Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 34 - OTTOBRE 2001


CHI COLMERA' IL DEFICIT DI
"CULTURA DELLO SVILUPPO E DELLA TUTELA"?
A colloquio con Piero Ottone, coordinatore del comitato culturale del parco di Portofino
Nato a Genova nel 1924, Piero Ottone, al secolo Pier Leone Mignanego, è una delle più apprezzate firme del giornalismo italiano ed europeo. Accostatosi alla professione nell'immediato dopoguerra, ha maturato la sua esperienza in diverse redazioni giornalistiche, divenendo infine direttore de "Il Secolo XIX" dal 1968 al 1972 e del "Corriere della Sera" dal 1968 al 1972. Autore di numerosi saggi, tiene attualmente una rubrica nella pagine del "Venerdì" di "Repubblica" e collabora con altre pubblicazioni. Sposato, due figli, tra le sue passioni annovera quella per il mare e la vela.

A noi che amministriamo parchi sembra che un opinion leader, una autorità giornalistica del suo peso, possa giocare un ruolo decisivo nella crescita di un comune sentire favorevole alle politiche di tutela e di valorizzazione. Quando Lei ha scritto qualcosa sul parco di Portofino, l'hanno seguita altri quotidiani e addirittura la stampa inglese. Nessuno di noi sarebbe stato in grado di fare altrettanto. Partirei da questo fatto, e dal suo ruolo di coordinatore del comitato culturale del parco di Portofino, per cominciare a riflettere sui rapporti tra giornalismo, cultura e politiche di tutela.

"La stampa può attirare l'attenzione su un problema, non può creare problemi, mentre ciò che avviene intorno ai parchi in genere, e quello di Portofino in particolare è un fenomeno naturale dovuto all'interesse crescente dell'opinione pubblica per la conservazione e la valorizzazione dell'ambiente.
Noi giornalisti non facciamo altro che fare eco a questo interesse, a questo stato d'animo, quindi svolgiamo una funzione soltanto come cassa di risonanza.
Poi, su quello che possono fare i parchi, su quello che hanno fatto, sui problemi che pongono possiamo dire certamente qualche cosa nella nostra conversazione fra poco.
Per quel che riguarda il comitato culturale del parco di Portofino, si tratta di una istituzione, di una invenzione, che risale a due presidenti precedenti all'attuale.
La sua intenzione era interessante: quella di attirare vicino all'ente un certo numero di persone che nella vita politica, culturale o degli affari potevano rappresentare qualche fetta di opinione pubblica e quindi potevano forse dare maggior peso all'attività dell'ente. Credo che questa fosse l'intenzione, e per questo abbiamo istituito il comitato.
In realtà il comitato non ha mai decollato. Non ha mai svolto la funzione per la quale era stato creato e probabilmente sarà colpa, innanzitutto, di chi ne fa parte, mia in specie, che sono stato lì dai primi giorni, ho partecipato in qualche maniera alla creazione, alla nascita di questa istituzione.
A parte le nostre colpe, può anche darsi che fosse difficile trovare un alveo, un terreno sul quale il comitato potesse fare qualche cosa. In pratica non l'abbiamo trovato, quindi per adesso il comitato esiste ma non opera, non si sente, è in uno stato di larva.
Anzi, dovremmo chiederci, prima o dopo, se mantenerlo, cambiare fisionomia, trovare un ritmo o addirittura riconoscere che l'idea non era prolifica e abolirlo.
Questo è un problema particolare che si presenterà, prima o dopo.
Detto questo, se vuole posso parlare dei parchi più in generale, del problema dei parchi, se preferisce."

Io sono ancora impigliato nella prima domanda.
Prima di dimenticarla, vorrei che lei approfondisse la questione del nesso tra "grandi firme" giornalistiche e crescita della sensibilità ambientalista del Paese.
Come rivista "Parchi" in un supplemento del settembre 1995, ponemmo la questione della scomparsa delle grandi autorità giornalistiche che anni fa si occupavano di ambiente, come un problema ai limiti del paradosso.
Oggi che i parchi sono tanti e che la sensibilità della gente è certamente maggiore, nessuno ha sostituito i Cederna. Come se lo spiega?

"Questa è una domanda che ci siamo fatti anche nel nostro mondo dei giornali.
Nel passato vi sono stati dei casi singoli, non era una partecipazione corale dei giornalisti.
Antonio Cederna è stato il vessillifero, ma proprio lui con il suo caratteraccio, con le sue rabbie si era appassionato a questo tema.
Pochi minuti fa c'era un'intervista alla radio con il figlio che diceva come mai suo padre si è occupato di ambiente.
E' una cosa nata casualmente, come tutte le cose della vita, quindi si è trovato avvolto in una situazione del genere, ha cominciato ad avvertire la pesantezza di una serie di attività dannose all'ambiente, ci si è arrabbiato, ed essendo un carattere tignoso, nevrastenico — diceva il figlio "un caratteraccio anche in casa, con la famiglia" — ha continuato.
Altro caso, Montanelli che si è appassionato, per un periodo, delle questioni di Venezia.
Ma anche lì, era il "grande" Montanelli che partiva su un problema specifico.
Non c'è mai stata, da parte della stampa italiana, un'attenzione di carattere generale.
Oggi non ci sono, in giro, né un Cederna, né un Montanelli che si appassionano a queste cose."

Esce qualche grande nome se c'è l'incendio nei boschi, allora viene alla ribalta... poi rientra in camerino.
"Sì, l'interesse epidermico..."
Ma è casuale... Forse, questo comitato culturale potrebbe essere un esempio, da ripetere in altri parchi, magari impegnando personaggi con più tempo libero e meno impegni all'estero.
Non lo so, non lo so... Ho i miei dubbi. Bisognerebbe trovare le persone giuste, ricominciare il discorso da capo e cercare di creare un contatto con un certo numero di grandi giornali, magari agire dall'esterno, creare una rete di giornalisti che si occupino di queste cose. Sono problemi difficili, ci vorrebbe un'agenzia specializzata di relazioni pubbliche per sapere se architettare l'operazione: trovare 5-6 giornalisti e fare un gruppo, un comitato di giornalisti, portarli di qua e di là a vedere."

Lei crede a una formazione specifica per i giornalisti?
"Bisogna dimostrare ai direttori dei giornali che c'è un interesse per il tema e che il tema merita di essere approfondito e di essere trattato ampiamente."

Bisogna passare dai direttori, quindi...
"Quasi sempre. Ma le strade da trovare sono difficili. Qualche volta i problemi sono industriali, d'affari.
Mi chiedono consigli, in quanto giornalista, su come presentare meglio l'immagine delle loro aziende: sono tutti problemi difficilissimi da tradurre in pratica, perché ci vuole la persona giusta che sappia agire al momento giusto, non è facile."

Dalle questioni della comunicazione, passiamo a quelle dei parchi in senso stretto. Lei si è interessato molto del parco di Portofino, terrestre e marino.
Che altro dire su questo tema?
"Ci sono stati, senza dubbio, interessi locali e particolari che hanno visto in maniera negativa la presenza dell'attività dell'ente e quindi hanno cercato di combatterlo, di ridurlo, di neutralizzarlo in qualche modo. Questo è avvenuto chiaramente nel funzionamento di questo ente, perché una parte dei consiglieri, quelli che rappresentano i Comuni della zona limitrofa non hanno partecipato alla riunione per parecchio tempo, in modo da paralizzare l'attività di questo ente.
Questo è storico, è successo.
Avrebbero potuto, secondo me, se erano scontenti, partecipare e cercare di migliorarlo e di eliminare le ragioni del malcontento dall'interno, attraverso il consiglio.
Hanno invece preferito uscire aventinianamente e bloccarlo, paralizzarlo. Questa è stata la verità storica. Politicamente è mancata la sensibilità necessaria per difendere l'ente.
Da quando l'ente è passato dal livello statale a quello regionale, le decisioni importanti sul piano politico sono state prese dalla Regione. La Regione Liguria non ha mostrato mai una particolare sensibilità per questo ente di Portofino neanche nel passato.
Ultimamente, nel prevalere di formazioni politiche di centro-destra, tutto quello che è controllo, dirigismo vero o apparente, intervento pubblico è scemato di grado, perché- i partiti di centro-destra sono piuttosto per l'individualismo, per l'iniziativa singola privata che non per l'azione d'insieme di autorità statale. Questo per ragioni ideologiche, poi anche, forse, per ragioni pratiche, concrete, diciamo pure elettorali: la Regione non è intervenuta per difendere questo ente quando l'ente era sotto assedio, al contrario si è trovata anch'essa in posizione agnostica, se non addirittura, qualche volta, si è avuta l'impressione che, per lo meno nella persona di qualche assessore, fosse ostile, mal disposta."

Questo anche prima del cambio di maggioranza?
"No, dopo. Con il presidente, quando ha assunto questa carica, ci siamo incontrati. Abbiamo visto che era animato dalle migliori intenzioni affinché la sua presidenza desse attività, rilievo, importanza a questo ente.
Mi pare che si sia trovato di fronte a difficoltà grandi, e anche lui ha fatto quello che ha potuto, ma non ha potuto fare molto perché l'ente ritornasse sulla cresta dell'onda come forse è stato qualche volta, nel passato.
Questa è, storicamente, la situazione dell'ente parco di Portofino, a mio parere.
Aggiungo che il passaggio di responsabilità dallo Stato alla Regione era comunque destinato, obiettivamente, quale che sia il colore dei partiti di maggioranza, a ridurre la parte vincolistica, perché più si arriva alla periferia e più importanti diventano gli interessi locali.
E' chiaro che il sindaco di Rapallo è molto più sensibile ai proprietari di aree della zona di quanto non potesse essere il ministro dell'ambiente a Roma.
Il "regionale" è a metà strada: un po' meglio del sindaco di Rapallo per una visione della regione nel suo insieme, però è certamente anche lui più vicino agli interessi locali di quanto non sia il ministro "romano", di quanto non siano le forze nazionali.
L'ideale sarebbe, per i parchi un regime dittatoriale tipo fascismo e Mussolini, così se il regime decide di proteggere un parco lo protegge senza preoccupazione delle elezioni, perché sa che tanto avrà il 98% dei voti.
Quindi la democrazia, se non è di alto livello culturale, in cose del genere è un regime che presenta molte debolezze e molti difetti."

E del ruolo delle aree protette in genere, cosa pensa?
"Ci si rende conto, con il passare del tempo, con la elevazione della cultura generale, che è importante difendere l'ambiente nella sua totalità. Vi sono poi delle zone di particolare interesse che richiedono un intervento speciale, quindi abbiamo questa istituzione di enti per la protezione dell'ambiente, enti del parco che erano ridotti di numero, un paio soltanto, originalmente, e adesso sono molto numerosi, non ricordo quanti, in questo momento."
Sono centinaia, tra i regionali e i nazionali.
Molte volte i regionali sono anche più grandi di quelli nazionali: per esempio il parco del Ticino. O l'Etna.
"E' vero...continuando, ci siamo resi conto che oltre alla superficie terrestre c'è anche il fondo marino e sono nati anche gli enti per la protezione marina: a due passi abbiamo quello che riguarda la zona di Portofino.
Questa sensibilità, che è cresciuta anche perché si sono visti i danni: basta guardare, di tanto in tanto, lungo la costa ligure e francese, per capire che veramente è un disastro.
Vicino a Saint Tropez c'è una collina che è tutta case e lì accanto c'è invece un'altra collina senza.
Evidentemente, da una parte il controllo ha funzionato e dall'altra no, perché gli uomini sono sempre gli stessi.
Cresce la sensibilità, ma deve anche crescere la capacità di far bene questa cosa. Per la riserva marina di Portofino abbiamo avuto l'esempio di punta di come le cose non vanno fatte.
Quindi lo prendo volentieri come esempio negativo.
Si è scoperto, in Italia, che i fondi marini vanno protetti, si è scoperto che gli altri lo fanno, a cominciare dai francesi che sono un modello, sempre — noi siamo la "sorella povera", i parenti poveri, decaduti — e allora da un giorno all'altro un ministro, Edo Ronchi, decide "facciamo la riserva di Portofino", ma senza preparazione di opinione pubblica, senza spiegare bene alla gente che cos'è la poseidonia, che cos'è il fondo, il tappeto che va protetto.
E' mancata la preparazione di un corpo d'intervento, di un corpo istituzionale per la creazione e il mantenimento della riserva marina e da un giorno all'altro si è detto "vi è dato A, B, C e D". "Perché?". "Mah, chi lo sa...".
"Chi starà attento che i divieti vengano rispettati?".
"Chi lo sa? Le guardie costiere".
Non c'era altro disponibile, non poteva il presidente della riserva andare a nuoto a mandare via la gente.
Non si sono create subito delle alternative, per esempio le boe con le scritte "vietato ancorare", come troviamo in vari Paesi del mondo.
In Irlanda vi sono in certe zone alcune boe, con scritto "
a disposizione dei visitatori".

Anche alla Maddalena...
"Adesso, poco a poco si comincia anche da noi.
In Jugoslavia c'è sempre stato nella costa dalmata.
Qui, riserva sì e boe no.
Questo ha creato nell'opinione pubblica un'ostilità contro queste riserve che sono sembrate — in parte, a quel punto, erano — un sopruso, un intervento illecito del potere, che approfittava della sua posizione di potere.
Gli enti, come "l'ente del monte", non sono stati così improvvisati e così sgangherati, all'inizio, come le riserve marine, perché esistevano da più tempo e avevano le migliori tradizioni. Però, anche qui non so fino a che punto la parte attiva per la protezione dell'ambiente sia stata sviluppata e curata, perché il parco non è soltanto vietare, è anche sviluppare. E non so fino a che punto, se c'è stata la parte attiva, si sia poi riusciti a farlo comprendere agli interessati.
Quindi, quei difetti che per le riserve marine sono assolutamente plateali, questa parte creativa di sviluppo e di informazione è mancata totalmente.
Per un ente terrestre invece, come l'ente del monte, c'è stato di più, ma non abbastanza. Questo spiega l'atteggiamento generale, da una parte di ostilità, perché crea dei problemi, dei divieti e li sopporta male; dall'altra parte indifferenza dell'opinione pubblica, perché non si è capito che questi enti non sono lì soltanto per impedire di costruire, ma sono anche investiti del compito di migliorare.
Lei parlava poi dei rapporti fra ente monte e riserva.
E' chiaro che o i due enti collaborano strettamente, o la direzione è unica.
Però, anche qui si pone un problema, perché non basta dire che il presidente dell'ente del monte adesso è responsabile anche della riserva marina, bisogna dargli un gruppo, una consistenza di funzionari specializzati che gli forniscano il sostegno necessario. Non credo che se lei è un esperto di piante e di fiori sia poi, anche, un esperto di poseidonia.
Quindi, le cose sono state fatte molto "all'italiana": improvvisate e non curate nella maniera giusta.
Questo ha nuociuto enormemente di fronte all'opinione pubblica e ha indebolito la struttura creata per la protezione, che oggi è senza dubbio in grossa difficoltà."
L'Unione europea raccomanda l'aggettivo "unitaria".
Direzione unitaria, gestione unitaria, perché si dice che la linea di costa non deve dividere ma deve unire.
I problemi del mare, in parte sono nella costa e i problemi della costa, in parte sono sul mare. E siamo proprio sulla banalità. Dopodiché tu hai un parco marino e un parco costiero con due presidenti, due comitati di gestione, due strutture: sembrerebbe una cosa, rispetto a tutto quello che dice l'Unione europea, un pochino strampalata, sgangherata.
Poco fa chiedevo a Carlo Repetto, e lui mi diceva che è difficile telefonarsi, tra parco di terre e parco di mare, e ancora più difficile è anche inventare qualche cosa di comune, perché alla fine se ci sono due cose ma si incontrano attorno allo stesso tavolo, ci sarà una moltiplicazione di enti ma le cose accadono.
Invece qui le cose proprio non accadono.
Volevo un'opinione su questo.
"Sono appunto i difetti veramente tipici del nostro Paese. L'Italia è un Paese con due polizie che si fanno concorrenza, con tutte le diramazioni che sapete. In mare abbiamo altri quattro corpi, più qualcuno supplementare. E allora, che si arrivi a queste razionalizzazioni, da noi è quasi impossibile. Infatti io scrivo, su Repubblica, sul fatto delle due polizie e qualche collega mi dice "di nuovo? Smettila, è una tua fissazione".
Sì, è la mia fissazione, ma intanto tutto rimane così com'è.
Ed è assurdo che se arriva prima la polizia se ne occupa la polizia, se arrivano prima i carabinieri se ne occupano i carabinieri.
E' una piaga nazionale.
"E poi ci sono i Comuni, presenti in ambedue gli organismi ma che non impostano una politica unitaria di tutela e valorizzazione ...
"I Comuni cercano sempre di aumentare i loro poteri, di controllare queste attività, dicendo "affidate a noi la tutela e vedrete che tutto andrà bene".
E' un discorso assolutamente inaccettabile, perché "chi custodirà i custodi?".
E' chiaro che se anche l'attuale sindaco di questo Comune è persona di buone intenzioni di cui possiamo fidarci, il problema politico, non è di fidarsi di volta in volta di A, B o C. Sono i poteri che ciascuno ha.
Oggi uno è in gamba, domani può essere eletto un costruttore edile che cambia tutto, che influisce sulla Giunta, sul Consiglio per cambiare tutto. Vediamo che talvolta i costruttori sono eletti, in Italia, presidenti di parco."

C'è una speranza di superare questa caratteristica italiana?
"Questo è il nocciolo del problema: l'attività del comitato culturale, l'attività dell'ente, il coordinamento degli enti, tutto questo discende dalla speranza di cambiare le cose, di riformarle.
Qui, ciascuno si sente a modo suo.
Io sono pessimista in questo senso: che la situazione di cui stiamo parlando migliorerà soltanto con l'innalzamento del progresso, del livello culturale nazionale, perché è problema di cultura, in fondo.
A breve termine è problema di legge, ma le leggi sono fatte da uomini e gli uomini le fanno secondo il loro livello culturale.
Il livello culturale italiano è basso: le protezioni che abbiamo avuto finora dell'ambiente sono state più casuali che non razionali e vediamo che, quando ci muoviamo, lo facciamo in maniera goffa.
Quand'è che il livello culturale migliorerà?
Certo sta migliorando ma a una lentezza impressionante, la lentezza con cui si muovono i ghiacciai. Poi è un problema che si ritorce: per migliorare il problema culturale ci vogliono persone che lo migliorino.
E dove le prendiamo? Non possiamo andare in Svezia o in Olanda e portarle qua, quindi dobbiamo fare tutto noi."

Però, credo che siamo d'accordo sul fatto che bisogna lavorare sul piano culturale affinché siano i sindaci i promotori del rinnovamento ambientale.
Io non li vedrei sempre come talmente vincolati dagli interessi locali da non poter essere loro i mediatori.
Anche perché a Roma ormai ci si arriva con una facilità tale, che anche il ministro è condizionato dagli stessi interessi.
"Guardi, il problema per quanto riguarda i sindaci e gli uomini politici, è di creare per loro degli interessi alternativi, perché stia tranquillo che se uno vuol fare il sindaco, il ministro, il deputato, pur di farlo è facile arrivare a tanti compromessi, anche se non dico rubare, ma venire a compromessi di questo tipo sì, senza dubbio.
Sperare che il sindaco dica di no per nobiltà d'animo, è una speranza... Io non credo tanto in questa mutazione psicologica. Penso per la stessa ragione per la quale il contribuente fiscale, in Svezia, se può non paga le tasse.
C'è una cultura altissima e tutto quanto, in Svazia, però se riesce a non pagare, non paga. Paga se sa che il rischio di non pagare a un certo punto ne vale la candela.
Poi, da questo nascono anche i sentimenti civici, ma ci si abitua talmente a pagare...
Per risolvere il problema politico, bisogna che gli uomini politici si convincano che a comportarsi bene ci guadagnano, altrimenti saranno sempre scavalcati da qualcuno che li fa fuori."

L'intervista è finita.
E, come sempre, il discorso continua.
Con il presidente e con il direttore del parco del monte di Portofino, con Federica Zandri. Continua mentre visitiamo la sede del parco, mentre ci sottoponiamo al rito delle foto ricordo, e poi a pranzo, dove confrontiamo giudizi, speranze, idee per il futuro.
Quando Piero Ottone si infila nella sua utilitaria bianca e sparisce nelle strade di Santa Margherita Ligure verso la sua Camogli, finalmente mi rendo conto di una assenza importante.
Di un vuoto impegnativo.
Finché era lì, a portata di registratore, quel grande signore del giornalismo sprigionava tanto di quello stile da non far pesare in alcun modo alcuna differenza.
Ma l'assenza ha lasciato un vuoto che nemmeno quintali di bon ton possono colmare. E la nostalgia di questa lunga chiacchierata, al di là degli stessi contenuti, mi resta appiccicata alla pelle nel viaggio di ritorno ad Ancona, neanche avessi incontrato il redivivo monumento di Albertini, quello che sta fisso e buono all'angolo di piazza Cavour, in Ancona, in indifferente attesa che i concittadini (suoi e miei) si decidano a dare il suo nome alla piazza, per motivi che in Svezia capirebbero, ma che ancora sono oscuri in riva all'Adriatico.