Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 33 - GIUGNO 2001


I PARCHI DOPO LE ELEZIONI
Affrontiamo seriamente le questioni aperte
di Renzo Moschini
  Le coincidenze per quanto casuali possono tornare talvolta utili. E' sicuramente un caso, ad esempio, che il decennale della legge quadro coincida con l'inizio di una nuova legislatura parlamentare e il varo di un nuovo governo ed anche con una situazione in cui i parchi in alcune regioni registrino una serie di turbolenze che hanno attirato negli ultimi tempi l'attenzione dei mezzi di informazione e dell'opinione pubblica solitamente non molto informata e coinvolta in queste vicende.
Ben vengano dunque queste coincidenze se possono aiutarci a capire meglio quel che succede e soprattutto quel che potrebbe succedere anche in tempi ravvicinati se non riusciremo a prendere le misure giuste e a dare risposte efficaci. Una premessa forse è opportuna prima di addentrarci in qualche riflessione che speriamo possa contribuire ad un sereno dibattito già avviato sul nostro sito in occasione delle recenti elezioni politiche.
Nella maggior parte dei paesi democratici gli avvicendamenti governativi, pur non mancando ovviamente di recare dei mutamenti talvolta anche molto importanti, raramente riguardano in maniera significativa il mondo dei parchi. Anche la situazione americana di cui negli ultimi tempi la stampa si è ripetutamente occupata riguardo innanzitutto ai grandi temi planetari ma anche dei parchi, in fin dei conti conferma che i mutamenti non trascurabili già nettamente percepibili introdotti dalla nuova amministrazione Bush, non sposteranno in maniera sostanziale l'impegno governativo a sostegno dei parchi.
E' vero che si parla di consentire trivellazioni in importanti territori protetti che Clinton aveva vietato, ma le risorse recentemente stanziate per i parchi non solo non sono state ridotte ma al contrario apprezzabilmente aumentate di 334 milioni di dollari, pari al 38 per cento.
Ma anche senza scomodare gli Stati Uniti e guardando a paesi a noi più vicini e affini si può agevolmente constatare che i cambi di maggioranza e di direzione politica non mettono di norma in discussione i parchi e il loro futuro. Anche da noi, dunque, l'avvento di una nuova maggioranza parlamentare e di una nuova coalizione governativa non dovrebbe comportare mutamenti tali da far temere che a dieci anni dalla prima legge nazionale sulle aree protette si possa rimettere in discussione il sistema di aree protette nazionali, regionali e locali così faticosamente costruito.
Ciò non significa beninteso che quel sistema ed anche la legislazione nazionale e regionale che ne è alla base non possa o non debba essere attentamente verificato alla luce anche dei risultati conseguiti e dei problemi e degli inconvenienti che possono essersi manifestati. Certo, se come è già accaduto e sta accadendo tra contrasti e polemiche in alcune regioni, ciò è inteso nel senso di ridimensionare le aree protette nei perimetri e di fatto nel ruolo politico-istituzionale è chiaro che, qualunque sia la giustificazione che si dà a queste modifiche, il quadro cambierebbe profondamente e in maniera non condivisibile. Il punto non è ovviamente se una area protetta e il suo perimetro possano essere riconsiderati quanto il fatto che oltre un certo limite viene meno, diciamo così, la stessa "massa critica" di un parco e di un sistema regionale di aree protette che è condizione indispensabile e vitale perché la presenza di territori protetti abbia effettivamente un senso e un peso.
Non ci sono dunque tabù, né per quanto riguarda i "confini", che - come ci ha insegnato Giacomini -non possono essere considerati sacri e inviolabili, né per quanto attiene alla legge quadro. E se talvolta nel caso di quest'ultima, in questi anni, si è data talvolta l'impressione di considerarla intangibile, questo è stato un errore che non ha giovato a renderla più efficace tanto più che quando poi, in più di una occasione, la si e "ritoccata" e modificata in punti non secondari, ciò è avvenuto quasi alla chetichella.
Intendiamoci, questo comportamento da parte di taluno eccessivamente rigido è stato innegabilmente favorito se non incoraggiato da chi per opposti motivi ha teso in questi anni a individuare nella legge quadro la fonte di chissà quali abusi e penalizzazioni, ad esempio, nei confronti delle comunità locali e delle loro rappresentanze elettive.
Di recente e in diverse occasioni lo stesso Matteoli non ha mancato di insistere, come già aveva fatto ai tempi del suo primo ministero, su questo punto per dire che la legge quadro va modificata perché i sindaci e gli enti locali, i comuni in particolare debbono contare di più.
Lo spunto per queste dichiarazioni era stato offerto dalle note vicende di Portofino e dintorni, che a giudizio del ministro, giustificavano la "ribellione" dei sindaci a fronte dei troppi vincoli che impedirebbero nei parchi la costruzione di strade come di piccole attività commerciali e artigianali. L'esempio scelto può aiutarci a chiarire un profilo che sicuramente tornerà in primo piano con la realizzazione di quelle riforme istituzionali e della pubblica amministrazione avviate e che dovranno proseguire speditamente.
Un primo e più scontato chiarimento riguarda i "vincoli"- un tema classico e ricorrente da decenni nelle polemiche sulla protezione e che sembra conoscere una nuova giovinezza a cui si accompagna talvolta- è il caso delle dichiarazioni del sindaco di Zoagli, uno dei comuni del parco di Portofino, un altro antico cavallo di battaglia e cioè che quei territori non sono "selvaggi come quelli del Gran Paradiso".
E' sorprendente che a dieci anni dalla entrata in vigore della legge quadro e a molti di più dall'esistenza dei parchi regionali, non solo della Liguria, si arrivi a "dimenticare" o ignorare che l'apposizione e graduazione dei vincoli in un parco è regolata dal piano territoriale, quel piano che i sindaci di Portofino non hanno voluto, che hanno pervicacemente osteggiato e sabotato e purtroppo con successo. Ancor più sorprendente è il richiamo ai territori "selvaggi" come se proprio per merito della legislazione regionale prima e di quella nazionale poi, non fosse stato una volta per tutte stabilito che la protezione riguarda ambienti ed ecosistemi anche fortemente antropizzati e proprio per questo non meno ma maggiormente bisognosi di "tutela". Il che sia detto per inciso è particolarmente vero e valido in un territorio come quello ligure in cui beni e valori ambientali e culturali sono così fortemente intrecciati ma anche a rischio. Continuare perciò a pensare il parco come strumento di intervento esclusivamente riservato a territori "selvaggi" o in via subordinata alla individuazione di scampoli di territorio "naturale" da francobollare in nome di una tutela che ha fatto il suo tempo, significa semplicemente non avere capito cosa è successo dal settanta ad oggi.
A questo punto possiamo tornare all'obiezione di Matteoli sul coinvolgimento dei sindaci e dei comuni nella gestione delle aree protette che renderebbe necessario la modifica della legge 394. Come abbiamo visto nel caso specifico di Portofino un parco - è bene non dimenticarlo- che risale nientemeno che al 1935, tutto certo si può dire tranne che i sindaci vecchi e nuovi se lo siano visti d'improvviso calare dall'alto e quindi non abbiano avuto tempo e modo di far valere le loro istanze. Più semplicemente lo hanno fatto in senso contrario, sprecando una occasione e una opportunità, invocando argomenti e pretesti che non hanno fatto fare loro una bella figura. Chiunque abbia seguito prima ancora che le vicende delle aree protette quelle inerenti i nuovi assetti istituzionali a cominciare proprio dalle riforme degli enti locali non faticherà a scoprire che lo sforzo maggiore è stato fatto per favorire forme di aggregazione volontaria innanzitutto tra i comuni (montani, isolani, metropolitani) e tra questi e gli altri livelli istituzionali; comunità montane, province e poi su su regioni e stato fino all'Unione Europea. Contrariamente ad una lettura in chiave superficialmente municipalistica e di campanile, espressione e figlia del vecchio centralismo, la nuova legislazione sugli enti locali, al pari di quella sul "federalismo amministrativo", vuole consentire alle rappresentanze locali di far valere i propri interessi e istanze immettendole autorevolmente in un circuito più ampio provinciale, regionale, nazionale ed oggi anche comunitario. Solo così il locale esce dalla marginalità e subalternità in cui l'ha confinato e lo tiene il centralismo, per assumere quel rilievo "glocale", come è stato definito, in cui appunto il locale incontra attivamente la dimensione globale.
Sotto questo profilo i parchi e i loro enti di gestione sono sicuramente una delle espressioni più avanzate di questa nuova legislazione volta ad aggregare, far cooperare più comuni tra di loro e i comuni con gli altri livelli istituzionali in una logica appunto "federalista".
La "leale collaborazione" che è alla base della legislazione nazionale e regionale sulle aree protette ha appunto questi connotati in qualche modo anticipatori dei processi attualmente in corso.
A questa logica si sono sottratti i sindaci del parco di Portofino considerandosi a torto gli unici depositari di un patrimonio chè è tale anche in quanto appartenente ad una "dimensione" non unicamente comunale. Sarebbe d'altronde singolare e curioso che questa dimensione esistesse e fosse riconosciuta dalle leggi e incoraggiata anche con speciali finanziamenti, per servizi quali la nettezza urbana, il trasporto scolastico, le discariche e cosi via e non anche per quei valori fondamentali che si ritrovano e si riconoscono sul territorio e la sua storia.
Ecco perché quando si parla di ruolo e coinvolgimento delle comunità locali e delle loro legittime rappresentanze bisogna capirsi e intendersi bene. Se lo si richiama e rivendica come "separazione" o peggio come "contrapposizione" alle restanti istituzioni più che verso nuovi sbocchi ricondurrà dritti dritti a quanto di più vecchio e infelicemente sperimentato ci sia e cioè ad un municipalismo che oggi dinanzi ai nuovi problemi della "globalizzazione" e del "federalismo" risulterebbe tanto più anacronistico ed impotente.
Si torna così anche alla legge quadro che - si dice - andrebbe modificata. Ora premesso che le leggi è buona regola quando è necessario rivederle e correggerle alla luce della concreta esperienza e alla luce del sole, è chiaro che se la volontà fosse quella di "ricondurre" le aree protette alla sola titolarità dei comuni (magari inventando improbabili elezioni dirette degli enti di gestione) non si smonterebbe soltanto in un punto cruciale la legge quadro ed anche la legislazione regionale, ma si andrebbe controcorrente rispetto anche alle nuove leggi che abbiamo appena richiamato.
Sussidiarietà significa innanzitutto per i comuni capacità di gestire tutte o quasi le funzione amministrative derivanti dalle leggi nazionali e regionali. Non significa insomma che lo stato e le regioni non hanno forti competenze e responsabilità specie in quei comparti che per loro stessa natura riguardano territori ampi e pregiati e che proprio per questo richiedono una cooperazione incentrata sulla "leale collaborazione" di tutti i livelli istituzionali.
E', questo, un passaggio fondamentale ed estremamente delicato che (modifiche o non modifiche alla legge quadro e alle leggi regionali) non può essere eluso o aggirato facendo demagogia a buon mercato o richiamando a sproposito leggi e processi importanti che comportano da parte di tutti una nuova visione ed una nuova cultura istituzionale. Sussidiarietà significa infatti che i comuni singoli e associati debbono essere messi nella condizione di gestire al meglio le funzioni amministrative derivanti dalle leggi nazionali e regionali e ciò vale anche per le aree protette la cui titolarità oggi è dello stato e delle regioni. Queste leggi non implicano o comportano la "dismissione" delle responsabilità e titolarità statali e regionali che devono anzi farsi valere con sempre maggiore efficacia e autorevolezza anche nelle sedi comunitarie, al cui tavolo i comuni non possono certo pensare di p
otere arrivare con successo e da soli, specialmente per quanto riguarda le politiche ambientali. Ecco perché i sindaci del parco di Portofino hanno sprecato una opportunità e lavorato per il re di Prussia.
Il dibattito è dunque aperto ma quello che resta da chiarire è se esso deve cominciare rimettendo in discussione quello che in nessun altro paese sarebbe rimesso in discussione o se vogliamo più fruttuosamente prendere le mosse dal punto a cui si è arrivati -certo non senza ritardi ed errori - sul piano nazionale e nelle singole regioni.
Se questo avverrà non v'è dubbio che tra le prime questioni da affrontare vi sarà quella concernente le sedi e gli strumenti in cui questo complesso processo di cooperazione istituzionale, capace di garantire quella "leale collaborazione" tante volte richiamata anche dalla Corte ma troppe volte scarsamente attuata, può avvenire.
Sotto questo profilo la legge quadro 394, lo abbiamo ricordato e sottolineato in moltissime occasioni, non ha dato i frutti sperati. Non "prima" quando il comitato stato-regioni ha sostanzialmente fallito e non certo "dopo" quando è stato abrogato senza che sia stato rimpiazzato con qualcosa di più efficace come aveva proposto la Federparchi. D'altronde anche organi quali la consulta tecnica in attesa di essere riformati come stabilisce la Bassanini, sopravvivono senza che finora a nessuno sia venuto in mente di fare qualcosa, nonostante alcune proposte e ipotesi formulate dalla associazione dei parchi e delle riserve il cui riconoscimento 'ufficiale' diviene più che mai urgente anche per questo.
Non sono certo questi i soli problemi aperti dai quali si potrebbe partire per un confronto che non sia appunto - come da più parti si dice - ideologico o di principio.
La legge quadro sulle aree protette al pari di tutte le altre richiamate finora di "ideologico" non hanno niente. Caricarle indebitamente di una connotazione impropria come a volte si sente fare, non aiuterebbe e soprattutto non gioverebbe a nessuno.
Le questioni a cui mettere mano sono sicuramente numerose e talune anche piu che mature: si pensi, tanto per fare un esempio, alla "autonomia" degli enti parco che ancora oggi, nel caso dei parchi nazionali, non possono decidere da soli del direttore o del personale di vigilanza che dipendono dal "centro".
Il nuovo parlamento e il nuovo governo nazionale al pari dei nuovi governi regionali nella rappresentanza del mondo delle aree protette troveranno sicuramente, come già in passato, una sensibilità e una disponibilità di cui purtroppo non sempre si è saputo far tesoro fino in fondo. Non si sprechi nessuna possibilità nell'interesse del funzionamento di un sistema che noi vogliamo rafforzare.