Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 35 - FEBBRAIO 2002


"PARCHI PIU' APERTI,
PER CONQUISTARE GLI ITALIANI"
Chiacchierata a tutto campo col nuovo presidente di Federparchi, Matteo Fusilli
  Dal 29 novembre del 2001 Matteo Fusilli, Presidente dell'Ente Parco Nazionale del Gargano, è il nuovo Presidente di Federparchi. Pugliese di Monte S. Angelo, eletto all'unanimità alla nuova carica, Fusilli è docente presso la Facoltà di Economia dell'Università di Foggia e in passato ha ricoperto numerosi incarichi amministrativi. Tra l'altro, è stato Presidente della Comunità Montana del Gargano.
Con lui, in questa intervista, abbiamo passato in rassegna molti dei temi che investono la realtà delle aree protette italiane.

Presidente Fusilli, la sua elezione è avvenuta proprio nei giorni in cui l'Italia dei parchi festeggiava - con l'eccezione dei Verdi, secondo i quali "le ombre prevalgono sulle luci" - il decennale della legge quadro 394/91.
Partirei da lì, chiedendole un giudizio sulla 394.


La 394 ha segnato una svolta fondamentale per le aree protette in Italia, in particolare per i principi generali che vi sono affermati. Senza quella legge l'obiettivo del 10 % di territorio protetto non sarebbe stato raggiunto e i parchi non sarebbero - come oggi sono - un grande patrimonio dell'Italia. Con la 394, seppure con qualche ombra, è stata portata alla luce una grande ricchezza territoriale ed umana che ha permesso all'Italia di raggiungere e superare i livelli di protezione di molti paesi europei.

Il governo in più occasioni ha manifestato l'intenzione di riformare la legge. Secondo lei è utile o va bene così com'è?
La 394 non è un totem da venerare, ma anche riforme o peggio controriforme, che vorrebbero rimetterne in discussione l'intero impianto, mi sembrano sbagliate e pericolose.
E' indispensabile conservare la prima parte della legge, i principi e le finalità.
Su altre questioni siamo aperti al confronto, non faremo mancare le nostre proposte e sulla base dell'esperienza fatta, si potranno individuare soluzioni utili a dare maggiori capacità d'intervento ai parchi. Il decennio trascorso, oltre a tutto, è stato teatro di molti cambiamenti, a cominciare da quelli sul piano istituzionale introdotti dai "provvedimenti Bassanini".

La stessa 394 ha subìto modifiche, in particolare con la 426 del '98.
Appunto, ma vi è un serio problema di coordinamento tra le norme in materia di aree protette e quelle riguardanti altri campi (paesaggio, difesa del suolo, urbanistica, ecc.) e tra livello nazionale e regionale.
Tutte le ultime novità legislative hanno infatti portato ad un ulteriore rafforzamento delle competenze esclusive dei governi regionali. Gli stessi parchi nazionali hanno sì come punto di riferimento il ministero, ma le Regioni sono ormai diventate un punto di riferimento strategico.

A parte le questioni di carattere istituzionale, quali sono altri problemi che la 394 non ha risolto?
Bisogna rendere molto più efficienti gli enti parco, assicurare loro una effettiva autonomia gestionale, arrivando il prima possibile, all'individuazione di un nuovo status giuridico degli enti parco che non abbia più come riferimento la legge n. 70 del 1975 che impone procedure oramai anacronistiche.

Faccia un esempio.
Nessun ente in Italia è sottoposto ad un controllo di merito e di legittimità di tutti i propri atti. Ma si può fare riferimento anche allo status degli amministratori dei parchi. I componenti delle giunte e dei consigli direttivi dei parchi non hanno diritto al permesso del datore di lavoro per poter partecipare alle riunioni degli organi e non può essere concessa l'aspettativa, possibilità e diritti che agli amministratori degli enti locali sono stati giustamente riconosciuti da decenni. Le stesse indennità pongono un problema di dignità per coloro i quali devono occuparsi di territori non di rado estesi per decine di migliaia di ettari, combattere l'abusivismo edilizio, realizzare progetti di conservazione, promuovere politiche di sviluppo ed approntare strumenti di pianificazione territoriale che "sostituiscono" i piani regolatori comunali.
Inoltre gli enti parco non possono prevedere nelle proprie piante organiche i dirigenti; il massimo livello possibile è quello dei funzionari, mentre invece sarebbe indispensabile avere competenze amministrative e tecniche di alto profilo.
Eppure, nonostante tutto, amministratori, direttori e dipendenti dei parchi hanno compiuto in questi anni un sforzo straordinario, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Perché molti parchi a distanza di anni sono ancora senza direttore e piani di gestione?
Perché a distanza di tre anni non è ancora istituito l'albo dei direttori di parco.
Esiste solo un elenco degli idonei istituito con un decreto del ministro dell'Ambiente che risale al 14 aprile del 1994. L'unica possibilità è di attingere a quell'elenco.
Come molti parchi poi hanno fatto.
Così è stato nella prima fase, ma quella lista ormai va integrata.
Ci auguriamo che il ministro Matteoli acceleri le procedure di istituzione dell'Albo.

E i piani?
Si tratta di atti di grande complessità che producono effetti rilevanti sulla vita delle nostre comunità. Su questo si è riflettuto e infatti anche la 426 ha ampliato i tempi di scadenza. Alcuni parchi hanno già approvato i piani, altri sono in dirittura d'arrivo ma sulla questione dobbiamo avviare una riflessione più generale.

Vale a dire?
In passato sembrava che i parchi nazionali dovessero avere come unico punto di riferimento lo Stato, il ministero, le commissioni parlamentari. Questo sicuramente resta, ma il piano del parco, e qui parlo dei parchi nazionali, si deve rapportare al piano urbanistico regionale, al piano territoriale di coordinamento della Provincia, a quello socio economico della Comunità Montana e ad altri strumenti di pianificazione.
Ecco perché oltre al riconoscimento della Federazione dei Parchi da parte del ministero dell'Ambiente, occorre istituire un tavolo di concertazione all'interno della Conferenza Stato-Regioni-Autonomie.

Con la sua nomina cambierà qualcosa per Federparchi? E come?
Federparchi ha fatto moltissimi passi avanti nella capacità di rappresentanza degli enti associati e nei servizi tecnici, amministrativi e progettuali che ad essi fornisce.
Siamo ormai una grande realtà rappresentativa della stragrande maggioranza delle aree protette. Stiamo per aprire una sede a Roma, in via Cristoforo Colombo, a pochi passi dal Ministero dell'Ambiente.
Dobbiamo far crescere il livello di coinvolgimento e partecipazione degli associati, in particolare dei parchi regionali che sono una realtà importante e in forte crescita.

Ha in mente alcuni cambiamenti organizzativi?
La Federparchi deve avere un rapporto diretto con la Conferenza Stato-Regioni ma anche con le singole Regioni, coi presidenti, con gli assessori all'Ambiente.
Questo è un elemento che abbiamo un po' trascurato, il fatto di essere un soggetto nazionale ci ha portato spesso ad avere più la testa a Roma che altrove. E' necessario costituire dappertutto i coordinamenti regionali e assicurare ad essi, una maggiore presenza negli organi dirigenti dell'associazione.
Lo stesso discorso vale per le riserve marine che possono trovare nella Federparchi il proprio luogo di rappresentanza e di iniziativa unitaria. La presidenza Valbonesi, grazie anche ad un lavoro collegiale, ha fatto della Federazione una realtà davvero forte. Dobbiamo continuare su questa strada, con alcune innovazioni.

Quali?
In passato, anche ministri dell'Ulivo hanno visto nell'operato di Federparchi il prevalere di un orientamento politico rispetto ad altri. Non era vero e lo dimostrano le tante posizioni assunte in piena autonomia, ma se ci fossero ancora nebbie di questo tipo le dovremo diradare. Sempre più la Federparchi dovrà essere l'organismo di rappresentanza di tutti.
Nessuna associazione, né l'Upi, nè l'Anci o l'Uncem è pregiudizialmente schierata a favore o contro il governo in carica o sostiene questa o quella forza politica. La Federparchi associa e rappresenta istituzioni ed associazioni di diverso orientamento, ma tutte impegnate a sostenere gli obiettivi unitariamente condivisi.
Le aree protette rappresentano un grande patrimonio nazionale che non appartiene a questa o a quella forza politica ma a tutti.
Di questo sono profondamente convinto e l'elezione a presidente, avvenuta all'unanimità, mi impegna anche moralmente a fare della Federparchi, la casa comune in cui tutti si ritrovano.

Pensa a un allargamento di Federparchi?
Proprio perché dobbiamo fare della Federazione un organismo unitario auspico l'ingresso nella nostra associazione, dell'unico parco nazionale, quello d'Abruzzo, che ancora non aderisce, del Wwf e di Italia Nostra. Approfondiremo il prima possibile questo argomento con la presidenza di Italia Nostra, mentre col Wwf ci sono già stati due incontri. La presenza dell'associazionismo all'interno di Federparchi è molto qualificata - vi sono già, lo voglio ricordare, Legambiente, la Lipu e il Cts - e rappresenta un fatto importante che dà forza al sistema dei parchi.

Cosa risponde a chi accusa Federparchi di scarsa attenzione ai temi della conservazione?
Non è così, ma l'invito ad occuparcene di più va accolto. In questi anni abbiamo lavorato molto per dimostrare che i parchi da poco istituiti erano una grande opportunità per le comunità locali.
Ma è giusto rafforzare il nostro impegno affrontando la questione della rete ecologica nazionale.

In realtà i progetti di conservazione avviati dai parchi non sono pochi.
E' vero, ma una politica nazionale a questo riguardo va ancora realizzata, anche se i progetti di sistema (Appennino Parco d'Europa, la Convenzione delle Alpi, Coste Italiane Protette, ITACA, ecc.) rappresentano nodi importanti della rete. Avremo nei prossimi mesi, un forte indirizzo ministeriale sui temi dello sviluppo e del rapporto con le comunità locali, che andrà accolto ma bilanciato, considerando quello che i parchi effettivamente devono essere: senz'altro protagonisti di processi di sviluppo sostenibile, ma comunque territori speciali.
E speciale, allora, deve essere la loro protezione e l'impegno sui temi della conservazione.

Dopo l'accordo con gli agricoltori raggiunto con successo dalla presidenza Valbonesi ci sono altre operazioni analoghe per il 2002?
Sì, con gli operatori turistici e le loro associazioni, a partire da Confcommercio, Confesercenti e Confindustria.
C'è una grande attenzione nei confronti dei parchi, perché la domanda turistica va in quella direzione. Naturalmente è un tema delicato, il turismo può essere perverso o virtuoso. Distruggere il territorio, però, è sicuramente un suicidio dal punto di vista degli operatori turistici. Credo che con quel mondo i parchi debbano dialogare, sono convinto che vi sia una reciproca convenienza. L'occasione ce la offre anche questo 2002, dichiarato Anno Internazionale delle Montagne ma anche dell'Ecoturismo.

Con la sua briosa rivista Gargano Parco, ma anche col Premio giornalistico internazionale "Il Trabucco", l'ente parco da lei presieduto sembra assegnare un ruolo preminente all'informazione e alla comunicazione. Più in generale, e stavolta da presidente nazionale, come vede il rapporto attuale tra parchi e comunicazione?
Partiamo da una premessa.
I parchi fanno un lavoro enorme, che però è poco conosciuto. Lo confermano anche le indagini Doxa commissionate dal ministero.
Gli italiani conoscono pochissimo i parchi, le loro attività, la loro ricchezza. Questo non fa bene ai parchi e non aiuta a difenderli. E' indispensabile una assidua attività di informazione all'interno di ogni parco nei confronti degli abitanti e dei visitatori, ma è necessario, soprattutto, uscire all'esterno.
Su questo tema intendiamo proporre al ministero ed in particolare al Servizio Conservazione Natura, che ha mostrato sempre una grande sensibilità, di realizzare insieme a noi, una campagna molto intensa di comunicazione nazionale da veicolare non soltanto attraverso la partecipazione alle trasmissioni dedicate e sulle bellissime riviste patinate, dove bisogna naturalmente continuare ad essere presenti.
Dobbiamo arrivare al grande pubblico utilizzando strumenti più efficaci, come ad esempio una campagna di spot in grado di comunicare la grande vitalità dei nostri territori e la presenza su rotocalchi e in trasmissioni televisive che parlano a tutti gli italiani e non soltanto a coloro che hanno già una sensibilità ambientale.
Federparchi accrescerà di molto il suo impegno, chiamando personalità del giornalismo, della scienza, della cultura e dello spettacolo, amici dei parchi, ad aiutarci in questa impresa.

Come giudica sin qui l'operato del ministro dell'Ambiente?
Positivamente sugli orientamenti generali in materia di aree protette, ed anche su altre questioni come la Legge Obiettivo e il Piano Lunardi sulle infrastrutture.
Noi saremo insieme al ministro Matteoli per impedire lo stravolgimento del nostro territorio e la distruzione di rilevanti risorse ambientali.
Vi sono state inoltre, dichiarazioni importanti sulla necessità di istituire nuovi parchi e di ampliare il territorio nazionale protetto. Al ministro e al sottosegretario Tortoli assicuriamo la nostra collaborazione per il raggiungimento di questi obiettivi.
Su alcuni atti però, il nostro giudizio si fa negativo.

Ne dica uno.
Il commissariamento dei parchi del Cilento e del Pollino.
Se esistono problemi di fondi non spesi, il ministero dovrebbe semmai offrire un supporto in più ai parchi in questione invece di adottare misure draconiane. E' naturalmente legittimo e politicamente corretto che alla scadenza dei mandati dei presidenti e dei consigli, il ministro esprima la propria potestà in materia.

Un obiettivo da porsi per l'anno che si apre, quello più urgente. Qual è?
Recuperare un forte sentimento di fiducia nel futuro.
Il mondo dei parchi è quello che ha lottato per la 394 e che poi, si è ritrovato ad amministrarli. Si avverte ora preoccupazione, incertezza, quasi la voglia di rinchiudersi in un fortino in attesa di chissà quali attacchi...

Un ripiegamento su sé stessi?
Sì, un ripiegamento dentro i parchi che impedisce anche di esprimere al meglio il lavoro svolto, i risultati raggiunti.
E' un atteggiamento sbagliato. I parchi devono aprirsi sempre di più, riuscire a conquistare un più ampio consenso, confrontarsi senza timori. Il nostro obiettivo è di arrivare al punto in cui i parchi vengano considerati un patrimonio di tutti, come già avviene per i beni culturali del nostro paese, o, per dirla in maniera più appropriata, come una importante articolazione dello Stato. Per farcela dobbiamo impegnarci con spirito unitario ed aperto, senza la spocchia delle minoranze presuntuose, dialogando con le maggioranze intelligenti e sensibili del nostro paese.
L'isolamento e l'autoreferenzialità sarebbero in questo momento, una trappola mortale per i parchi. Abbiamo bisogno di un forte sostegno culturale e popolare.
Dobbiamo riuscire a costruirlo e a farlo manifestare apertamente. Soltanto così i parchi, finalmente, non avranno più nulla da temere.

NB: Parte di quest'intervista è stata pubblicata su Il Sole 24 Ore del 3/12/2001.