Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 35 - FEBBRAIO 2002


L'ANNO DELLA MONTAGNA
La Federparchi dedicherà al tema la giornata europea
Il 2002 è stato dichiarato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ‘Anno internazionale della montagna'. Il presidente Ciampi per l'occasione ha detto: ‘E' fatto obbligo, a chiunque abbia responsabilità istituzionale promuovere la crescita nelle aree rurali e montane rispettando l'ambiente.
Ciò nell'interesse di tutti, ma soprattutto di chi vi abita'.
I parchi montani non potranno non essere tra i principali e più convinti protagonisti di questa iniziativa internazionale. E quelli italiani, specialmente alpini, lo saranno sicuramente, forti di una presenza, di una tradizione e di una sensibilità rese più affinate dall'operare spesso in realtà di confine, a contatto con comunità di antiche tradizioni e spesso provate da eventi tragici che ne hanno accresciuto l'aspirazione a forme di pacifica convivenza e collaborazione.
Anche per questo la Federazione dei parchi ha deciso di dedicare le Feste dei parchi del 2002 alla montagna.
In questi anni la nostra rivista e più in generale la nostra associazione hanno riservato ai parchi montani, numerosi principalmente nell'arco alpino ed ora anche sull'Appennino fino alla Sicilia, attenzione ed anche iniziative volte a definirne meglio e a valorizzarne il ruolo in ambienti e realtà complesse e difficili.
E' recente anche un libro, ‘Parchi montani' (Comunicazione 2001) in cui esperti, amministratori e tecnici di aree protette hanno passato al setaccio di una riflessione critica le più recenti vicende economico sociali, istituzionali, ambientali in rapporto anche ai progetti di grande area Alpi e APE.
Nel 1995 in un libro dedicato a ‘I parchi delle alpi' (Vivalda editori), pubblicato d'intesa con il Centro di Ecologia Alpina del Bondone avevamo, forse per la prima volta, messo a fuoco la realtà dei parchi alpini muovendo da una impostazione meno ‘tradizionale', cercando cioè di collocare la presenza e il ruolo dei parchi in una dimensione non esclusivamente nazionale e soprattutto in rapporto ai nuovi sconvolgenti processi che investivano con effetti non di rado disastrosi la montagna.
La ragione di questa particolare attenzione ai parchi montani, di cui si possono trovare altre e significative testimonianze sulle pagine della rivista ed in particolare in alcuni Dossier, è dovuta innanzitutto al fatto che specialmente (allora) sulle Alpi si concentrava, al di qua e al di là dei confini, una presenza cospicua di aree protette nazionali e regionali tra le più antiche e famose del continente.
Parchi che, per il peculiare ambiente in cui operavano e il periodo storico in cui erano stati istituiti, presentavano, e per molti aspetti anticipavano, nelle loro luci ma anche nelle loro ombre, profili e problemi con cui ci si sarebbe dovuti misurare anche in altre parti del paese, in parchi anche con caratteristiche diverse. Il problema del consenso innanzitutto.
Nei territori montani e alpini l'istituzione del parco è stata sovente vissuta e sofferta o come ‘imposizione' di una cultura ‘urbana', esterna se non estranea alla tradizione e realtà alpina (una sorta di ‘colonizzazione') o, peggio, (vedi lo Stelvio) di imposizione statale da parte di un regime- quello fascista- che intese mortificare e annichilire tradizioni ed una cultura anche etnica, fortemente radicata in quei territori.
Questo handicap iniziale si accompagnava e si intrecciava con una condizione che vedeva sempre più la montagna investita da processi che la indebolivano economicamente e ne mettevano in crisi la coesione sociale e un modo di vivere secolare.
Le risposte a questi fenomeni e processi risultarono via via di scarsa efficacia, se non destinati ad aggravare la situazione, in quanto ‘subalterne' rispetto a scelte che collocavano comunque la montagna in una condizione marginale, non ‘autonoma'.
Che si trattasse di ‘piegarsi' alla economia della pianura o, successivamente, a politiche di settore: agricoltura, turismo etc, in tutti i casi la montagna era chiamata a svolgere un ruolo subordinato in quanto ‘equiparata' a realtà e condizioni produttive diverse, che la emarginava esponendola al tempo stesso a ‘invasioni' distruttive per l'ambiente e con esso anche di una realtà sociale e culturale.
I parchi montani- anche quelli più noti e rodati- si trovarono così a fare i conti e misurarsi con spinte e processi che rendevano sempre più problematico e arduo ‘limitare' la propria azione ad una esclusiva funzione di ‘conservazione'.
Si può dire, sotto questo profilo, che forse i parchi montani sono stati i primi in cui si è chiaramente manifestato il ‘limite' di un ruolo tutto incentrato su una gestione meramente protezionistica di una specie e di un lembo ancorchè pregiato di territorio, in una visione ‘isolazionista' dell'area protetta. Non solo.
Ma proprio nelle realtà montane i parchi si sono dovuti misurare (come poi sarebbe avvenuto per tanti altri parchi regionali prima e nazionali dopo e soprattutto con la legge quadro del 91) contemporaneamente su due fronti; quello del degrado e dell'abbandono e quelli derivanti da un turismo ‘ricco' ma invasivo e dall'impatto ambientale e culturale pesantissimo.
A fronte di questa realtà, i parchi montani sono stati ‘costretti' a rivedere profondamente, e in tempi incalzanti, le loro strategie operative, a ridefinire il loro ruolo, a cimentarsi con situazioni e problemi assolutamente nuovi a cominciare dal loro rapporto con le istituzioni centrali e decentrate.
Da realtà di ‘nicchia', anche quando riguardavano territori piuttosto estesi, i parchi montani, prima di altri, hanno dovuto fare i conti sia con gli effetti negativi di politiche che alla montagna riservava soltanto le briciole, sia con quelli ‘positivi' che, pur portando per alcune località e categorie ricchezza, ‘consumavano' rovinosamente l'ambiente.
La risposta non è stata (e non è neppure oggi) facile né semplice, e tale d'altronde non lo è stata per l'insieme delle istituzioni che a fatica hanno dovuto prendere atto che la ‘montagna' poteva riscattarsi e svolgere una funzione strategica propria, soltanto se non veniva più considerata un ‘vagone' da attaccare ora a questo a quest'altro treno, e assumeva un ruolo propulsivo ‘specifico', facendo leva sulle sue stesse risorse e potenzialità. E' stato un vero e proprio passaggio di fase per i parchi montani e specialmente alpini, chiamati per la prima volta a misurarsi culturalmente ma anche operativamente, con una realtà che a differenza del passato chiedeva ‘piani', progetti, programmi, interventi e non più una mera e quasi esclusiva opera ‘vigilanza'.
La condizione della montagna è stata ben descritta da Aldo Bonomi (non a caso sulle pagine di ‘Crinali' ‘2000-2001, il giornale di un parco montano; le Foreste Casentinesi): ‘Il passaggio da una economia fordista, caratterizzata dalla centralità del capitalismo urbano industriale che vedeva le aree montane solo come periferia del processo economico, a quella postfordista, caratterizzata da una economia diffusa che ha visto spesso il sistema delle imprese risalire a salmone molte vallate e l'estendersi dell'economia del turismo in miriade di paesi montani, è il paradigma ove ricollocare oggi l'economia montana' ... ‘Oggi la montagna italiana è a tutto tondo uno dei luoghi emblematici della modernizzazione economia'. Un luogo non solo di attraversamento ma ‘spazio ove collocare le moderne infrastrutture funzionali al produrre per competere'.
Tra questi fenomeni nuovi di un processo moderno Bonomi colloca anche la ‘parchizzazione del territorio', che concorre a fare del territorio montano un epicentro dell'economia dell'intrattenimento, in cui assume un rilievo crescente l'economia della manutenzione in cui rientrano anche le specificità di quei prodotti dell'agricoltura e dell'agroalimentare in montagna.
Ci vuol poco a capire che si tratta di una riconfigurazione generale del posto della montagna e con essa dei parchi nella realtà odierna. Una realtà la quale contrariamente a quanto sostiene una certa vulgata non riguarda esclusivamente e sovente neppure prevalentemente aree ‘ marginali'.
Semmai, per usare una definizione più letteraria che sociologica di Bonomi, ‘aree tristi' perché ‘ le aree montane sono caratterizzate, spesso, da società anomiche; da qui la loro tristezza che prende l'essere quando ha l'impressione di subire più che di governare il futuro che viene avanti'.
Ora, se in questa analisi che individua una malattia del territorio montano in quei fenomeni di rancore, rinserramento e mali relazionali che sfociano talvolta in un localismo impotente, c'è del vero, è chiaro che la risposta ai problemi della montagna non è affidabile unicamente a misure ‘economiche' per quanto importanti e strategicamente fondamentali.
Se prendiamo, ad esempio, la questione del ‘localismo', così' tentatore anche in realtà diverse da quelle montane, non v'è dubbio che esso è destinato a sicure sconfitte, vista la dimensione e i connotati dei processi cosiddetti ‘globali'.
La nicchia ‘locale' è fatalmente perdente sul piano generale e produce, per reazione, rancore e vittimismo impotenti. Stando così le cose- lo conferma d'altronde la scelta di dedicare alla montagna un anno ‘mondiale', proprio per sgombrare il campo da qualsiasi illusione ‘localistica' o anche solo ‘regionale'- è chiaro che ai parchi, al di là della percentuale di territorio che essi proteggono in montagna (che pure è cospicua), è affidata una ‘missione' assolutamente peculiare e forte.
Il parco, infatti, specie in realtà con quei connotati appena descritti, ha un ruolo anche ‘civico', culturale, di coesione sociale, di amalgama e rivitalizzazione di tradizioni ancora radicate e vive che, però, hanno bisogno di entrare in un circuito più ampio, per non rinsecchire e morire.
Il parco non è una dimensione ‘localistica' (anche se può diventarlo) in quanto è strumento ‘aggregante' più territori e ambienti, ed è per sua peculiare natura organo di ‘integrazione' sul piano della economia, delle infrastrutture e soprattutto ‘istituzionale'. Quest'ultimo in particolare è un profilo finora forse troppo sottovalutato, per cui può accadere che al Salone Nazionale della Montagna di Torino (settembre 2001) a qualcuno possa venire in mente di richiedere il passaggio della gestione delle aree protette montane direttamente ai comuni e alle comunità montane.
Una richiesta assurda che ignora non soltanto il decennio inaugurato dalla legge quadro sui parchi del ‘91 e il tipo di gestione istituzionale lì prevista per le aree protette, ma anche la precedente e importantissima esperienza dei parchi regionali che proprio in realtà montane come quelle del Piemonte, del Trentino o della Sicilia hanno dimostrato nella maniera più convincente la validità di una gestione affidata ad una intesa di tutti i livelli istituzionali che si esprime e si realizza negli enti di gestione.
Sono infatti le istituzioni locali della montagna che per non essere condannate ad una mortificante marginalità, ad un ‘triste' vivacchiare, hanno bisogno più di altre di entrare nel gioco più grande, raccordarsi alle province, alle regioni, allo stato ed oggi anche all'Unione Europea.
Pensare che esse da sole, senza questa ‘rete' di relazioni, di rapporti istituzionali, di contatti culturali, di intese sui programmi e sui progetti di ‘area vasta' (Alpi, APE) possano riscattare un ruolo finalmente da protagonista alla montagna porterebbe dritti dritti ad altre sconfitte e cocenti delusioni. E' questo un errore che i parchi non debbono assolutamente commettere e che sicuramente non commetterrano visto gli impegni sempre più chiari e precisi che essi sono andati assumendo negli ultimi tempi.
Non è questa la sede, naturalmente, per un bilancio complessivo e compiuto di quanto i parchi nazionali e regionali montani in questi anni sono riusciti a realizzare.
Spesso essi sono stati la forza più propulsiva, incisiva e qualificata nell'ambito della Convenzione alpina e del progetto APE , mettendo in luce una chiara consapevolezza del loro ruolo.
Permangono ovviamente anche nell'arco alpino dove più radicata la presenza dei parchi dei ritardi e qualche impaccio dovuti principalmente ad una non del tutto superata difficoltà a passare dalle relazioni e collaborazioni di ‘settore' (fauna, flora, etc) ad un impegno ‘complessivo' capace di ‘rappresentare' quelle esigenze generali, integrate e di rete a cui abbiamo fatto prima cenno.
Ecco questo dovrebbe essere l'obiettivo fondamentale delle nostra iniziative previste o da mettere in cantiere per l'Anno della montagna.; riuscire a parlare insieme al linguaggio ‘settoriale' di cui i parchi hanno dato in questi anni efficaci e convincenti prove anche quello che si attagli ad una realtà complessiva.
Anche sul piano comunitario c'è necessità di questo sforzo per evitare che anche orientamenti e programmi giustamente rivolti alla montagna, allo sviluppo sostenibile, manchino - come finora avviene - di un esplicito riferimento alle aree protette.
Aree protette che non possono essere rappresentate unicamente dai SIC o dalle ZPS che, per quanto importanti, riguardano pur sempre un ambito minore ed estremamente limitato del sistema che nei vari paesi europei è oggi funzionante e regolato da leggi nazionali che interessano tutte le aree protette.
In questa sfasatura tra le varie dimensioni nazionali particolarmente funzionanti nell'arco alpino e l'intervento comunitario ancora circoscritto all'anello inferiore del sistema delle aree protette si annida una difficoltà ed una contraddizione che andranno al più presto superate.
L'anno della montagna è una buona e felice occasione per affrontare anche questo profilo finora troppo poco considerato.
Per questo l'appuntamento principale che ci siamo dati, Parco Naturale Adamello- Brenta, Federparchi, Provincia autonoma di Trento per il prossimo maggio a Trento e che prevede il coinvolgimento anche dei parchi alpini stranieri, è molto importante.
A Trento - alla festa dei parchi alpini - vorremmo fare un bilancio che riguardi i profili istituzionali, quelli programmatici e culturali partendo dalle rispettive esperienze e risultati per allargare la riflessione alla dimensione comunitaria. Ci sembra il modo più giusto per contribuire alla riuscita dell'anno della montagna.