Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 34 - OTTOBRE 2001


LIBRI
Histoire de l'Adriatique
Pierre Cabanes (a cura di)
Prefazione di Jacques Le Goff
Edition du Seuil, Paris 2001 - (pp. 680 - lire 100.000)

Quando Valerio Giacomini, sul finire degli anni "settanta", raccoglieva nel suo libro "Uomini e parchi" la summa di un pensiero giovane e sincero, che non cessa di dare i suoi frutti e di avere le sue verifiche nei fatti, andava controcorrente almeno due volte. Pochissimi, infatti, in quegli anni, erano disposti a coniugare i due concetti (uomini e parchi) in modo da sviluppare sinergie autosostenibili, e pochissimi erano disposti a seguirlo sulla strada della proposta di strutture di governo delle aree protette che fossero "...istituzioni altrettanto dinamiche ed aperte ad ogni riverberazione culturale" di fronte alle continue trasformazioni sociali e tecnologiche che ingenerano sgomento ed impongono una continua revisione del nostro modo di concepire il rapporto tra uomo e natura.
Questa considerazione Giacomini la sviluppa nella memorabile pagina nella quale polemizza con "... quella mentalità assai poco scientifica che ancora sostiene il principio "del dieci per cento del territorio italiano da salvare", mostrando di confondere quantità e qualità, di ignorare come le diversità ecologiche non siano misurabili a ettari, di insistere su temi di un protezionismo ormai obsoleto e riduttivo, che certo non collabora ad una crescita culturale del nostro paese".
Ripensavo a questa pagina di "Uomini e parchi" partecipando al dibattito svoltosi nella ex tenuta presidenziale di San Rossore, oggi parte del parco regionale di Migliarino, dedicato all'evoluzione del concetto di parco dopo la 394, e questo mio ripensare è diventato un argomento da socializzare dopo l'oneroso acquisto del frutto del lavoro del gruppo di storici coordinati da Pierre Cabanes (Olivier Chaline, Bernard Doumerc, Alain Ducellier e Michel Sivignon) che si sono rispettivamente occupati di una introduzione generale e della parte relativa all'Adriatico nell'antichità, dell'Adriatico dal quarto al tredicesimo secolo; dell'Adriatico dal tredicesimo al diciassettesimo secolo; dell'Adriatico dalla guerra di Candia alla fine degli Imperi (1645 - 1918); e dell'Adriatico dal 1918 ai nostri giorni. Jacques Le Goff, nella prefazione, dopo aver affermato che l'Adriatico è un mare stretto e allungato, che penetra molto all'interno delle terre, il solo mare europeo di questo tipo assieme al Baltico del nord, si rifà a Fernand Braudel per le cifre che lo definiscono, senza dimenticare di sottolineare lo stretto rapporto che la geografia ha con la storia ("la geografia non esiste senza la storia, ma la storia non si spiega senza la geografia").
Tutto giusto.
Tutto molto utile.
Ma che c'entra Giacomini?
Il nesso con la questione fondamentale posta da Valerio Giacomini a mio modo di vedere sta nella necessità di aggiungere un altro posto alla tavola della ricerca e del sapere, considerando l'ecologia ed il rapporto tra uomo e natura che passa anche (e forse soprattutto) per il nuovo concetto di parco come una ulteriore ed indispensabile chiave di lettura della storia e della geografia, se davvero si vogliono cogliere le direzioni dei processi che dal passato arrivano fino al nostro devastato presente, e si apprestano - in questa "età di fretta" (Proust) - a determinare un avvenire dove le generazioni future dovrebbero avere a disposizione un insieme di opzioni economiche almeno altrettanto esteso di quello a disposizione delle generazioni presenti sulla terra.
Recenti appuntamenti pubblici (a Bari, il Forum delle città adriatiche e dello Jonio dedicato all'impegno delle comunità locali per lo sviluppo sostenibile, dove mi è stato chiesto di svolgere una comunicazione sul progetto di sistema "coste italiane protette", ma anche il seminario di Villa Caprile in Pesaro dedicato alla gestione integrata delle coste italiane) mi hanno persuaso che esiste un potenziale pubblico incardinato nelle Città e nelle Regioni del bacino Adriatico, ma anche nelle aree protette diffuse ai bordi di quel mare, che potrebbero "fare sistema" con politiche di tutela e di valorizzazione concordate e gestite in modo integrato e con una pregiudiziale di autosostenibilità.
Questa ipotesi di un lavoro futuro si basa anche sulla presa d'atto di quanto sta scritto nelle settecento pagine degli studi coordinati da Pierre Cabanes, senza peraltro sottovalutare gli atti dei convegni sull'Adriatico svoltisi nel decennio lungo i cinquemila ottocento sessantasette chilometri di costa complessivi calcolati da Fernand Braudel, lungo i quali si verificano contemporaneamente i fenomeni della crescita del turismo ad alto impatto ambientale e dell'esodo dal Kossovo, della tendenza alla costruzione di una sola e deplorevole città (Adriapoli) che andrebbe da Aquilegia a Brundisium, senza soluzione di continuità, alla crescita di nuove urbanizzazioni nelle coste croate, montenegrine e albanesi, che rischiano di rincorrere quello stesso modello italiota di devastazione della natura e della storia.
Eppure, a margine dei convegni e tra le pagine dei libri e delle riviste si trovano suggestive e praticabili vie d'uscita dal destino apocalittico che potrebbe apparire inevitabile. Si dice che il modello Adriapoli non è un destino ormai segnato, anche perché non si è ancora del tutto realizzato. Assieme ai segmenti di questo possibile modello vi sono fiori di centri storici già risanati e salvi, assieme ad altri che possono essere risanati, e assieme a vasti spazi liberi, non ancora aggrediti, in alcuni casi protetti e tutelati (eccoci, al punto!) da aree protette, parchi e riserve, terrestri e marini.
Non è il caso di rpassare rapidamente la lezione di Valerio Giacomini, e di considerare le aree protette quel laboratorio esemplare di nuovo sviluppo sostenibile che può dare un significato completamente diverso al serpentone da incubo chiamato Adriapoli, ma anche ad altri incubi che potrebbero materializzarsi in altri punti dei semila chilometri di costa adriatica?
Unendo le voci sparse e solitarie.
E le volontà che si esprimono nei forum e nei documenti, ma che poi rischiano di perdersi nel lavoro quotidiano, risucchiate da centomila piccole decisioni che finiranno per contraddire i concetti politicamente corretti espressi nei convegni e nel libri?
Gli storici francesi che hanno messo l'occhio sull'Adriatico, proseguendo l'analisi che Braudel a suo tempo (1949) fece sul Mediterraneo nell'epoca di Filippo secondo, ci hanno fornito un prezioso sfondo geografico e storico, di grande interesse e di non comune spessore.
Uno dei meriti di questo lavoro è quello di ricordare a tutti che l'Adriatico non è un dettaglio marginale della vita contemporanea, causa di fastidiose invasioni di profughi e di guerre umanitarie che si preferisce dimenticare. "Luogo geometrico di tutti i contatti e di tutte le avversità tra popoli, civilizzazioni, religioni ew regimi politici, il mare Adriatico resta ai nostri giorni una frontiera viva tra paesi ricchi e paesi poveri", ci dice l'ultima di copertina.
E resta, aggiungerei io, uno dei luoghi ideali per sperimentare immediatamente politiche di sistema, di area vasta, adriatica, che mettano alla prova la volontà degli stati, delle regioni e delle comunità locali di dar vita ad un nuovo sviluppo, sostenibile, che può essere sperimentato nelle aree protette ed immediatamente applicato anche a tutti i seimila chilometri di costa adriatica.
M.G.