Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 36 - GIUGNO 2002


LA DIFFUSIONE NEL MONDO DEL PENSIERO DI VALERIO GIACOMINI
di Francesco di Castri
  Il ruolo del grande studioso sul piano internazionale

Valerio Giacomini è stato il mio miglior amico.
Con nessun'altra persona ho avuto una tale comunità di pensiero e di convergenza nell'azione come con lui, una comunicazione spontanea e quasi telepatica che è durata dal novembre del 1971 fino alla vigilia della sua morte nel 1981.
Avevo conosciuto personalmente Valerio Giacomini nel 1963, all'Istituto di Botanica di Napoli. Stavo svolgendo una tournée in Europa, partendo dal Cile e dalla California e con l'appoggio della Fondazione Rockefeller, per meglio identificare le istituzioni europee e le loro possibilità di cooperazione nel quadro del Programma Biologico Internazionale (IBP) che cominciava nel 1964. Avevamo subito simpatizzato e riconosciuto quanto simili erano i nostri approcci, pur partendo da esperienze diverse e sviluppate in continenti distinti. C'eravamo poi incontrati saltuariamente in riunioni organizzate nell'ambito dell'IBP, ma la convergenza assoluta fra noi si è verificata al momento del lancio del programma internazionale sull'uomo e la biosfera dell'Unesco. Il MAB rappresentava una vera rottura rispetto a tutti i programmi precedenti. Non considerava l'uomo solo nei suoi aspetti biologici, genetici e demografici, come nell'IBP, ma come l'entità culturale e sociale, nello stesso tempo universale ed infinitamente specifica, sulla quale gravitava tutto il resto della biosfera. L'uomo tornava al centro dell'universo, ed è questa la controrivoluzione tolemaica di cui parlava Valerio Giacomini.
L'uomo non era messo in stato d'accusa né spinto verso un sentimento di colpevolezza, ma stimolato verso l'azione e la responsabilità. Una responsabilità evolutiva, essendosi trasformato nel fattore principale che guida ora - nel bene e nel male - l'evoluzione di tutti gli altri organismi.
Il MAB costituiva anche una rottura di fronte all'ecologia profonda (la deep ecology) che stava cominciando a dilagare dal mondo anglosassone, soprattutto gli Stati Uniti ed i paesi scandinavi, verso il resto del mondo. L'ecologia profonda rappresentava l'opposto assoluto del MAB e del pensiero di Giacomini. L'approccio dell'ecologia profonda era nettamente biocentrico, l'uguaglianza assoluta di tutte le specie, la sacralità di una natura che le mani dell'uomo non devono toccare, il dominio della wilderness sui paesaggi modellati dall'uomo, i paesaggi culturali. È un approccio ormai largamente diffuso in Italia, probabilmente anche più che negli altri paesi del mondo.
Per meglio capire le poste in gioco nella scena internazionale durante quel periodo, e l'attitudine di Valerio Giacomini in quelle circostanze, è necessario riferirsi al processo d'organizzazione nel 1971 della conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente, che si è svolta poi a Stoccolma nel giugno del 1972, sette mesi dopo il lancio operativo del MAB. È innegabile che il primo stimolo per l'organizzazione di questa conferenza è venuto dagli stessi paesi dove l'ecologia profonda si stava imponendo, soprattutto la Svezia e gli Stati Uniti. La nozione stessa di sviluppo e di progresso era messa in discussione, come - poco dopo - dal famoso rapporto del Club di Roma che ha portato al cambiamento di tanti paradigmi.
Senza entrare nella razionalità del dibattito, è evidente che i paesi in via di sviluppo rifiutavano quest'approccio e consideravano la conferenza di Stoccolma una specie di complotto dei paesi ricchi per controllare e rallentare lo sviluppo dei paesi del Sud.
Sia da un punto di vista concettuale che geopolitico, senza contare le lotte d'influenza all'interno delle stesse Nazioni Unite, il MAB e la conferenza di Stoccolma si opponevano diametralmente: il Sud e l'aspirazione per lo sviluppo dalla parte del MAB, il Nord e una rigida preservazione ambientale dalla parte di Stoccolma.
Evidentemente, la dicotomia non era così drastica ed impermeabile, ma il dibattito ed il confronto durante quasi tutto il 1971 si sono svolti in questi termini.
Molte personalità sia del Nord sia del Sud si sono fortemente impegnate, per superare quell'impasse e per portare a buon porto sia il MAB sia la conferenza di Stoccolma, e fra queste persone Valerio Giacomini ha avuto un ruolo molto importante. Bisogna essere realistici. Quest'opposizione fra due approcci - nell'ecologia e nello sviluppo - esiste ancora, a gradi differenti, ed è anche utile che rimanga come fattore di controllo per evitare gli eccessi in un senso e nell'altro, sempre che si evitino i fondamentalismi.
La mia situazione nel 1971 era un po' ambivalente. Come membro fondatore e vicepresidente dello SCOPE, il comitato scientifico per i problemi dell'ambiente creato nell'ambito del Consiglio Internazionale per le Scienze, lavoravo in stretta associazione con il segretariato per l'organizzazione della conferenza di Stoccolma. Ero professore nell'Università del Cile di Santiago, svolgendo ricerche in collaborazione con le università della California.
Essendo in qualche modo identificato con il Cile e con i problemi del Terzo Mondo, ero stato designato dagli ecologi e uomini di scienza dei paesi in via di sviluppo d'Africa, Asia ed America latina (pur avendo nazionalità e passaporto italiano) come il presidente del gruppo di lavoro che preparava i documenti di base per Stoccolma e che li avrebbe rappresentati a Stoccolma. Il mio compito era anche quello di rassicurare le comunità scientifiche ed i governi del Terzo Mondo sull'apertura verso lo sviluppo che ci sarebbe stata a Stoccolma, con il lemma di Ambiente e Sviluppo, l'embrione di quello che sarebbe diventato lo sviluppo sostenibile. D'altra parte, le mie ricerche sugli ecosistemi di clima mediterraneo in Cile e California, e le mie attività di conservazione e di sviluppo, combaciavano perfettamente con l'approccio del MAB. Rappresentavo, in un certo senso, un ponte fra gli approcci e gli interessi del Nord e quelli del Sud. È forse per questo che sono stato designato dall'Unesco, nel novembre del 1971, nel posto molto conteso ed ambito di segretario generale del programma MAB.
Con queste premesse, è chiaro che pesavano delle grosse incognite ed erano inevitabili conflitti di interesse durante la prima assemblea generale del programma MAB che si doveva svolgere nella sede dell'UNESCO a Parigi, con la partecipazione di tutti i paesi. Quest'assemblea doveva convalidare l'approccio del MAB e definire le sue basi programmatiche. È durante quest'assemblea che Valerio Giacomini si è rivelato come un personaggio di gran saggezza e ponderazione, ma anche di audacia e d'innovazione, per smussare gli angoli e contribuire al decollo operativo del MAB.
Durante un decennio pieno ed intenso (1971-1981), Valerio Giacomini è stato una figura centrale delle attività internazionali del MAB, oltre al suo ruolo nazionale come presidente del comitato MAB italiano. Tre sono stati i temi internazionali sui quali il pensiero e l'azione di Valerio Giacomini hanno avuto l'impatto più rilevante: il nuovo paradigma per la conservazione di specie ed ecosistemi, l'educazione ambientale e l'ecologia delle città.
Da quel momento, la conservazione veniva ad essere considerata come un processo dinamico che permettesse a specie ed ecosistemi di continuare la propria strada evolutiva, e non come una rigida preservazione dello status quo, che del resto sarebbe stato l'atteggiamento più "contro natura".
In questo processo di conservazione, l'uomo diveniva il meccanismo centrale. Senza una gestione razionale e continua, senza la "mano dell'uomo", la rigenerazione della maggior parte degli ecosistemi del mondo non sarebbe più possibile. Tutti gli ecosistemi hanno ormai avuto, e da tempi preistorici, l'imprinting dell'uomo. In quanto agli ecosistemi di clima mediterraneo, di costituzione recente pur nell'anzianità delle loro specie, quasi coetanei all'apparizione sulla terra della condizione umana, si tratta di una vera coevoluzione con l'uomo. Del resto, la conservazione delle aree protette non è possibile, o non è sostenibile, in condizioni di povertà e di assenza di sviluppo.
Questo nuovo paradigma sfociava nel concetto e nella prassi delle riserve della biosfera, come unità di conservazione e di sviluppo, raggruppate in una rete internazionale coordinata dall'Unesco. Una riserva della biosfera, nel suo aspetto più tipico, dovrebbe contenere una "zona nucleo" di stretto controllo e destinata alla ricerca ed al monitoraggio, una "zona buffer o tampone" più vasta e dove delle attività di ricreazione, turismo e educazione ambientali sono possibili ed auspicabili, ed una zona periferica di sviluppo per le popolazioni locali, anche questa un embrione di quello che sarà poi lo sviluppo sostenibile. Secondo i paesi e l'accettazione del concetto, le riserve della biosfera si sovrapponevano e completavano la gestione dei parchi nazionali e regionali (come negli Stati Uniti) o si presentavano come un'alternativa ai parchi nazionali (come nel Messico) quando le resistenze concettuali ed i corporativismi del sistema dei parchi erano troppo forti.
Non è stato facile, nemmeno per Valerio Giacomini, vincere le inevitabili resistenze o incomprensioni del sistema ed ottenere che si designassero le prime riserve della biosfera in Italia, come quella del Circeo che comprende anche delle aree di patrimonio culturale. All'estero, l'azione di Valerio Giacomini è stata determinante per concretare una rete mediterranea di riserve della biosfera, ma il suo pensiero e la sua azione hanno ispirato la creazione di molte riserve della biosfera anche nell'Unione Sovietica ed in America latina.
È da segnalare che quello delle riserve della biosfera è stato un concetto fondatore per molte altre attività internazionali più recenti: la convenzione dell'Unesco sul patrimonio culturale e naturale dell'umanità, il sistema globale di monitoraggio per i cambiamenti climatici, la convenzione sulla diversità biologica e le azioni delle Nazioni Unite e dei diversi paesi sullo sviluppo sostenibile.
In quanto all'educazione ambientale, Valerio Giacomini ha partecipato fin dall'inizio alla creazione del programma internazionale sull'educazione ambientale, lanciato nella conferenza internazionale di Tiblisi del 1977, e reso operativo dall'Unesco e dal Programma delle Nazioni Unite sull'Ambiente con sede a Nairobi. Io stesso ho diretto più tardi questo programma, come vicedirettore generale dell'Unesco, dal 1990 al 1992. L'educazione ambientale concepita da Valerio Giacomini era qualcosa di molto diverso dall'infarinatura dottrinaria, piena di luoghi comuni, di catastrofismo, di pessimismo esistenziale sulla condizione umana e di rigetti velleitari che si osserva troppo spesso nei media ed anche nelle nostre scuole. Era un vero progetto per l'azione, da quella dei governi a quella delle comunità locali; progetto rigoroso nei suoi presupposti scientifici e naturalistici, aperto a tutte le culture del mondo nel suo umanesimo.
Una vera sintesi dell'ecologia come scienza della natura e dell'uomo.
Ma probabilmente l'azione di Valerio Giacomini che più ha colpito l'immaginario internazionale, scientifico e culturale, anche per il simbolo che essa rappresentava, deve riferirsi al gran progetto sull'ecologia della città di Roma, nel quadro del tema 11 del programma MAB. È ormai nelle città che si giocherà il destino evolutivo dell'umanità. Nel "progetto Roma", Valerio Giacomini ha investito tutto il suo essere, ha concentrato le sue ultime forze: le sue basi scientifiche e le sue aperture culturali ed umanistiche, il suo rigore disciplinare e l'apertura al più gran numero di discipline che un progetto MAB non abbia mai avuto, il gusto dell'azione concreta ma nel quadro di una contestualizzazione originale. Il progetto Roma è stato un gran punto di attrazione internazionale, con studiosi di tutti i paesi che lo visitavano, con lo stimolo dato perché altri progetti di ecologia urbana s'iniziassero in città così distinte come Francoforte e Hong Kong.
È stata la sfida più grande di Valerio Giacomini, la sua sfida finale, quella di cercare di rendere interdisciplinare una struttura universitaria e istituzionale italiana, tanto divisa in settori chiusi e con interessi contrastanti, quella di far penetrare educazione ambientale, natura e cultura, in tutti i livelli di una grande città. Evidentemente, nessuno può pensare di realizzare completamente ed in un breve periodo una sfida di questa portata. Ma il seme è stato gettato da Valerio Giacomini, e l'ecologia urbana è diventata nel mondo una realtà concreta. Nell'esposizione multimediale ed i poster "L'ecologia in azione", concepiti e realizzati nel 1981 per i primi dieci anni d'azione del programma MAB, esposizione che si è tenuta in quasi tutti i paesi del mondo e che esiste in quasi tutte le lingue dall'inglese all'arabo, dall'italiano al cinese, dal francese al russo, dal tedesco e lo spagnolo al catalano, il progetto Roma è stato la stella centrale.
È forse difficile rendersi conto adesso in Italia di quanto Valerio Giacomini fosse conosciuto ed apprezzato all'estero, senza distinzione di lingua o cultura, di quanto grande siano ancora l'attualità e la vitalità del suo pensiero. Ricordo nel 1983 una presentazione vibrante, tenuta nel ministero degli esteri a Parigi dal presidente del comitato MAB francese, per dimostrare quanto la cultura italiana fosse più profonda e a vocazione più universale che quella francese (e questo discorso non è per niente comune in Francia), ispirato in queste considerazioni dal pensiero e dalle opere esemplari di Valerio Giacomini. Ricordo a Rio de Janeiro nel 1992, quando dirigevo la delegazione dell'Unesco alla conferenza al vertice su ambiente e sviluppo, quante volte commentavamo con colleghi e delegati l'impronta del pensiero di Valerio Giacomini che appariva in proposte ed approcci presentati dai diversi paesi.
Ricordo Valerio in molti paesi e in situazioni diverse, a Città del Messico e a Nairobi, sul terreno in Turchia, nella Camargue o in Basilicata, nei grandi saloni diplomatici di Vienna o nei bistrot di Parigi, o volando in elicottero sopra Roma per poi riferire i progressi del progetto Roma all'allora sindaco Argan. E ricordo l'ultima settimana della sua vita a Parigi, per discutere della necessità d'innovare ancora nel MAB dopo dieci anni di lotte e di successi, ricordo nitidamente le sue proposte. Un sabato Valerio ritornava a Roma. Il lunedì seguente, di mattina prestissimo, la sua segretaria scientifica signora Savoia mi telefonava per dirmi in lacrime che Valerio era morto nella notte.
Non importa. I suoi progetti si stanno realizzando e da migliaia di persone nel mondo, che sappiano o no che è stato Valerio Giacomini a concepirli ed a proporli.

*Direttore di ricerca Centro Nazionale Francese
Per la Ricerca Scientifica