altre e diverse direzioni che non sono però oggetto di queste note.
Detto questo per evitare fraintendimenti ed equivoci va anche ribadito che sbagliano profondamente coloro che considerano questi profili della questione poco più che pretesti e fumosità in nome di un concretezza che sembra escludere dal novero delle cose che contano davvero gli assetti istituzionali. Insomma conterebbe il ‘cosa' fare e non anche il ‘come' e il ‘chi' deve farlo. Ora, specie di questi tempi appare francamente poco sostenibile e persino assurdo operare questa ‘distinzione' quasi che il cosa non dipendesse strettamente e indissolubilmente anche dal chi e dal come.
Di pretestuoso in tutto questo almanaccare,rassicurare,minimizzare e in definitiva eludere ,c'è soltanto la ricerca di scuse che non stanno in piedi per evitare una verifica che non può più essere rinviata o disattesa.
Nel primo Codice delle Aree Protette edito da Giuffrè nel 99 Ornella Ferraiolo riguardo alle aree protette marine scrive che trattasi di una legge ‘insufficente a realizzare la tutela delle aree protette marine e costiere predisposte a livello internazionale dal Protocollo di Ginevra e che rispetto a quest'ultimo ,i decreti istitutivi delle riserve costituiscono altrettanti provvedimenti complementari di attuazione'... ‘Questa circostanza unita alla pluriennale disapplicazione delle norme relative al piano generale di difesa del mare e delle coste ha indotto a parlare fondatamente di clamorosa inattuazione della legge 979'.
La legge 394 ha operato una scelta ‘che si può definire complessa . La complessità - se non l'ambiguità - è palese già all'art 2 relativo alla classificazione delle aree naturali protette, nel quale l'ambiente marino ricorre in relazione ai parchi nazionali e ,in misura minore regionale, quindi sub-specie riserve naturali e da ultimo come categoria autonoma all'interno della quale,secondo l'oscura lettera della disposizione si ‘distinguono le aree protette come definite ai sensi del protocollo di Ginevra relativo alle aree del Mediterraneo' che rimanda sul punto ad accordi tra Stati.
La conclusione di questa analisi è che "il legislatore non sembra avere valutato negativamente la sovrabbondanza di strumenti normativi , nonostante i problemi interpretativi e di coordinamento che essa, a prima vista, solleva". Fin qui la Ferraiolo.
A me pare evidente che il legislatore ha voluto stabilire una sorta di continuità tra le due leggi tanto da assumere la prima - anche sotto il profilo programmatorio - nella seconda. Ma proprio da questo raccordo comprensibile da un punto di vista generale data la evidente e innegabile ‘affinità' tematica tra le due leggi derivano anche l'ambiguità e l'oscurità di una normativa che non ha tenuto sufficiente conto delle discrepanze tra due leggi divise non soltanto da un buon numero di anni ma ancor più da due diverse concezioni della gestione delle politiche di tutela.
Questa ‘distanza' tra le due leggi la si può cogliere plasticamente proprio in riferimento al tipo di gestione previsto per le aree protette. Nel caso della legge 979 la gestione era incardinata nel ministero di settore e in una struttura operativa quale la capitaneria di porto a cui si affiancavano presenze miste istituzionali e scientifiche in posizione assolutamente subalterna tanto che di esse si poteva fare anche a meno prevedendo la legge la eventualità di un passaggio della gestione ad altri enti o associazioni.
Senza riandare ad un dibattito ormai tanto lontano e dimenticato può non essere inutile ricordare qualche ‘passaggio' particolarmente significativo che può aiutare a inquadrare più correttamente clima e contesto in cui quelle decisioni maturarono.
Intanto va detto che il Disegno di Legge presentato dal Governo nel Marzo del 1980 al Senato non conteneva alcun riferimento alle riserve marine e così pure il testo approvato e inviato alla Camera nel Gennaio dell'81. E' alla Camera infatti che il testo viene integrato ‘con la disciplina delle riserve marine con la previsione di una gestione attiva e diretta affidata alla cooperazione ed aperta anche al volontariato' come dirà la Commissione Trasporti in sede legislativa. L'obiettivo è soprattutto quello di raccordare -con felice scelta - come verrà detto, la disciplina dei parchi marini con la recente legge sulla pesca (n 41 del 1982). Si può già notare l'impiego dei termini riserve e parco come se fossero equivalenti.
Quando nell'Ottobre dell'82 il nuovo testo licenziato dalla Camera con questa importante integrazione tornerà al Senato in sede di Commissione agricoltura il relatore Melandri lo stesso incaricato di coordinare le varie proposte di legge sui parchi nazionali,osserverà che ora sarà opportuno coordinarle con il testo sui parchi per evitare ‘sovrapposizioni' e palesi incoerenze.. Non se ne farà niente e resterà inascoltata anche la richiesta di distinguere le riserve marine da quelle costiere. Diffusa è la preoccupazione di un eccesso di vincoli e quindi da più parti si sottolinea l'esigenza di coinvolgere soprattutto i pescatori nella gestione. Taluno rileverà criticamente il fatto che si sia voluto applicare alle riserve marine gli stessi criteri adottati per la difesa dei parchi terrestri.
La lettura degli atti conferma una certa qual confusione e approssimazione in un dibattito che incrocia quello già avviato ma ancora molto lontano da una sua positiva conclusione sui parchi nazionali. Alle tante e diverse perplessità il ministro della Marina Mercantile risponderà che sono preferibili comunque soluzioni legislative flessibili "in modo da consentire una differenziazione nella regolamentazione delle riserve marine anche alla luce del primo comma dell'art 26, che prevede la consultazione dei Comuni e delle Regioni interessati". Il ministro rassicurerà anche sulla portata e il carattere dell'elenco delle riserve che non va considerato tassativo "ma fa riferimento ad una serie di aree".
Anche da queste poche a rapide annotazioni si può agevolmente comprendere quanto diversa e di tutt'altro segno fosse la legge quadro 394 che operava una scelta a carattere nettamente e organicamente istituzionale del tipo di quella sperimentata già in diverse regioni, prevedendo la istituzione di un ente di gestione a composizione ‘istituzionale' mista con l'aggiunta di presenze ‘culturali' e non ‘tecniche' in senso stretto.
Non si trattava di una differenza meramente tecnica come potrebbe sembrare ma di una importante innovazione che evidenziava una nuova concezione della tutela la cui responsabilità veniva per la prima volta a ricadere sull'intero sistema istituzionale chiamato a ‘collaborare lealmente'.
La legge 979 sulle ‘finalità' si faceva carico in qualche modo di quella esigenza di ‘integrazione' ormai acquisita nelle elaborazioni internazionali, tanto da stabilire all'art 27 che ‘qualora la riserva confini con il territorio di un parco nazionale o di una riserva naturale dello Stato il coordinamento fra la gestione della riserva marina e quella del parco nazionale ‘ è affidata all'ente di gestione del parco o della riserva se la fascia costiera demaniale costituisce parte integrante dell'ecosistema terrestre e non vi siano pertanto prevalenti ragioni di tutela dell'ambiente marino.
Ma quello che gli veniva a mancare non era soltanto la sponda regionale che non era presa in considerazione nonostante la presenza di molti parchi regionali, ma una scelta chiara e netta a favore della gestione istituzionale che rimaneva incardinata prevalentemente sul ministero della marina mercantile e su strutture e strumenti dotati di ben scarsa competenza e predisposizione in questa materia.
Con la legge 394 la scelta gestionale a favore delle istituzioni diveniva chiara e netta almeno per quanto riguarda i parchi nazionali ai quali quelli marini venivano equiparati sebbene come abbiamo già accennato neppure in questi casi secondo talune interpretazioni ‘ministeriali' verrebbe meno il ‘ruolo' della commissione di riserva che dovrebbe continuare ad affiancare l'ente di gestione del parco. Se poi trattasi di parco regionale di ‘integrazione' seppure ‘vigilata' non se ne parla proprio perché in questo caso la gerarchia istituzionale -in base alle dogmatiche interpretazioni ministeriali - fa aggio su tutto il resto anche se le conseguenze sono quelle che abbiamo visto non soltanto a Portofino, dove su un fazzoletto di territorio convivono un parco regionale e una riserva marina gestita da un consorzio di enti locali nonchè una commissione di riserva.
O come a Villasimius dove la delega al Comune si accompagna alla commissione di riserva presieduta dal Ministero e ad un istituendo organismo scientifico; tre organi per una riserva.
Se si pensa che in Francia un paese certamente non particolarmente generoso verso le autonomie locali il Parco Regionale di Armorique gestisce un territorio di 170000 ha di cui 60000 di oceano, appare abbastanza evidente che da noi c'è qualcosa che non gira nel verso giusto.
E questo qualcosa ha a che fare a nostro giudizio con due aspetti principali; il primo riguarda la mancata definizione e specificazione per le aree protette marine, come ora si preferisce definirle, di che cosa è un parco e cosa una riserva. Negli elenchi tanto in quello della 979 quanto in quello della 394 si continua a confonderli quasi che Ustica o Miramare fossero la stessa cosa delle Egadi e così via, salvo poi scoprire che si chiama Parco quello della Torre del Cerrano aggiunto alla serie da una inopinata decisione del Parlameto, che è appunto una torre e niente più.
L'altro aspetto è più squisitamente normativo e attiene al ruolo o meglio alla figura della Commissione di riserva la cui presidenza in base alla recente legge 426 non è più affidata alla capitaneria di porto ma ad un delegato del Ministero dell'Ambiente, mentre tutto il resto rimane inalterato.
Ma il passaggio di mano per quanto concerne la presidenza non ne cambia il ruolo che appare sostanzialmente ancora quello previsto dalla legge sul mare che però come abbiamo detto deve ora fare i conti con il nuovo tipo di gestione delle aree protette introdotto dalla legge quadro del 91.In altri termini; perché le aree marine protette debbono avere una gestione diversa da quella delle altre aree protette se le finalità come nessuno disconosce sono le stesse ?
Che senso ha e che cosa giustifica oltre che la perdurante confusione su cosa è un parco e cosa è una riserva il permanere per le aree protette marine di un organo gestionale ‘precedente' la legge 394 che viene ad aggiungersi e sovrapporsi a quelli previsti per tutte le aree protette dalla nuova normativa, generando come abbiamo visto contrasti e una vera e propria superfetazione burocratica ?.
Il quadro è reso ancor più pasticciato dal fatto che proprio la decantata da molti legge 426 ha voluto distinguere con un colpo di mano dell'ultimo momento le riserve statali da quelle marine.
In sostanza mentre per le riserve statali era detto che Stato e Regione agivano d'intesa al Senato si è emendato l'articolo sottraendo all'intesa le riserve marine. Evidentemente persino l'intesa era troppo per un settore che lo stato intende avocato interamente ai suoi desiderata ignorando peraltro che la legge 394 stabilisce almeno per le regioni speciali l'obbligo dell'intesa come ha più volte ribadito la Corte Costituzionale annullando provvedimenti istitutivi di riserve statali che dell'intesa mancavano. E che ciò riguardi anche le riserve marine risulta chiaro anche dal fatto che la stessa Corte -come ricorda anche la Ferraiolo- ha affermato che esse sono a tutti gli effetti riserve statali.
Sottrarre quindi le riserve marine ad una intesa con le Regioni non viola soltanto per quelle speciali una precisa norma la legge quadro, ma devia tutto un percorso ormai acquisito nella istituzione e gestione delle aree protette che vuole che in tutte le fasi siano coinvolte su un piano di pari dignità tutti i livelli istituzionali nessuno escluso. Perché questo è un altro effetto perverso e non il meno grave di questa scelta di avocazione totale allo Stato della gestione delle riserve marine; che esse sono soggette ad operazioni discrezionali senza alcuna garanzia per il sistema complessivo delle istituzioni che vede ora la Regione o la Provincia esclusi a seconda delle convenienze e opportunità ministeriali. Sempre che non si pretenda come nel caso di Lampedusa che la riserva statale si ‘annetta' l'area di pertinenza regionale di una regione speciale che almeno in questo campo ha il merito di avere -ed è forse l'unico caso- sperimentato forme di gestione ‘integrata' terra mare.
Ora come è noto la logica -o se si preferisce la ratio - delle leggi più recenti va nella direzione di garantire una ‘cooperazione' di tutti i livelli istituzionali, che nel caso delle aree protette è già presente nella legge 394, onde distinguere i vari ruoli a cominciare da quelli comunali fino allo Stato che deve conservare soltanto compiti di programmazione, indirizzo e non di gestione diretta.
Ma come abbiamo visto per le aree marine protette si viaggia su tut'taltra lunghezza d'onda tanto è vero che l'emendamento che è stato presentato alla Camera per ‘correggere' l'articolo della 426 dice che l'intesa ‘può' essere ricercata. Insomma la si fa se lo si vuole e lo si ritiene opportuno in base alla massima discrezionalità dello Stato. Ecco un caso in cui la toppa è peggio del buco.
Cosa produca questa situazione confusa in cui spicca chiaramente soltanto la ‘pretesa' dello Stato di agire come meglio ritiene lo si può verificare concretamente guardando alle riserve istituite che sono ancora poche come abbiamo detto e non tutte neppure a regime, in compenso però offrono già un campionario davvero singolare per cui in qualche caso c'è il consorzio in altre c'è anche la Provincia che altrove invece manca e così via.
Sostenere come taluno fa che in questo bazar ci sarebbe la positiva conferma e dimostrazione che non si intende seguire un ‘modello' rigido sfida prima ancora che la ratio della attuale legislazione di riforma amministrativa, il buon senso.
Come si può ragionevolmente asserire che l'impegno delle Province e delle Regioni può esserci ma anche non esserci ? A chi verrebbe in mente di sostenerlo in riferimento alle aree protette terrestri? Ma se vale per queste per quale misteriosa ragione non dovrebbe valere anche per quelle marine?
L'aspetto paradossale di tutta questa faccenda è che essa a giudizio di taluno proverebbe la piena acquisizione della titolarità delle aree protette marine da parte delle istituzioni elettive. A parte il fatto -certo non trascurabile- che questa acquisizione-se così vogliamo definirla- risale alla legge 394 con la piccola differenza che lì sono tutte le istituzioni che debbono essere coinvolte senza discriminazioni e discrezionalità di sorta come ha più volte ribadito anche la Corte Costituzionale.
Il mistero si chiarisce quando si aggiunge che nel ruolo fondamentale del Comune a cui il Ministero dovrebbe delegare le riserve sta appunto la prova di questa evoluzione che evidentemente ridimensionerebbe tanti timori e paure sulla vocazione centralistica dello Stato. Ma sta proprio qui il punto debole di tutto questo ragionamento che omette il fatto che una ‘delega' effettiva ha senso se coinvolge l'insieme delle istituzioni ‘liberando' lo Stato da compiti diretti di amministrazione e gestione.
Tanto ciò è vero che se andiamo a vedere i pochi casi concreti che vengono portati a dimostrazione tangibile di questo nuovo corso ci accorgiamo che la delega al Comune si accompagna non soltanto -come già detto- alla istituzione della Commissione di riserva e di un comitato scientifico,ma alla indicazione puntuale e dettagliata di cosa esso può o non può fare.
Vi sono al riguardo circolari ministeriali allucinanti nella loro maniacale pretesa di fissare i paletti dell'operato Comunale.
Il che conferma -se ce ne fosse ancora bisogno- che la ‘sola' delega al comune se non accompagnata da tutta un'altra serie di passaggi e di scelte lungi dall'aprire nuove strade rischia di incancrenire una situazione già largamente insoddisfacente.
Se è vero che il grembo centralistico è sempre fertile qui stiamo assistendo ad una vera e propria ‘degenerazione' tanto appare assurda questa occhiuta ‘vigilanza' di organi e sedi che dovrebbero dedicarsi a ben altre cose a cominciare dallo stabilire un quadro di interventi ‘nazionali' a sostegno delle aree protette marine che non possono continuare a rispondere a logiche e decisioni del tutto casuali.
Perché sia chiaro ciò che intendiamo dire; anche quando la riserva marina deve essere affidata ad un solo comune esiste o no il problema di 'corresponsabilizzare' Province e Regioni?
Può esserci solo un filo diretto Comune-Stato? Chi ha memoria sa benissimo che questo filo diretto (ed esclusivo) è un vecchio strumento centralistico largamente usato anche quando i sindaci non si presentavano più al centro con il cappello in mano.
Il Comune che deve gestire in nome della ‘sussidiarietà' il rapporto diretto deve averlo con Province e Regioni.
Lo Stato deve ‘delegare' (quando ha competenze e funzioni che non deve gestire direttamente) il che significa ‘affidare' alla responsabilità operativa del Comune le scelte e le decisioni sulla base delle ‘finalità' da perseguire. Finalità che il Comune in base alle nuove leggi deve gestire autonomamente definendo i suoi programmi con Province e Regioni.
O si pensa che le riserve marine di Ustica,Villasiumus o quant'altro non debbano coinvolgere anche la Provincia e la Regione?
Siamo così tornati a bomba; la gestione delle aree protette tutte,marine e terrestri riguarda l'intero sistema istituzionale senza particolari enclave dove lo stato ‘fingendosi' magnanimo nei confronti dei Comuni possa continuare a gestire quello che non deve gestire.
E non è certo argomento serio quello che capita di sentire riproposto anche i dibattiti sul tema a sostegno di questa presunta ‘specificità' marina ossia il fatto che qui si deve tenere conto delle condizioni locali per perseguire la tutela e l'ecosviluppo.
Non è serio perché questo vale e non da ora per TUTTE le aree protette terrestri e marine, grandi e piccole e sorprende semmai che si scopra con tanto ritardo che sono appunto queste le finalità di una area protetta che le leggi regionali avevano delineato assai prima del 91 e che con la 394 sono entrate nel ‘circuito' nazionale.
Ma è proprio questa finalità che conferma l'appartenenza delle aree marine protette alla grande famiglia delle aree protette. Volerne fare un ‘caso' a parte, bisognoso di un regime distinto prima ancora che un imperdonabile abbaglio sul piano concettuale e culturale è un gravissimo errore perché indebolisce, isolandolo dal resto, il comparto più fragile. Nelle nicchie insomma ci si muore o si sopravvive tagliati fuori dai grandi processi in atto.
E poiché ci sente spesso rispondere a queste osservazioni che negheremmo le ‘specificità' e via cantando vogliamo ancora una volta ribadire che delle specificità (tutte e non solo alcune) si deve sempre e comunque tenere conto ma non per operare separazioni all'interno di un ‘fronte' unico. Ciò che unisce nelle finalità le varie aree protette non può essere diviso in nome di altre e talvolta ambigue esigenze.
Ecco perché la gestione delle aree marine protette va attentamente e urgentemente rivista e riconsiderata anche sotto il profilo normativo sgombrando il campo da norme e strumenti incoererenti e talvolta in aperto contrasto con la logica della legge quadro e non solo.
Ha ragione Venneri di Legambiente quando scrive che non è pensabile di generalizzare il ‘modello' Ustica e Miramare e chiede (vedi l'intervento sul sito www.boiler.it) uno sforzo di fantasia per individuare nuove forme di gestione che tengano conto delle esperienze e dei risultati conseguiti con gli enti parco.
E' una sollecitazione condivisibile e da accogliere perchè sarebbe del tutto inspiegabile e irragionevole ignorare l'esperienza di questi anni ricca e variegata sebbene anch'essa da non assumere acriticamente.
Valida è sicuramente l'indicazione generale che emerge sia dalla esperienza dei parchi regionali che nazionali e cioè l'importanza di organi gestionali affidati alla responsabilità delle istituzioni.
Da questo punto di vista probabilmente appare meno rigida e quindi più interessante l'esperienza dei parchi regionali che hanno generalmente evitato di ricorrere ad enti uguali per situazioni anche profondamente diverse quanto a dimensione e caratteristiche delle aree protette.
Gli enti parco nazionali al di là degli equilibri istituzionali nella loro composizione appaiono francamente troppo uniformi e rigidi e non pienamente autonomi se si pensa che lo stesso tipo di ente gestisce i parchi della Maddalena e dell'Asinara formati dal un solo Comune e il Cilento o il Pollino con varie decine di Comuni e decine di migliaia di ettari.
Efficace comunque si è rivelata nel complesso la gestione affidata a organismi istituzionali misti.
Resto aperta naturalmente anche qualora si battesse questa strada che a noi appare la più valida il problema delle riserve, ossia di quelle aree marine protette che per dimensione e caratteristiche non possono aspirare a diventare parchi.
Anche in questo caso però per le considerazioni critiche svolte in questa nota l'affidamento della gestione da parte del Ministero dell'Ambiente ad un singolo Comune o anche a più enti locali dovrebbe ( e potrebbe) accompagnarsi ad atti coerenti con lo strumento della delega che deve garantire anche per ragioni di speditezza e sburocratizzazione autonomia all'organo delegato nel rispetto anche della nuova legislazione degli enti locali senza la quale la ‘sussidiarietà' rimane parola senza senso. La delega potrebbe peraltro accompagnarsi da prescrizioni di massima relative alla esigenza che il Comune o gli enti delegati debbano coinvolgere direttamente o indirettamente nella gestione della area protetta sia la Provincia che la Regione che non debbono sottrarsi dall'assumere delle responsabilità anche sotto il profilo finanziario essendo un criterio da rispettare quello che vuole ormai tutte le istituzioni coinvolte nelle scelte di tutela speciale.
A questo riguardo l'esperienza di molte Regioni può fornire utili e interessanti indicazioni perché anche laddove si è passati dalla gestione consortile a quella di enti regionali in molti casi (vedi Toscana) gli enti locali hanno continuato a farsi carico di quote finanziarie non più giuridicamente imputabili alla appartenenza ad un consorzio. Insomma tutte le istituzioni si fanno carico delle forme di protezione non ordinaria.
La delega dello Stato potrebbe inoltre prescrivere come già è stabilito dalla legge 394 e da numerose leggi regionali la presenza negli organi di gestione di associazioni ambientalistiche o rappresentanze universitarie e scientifiche, mentre per quelle di categoria si dovrebbe tendere come con successo si sta facendo in tutti i parchi nazionali e regionali a forme di coinvolgimento programmatico e operativo.
Non sono ipotesi complicate e sono perfettamente coerenti con le riforme amministrative e istituzionali in atto che hanno il merito di lasciare allo Stato e in questo caso al Ministero dell'Ambiente la responsabilità di fornire indicazioni di carattere programmatico e strategico che fino ad oggi sono mancate o sono state carenti e discontinue liberandolo da incombenze che risultano ingiustificabili per il livello statale e mortificante per quello locale .
Ci pare evidente che una impostazione del genere comporta e implica il superamento dell'attuale sovrabbondanza e sovrapposizione di organi tecnici,amministrativi e scientifici che attualmente affollano la scena delle aree marine protette e soffocano e imbrigliano nelle spire della burocrazia l'operato del Comune e degli enti locali i quali proprio nel momento in cui è entrata in vigore la nuova legge sulle autonomie che ne esalta il ruolo e le funzioni devono sottostare ad una interferenza minuta e occhiuta che lega loro le mani.