Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 35 - FEBBRAIO 2002


LA CLASSIFICAZIONE SI EVOLVE
Quache riflessione sulla situazione in Toscana, con possibili connessioni al quadro nazionale.
L'attuale classificazione delle aree protette, deriva oggi direttamente da quanto dispone al proposito la legge quadro, mai messo in discussione, modificato o perfezionato nel corso di questi dieci anni; da tale impostazione, restata all'enunciazione iniziale, dovrebbe risultare "chi" fa "che cosa" in materia.
In effetti, a tutt'oggi, dalla legge quadro e dalle leggi regionali di recepimento, solo il "chi fa " costituisce riferimento di certezza; "che cosa" si fa è assai meno chiaro e definito per quello che riguarda la distinta caratterizzazione delle tipologie istitutive: aree protette di terra e di mare; parchi, riserve, "altre" aree protette.
Da ciò lo stato di confusione, sia pure con differenze nel quadro complessivo nazionale in evoluzione e nelle singole situazioni regionali, desumibile sia dalle voci disparate che compongono, nelle sue tre edizioni, l'Elenco ufficiale nazionale delle aree protette, sia dall'individuazione spesso casuale ed arbitraria, decisa con legge, di nuovi parchi nazionali; ultimo quello dell'Appennino Tosco - Emiliano.
Ma l'Elenco ufficiale nazionale non è che la trascrizione, quasi fedele, di quanto accade nelle regioni; anche in Toscana, dagli aggiornamenti dell'Elenco ufficiale regionale e dai consuntivi annuali, a partire dal '97, si cominciano ad evidenziare problematiche e disparità interpretative sulla classificazione in atto: questioni che interessano complessivamente la procedura attivata della legge regionale attraverso le proposte provinciali e che riguardano, oltre alle tipologie dei parchi e delle riserve tradizionalmente intese, la discussa novità in forte espansione delle aree naturali protette di interesse locale (ANPIL) di competenza comunale.
Per non parlare poi della classificazione complessiva delle riserve statali, i cui decreti istitutivi sono stati automaticamente ereditati dalla legge quadro, senza ripensamenti: quando finalmente verrà il momento di parlare del loro destino, in attuazione del sospirato trasferimento, non mancheranno sorprese dalla verifica delle effettive situazioni territoriali ed ambientali a cui è stato attribuito l'assetto di riserva, in epoca e con significato ben lontano dai principi di legge.
In questo quadro, la ricerca in corso di conclusione "Il sistema nazionale delle aree protette nel quadro europeo: classificazione, pianificazione e gestione", commissionata dal Ministero dell'Ambiente al Centro Europeo di Documentazione sulla Pianificazione dei Parchi Naturali, CED PPN, del Politecnico di Torino, a cui Federparchi partecipa, può costituire un contributo, aggiornato sulla situazione internazionale, utile anche ad orientare l'auspicabile ripresa di un dibattito in materia: la situazione in evoluzione, infatti, dovrebbe essere ormai matura per ripensamenti.
Dall'esame della situazione generale risultante dalla politica complessiva delle aree protette, ai vari livelli, presa in considerazione nella ricerca, tre aspetti si evidenziano, di particolare interesse per la Toscana, ma riferibili ovviamente anche al quadro nazionale:
  • Il generalizzarsi della consapevolezza sul peso della "logica di sistema", sia in termini complessivi, attraverso la Rete Ecologica Europea, l'infrastrutturazione ambientale e la Rete Ecologica Nazionale,che nel particolare di iniziative progettuali quali APE, CIP, ITACA.
  • Il superamento, di fatto e nelle intervenute modifiche alla legge quadro con la l. n. 426 /'98, della "discriminante naturalistica" nella selezione dei valori e delle risorse da fare oggetto del regime speciale attraverso la classificazione delle aree protette.
  • La proposta del "criterio di scopo" alla base del riordino della classificazione esistente in coerenza con gli orientamenti e le esperienze internazionali, quale evoluzione dei criteri proposti dall'IUCN.
    A prescindere dalla versione definitiva della ricerca e da come questa sarà gestita operativamente dal Ministero, i riferimenti particolarmente utili per la Toscana e per la sua politica delle aree protette riguardano questioni già da tempo aperte ed in attesa di definizione, quali:
  • Il consolidamento e la coerenza interna del sistema in formazione, già obiettivo dichiarato dell'attuale 3° Programma, nel contesto regionale e nel necessario rapporto col quadro interregionale e nazionale, a partire dall'esperienza iniziata con APE.
  • La possibile coesistenza, nel regime speciale della legge quadro, tra contenuti "naturalistici" e contenuti "culturali", a correttivo anche della separatezza pericolosamente attivatasi, a seguito della legge finanziaria 2001, con l'esperienza in atto di parchi nazionali esclusivamente minerari sull'Amiata e sulle Colline Metallifere.
  • Una puntuale definizione delle possibili "altre" aree protette - le aree naturali protette di interesse locale, ANPIL, nel caso toscano - in coerenza con criteri complessivi di classificazione ed alla luce della già forte presenza di tali aree nel sistema regionale, delle tendenze interpretative distorte e delle aspettative e preoccupazioni per una loro ulteriore espansione sempre in attesa dei necessari correttivi.
    Alcune obiettive constatazioni sulla prassi istitutiva, finora seguita in attuazione della legge toscana, costituiscono una premessa pregiudiziale all'esame dell'esito della politica di sistema, dopo tre programmi regionali, in quanto a classificazione delle aree protette:
  • La classificazione, con l'etichettatura in una specifica tipologia, nasce oggi dalla proposta provinciale; viene successivamente confermata con l'inserimento nel programma regionale e con l'istituzione, comunale (se ANPIL) o provinciale (se parco o riserva), senza occasioni intermedie di specifiche verifiche, controlli o ripensamenti.
  • Oltre il momento istitutivo, la fase di gestione ed in particolare quella della formazione dei piani e dei regolamenti, non comporta alcun contributo di chiarimento e perfezionamento nella classificazione dell'area protetta, a correttivo di un'identità generica predefinita in fase di proposta, nella maggioranza dei casi "a scatola chiusa", ma sempre tutta da verificare.
  • Non esistono ancora sulla situazione in formazione, oltre al numero dei singoli casi ed alla loro estensione territoriale, indicatori utili anche ad un monitoraggio nel tempo sullo stato degli adempimenti e sugli esiti della gestione complessiva.
    Naturalmente accanto alle questioni generali, prima accennate, esistono anche episodi particolari, espressione di distorte interpretazioni della legge; questi però devono essere affrontati singolarmente, nell'ambito di correttivi interni ai sistemi provinciali, sempre possibili; vedi, ad esempio, il caso eclatante dell'ANPIL della Val d'Orcia dove un'area protetta di interesse locale occupa un'estensione rilevante, con perimetri ed assetti che potrebbero dar luogo ad una o più aree con differenti classificazioni meglio rispondenti ad un tipo di gestione che giustifichi il regime speciale.
    Il "criterio di scopo", in coerenza con gli indirizzi internazionali, consentirebbe di pervenire ad una riclassificazione delle aree protette, rendendo espliciti ed impegnativi il complesso degli obiettivi gestionali, secondo la loro varia aggregazione, con differente peso e priorità per ogni tipologia: la conservazione e protezione, la manutenzione ed il mantenimento dei presidi ambientali e delle caratteristiche culturali e tradizionali, l'educazione e la ricerca scientifica, le utilizzazioni sostenibili, costituiscono il complesso degli obiettivi da cui motivare, sin dall'avvio della fase istitutiva, la scelta della tipologia proposta, da confermare poi in corso di gestione.
    Desumere, in base alle argomentazioni della ricerca prima ricordata, il "criterio di scopo" quale base per un ripensamento complessivo sulla classificazione delle aree protette, derivando da questo specifiche tipologie, può aprire la via a risposte positive su una questione che prende sempre più consistenza, in Toscana come altrove, impegnando responsabilità precise di tutti i soggetti istituzionali coinvolti in merito a:
  • La verifica, prima in sede di inserimento nel programma e poi nel momento istitutivo, delle intenzioni prefigurate in fase di proposta in quanto a contenuti ed obiettivi delle iniziative e della loro rispondenza ad un regime speciale.
  • Il riscontro concreto di tali contenuti ed obiettivi, con riferimenti stretti ad atti ufficiali, regolamentari e di piano, per il monitoraggio nella fase gestionale dell'efficienza ed efficacia della tipologia adottata.
  • La specifica collocazione di ogni area protetta, nella sua effettiva tipologia, in ruoli coerenti all'interno dell'articolazione complessiva dell'infrastrutturazione ambientale espressa dal sistema regionale e dai sottosistemi provinciali.
    Il "criterio di scopo" può determinare conseguentemente, senza alcuna variazione alla legge, l'adozione di un nuovo indirizzo attuativo nelle procedure già in atto, in termini di linee guida per la formazione e gestione dei programmi regionali, per conseguire la revisione, con possibili correttivi, della classificazione delle aree protette già istituite; una selezione circostanziata delle ulteriori proposte istitutive, in quanto a classificazione da vincolare a specifici contenuti ed obiettivi; la ricollocazione delle aree già istituite e l'inserimento delle nuove nel sistema, con ruoli collegati alla specifica classificazione e sottoposti nel tempo a monitoraggio.
    La verifica alla luce dei "criteri di scopo" dello stato di gestione delle aree protette e la conseguente revisione della classificazione finora adottata comporta quindi, nel riferimento alla situazione reale costituita dal sistema regionale e dai sottosistemi provinciali:
  • La distinzione generale tra aree protette reali e quelle ancora "di carta", tra valori e regimi straordinari e quelli ordinari: nell'elenco ufficiale si entra, come pure si esce, in assenza di convalida dei presupposti che determinarono l'inserimento di ogni area.
  • Il confronto di coerenza tra le varie tipologie appartenenti allo stesso sistema / sottosistema: agli effetti della conferma del ruolo, dell'identità e caratterizzazione individuale ed in rapporto alla rete complessiva ed al contesto.
  • La sopravvivenza, o meno, delle "altre" aree protette - le ANPIL in Toscana - come opportunità di classificazione, all'interno del regime speciale, condizionata a perimetri e regimi normativi funzionali a predeterminati contenuti, obiettivi, ruoli nel sistema.
    La riclassificazione riguarderà naturalmente le aree protette istituite ai sensi della legge quadro ed iscritte nell'Elenco Ufficiale, con esclusione degli assetti impropriamente qualificati come parchi, ancorché in ambito nazionale - vedi i recenti parchi minerari gestiti secondo le intese conseguenti alla legge finanziaria 2001 - fino al momento in cui, a seguito dell'inevitabile impraticabilità dell'indirizzo scelto, non se ne decida la riconfluenza condizionata nel regime speciale.
    La questione delle ANPIL e della loro esperienza istitutiva e gestionale, oltre naturalmente i singoli casi limite particolarmente sintomatici di applicazioni distorte della legge - vedi la Val d'Orcia - , non può essere affrontata fuori dalla logica di sistema e dalla metodologia di classificazione complessiva prima ricordata; tale nuovo punto di vista e di verifica, utile anche al monitoraggio e al riscontro di conferma su parchi e riserve già istituite, può determinare il superamento della necessaria genericità della legge, causa di sempre possibili interpretazioni devianti, tanto di comodo quanto arbitrarie.
    L'estensività con cui le ANPIL operano oggi in Toscana, spesso con esperienze positive, in una casistica di situazioni estremamente differenziata, porta a suggerire, per una risposta definitiva alle questioni in discussione, piuttosto che il semplicistico azzeramento della situazione, un ulteriore momento di verifica affidato al doppio controllo del "criterio di scopo" e della "logica di sistema": indirizzo di lavoro, questo, utile complessivamente anche all'obiettivo generale del consolidamento della politica finora perseguita ed, insieme, all'organizzazione di un monitoraggio a regime sul sistema in formazione.