Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 35 - FEBBRAIO 2002


N'ATA COSA
Valorizziamo la specificità della "questione parchi"
Chi amministra danaro pubblico sa che arriva il tempo di registrare le novità intervenute, procedendo a variazioni di bilancio. Ma se quell'operazione fosse una metafora, e volessimo riferirla alle materie che amministriamo, in parte non monetizzabili, dovremmo descrivere la modifica degli stessi bilanci, che dopo un decennio non si occupano delle stesse materie, ed evidenziano importanti differenze: sono variazioni di bilanci, appunto. Su questa rubrica mi occuperò di una sola di queste variazioni, che peraltro mi sembra assai rilevante.
Non so se coloro che stanno leggendo queste righe di rubrica che - per mia scelta minimalista ma anche garantista - sostituiscono l'editoriale (ad ulteriore garanzia di esprimere sempre e soltanto mie personalissime opinioni), hanno mai provato il fastidio che io da anni provo quando sono invitato a riunioni che nascono sotto il comun denominatore dell'ambiente, ma che poi non arrivano mai a occuparsi dei parchi.
Per molto tempo me la sono presa con me stesso. Mi accusavo di egocentrismo di ruolo, di deliri di onnipotenza, di arroganza e di autoreferenzialità.
E mi sforzavo di infilare le problematiche della gestione dei rifiuti e quella delle acque in quelle dei parchi, se non altro perché sempre di legislazione ambientale si trattava.
Mi sforzavo di considerare la carbon tax e gli incentivi per la ristrutturazione edilizia materie di mia stretta competenza. Le "Seveso" uno e due, che hanno definito parametri e procedure di sicurezza e di tutela ambientale che le industrie chimiche devono rispettare dentro e nei dintorni dei loro stabilimenti, dovevano essere parte dei miei interessi, mi ripetevo, anche se in nessun parco ci fosse nessuna industria chimica. Come disinteressarsi di Seveso?
E l'inquinamento elettromagnetico? Che dire della centralità di questa questione, che porta in piazza un sacco di gente? E allora occupiamocene, perbacco. E le città a misura di bambino? Perbacco, portiamo la cosa anche nei parchi, e discutiamone con i bambini, e magari anche con le balie.
E la contabilità ambientale? Non ce ne vogliamo occupare? Se i comuni, le province, le regioni e lo Stato istituiranno bilanci "verdi" i parchi ci saranno dentro come pesci nel mare. E tuttavia...
Tuttavia, devo confessarlo, uscendo da riunioni impegnative, ricche di tabulati e di disegni di legge, e di finanziamenti per agenzie e per centri studi, mi sentivo in qualche misura raggirato. Perché di parchi, in buona sostanza, non se ne parlava mai.

Essi erano parte della problematica, parenti stretti delle questioni che si volevano risolvere, ma per collegarli davvero bisognava a volte inventare trucchi, come quando si è immaginato di collegare la certificazione ambientale (ISO, EMAS) alle aree protette, finendo per ottenere risultati paradossali, con una procedura di certificazione adattata ad un parco che non ha mai ottemperato al dovere di dotarsi del piano, ma che è in gara per avere una medaglia di valore mondiale, e non è detto che non la vincerà.

Quando mi ponevo queste domande, vivendo l'esperienza di commissioni ambiente partitiche o istituzionali, osservavo tra me e me che anche nei maggiori appuntamenti internazionali ed europei la questione si presentava in modi analoghi.
Nel "Summit della Terra" di Rio de Janeiro, del 1 giugno 1992, le aree protette furono messe in valore.
Ma perfino a Rio l'ambiente fu una sorta di "burka" calato sui parchi, che potevano parlare ma che esistevano all'interno di una questione più ampia e generale.
E anche quando l'Unione europea si occupò di ambiente, a Maastricht, nel trattato del 1992, e poi ancora meglio a Barcellona nel 95 e ad Amsterdam nel 1997, quando ha emanato direttive sulla conservazione della natura e sulle reti ecologiche, non si è creduto utile individuare nelle aree protette e specificamente nei parchi il motore interdisciplinare di politiche di tutela e di valorizzazione integrate, che pure si raccomandano in astratto, senza locomotiva. Analoga lacuna è possibile individuare nel documento di base che l'Unione europea ha predisposto in preparazione del Summit Mondiale sullo Sviluppo durevole e sostenibile che si terrà a Johannesburg nel settembre 2002.

Pur restandomi in qualche angolo della mia propensione all'esercizio dell'autocritica il dubbio di volermi allargare troppo, e di subire il deleterio contraccolpo di un eccesso di senso del ruolo di amministratore di un parco naturale, non riesco più a sopportare bilanci di attività a favore di politiche di sviluppo sostenibile presentati da regioni o da governi "uscenti" che mettono in fila sostanzialmente le cose che ho già detto, aggiungendo come ciliegina i nuovi parchi istituiti e l'aumento conseguente della percentuale di territorio tutelato, quasi che questa accozzaglia di azioni sia davvero la nuova politica per il nuovo sviluppo sostenibile.
E' vero che nei casi migliori (cfr. il bilancio dei cinque anni di governo del centrosinistra predisposto dal gruppo DS - l'Ulivo del Senato) si aggiungono frasi generiche che mostrano inquietudine e il sospetto che altro si sarebbe dovuto fare ("... e promosse riforme per rendere queste aree agenzie di sviluppo sostenibile, con la creazione di lavoro nelle produzioni tipiche e nel turismo ecologico). Tre righe contro una sessantina, nell'aureo rapporto tra aree protette e questioni ambientali valido sotto ogni stendardo istituzionale e sotto ogni bandiera di parte o di partito.
Ora a me sembra giunto il momento di passare dalla fase dell'affermazione del diritto all'esistenza, con tutti gli annessi e connessi (394, parchi di carta, parchi non parchi, sistema di parchi regionali e nazionali, progetti di sistema, ecc), alla fase successiva, contrassegnata dalla presa d'atto dell'esistenza delle aree protette, della impossibilità di fissare modelli da copiare, e tuttavia anche della possibilità di evidenziare e di utilizzare al meglio (e molto meglio) la caratteristica di organi speciali preposti alla tutela attiva, costituiti da strutture integrate per legge, e quindi automaticamente predisposti a sperimentare l'attuazione di politiche integrate, e anche a gestirle in area vasta, con tutte le leali collaborazioni e le sussidiarietà del caso.

Io credo che se questa mia preoccupazione avesse un senso, occorrerebbe tradurla presto in azioni amministrative e politiche. Infatti l'esclusione dei rappresentanti delle aree protette dai tavoli nei quali si costruiscono le nuove politiche di sviluppo (magari definite sostenibili in quegli stessi tavoli!) integrando i diversi settori economici non è un incidente, ma la conseguenza di una prassi dove l'ambiente in quanto "materia" fa da "burka" alle aree protette, e da alibi per la loro esclusione da altre cabine di regia e da altri tavoli interdisciplinari.

Se poi si aggiunge a questo argomento l'evidente interesse di ogni associazione economica o comunque portatrice di interessi di non avere nuovi posti a tavola, si capisce quanto duro sarà il confronto per spostare l'ottica della tavola delle materie nel senso che suggerisco, riconoscendo alle aree protette lo status di "ata cosa", come dicono a Napoli.
Si racconta che un attore, lavorando con Totò, nel corso di una discussione sui camerini di reciproca spettanza gli dicesse: "Lei è il primo comico", e che Totò rispondesse, dopo avergli offerto il proprio: "No. Il primo comico è lei. I' so' Totò. N'ata cosa".
Da questo aneddoto, vero o falso che sia, si può partire per dire cosa sono oggi i parchi rispetto a "materie" o "argomenti" quali sono l'ambiente, l'economia, l'agricoltura, l'artigianato, il turismo.
Quelle sono materie. I parchi sono altra cosa.
E fino a che non sarà chiaro questo punto, continuerà lo scandalo (o - comunque - il problema, se scandalo sembrasse termine eccessivo) delle politiche per l'ambiente (dell'Onu, dell'Ue, dei governi nazionali e regionali) che in buona sostanza fagocitano e ignorano le aree protette, e delle politiche per le economie, l'agricoltura, il turismo, l'artigianato ecc che non si mettono in gioco di fronte alle aree protette, riuscendo a farla franca con piccoli aggiustamenti politicamente corretti ma anche specchietti per allodole ambientaliste, che trovano in nicchie più o meno lobbystiche i loro tornaconti e le motivazioni per coprire lo scandalo.
Se questa fosse la situazione, di qui occorrerebbe muovere per portare a "Rio più dieci", alla conferenza sull'anno mondiale del turismo sostenibile e anche alle iniziative sull'anno mondiale delle montagne una teoria più aggiornata sul ruolo delle aree protette nelle politiche di sviluppo sostenibile.
E anche per trovare gli interlocutori giusti, in occasioni quali "parco produce" e negli ulteriori vari ed eventuali sviluppi espositivi di quella che fu una grande intuizione, sgangheratasi nell'impatto con la problematica che ho cercato di esporre.