Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 34 - OTTOBRE 2001


PER FERMARE LA SPIRALE DEL TEMPO DEL CONSUMO
Gianni D'Elia propone come amministrare la pagina poetica
così come altri amministrano il territorio
  Gianni D'Elia "vive a Pesaro, dove è nato nel 1953." Con queste parole inizia immancabilmente la nota biografica dei suoi libri di poesia, almeno dal "Non per chi va" uscito nel 1980 da Savelli Editori, secondo volume della collana "poesia e realtà" diretta da Giancarlo Majorino e Roberto Roversi, fino agli ultimi "Congedo della vecchia Olivetti" e "Sulla riva dell'epoca", rispettivamente 254 esimo e 287 esimo volume della collezione di poesia della Giulio Einaudi Editore, usciti nel 1996 e nel 2000. Mentre guido sull'autostrada (tra Ancona e Pesaro) cerco di ricordare da quando lo conosco. Da quando mi ha dedicato il suo ultimo libro, scrivendoci su "Caro Mariano, per il sogno comune, con amicizia, Gianni"?
No, certamente. Da prima, da molto prima, ci siamo incontrati e frequentati. Da prima che ci misurassimo con le arti magiche di Franco Scataglini, direttore della rivista radiofonica "Residenza". Da prima che dirigessimo ciascuno una rivista (la sua si chiamava "Lengua") e frequentassimo la medesima casa editrice (il Lavoro Editoriale). Ci si incontrava nei luoghi dove si innaffiava la scuola poetica marchigiana allo stato nascente, ma ci si incontrava anche dove si discuteva di problemi dell'informazione, o di cinema (alla Mostra del Nuovo Cinema, si faceva pattuglia con Gilberto Severini, da una sala all'altra, fieri dei nostri accrediti di giornalisti abilitati a ritirare tutto il materiale). Lui, radicato a Pesaro, ed io in Ancona, quando ci si incontrava non ci si salutava soltanto, ma ci si abbracciava come chi si ritrova dopo esperienze penose, e particolarmente felici di rivedersi sani e salvi nonostante tutto. Nei trent'anni che se ne sono andati da quando ci siamo incontrati la prima volta, D'Elia non ha cessato mai di lavorare sulla lingua e sui linguaggi, verbali e non, acquisendo una naturale e giustificata autorevolezza.
Senza dissipare il filo coerente che dipana da quando inventò la rivista "Lengua", che l'ha portato a tessere raffinati orditi, solo apparentemente facili, ma in realtà maturi e completi esempi di come la parola poetica possa rappresentare la realtà senza sporcarsi le ali e senza dover precipitare a terra, D'Elia non si è chiuso nella torre d'avorio. Partecipando nel maggio scorso (tempo di ginestre rigogliose e di progetti di viaggi e di vacanza) all'inaugurazione di un intervento di Mauro Staccioli all'interno del parco del Conero, si ragionava sul giusto rapporto tra artista e contemporaneità.
E Staccioli mi suggeriva che il lavoro "sulla contemporaneità non può aspirare a offrire certezze, ma deve aspirare ad offrire creatività, e innovazioni possibili, che non sono certezze, ma motivi di attenzione per poter fare il passo avanti necessario. Una poesia non è una certezza. Solo il tempo ci dirà se quei pochi versi che scriviamo resteranno. Ma sono una proposta di equilibrio sospeso, di un possibile rapporto tra uomo e natura, con effetti attivanti per tutti".
Con Staccioli concordammo subito che l'identica funzione (il lavoro su un equilibrio sospeso, la proposta innovativa, attivante, per consolidare l'equilibrio uomo natura) viene esercitata dai direttori e dai presidenti dei parchi naturali, e da quanti si misurano con le problematiche della costruzione di percorsi di sviluppo autosostenibile, nel senso che a questo termine da Alberto Magnaghi.
Ma adesso è il turno di un poeta, linguista e non solo, appunto Gianni D'Elia, che può approfondire questo discorso, iniziato con Magnaghi, e ripreso molto in fretta con Staccioli. Perché D'Elia da tempo afferma apertamente che l'interesse di chi progetta lo sviluppo del territorio e quello di chi lavora per esprimersi letterariamente trova uno snodo ed un punto di incontro sulla "nuova lingua delle cose".

E' così?
Certamente. Quando parliamo dei nuovi luoghi, o non luoghi (seguendo il concetto di Marc Augé), che segnerebbero lo spazio della città diffusa, e della città, insomma, dispersa. Capire questa nuova lingua per intervenire con il progetto urbanistico e architettonico, oppure con le parole della poesia e del romanzo, è un compito che ci accomuna: urbanisti e architetti, artisti e scrittori. Dopo Baudelaire e Leopardi, l'artista non si dà infatti senza l'intellettuale, né forse il contrario è più possibile.
Descrivere, capire, progettare, esprimere, ecco il doppio movimento dell'immaginario e del materiale che vi si accompagna per intendere il nostro spazio concreto e vitale.
In una serie di racconti, ho definito questo spazio sensibile e ideale con l'espressione "L'ozio della Riviera".
Si tratta di un titolo che ha forse forti assonanze implicite con un famoso libro che ho tradotto di recente: Lo Spleen di Parigi.
Fermiamoci qui un momento.

Ci sono luoghi, o non luoghi, che diventano una nuova lingua con la quale sono chiamati a misurarsi intelligenze di varia competenza e di differente professionalità.
Se c'è un comune interesse, anzi, di più, un comune lavoro, tra chi si esprime attraverso la letteratura e chi attraverso la progettazione, mi pare realistico aggiungere alla combriccola anche chi si esprime attraverso la gestione del progetto di tutela e di valorizzazione delle aree protette, che ha a che fare con la storia, la sociologia, le tradizioni, le culture di un territorio vasto, che sarà modificato dall'esercizio della tutela, ma sarà anche ricostruito e ritrovato, ripensato e ridescritto.

Ritengo che la comunanza -che c'è- sia data innanzi tutto dalla vita, dall'esistere.
Tant'è che il mio ultimo libro di poesie l'ho intitolato "Sulla riva dell'epoca", che è una metafora ma anche un cosa concreta perchè sulla riva dell'epoca ci camminiamo tutti i giorni. Sulla riva del tempo, che è come dire dello spazio, dell'Adriatico, del mare. Ragionando sui concetti che mi hai in precedenza esposto, mi vengono in mente le domande che un intellettuale non prestato alla pubblica amministrazione , un poeta ed uno scrittore può porre più liberamente. Domande scomode, "inquiete" come diceva Pasolini. A noi interessa proprio il rapporto tra la Natura e la Storia: questa è la cura per la nostra società. La domande principale, che pongo a te come intellettuale, è come bloccare-ma riguarda forse l'economa più che la scrittura- la spirale del consumo e la saturazione del tempo del consumo.
Se i parchi, o questo terziario culturale, può in qualche modo contrapporsi al globalismo o al localismo falso, fasullo (c'è un localismo anche gretto, ignorante, come quello della Lega, che inventa tradizioni inesistenti, fatti storici mai avvenuti ecc).
Tra questi due fronti restiamo schiacciati. Allora com'è possibile che gli intellettuali, le istituzioni del Centro Italia che consentono un vivere ancora in modo intelligente (qui la sinistra è in qualche modo al governo o almeno è nelle teste e nel cuore di tante persone) non diano un peso maggiore alla qualità della vita, al progresso in questo senso?
C'è una grande sfida, a mio parere, se intendiamo fare un discorso non tanto sociologico e neanche metafisico ma sul piano realistico: c'è vita vera nella falsa, come costruire l'autentico dentro l'inautentico? Non è questa la sfida di una Natura che voglia resistere all'interno di una Storia che la opprime? Per non fare quelli che Zanzotto chiama, in un'intervista al Corriere della Sera, "I parchi di plastica". Aggiungerei che se il luogo di intervento per gli amministratori è il territorio e quello dello scrittore la pagina -pagina che rispecchia sempre un territorio, un ambiente- l'avversario per noi è il tempo, inteso come spazio sociale e del consumo. In un mio verso, all'interno del nuovo libro di poesie che sto scrivendo si dice "a dire ancora che lo spazio è il centro": questo modo di essere dentro la realtà. "...e solo in questo fuori si può vivere, con dentro incisa la stella di utopia, scorrendo in questa bassa stagione oltre via". Questi sono i versi di questa opera che vorrei intitolare "Bassa stagione" anche per esprimere un giudizio sul nostro tempo.

La vita vera e la vita falsa, i parchi di plastica ed i parchi autentici. Il tempo del consumo si riesce a contenerlo con una tutela che valorizzi la natura e con una cultura che faccia altrettanto. Puoi avere parchi di plastica se conservi senza nessuna attenzione alla cultura. Le idee che tu oggi proponi possono essere messe in pratica solo da un insieme di portatori di cultura e di speranze. In questo senso come inserisci la tua specialità -poesia, linguistica ecc: che tipo di apporto può dare cioè la tua specifica esperienza?

Penso che la dichiarazione della mancanza di cultura adeguata sia la prima cosa da dire, dobbiamo costruirla. Mi rendo conto che per intervenire in un territorio bisogna avere una conoscenza molto ampia della cultura millenaria che ha attraversato questo territorio e parlando con un mio giovane amico intellettuale, Luigi Sanchi, che è stato in Francia e studia Storia e Letteratura, mi diceva che molte sue ricerche sono orientate alla cultura del Mediterraneo.
Dalle discussioni fatte è venuto fuori che la nostra identità non è né a sud, né a nord ma a est, e che l'identità del Mediterraneo attraverso la cultura-e soprattutto le crociate- ha addirittura una radice nella Bibbia incrociata con il Corano. Questo significa che le culture che sembrano oggi "farsi la guerra" nel mondo hanno un'identità possibile nelle radici, sia quelle cristiane, sia quelle musulmane, sia quelle ebree...

L'Adriatico, in una parola, è il comune denominatore...

Proprio l'Adriatico, che è fondamentale per noi, per me pesarese, per chi vive nel centro Italia, nella parte orientale. Dovremmo conoscerci di più con le altre culture, con gli albanesi, con gli slavi, con tutti coloro che si affacciano sull'Adriatico, dovremmo intrattenere rapporti frequenti a livello letterario e anche politico, sul piano amministrativo, dei rapporti culturali. Nella nostra formazione politica si diceva che la prima cosa da fare, prima di addentarsi in un campo nuovo, era di fare un'inchiesta sul posto, per poter operare correttamente: andare a parlare con le persone, farsi un'idea...vorrei aggiungere un elemento che ha a che fare con la scrittura, dell'interrelazione che ha la scrittura con il paesaggio in cui si vive. Lo ho accennato in un articolo che si intitolava, appunto, "La città riviera" (che tu citi). Riflettendo su questo secondo punto (il primo è quello che riguarda il modo in cui fermare la spirale della globalizzazione) direi che la città riviera è una forma accattivante -a me piace molto- della città latente, della città stagionale, cioè della possibilità espansiva, e mi si presenta subito come una metafora della vita del consumo, della vita come consumo e della morte come consumo, della morte come assenza del consumo, con il ciclo stagionale che addirittura si identifica con il ciclo del terziario e nello specifico con il turismo.
La città viva d'estate e morta d'inverno credo che sia una metafora, sia in chiave letteraria ma anche in chiave sociale, mi attira come riflessione. Se noi dessimo coscienza a tutti quelli che vivono nelle Marche, sulla costa, della possibilità di leggere il paesaggio anche per quello che rivela e nasconde, per esempio in economia politica... un paesaggio latente, deserto, con i bagni chiusi, gli alberghi chiusi e puntellati, quella striscia di chilometri e chilometri che diventa un morto vivente, uno zombie, che si sveglia ogni stagione e che riprende il ciclo. Un fenomeno -uno potrebbe però dire- che sta cambiando con il turismo culturale, con i convegni, i gruppi...

La città latente di cui parli deve morire, è giusto che abbia una crisi e si trasformi in qualcos'altro. E', in fondo, la proposta che fanno le aree protette -che tra l'altro spingono per il turismo culturale. La proposta che fanno i parchi, culturali e naturalistici: questa evoluzione è secondo te fisiologica alternativa, impossibile...

La vedo in maniera oggettiva.
Tutta questa problematica della residenza- possiamo recuperare la parola magica di Franco Scataglini- è forse l'alternativa al turismo. Potrebbe essere la forma da suggerire: residenza è la qualità della vita, dei marchigiani... i cittadini non conoscono bene la loro città. La poesia che cos'è in fondo se non la scoperta della città? Personalmente, me ne andavo in giro per le strade del centro storico, lungo il mare, nella parte periferica, sul Colle San Bartolo, mi spostavo e scoprivo con il paesaggio la possibilità di una riflessione naturalistica ma anche storica, sociale perché coincideva con la militanza. In quegli anni in cui la politica contava sopra ogni cosa la poesia era poesia dell'utopia, non dell'esperienza. Chi aveva una cultura propria, bene o male apprezzava la natura, un bel paesaggio, il museo della propria città ecc, per gli altri era tutto marginale. Ed ora arrivo al terzo punto: noi dovremmo proporre a tutti gli operatori turistici (anche se qualcuno si potrebbe urtare) che la riduzione della vita al turismo, o a quello che potremmo definire turismo della vita, è una cosa negativa perché è alla forma di evasione superficiale ed omologata che dicevi tu e che Godard richiama in un frammento dei suoi più caustici (afferma che per i tedeschi ci sono due modi di invadere un paese, o con la guerra o con il turismo).
La forma, oltre ad essere superficiale, è una forma della betise (stupidità) universale: mi riallaccerei a Carmelo Bene, il quale in un'intervista in cui parlava del turismo, delle città, del modo di viaggiare accenna ad un'omologazione così potente per cui dove vai ti comporti nello stesso modo, mangi le stesse cose, viaggi alla stessa maniera e come recita Baudelaire ne "I fiori del male", "alla fine della giornata si è salutata l'enorme cretineria universale dalla testa di toro". Sempre per riprendere una posizione pasoliniana ed ancor prima leopardiana: ci sono due turismi, un turismo come progresso ed un turismo come sviluppo.
Se vogliamo puntare sul turismo come sviluppo -quantità e affari- si va avanti così; nel turismo come progresso secondo me viene avanti un'idea di residenza che affianchi il turismo stesso, l'idea di un cittadino che non è turista della vita ma conoscitore del suo porto e di un parco che non serve solo per chi viene da fuori ma anche per i residenti, per far conoscere meglio il territorio e la cultura della nostra regione.
Sostituire al turista il visitatore, il passeggiatore, il ciclista - figure che dedicano spazio alla riflessione, alla meditazione.

..... Parliamo di questi soggetti,cui accennavi prima, delegati a curare questi rapporti culturali e non solo tra le due sponde?

La prima categoria che mi viene in mente è quella degli studenti. I giovani: secondo me bisogna riattivare la scuola.
Il famoso poeta russo Mandel'stam diceva in un saggio (La poesia e la cultura) che non si possono produrre in massa nuovi poeti, nuovi scrittori, però si possono produrre in massa nuovi lettori e questo luogo deputato alla produzione o riproduzione di nuovi lettori, secondo il poeta, sarebbe la scuola. Naturalmente, in un epigramma io dico: insegnare ai ragazzi a passeggiare.
Ho letto che in America c'è qualcuno che insiste sul walking, camminare, riferito all'attività poetica: poi magari diventa tutto un mercato però sono convinto che camminando, guardando, osservando, interrogandomi, ho appreso molte cose, ho arricchito il vocabolario e penso che insegnare a passeggiare sia il colmo della conquista filosofica. I nostri luoghi della costa sono anche città-giardino.
Con le visite guidate ma non, solo bisognerebbe dare la possibilità alle scuole, anche attraverso le attività stanziali, di organizzare momenti di incontro all'aperto, immersi nella natura, vicino ai luoghi belli...trovare dei centri sociali naturali e soprattutto fare incontrare gli studenti albanesi, croati, slavi ecc con quelli italiani.
E' una cosa non degli amministratori, più nostra. Destinatari, ripeto, devono essere gli studenti, che sono i giovani intellettuali.

E' una proposta molto interessante...la rete dei parchi intercetta molto spesso ma in maniera incompleta le esigenze degli studenti: organizzare questi incontri con stage mirati, invece, per trasferire la koinè, la sostanza dei rapporti adriatici in questi giovani intellettuali in formazione può essere un modo per trovare in loro la molla per il futuro...

Esattamente, non vedo altro tramite se non loro. Successivamente, sì, anche i cittadini comuni, normali, gli impiegati, gli operai possono avere un ruolo, ma al momento individuo negli studenti un motore per produrre qualcos'altro. E sarebbe bello che gli incontri da farsi in collaborazione con le scuole, non fossero un una tantum, ma un tutt'uno con la cultura.
E aggiungo, sarebbe altrettanto bello che accanto alla figura dello studioso che illustra un territorio, gli animali e le piante che vi vivono, le conchiglie in riva al mare ecc ci fosse quella dello scrittore, del poeta che presenta la produzione migliore delle Marche, le poesie che parlano dei nostri luoghi. La poesia -come ricorda Sereni- ha sempre un'incarnazione topografica: spiegare come un paesaggio topografico diventi paesaggio dell'animo e quindi spiegare il meccanismo per cui Saba è Trieste, Montale la Liguria e via di seguito...perché i poeti incarnano i luoghi, Pasolini Roma o il Friuli, per Scataglini la città è importante. Poi tutto il resto, la lingua, i dialetti che cambiano da un posto all'altro, da Pesaro a Fano, da chilometro a chilometro.
Tant'è vero che il Rohlfs che ha scritto quella grammatica italiana con tutti i suoi dialetti girando con la sua bicicletta l'Italia, il posto che ha girato di più è stata la regione Marche. E' il territorio della mutazione dove c'è la compresenza di tutti i dialetti italiani, di confine tra le lingue del nord, del centro e del sud.

Per tornare alla koinè adriatica, c'è speranza dopo tanti tentativi vani di trovare un collegamento tra le riviste (le tante "voci" di queste terre) oppure non era quello lo strumento su cui puntare, dovevamo trovarne altri?

Secondo me c'è bisogno di una rivista che tenga insieme la natura, la cultura, la storia, la letteratura. Adesso c'è "Adriatico" che fa Rosario Pavia, è buona senz'altro ma io pensavo a "Residenza"(radiofonica) alla mia "Lengua", alla tua "Marche oggi": noi nelle Marche siamo tutti scollegati...sarebbe un lavoro da fare, non so però chi possa farlo..

I fiumani facevano "Battana", poi non è uscita più...era un mondo chiuso anche quello. In raltà potrebbe occuparsene l'Università e forse Internet, uno strumento agile...

Se nascesse da incontri, da un colloquio, da quegli appuntamenti tra studenti delle due sponde, sarebbe possibile.