Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 35 - FEBBRAIO 2002


UNO STRANO DECENNALE
L'anniversario della legge 394 è stato stranamente snobbato, nonostante le polemiche di tutti questi anni
È probabilmente troppo presto per tentare un sia pur sommario bilancio del dibattito e delle iniziative sul decennale della legge quadro sulle aree protette. Ci sarà modo quindi di farlo compiutamente più avanti.
E tuttavia, qualche prima considerazione può essere fatta, con l'avvertenza appunto di non pretendere di tirare frettolose e premature conclusioni. L'impressione è che le roventi polemiche di questi anni, che a più riprese hanno accompagnato la non semplice costruzione di un sistema di aree protette, non stiano producendo per ora quel che ci si poteva attendere e augurare.
Gli anniversari ‘legislativi' dovrebbero, infatti, servire ed essere utilizzati per mettere in luce ciò che di una legge si è mostrato alla prova dei fatti valido ed efficace e quello che invece, alla lunga, ha mostrato la corda e consiglia perciò opportuni cambiamenti e correzioni.
Finora però, se si fa eccezione per alcune opportune e riuscite iniziative della Federazione Nazionale dei Parchi e di qualche associazione ambientalista, dei contributi della rivista ‘Parchi', di un speciale di Airone, non mi pare che ci sia stato grande fervore né voglia di uscire o dal compiacimento un po' scontato e di maniera, e l'altrettanto scontato e prevedibile mugugno sulle ‘mancanze' della legge che si ripete quasi sempre uguale a se stesso da troppo tempo.
I grandi mezzi di informazione, a cominciare dai maggiori quotidiani, hanno sostanzialmente mancato l'occasione o tacendo del tutto, come è avvenuto nella gran parte dei casi, o riservando all'avvenimento notizie e spazi ridicoli. Va detto che anche le istituzioni , ad eccezione del Presidente della Repubblica che ha inviato un incoraggiante messaggio alla Federparchi, non hanno davvero brillato per l'occasione.
Regioni, Province, Comuni e Comunità montane e le loro rappresentanze non hanno fatto niente, o quasi.
Singolare, sotto questo profilo, è stato l'atteggiamento del ministero dell'Ambiente (in sostanza del governo) che stando alle dichiarazioni del ministro Matteoli non prevede riguardo alla legge nessuna iniziativa, e quelle del neo-sottosegretario Tortoli che già in più di una occasione ha dichiarato invece essere intenzione del governo di mettere mano ad una sua revisione.
In conclusione, la legge che pure ha infiammato tante polemiche, nel suo decennale è stata stranamente snobbata dai più.
Certo, nessuno si augurava una ripresa dell'insopportabile tormentone sulla ‘intangibilità' o meno della legge (principio d'altronde da tempo ‘violato' da alcune modifiche apportate nel corso di questi anni e non sempre per migliorarla).
Eppure era possibile affrontare la questione per un versante non meramente celebrativo, sicuramente più costruttivo anche se meno scontato.
Ma ci voleva maggiore impegno e disponibilità visto che sui due fronti estremi le cose non sembrano essere finora granchè mutate. Quelli che la legge 394 l'hanno sempre vista con scarsissima simpatia continuano a ripetere con estrema genericità che bisogna rivederla per favorire soprattutto il consenso e la partecipazione delle comunità locali e, se cacciatori, che la legge è addirittura un disastro.
Gli altri, soprattutto quelli che l'hanno difesa con maggiore coerenza e determinazione sembrano considerare tuttora pericoloso un dibattito che non escluda significative modifiche. Sembrerebbe dunque una situazione di stallo, un dialogo tra sordi, ma le cose, nonostante il persistere di queste posizioni un po' imbalsamate, sono assai più mosse ed è un peccato appunto che il dibattito sul decennale non abbia finora consentito di fare emergere con più nettezza le ‘novità'. Va detto anche che a non dare al dibattito quella scioltezza e concretezza che molti ritenevano e ritengono necessaria ha contribuito anche la decisione del governo di mettere mano ad una serie di testi unici in campo ambientale (aree protette incluse) affidandone la predisposizione ad una commissione composta da ben 24 membri, in buona parte di provenienza ‘esterna' alle strutture ministeriali. Il compito della commissione è quello di mettere ordine nelle materie senza nulla aggiungere o modificare nelle normative esistenti (così è detto), a differenza di quanto invece a suo tempo fu fatto con il Testo Unico sugli Enti locali. Ora questa operazione (anche se, ma non è sicuro, non si fosse tentati di non limitarsi a mettere solo ordine nella materia) almeno per quanto riguarda le aree protette, è destinata a dare frutti piuttosto modesti se si considera che la materia è regolata da pochissime leggi, niente affatto sovrapposte o confuse, anche se per taluni profili discutibili. In questo modo si rischia, quindi, di affidare ad una commissione di ‘esperti' un mandato di modesto spessore normativo che servirà probabilmente soltanto a ‘sottrarre' ad una più proficua discussione ‘pubblica', una legislazione che tra i suoi maggiori problemi, non ha certo quelli derivanti da una eccessiva e confusa sovrapposizione di norme. Non è sicuramente quello delle aree protette, insomma, un settore investito da una alluvione normativa nazionale e regionale da richiedere in primo luogo e soprattutto ‘ordine'.
Semprechè - non è male ripeterlo- non si voglia ‘approfittare' della delega per fare anche quello che ad essa non è demandato.
D'altronde, il decennale non doveva e non deve essere una occasione per riprendere il discorso laddove fu concluso nel dicembre del '91 come qua e là è apparso.
Da dove partire allora?
Di sicuro dai risultati. La legge quadro ne ha prodotti infatti molti ed anche importanti. Innanzi tutto sono aumentati i parchi e più in generale le aree protette.
E ciò grazie al nuovo impegno delle istituzioni statali e regionali che vi hanno speso energie e risorse come mai era accaduto nella storia del nostro paese.
Qui ci siamo messi davvero al passo con il resto dell'Europa più avanzata anche se con scompensi tra le varie aree del paese.
Ed anche la critica insistita, che non sempre ci sarebbe stata adeguata ricerca e capacità di acquisire il consenso delle popolazioni, va presa con beneficio d'inventario.
Non sono sicuramente mancate decisioni ‘sofferte', ma nel complesso se i parchi sono decollati è segno che il consenso non è stato così scarso. Tanto è vero che dove la resistenza è stata più forte, lì i parchi non sono ancora partiti, o sono ai primissimi passi. Per carità, si poteva fare di più e meglio, ma certe critiche ripetute senza neppure cambiare una virgola per anni, sono da prendere con le molle per la loro pregiudiziale ostilità ad un disegno giusto per quanto difficile. Queste obiezioni, che hanno accompagnato la legge da quando il parlamento la licenziò, al di là della loro effettiva consistenza e fondatezza, finiscono per oscurare i problemi veri che in questi dieci anni sono andati via via emergendo, e ai quali una risposta va data.
Con la legge, quando ciò è indispensabile, con misure politiche adeguate quando,e ben più spesso, è ugualmente urgente.
Prima però di passare ad un esame di alcuni di questi problemi, vale la pena di notare la ‘singolarità' di una situazione che raramente, ormai, è dato registrare quando si tratta di discutere una legge.
In questi anni nessuna legge, a cominciare da quella fondamentale dello stato: la Costituzione, è stata risparmiata da verifiche e modifiche, sovente assai rilevanti, come dimostrano quelle apportate al titolo V. Ebbene, solo per la legge 394 l'idea che anch'essa doveva e poteva essere sottoposta a quella normale verifica parlamentare e politica, a cui nessuna legge può essere sottratta, ha suscitato in questi anni tante risentite polemiche e allarmi. Intendiamoci, taluni timori erano e sono comprensibili e persino giustificati, solo che si pensi a quanti anni e battaglie ci sono voluti per dotare anche il nostro paese di una legge in questa materia. Ma farne un discrimine, una sorta di invalicabile linea Maginot tra chi è a favore o contro i parchi non ha giovato e non giova ad una esame oggettivo e sereno che avrebbe potuto consentire modifiche meno improvvisate, e in parte anche sbagliate, come è avvenuto con le leggi 344 e 426, a proposito delle aree protette marine.
Infatti, in questo caso, proprio in un settore dove la 394 non aveva con sufficiente chiarezza ‘superato' le vecchie norme della legge sul mare (la 979/82), si sarebbe potuto finalmente affermare pienamente e senza ambiguità, il ruolo delle istituzioni nella gestione di questo tipo di aree protette, che non possono sottostare ad un regime ‘diverso' (intendi burocratico) da quello delle altre aree protette.
Agendo invece alla ‘chetichella', in base ad emendamenti ‘contrattati' con scarsa o nessuna trasparenza tra pochi intimi, il risultato è stato che due modifiche di legge,in rapida successione, non hanno assolutamente migliorato la situazione che rimane, infatti, confusa e soprattutto praticamente immobilizzata, nonostante le tante, troppe dichiarazioni di (velleitario) rilancio.
Ecco perché i tabù sono ingiustificati: alla lunga non evitano le modifiche alle leggi che essendo però decisi in maniera non trasparente e sulla base di un serio confronto, risultano talvolta di scarsa efficacia, parziali e non di rado addirittura peggiorativi.
Tutto ciò premesso, possiamo soffermarci su alcuni aspetti sui quali ormai tacere o far finta di niente non è più possibile a meno che non ci si accontenti di valutare i risultati della legge in base a meri conteggi di tipo ragionieristico.
Gli esempi appena ricordati, di modifiche improvvisate e disorganiche, mostrano chiaramente e innanzitutto che oggi non vi sono (e non si ricercano) sedi e strumenti che consentano a tutti i soggetti interessati- istituzionali innanzitutto- di concertare misure e interventi non unicamente legislativi.
La legge quadro alcuni li aveva previsti e voluti; comitato stato regioni, consulta tecnica etc, ma oggi essi o sono stati abrogati o sono in attesa di improbabili ‘riforme' come appunto la Consulta tecnica.
E se è vero che essi funzionavano poco e male, è altrettanto vero che attualmente le cose vanno anche peggio.
Ecco un primo, decisivo problema.
Un sistema di aree protette non può essere seriamente ed efficacemente gestito senza forme adeguate di ‘leale collaborazione' tra i vari livelli istituzionali che insieme hanno la titolarità delle aree protette.
Tanto ciò è vero che tale ‘intesa', finora, è mancata persino all'interno dello stesso ministero dove, come ho ricordato, aree protette terrestri e marine hanno viaggiato su binari distinti e separati.
Possiamo d'altronde accontentarci del passaggio dei provvedimenti dalla conferenza stato- regioni e stato autonomie?
Non mi pare assolutamente il caso visto che quel passaggio è poco più (e forse neppure) di una formalità, uno spolverino apposto su pratiche che nessuno istruisce, studia e esamina come sarebbe necessario.
Si pensi al fenomeno dei residui passivi dei parchi nazionali, di cui ci si è occupati finora o per fare qualche titolo di giornale ad effetto o, peggio ancora, per ‘commissariare' improvvidamente qualche parco.
Se ne è discusso in qualche sede, intorno a qualche tavolo, dal momento che dovrebbe essere evidente (ma ovviamente non lo è) che se un parco non riesce a spendere decine di miliardi vuol dire che anche le istituzioni che ne hanno la responsabilita -stato, regioni, enti locali- non riescono a fare, come dovrebbero, la loro parte?
Mandare un commissario salva forse la coscienza (e non è detto), ma non aiuta certamente a fare passi in avanti e, soprattutto, a individuare dove sta l'inghippo vero.
A Roma si preferisce evidentemente decidere del direttore di un parco o del personale di vigilanza, piuttosto che andare a mettere le mani negli scomodi ‘ingranaggi' istituzionali e politici di realtà complesse, magari per vedere come mai un parco ottaugenario è ancora senza statuto e senza piano. Sicuramente è più semplice e rapido: che serva di più però è assolutamente discutibile.
A meno che, naturalmente, non si ricorra alle bizzarre e sorprendenti motivazioni del presidente della Commissione Ambiente del Senato, Armani, che ha giustificato i commissariamenti in quanto dove c'è cattiva gestione è necessario e doveroso ricorrere ad una valida gestione amministrativa e contabile che si affianchi a quella scientifica propria dei parchi. Finora, che mi risulti, a nessuno era venuto in mente una tale interpretazione della legge 394 (ammesso che il senatore la conosca) che agli enti parco affida non certo la sola gestione ‘scientifica', ma più semplicemente la gestione dell'ente, che non pensavamo prevedesse una separazione tra gli aspetti amministrativi e contabili e gli altri.
Evidentemente ci eravamo sbagliati. Ma a parte queste stravaganti sortite ancorchè autorevoli, da prendersi ovviamente per quel che valgono e cioè come spie di una situazione in cui- come si era potuto vedere già in qualche recente dibattito in commissione, proprio al Senato- anche in luoghi tanti impegnativi e solenni, spesso si va a naso.
Quando una commissione parlamentare per discutere della situazione dei parchi chiede di essere ragguagliata su indagini di associazioni ambientaliste, di conoscere i bilanci dei parchi (come se il Parlamento fosse la Corte dei Conti) e ignora evidentemente che la legge stabilisce che il governo presenti annualmente una relazione sullo stato dell'ambiente (aree protette comprese), in grado appunto di fornire gli elementi conoscitivi per una valutazione dei risultati, non è un buon segno.
Altro che Parlamento ‘cane da guardia', come gli americani definiscono il ruolo di Camera e Senato: qui il cane neppure abbaia e tanto meno morde.
Che fare allora? Individuare innanzitutto sedi e strumenti anche presso la Conferenza Stato- regioni dove non si possa solo dire ‘quanti' soldi si danno ai parchi, ma anche per fare cosa e ‘controllare' se ciò avviene e come avviene.
Ad una maggiore responsabilità istituzionale e programmatoria dello stato e degli altri soggetti istituzionali, i quali oggi spesso vivono ‘separati in casa', deve corrispondere una maggiore autonomia dei parchi nazionali (quelli regionali in genere ne hanno di più).
Deve essere il parco che decide del direttore e della sua vigilanza qualunque sia la sua provenienza. Ci si è dimenticati, infatti, di una regola fondamentale anche di buon senso, ossia che un parco deve avere un ‘solo' personale. Regola questa che vale ormai per qualsiasi tipo di ente.
L'ente parco infatti non è una diramazione e emanazione burocratica di uno o più ministeri, ma un organo autonomo e responsabile che risponde alla Comunità del parco non a caso rappresentativa di tutte le istituzioni.
Purtroppo, in questi anni, dopo un avvio stentato che sembrava però poter innescare una cooperazione tra stato e regioni, le cose hanno preso un'altra piega. Sia lo stato sia le regioni praticamente hanno preferito fare ognuno per conto suo, al punto che non sono riuscite neppure a confrontarsi seriamente come è accaduto alla 1 Conferenza nazionale sulle aree protette, che sotto questo profilo è stata una occasione mancata e persa.
Questo passaggio è ormai ineludibile, e sarebbe un imperdonabile e gravissimo errore sia in vista della seconda conferenza nazionale sia, e soprattutto, nel momento in cui si deve dare attuazione alle modifiche apportate al titolo V della Costituzione. Pensare che l'importante, ora, è stabilire solo quante e quali sono le competenze dell'uno e dell'altro livello istituzionale, perché poi ognuno faccia quel che crede, è profondamente sbagliato, una leggerezza che potrebbe fra l'altro riservare più d'una brutta sorpresa, specie alle regioni che in questo settore potrebbero, dopo tanti discorsi sul ‘federalismo', e mentre l'ambiente' entra in Costituzione, vedere i loro spazi restringersi anziché allargarsi.
Intendiamoci, non si tratta certo di riaprire quel tipo di conflitto che accompagnò lungamente e malamente il dibattito sulla legge 394 dopo i decreti del 616, ma il solo modo per evitarlo è rendersi conto che vivere ‘separati in casa', in questo caso significa vivere una condizione tutto sommato subordinata e subalterna.
Il Presidente Ciampi ha detto che ‘Non stupisce che la Conferenza delle Regioni abbia proposto l'istituzione di una cabina di regia dell'intero processo di attuazione della riforma' e che in essa ‘dovranno sedere i rappresentanti di tutti i livelli di governo locale; dai Comuni...alle Province e alle Regioni'.
Ecco, questa è la filosofia che deve presiedere anche alla ‘regia' della gestione delle aree protette, del ‘sistema' delle aree protette, non solo per scongiurare conflitti e contese perniciose, bensì per garantire una politica davvero nazionale.
Qui, infatti, sta oggi probabilmente il rischio più serio dopo i risultati conseguiti grazie alla legge; quello di vedere smagliarsi una linea che, seppure faticosamente e con discontinuità, ha cercato di caratterizzare la presenza e il ruolo dei parchi come strumento ‘speciale' di una nuova politica di tutela attiva dell'ambiente e del territorio. Le stesse indicazioni contenute nella delega per la stesura dei testi unici, per quanto attiene alle aree protette appaiono stranamente vaghe e contengono affermazioni pericolose riguardo ad una sorta di ‘autosufficenza' finanziaria dei parchi che in tutto il mondo, da oltre un secolo, si è dimostrata impraticabile.
Farvi ricorso (specie attraverso una delega), proprio nel momento del massimo sforzo perché il sistema dei parchi oggi sostanzialmente a regime, sappia esercitare pienamente il suo ruolo, appare più che sospetto, estremamente insidioso.
Tutto ciò unito alle molteplici spinte nazionali e regionali per ‘ridimensionare' le superfici di parchi, anche di recente istituzione, desta legittime e ampiamente giustificate preoccupazioni, tanto più che esse sembrano voler affidare ai singoli comuni la scelta dei territori da lasciare o meno nei parchi, come è stato detto, ad esempio, per l'Arcipelago toscano.
Senza considerare che persino scelte in sé senz'altro condivisibili, come quella di favorire la istituzione in alcune regioni come la Lombardia, anche di aree protette sovracomunali o locali, possono diventare ‘alternative', anziché integrative e complementari, rispetto a parchi regionali che ‘storicamente' hanno assolto ad una funzione importantissima anche sul piano nazionale, e che oggi non possono certo essere ‘declassati' o mandati in pensione. Sono tutti casi che dimostrano come una esasperata concezione e impostazione ‘localistica', anziché consolidare il sistema possa indebolirlo e pregiudicarlo.
Rispetto a questi aspetti la legge non gioca un ruolo rilevante perché si tratta di questioni a carattere preminentemente istituzionale, culturale e politico.
Ma è chiaro che, se si accetta che le scelte di fondo, qual è appunto la perimetrazione di un parco nazionale o regionale, possano essere affidate principalmente ai singoli enti locali, al di fuori di una impostazione e visione d'insieme, è l'impalcatura fondamentale della legge quadro a soffrirne.
A chi rifletta con un minimo di attenzione su questi aspetti non sfuggirà, ad esempio, che vi è tra le altre una questione finora rimossa o affrontata con estrema leggerezza e disinvoltura, e cioè quella della classificazione delle aree protette, che ha molto a che fare con le incertezze e talvolta la confusione che si registra sempre più frequentemente.
Ho già detto delle aree protette marine.
Ma come non vedere che con la crescita di quelle che la legge quadro definiva ‘altre aree protette', in più regioni si sono aperti problemi che non possono non avere ripercussioni e riflessi anche sul piano nazionale e del sistema.
Già la definizione di parco nazionale e parco regionale oggi sta stretta ad una realtà che vede parchi nazionali di superfici estremamente ridotte, di pochi comuni ed anche di uno solo, accanto a parchi nazionali (ma anche regionali) enormi o comunque molto estesi.
Parchi tra loro estremamente diversi sono collocati nella stessa categoria ‘istituzionale' e parchi tra di loro assai affini e simili collocati in livelli diversi.
Se ciò non bastasse si tenga conto che in una serie di regioni sono stati istituiti, o stanno per esserlo, aree protette non solo ‘naturali' che non è sempre semplice ‘collocare' nella casella giusta. Della Lombardia abbiamo detto, ma è così anche in Toscana e altrove.
Questa situazione dà luogo e determina sfasature e contraddizioni rispetto ai criteri di classificazione di organi internazionali i quali, a loro volta, dovrebbero riverificare ed anche correggere qualcosa nelle impostazioni fin qui seguite, che oggi appaiono talvolta inadeguate.
Non solo, ma rende più complicati i rapporti con l'Unione Europea che a sua volta va ‘disegnando' tipologie di aree protette su scala minore o per ‘settori' che mal si raccorda o non si raccorda affatto, con le normative e le tipologie nazionali e regionali.
Ed anche per quanto riguarda gli enti parco è chiaro che l'attuale situazione richiede qualche ‘aggiustamento'.
In fatto di autonomia, tanto per cominciare, così da eliminare l'assurda collocazione degli enti tra quelli previsti dalla legge 70. Ma anche nella loro composizione.
E' giustificabile che gli enti del Pollino, del Cilento, del Gargano con decine e decine di comuni siano uguali a quello della Maddalena e dell'Asinara composti da un solo comune? E, infine, non è il caso di riconsiderare la questione delle rappresentanze all'interno dell'ente?
Nel ‘91 la legge 394 compì una scelta innovativa (non pacifica), prevedendo una rappresentanza delle associazioni ambientaliste e scientifiche negli enti di gestione (e nella Consulta tecnica).
A distanza di dieci anni e nel momento in cui i parchi operando a 360 gradi hanno coinvolto nella loro azione tanti altri soggetti anche economico sociali, non è il caso di pensare anche per le aree protette sia terrestri che marine ad una rappresentanza delle associazioni degli agricoltori, dei pescatori etc?
Non mi nascondo i rischi di ‘ settorializzazione' e ‘sindacalizzazione', ma non ostando questioni di ‘principio', superate ormai nel ‘91 (non dimentichiamo che le istituzioni allora non vedevano assolutamente di buon occhio una presenza ‘estranea' negli enti) non vale la pena di considerare questo aspetto, che potrebbe rafforzare il ruolo dei parchi accrescendone il consenso? A fronte di questi problemi c'è da chiedersi se oggi c'è sufficiente consapevolezza che su questo fronte si gioca il presente e il futuro delle aree protette.
Anche ad essere ottimisti e a giudicare proprio dal dibattito e dalle iniziative sviluppatesi in occasione del decennale della legge, c'è da dubitarne fortemente.
D'altronde i risultati conseguiti hanno posto solide e valide premesse perché anche i ritardi, gli errori, e le spinte non sempre condivisibili che oggi registriamo possano essere affrontate senza disperare.