Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 36 - GIUGNO 2002


UNA GUIDA INDISPENSABILE PER IL CONFRONTO CULTURALE
Osservatorio istituzionale di Renzo Moschini
  Mentre si continua a discutere anche dei finanziamenti riservati alle aree protette con un provvedimento passato praticamente sotto silenzio, è stato deciso di scaricare sui comuni gli oneri del personale delle aree marine protette, salvo eccezioni che saranno però stabilite discrezionalmente dal ministero.
Ora, qualunque sia la motivazione, ed anche tenendo conto che in questo comparto purtroppo neppure le cifre stanziate vengono utilizzate interamente, non vi è ragione alcuna che possa giustificare questa decisione. Proprio nel settore delle aree marine, in cui più gravi e evidenti sono i ritardi del nostro paese ed in particolare degli organi statali, sui quali ricade la titolarità della materia, sempre rivendicata con forza, uno scarico di responsabilità si ripercuoterà comunque negativamente sull'operato degli enti locali, peggiorando la situazione. A quanto si sa in alcune riserve (che come è noto sono tutt'altro che numerose) si avvertono già le prime conseguenze negative di questa decisione.
Ecco perché, in questo comparto delle aree protette, è necessario anche chiarire una volta per tutte che il loro regime non può e non deve essere diverso da quello della altre aree protette.
Così come appare sempre meno giustificato che gli interventi riservati ai comuni isolani, che in buona parte dovrebbero riguardare proprio le aree protette marino costiere, siano gestiti separatamente tanto da far capo al ministero degli, interni.
Questa separazione, oltre a non contribuire a mettere bene a fuoco i problemi della protezione marino-costiera, favorisce che gli stessi interventi dei comuni non privilegino questo comparto che appare decisivo per le piccole isole. Tutto ciò che procede per binari separati è destinato- l'esperienza dovrebbe pure avere insegnato qualcosa- a produrre effetti poco positivi.
Noi che con CIP da tempo ci stiamo battendo per ‘integrare' le politiche terrestri e marine non possiamo in questa occasione che ribadire un concetto che da tempo è alla base di tanti richiami e progetti comunitari.
Vorremmo anzi segnalare a questo riguardo che nella Gazzetta ufficiale delle comunità europee del 14/3/2002 sono stati pubblicati gli emendamenti approvati dal Parlamento europeo concernenti l'attuazione della gestione integrata delle zone costiere in Europa.
Gli emendamenti sono tutti rivolti a rendere più chiara e incisiva la motivazione e finalità ‘ambientale' di quegli interventi.
L'accento poi è posto sulla esigenza di coordinare i vari interventi e concertare non solo tra stati membri e comunità ma anche tra i vari livelli locali e regionali.
Non solo ma viene sottolineata con forza la necessità di giungere al più presto alla ‘creazione di un quadro giuridico comunitario per la gestione integrata delle zone costiere'.
La protezione degli ecosistemi è posta come principale priorità e per questo si auspica e si raccomanda ‘la coerenza tra tutti i piani settoriali in via di preparazione'.
È prevista anche l'acquisizione di terreni per la istituzione di aree pubbliche demaniali e una particolare attenzione alle "zone e specie protette".
Chi ha seguito l'attività e la elaborazione di CIP, il volume dedicato alla gestione delle coste e al ruolo delle aree protette, al seminario di Pesaro non faticherà a riconoscere la perfetta sintonia tra l'impostazione del Parlamento europeo e quanto da tempo andiamo dicendo e proponendo.
Purtroppo l'Italia, con i suoi 8000 Km di coste, continua a brillare per la sua scarsa presenza in questo comparto.
Né alcuni dei provvedimenti ai quali ci siamo riferiti depongono a favore di un miglioramento.
Ma noi vogliamo augurarci che finalmente qualcosa cambi, anche in virtù di queste nuove sollecitazioni comunitarie.


Le aree protette regionali, a S.Maria Capua Vetere - Giro di boa in Abruzzo - Le nuove deleghe del sottosegretario Tortoli
Osservatorio istituzionale
Convegni e seminari che in qualche maniera riguardino le aree protette abbondano e darne conto sarebbe impossibile anche quando lo meriterebbero. Se faccio una eccezione per un recente convegno su ‘Le aree protette Regionali' promosso dalla ‘Scuola di specializzazione in diritto e gestione dell'ambiente' della facoltà di Giurisprudenza di Santa Maria Capua Vetere (CE), seconda Università di Napoli, è per almeno due buone ragioni.
La prima attiene al tema.
Quello delle aree protette regionali e con esse il ruolo delle regioni in rapporto al sistema nazionale delle aree protette, è da tempo piuttosto snobbato.
E anche quando ad esso si accenna lo si fa spesso in maniera banalmente scontata o meramente quantitativa. Neppure recenti vicende ‘regionali' che pure hanno suscitato non poche polemiche, hanno finora stimolato riflessioni più approfondite e soprattutto tali da impegnare l'insieme delle regioni.
Il seminario promosso dal prof. Domenico Amirante e dalla sua efficiente equipe in un quadro di numerose e interessanti iniziative sui temi ambientali, ha avuto il merito di fare il punto su una realtà poco conosciuta e indagata anche tra gli addetti ai lavori.
Che il seminario abbia poi coinciso con il varo da parte della Regione Campania di quattro parchi regionali e due riserve, ossia con una decisione che nel panorama regionale appare assolutamente in controtendenza, ha reso ancor più interessante l'incontro al quale hanno partecipato insieme a relatori di diversissima estrazione numerosi studenti.
Se questa è la prima ragione per segnalare il seminario ve ne è un' altra non meno valida.
La facoltà di Giurisprudenza della seconda Università di Napoli dal 2001 pubblica una rivista di ‘Diritto e gestione dell'ambiente' che già nel suo primo numero dedicava alcuni interessanti e significativi contributi a temi quali la tutela integrata di ville, parchi e giardini (Alessando Crosetti) e alla gestione integrata delle aree marine protette (Emma Imparato). Non solo, ma come ha preannunciato nella sua introduzione al seminario il prof. Amirante, la scuola intende istituire un osservatorio giuridico su questi temi. Un osservatorio al quale anche noi ovviamente siamo interessati al pari di altre associazioni che hanno già manifestato nell'occasione la loro disponibilità a collaborare. Per questi motivi abbiamo voluto segnalare l'incontro del 19 aprile, riservandoci peraltro di tornarci eventualmente sopra in maniera più distesa per riprendere un discorso che presenta molteplici aspetti finora troppo poco considerati.
Vorremmo infine sottolineare che quando il mondo della ricerca stabilisce corretti rapporti di incontro e collaborazione con quello delle istituzioni e tra esse le aree protette, non possono che derivarne buoni risultati per entrambi. Non è certo una scoperta e tuttavia spesso lo si dimentica.
Giro di boa in Abruzzo
Un grande quotidiano ha definito l'uscita di scena di Franco Tassi dalla direzione del PNALM un giro di boa, un voltar pagina per il parco dell'orsetto.
Le cronache di questa crisi, certo non esplosa all'improvviso e inaspettatamente, si sono sbizzarrite sugli episodi più piccanti, i colpi di scena, gli scambi durissimi di accuse di tradimento e tutto un campionario di sgarbi e sgambetti con aggiunta di ingredienti melodrammatici che è raro e insolito riscontrare in una vicenda politico istituzionale riguardante un parco, ancorchè famoso come è il parco d'Abruzzo.
Ma noi non intendiamo occuparci di denunce, di indagini in corso, dei processi iniziati e degli altri che si preannunciano, dei verbali dei carabinieri, della scoperta clamorosa delle ‘cimici' negli uffici di Pescasseroli.
E non perché anch'esse non costituiscano insieme alle relazioni della Corte dei Conti, agli interventi delle parti politiche, degli amici ed anche dei familiari di Tassi materia degna di considerazione, se non altro come dimostrazione e prova che la crisi in atto viene da lontano e investe non soltanto un rapporto di fiducia tra gli amministratori del parco e il suo direttore, ritenuto a lungo indissolubile, anzi il vero punto di forza del parco e del direttore più famosi d'Italia.
D'altronde ben si comprendono lo sconcerto sbigottito di tanti fans ma anche lo stupore di persone che per tanti anni si sono sentiti ripetere nelle più diverse occasioni che quello d'Abruzzo non era soltanto un parco storico importante, ma era ‘il' parco, il modello, l'incarnazione più riuscita in Italia e in Europa del grande parco americano, e Tassi ne era il suo indiscusso artefice, instancabile costruttore, difensore indomito che ha affrontato coraggiosamente denunce, processi, attentati, accuse calunniose che non l'avevano intimidito né fatto indietreggiare o deflettere.
Alla luce delle recenti vicende è facile intuire quanto questa immagine consolidatasi nel tempo grazie anche ad una curatissima campagna di stampa, possa di colpo appannarsi, ridimensionarsi, indurre in dubbio ma soprattutto a chiedersi come e perché ciò sia potuto accadere. Ecco, su questo vorremmo soffermarci, senza naturalmente pretendere di ‘scrivere' e ancor meno ‘riscrivere' la storia del parco, ma unicamente per individuare qualche passaggio e comportamento sui quali è utile una riflessione culturale, politica e istituzionale. Aspetti sui quali una risposta non può venire, se non per piccoli frammenti, da quanto decideranno tribunali e organi amministrativi.
In effetti con il giro di boa di cui si è parlato, in un certo senso si conclude una esperienza assai più nobile e significativa naturalmente di quanto potrebbe apparire dalle ultime vicende ancora corso, in cui non mancano purtroppo aspetti anche penosi e tristi.
Il PNALM, notoriamente, ha rappresentato, e non certo abusivamente, nel buio pesto di una stagione durata nel nostro paese troppo a lungo, un punto di riferimento, una bandiera per tutti coloro che non volevano rinunciare a credere che anche in Italia si poteva costruire un sistema di parchi.
Il PNALM insieme a poche altre e discontinue esperienze, però assai meno significative, ha fatto da vessillifero indiscusso di una politica protezionistica chiaramente, ostentatamente ispirata e improntata alla cultura e alla esperienza dei grandi parchi americani.
Il richiamo insistito a quella concezione dei parchi, alla natura incontaminata e sottratta alla invadenza e influenza negativa dell'uomo ha rappresentato un innegabile punto di forza, ha dato al PNALM riconoscibilità e credibilità. Ma prestava il fianco anche a diffidenze e critiche specie in un paese in cui l'uomo e le sue istituzioni anche di base, erano presenti da tempi immemorabili e che con la loro opera avevano non solo danneggiato ma anche ‘aggiunto' qualcosa all'ambiente. Il ‘modello' scelto era dunque forte ma anche vulnerabile e destinato a suscitare diffidenze, timori, in quanto affidato principalmente ad una gestione ‘sovraordinata', non a caso incardinata praticamente in maniera esclusiva sul ruolo del direttore. Questa gestione, che oggi definiremmo centralista, presentava anche forti tratti di aristocraticismo che si esprimevano chiaramente nel ‘potere' pressochè assoluto del direttore, difficilmente riscontrabile non soltanto in altri parchi ma anche in altre istituzioni pur regolate da normative vistosamente centralistiche. Già questo elemento, troppo a lungo sottovalutato o ignorato quando non apertamente esaltato, introduceva uno stridente e inaccettabile scompenso nei rapporti parco- istituzioni, in quanto il potere elettivo doveva misurarsi e venire a patti con un potere ‘tecnico-burocratico'. Questa anomalia di scarso peso negli anni del fascismo, in cui tutti i poteri erano stati ‘burocratizzati', (nel dopoguerra essendo tornate le istituzioni elettive) non poteva però essere accettata di buon grado.
Detta in altri termini non si poteva e voleva sottostare ad un regime che nel parco conservava tutte le vecchie stigmate.
Questa contraddizione risultò ancora più evidente e insostenibile negli anni in cui le regioni cominciarono a istituire propri parchi con un regime improntato ormai ad una stretta collaborazione tra istituzioni diverse, a cominciare proprio dai comuni. Parchi in cui potere politico e ruoli tecnico-amministrativi trovavano per la prima volta un diverso e più ragionevole equilibrio. Sono gli anni in cui matura, non a caso, una nuova cultura conservazionista e concezione dei parchi di cui si fa interprete autorevole e riconosciuto Valerio Giacomini con il suo ‘Uomini e parchi'.
Queste novità molto importanti che avviano finalmente una stagione che fa uscire dal buio pesto il nostro paese, non sono però adeguatamente e correttamente valutate e tanto meno apprezzate dal PNALM.
Quanto di nuovo sta avvenendo è certamente considerato positivamente, ma non scalfisce la consolidata convinzione che il ‘modello' rimane il parco d'Abruzzo e che anche i nuovi parchi, se vogliono crescere sani e robusti, debbono andare ‘a scuola', rifarsi a quella esperienza. Inizia qui probabilmente per il PNALM quel lento declino, culturale innanzitutto, anche se ci si ostinerà per tanto, troppo tempo a far finta di niente.
La sorpresa e lo sconcerto attuali confermano in più d'un caso d'altronde la miopia di chi davvero ha creduto (o si è illuso) che in quegli anni nulla fosse cambiato rispetto a prima.
Se si vanno a leggere oggi certi documenti, giornaletti del ‘Comitato parchi' di Franco Tassi si rimane sorpresi dalla imperturbabile sicurezza con cui il direttore del PNALM continua nella sua ‘campagna' promozionale, come se nulla nel frattempo fosse accaduto in Italia. Gli stessi consigli, le stesse raccomandazioni a ‘fare come in Abruzzo', a seguire il suo esempio e a frequentare i seminari estivi del parco, dove i partecipanti, anno dopo anno, si sentono decantare le lodi di ciò che è stato realizzato e l'invito pressante a ricalcare quelle orme. Tutto ciò che non rientra in questo rassicurante e collaudato modellino non è preso in seria considerazione, peggio è valutato criticamente, come velleitario.
Insomma con l'arrivo dei nuovi parchi regionali non è cambiato niente, è solo aumentato il numero dei potenziali allievi che debbono diligentemente rifarsi alla esperienza e agli insegnamenti del parco pilota.
Questo atteggiamento di apparente imperturbabilità per quanto sta succedendo avrebbe già dovuto far suonare qualche campanello d'allarme anche ai più convinti sostenitori e tifosi del parco. Quella che aveva preso avvio era infatti una nuova stagione che di lì a qualche anno avrebbe portato alla approvazione della legge quadro sulle aree protette. Nuova perché i parchi regionali erano per la prima volta gestiti soprattutto dalle istituzioni locali, le impegnavano direttamente, perché i parchi regionali dovevano obbligatoriamente fare un piano del parco, occuparsi di questioni che erano da sempre fuori dall'orizzonte di una certa cultura conservazionista.
Ma ai nuovi arrivati Tassi e il PNALM non trovarono di meglio che offrirgli un posto sui banchi di scuola.
E anche quando i parchi regionali, già autorevoli, del Ticino lombardo, dell'Etna, di Migliarino -S. Rossore- Massaciuccoli, della Mandria, dei Colli Euganei decisero di costituire un Coordinamento Nazionale e dotarsi di una rivista (quella su cui sto scrivendo) e di attivarsi a sostegno della legge nazionale, dal PNALM non arrivarono segnali positivi di interesse, di attenzione, semmai qualche infastidita reazione.
E anche la disponibilità manifestata dal Coordinamento quando ai parchi regionali si affiancarono anche quelli nazionali, a riconoscere al PNALM un posto e un ruolo di tutto riguardo, fu ignorata. Il PNALM si chiuse più che mai nel suo splendido isolamento, perdendo una grande occasione per svolgere davvero una funzione nazionale insieme e a fianco di tutti gli altri parchi. E mentre i parchi regionali e poi quelli nuovi nazionali, si impegnarono abbastanza tempestivamente a dotarsi dei nuovi strumenti di gestione; piani, regolamenti, statuti, ricerca attenta e impegnata di un consenso che diventava sempre più indispensabile, al PNALM si continuò a trastullarsi evocando le vecchie glorie, le passate battaglie anziché mettersi al passo con la nuova realtà che anche il parco più famoso d'Italia non poteva più ignorare. Oggi, nel fuoco delle polemiche, si scopre, ma non tutti ne sono sorpresi, che il PNALM non è in regola non solo sul bilancio (ma di questo si occuperà chi di dovere) ma neppure con il piano ed altri strumenti essenziali previsti da una legge che ha tagliato il traguardo decennale. Negli ultimi mesi si è dovuto, o almeno si è tentato frettolosamente di correre ai ripari, ma ciò non toglie che un parco che ha superato gli ottanta anni, mancava ancora di ciò che parchi istituiti da poco e con strutture fragili e ridotte, sono già riusciti a fare.
Inefficenza? Eccesso di burocrazia di cui Tassi ha accusato a lungo tutti gli altri parchi? No, più semplicemente la convinzione che a tutto provvede e pensa la gestione e il comando del direttore, più che l'opera di un consiglio e la guida di strumenti efficaci e dovuti per legge.
Ecco perché sorpresi possono essere soltanto coloro che non hanno voluto vedere in tutti questi anni i limiti dell'impegno di Tassi e del PNALM. Il non avere visto innanzitutto che il modello americano, se già in passato non si attagliava completamente alla nostra realtà, diventava assolutamente incompatibile alla luce delle nuove normative ripetutamente sbeffeggiate come foriere di burocratizzazione, e che, addirittura, avrebbero trasformato- secondo lo sferzante giudizio di Tassi-, i nuovi parchi in USL verdi e così via denigrando e degenerando.
I guai in cui è incappato il PNALM sotto questo profilo sembrano in verità una sorta di vendetta di Montezuma, tanto somigliano a quelli paventati per gli altri parchi i quali invece hanno saputo efficacemente e per fortuna evitarli.
Qui c'è una responsabilità politica e culturale anche di chi ha considerato certe riserve che anche su questa rivista sono state in più occasioni con franchezza e senza acredine, manifestate, come ingiustificate, peggio strumentali, dettate da una volontà di danneggiare più che un parco un mito.
A ripensare oggi ad alcuni di questi momenti sembra quasi impossibile che si sia voluto così cocciutamente negare l'evidenza e comunque evitare un pacato confronto. Si prenda l'esempio di Civitella Alfedena. Per anni con monotona cantilena non c'è stato articolo, indagine, studio di talune associazioni che non abbia riproposto a distanza ormai di anni quell'esempio come riprova incontrovertibile di un ‘modello' vincente. Non ci si rendeva conto che fare per anni di questa esperienza l'unica in grado di far luce nel buio era una palese confessione che il mondo dei parchi dopo anni non era in grado di presentare altro.
Il che per fortuna non era e non è vero, ma per qualcuno quel che avveniva fuori da quel parco e da quel modello evidentemente non faceva testo e non aveva importanza.
La mitizzazione del PNALM e dell'operato del suo direttore che si sono tenuti fuori e distanti dal mondo degli altri parchi, non ha giovato innanzitutto a chi ha scelto l'isolamento quando non la contrapposizione.
Anche a non voler considerare certe sortite particolarmente presuntuose e spocchiose, basterebbe andare a vedere anche recenti prese di posizione quando si è trattato di rivendicare per i parchi nazionali adeguati finanziamenti. Il PNALM come il Soldini delle aree protette ha navigato per suo conto giungendo a chiedere per se i soldi che dovevano e potevano essere tolti ad altri che evidentemente non li meritavano almeno in quella misura. Come nella vecchia fattoria degli animali c'era qualcuno più uguale degli altri che degli altri si infischiava bellamente, in nome di un passato sicuramente di tutto rispetto ma che non poteva più essere giocato per rivendicare o pretendere trattamenti speciali.
I secondi incontri di Camerino e altre magagalattiche iniziative di portata ‘mondiale' in cui brillava una sola stella più che sproporzionate e fuori misura, sono apparse sempre più un po' penose nella loro ricerca disperata di ricollocare al centro dell'universo dei parchi una esperienza e una ‘griffa' che aveva perduto ormai molto del suo splendore. Erano altri ormai e numerosi per fortuna i parchi che potevano legittimamente vantare significativi risultati nei più diversi settori; dalla pianificazione, alla agricoltura biologica, agli interventi a protezione e tutela della fauna e della flora sostenuti da finanziamenti comunitari.
L'Italia dei parchi era finalmente cambiata e cresciuta grazie all'azione spesso coordinata di tante aree protette nazionali, regionali ed anche locali. Un Italia che al PNALM non volevano vedere o quanto meno considerare tanto dall'incaponirsi nel rappresentare ancora e sempre le proprie gesta come ‘uniche'.
È di non molti mesi fa un incredibile documento diffuso a firma di Franco Tassi dove il termine ‘unico' ricorre più volte ed è riferito a cose che sono ormai un patrimonio tra i più diffusi e comuni a gran parte dei nostri parchi: la biodiversità, il turismo ecologico e così via. Qui si potevano leggere più che in filigrana i segni evidenti di un vero e proprio sbandamento, di uno stato confusionale che molti non hanno voluto e saputo vedere.
Anzi dinanzi ad una serie di denunce si è reagito per mesi e mesi nel modo peggiore accusando tutti e tutto di congiurare contro il parco più famoso d'Italia. Il parco che più di ogni altro aveva vituperato la ‘politica' l'ha buttata in politica con prevedibile e scontato effetto boomerang. Una difesa, se così possiamo definirla, che si è infatti rivelata rovinosa e a cui ora si sta cercando faticosamente di rimediare da parte dell'Ente parco e della Comunità del parco.
Un lavoro difficile perché tardivo, al quale va ora assicurato il massimo sostegno da parte di tutti perché il patrimonio del PNALM non appartiene soltanto al parco abruzzese.
Un impegno che deve riuscire innanzitutto a togliere il PNALM dal suo isolamento che è stato tutt'altro che splendido.
Con tutti gli altri parchi anche il PNALM potrà riprendere il suo cammino forte dei suoi risultati, ma libero finalmente dai suoi errori che non debbono ripetersi.


La delega per i parchi al sottosegretario Tortoli
Il Decreto del 17 dicembre del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio, pubblicato in G.U. il 24 febbraio all'art 3 attribuisce all'on Roberto Tortoli la delega in materia di aree protette.
Il sottosegretario in base a questo provvedimento propone al Ministro l'istituzione di nuove aree protette nazionali e di nuove riserve nazionali comprese quelle marine; propone la nomina del Consiglio direttivo degli enti parco, sentite le regioni interessate; cura l'istituzione di un Osservatorio sui piani dei parchi, provvedendo ove necessario alla nomina di commissari ad acta in sostituzione delle amministrazioni inadempienti; adotta il piano di gestione delle riserve naturali dello Stato ed il relativo regolamento, sentite le regioni a statuto ordinario e d'intesa con le regioni a statuto speciale e con le province autonome di Trento e Bolzano; organizza la Conferenza permanente delle aree protette con le regioni, gli enti locali e gli organismi di gestione delle aree protette e delle riserve marine; coordina le attività di perimetrazione delle aree protette e delle aree protette marine, delle rispettive aree contigue; cura la predisposizione e la presentazione al Parlamento della relazione annuale sullo stato delle aree protette; propone al ministro la stipula di accordi internazionali in materia di conservazione e tutela della natura, con particolare riferimento alla tutela della biodiversità ed alla biosicurezza; cura i rapporti con l'Unione europea per la tutela della flora, della fauna, della biodiversità; cura le attività relative alla Convenzione delle Alpi ed al progetto APE.
Diciamo subito che con questo decreto finalmente si pone fine, almeno sul piano della gestione politica, alla separazione tra aree protette terrestri e marine, non più assegnate a due diversi sottosegretari, e ciò è un fatto estremamente positivo, da tempo richiesto e auspicato dalla Federparchi.
Resta ora da vedere come questa ‘unificazione' in sede politica si tradurrà sul piano operativo, ma anche delle interpretazioni normative che finora hanno privilegiato in sede ministeriale comportamenti e misure niente affatto coerenti con lo spirito della legge 394, che hanno favorito una gestione non solo ‘separata', ma anche ‘diversa' tra aree protette terrestri e marine.
È senz'altro da apprezzare inoltre la prevista istituzione di un Osservatorio sui piani dei parchi che nel dispositivo del decreto sembra però volta principalmente a individuare i casi in cui è necessario intervenire con il commissariamento.
Una misura naturalmente prevista e quindi da non escludere, che resta però- e deve restare- una misura estrema e da evitare anche aiutando il superamento delle difficoltà a cui possono andare incontro i parchi.
Un osservatorio può essere utile se mira soprattutto a rendere accessibile a tutti, ed in primo luogo ai parchi e alle istituzioni, il lavoro, i risultati e i problemi della pianificazione delle aree protette, non soltanto nazionali.
Anche l'adozione del piano di gestione delle riserve naturali dello stato appare alla luce della norma che assegna alle Regioni l'approvazione del piano dei parchi nazionali, piuttosto contraddittoria. Se il piano del parco è approvato dalla Regione (dalle Regioni) che senso ha che lo stato adotti quello delle riserve, stabilendo addirittura che ciò avverrà d'intesa con le Regioni ma soltanto se speciali perché le altre saranno solo sentite?
Questa distinzione tra Regioni ordinarie e speciali è presente nella legge 394 ma è riferita alla istituzione dei parchi, ribadirla per i piani delle riserve statali sta evidentemente a significare che così si intende agire soprattutto nei confronti delle aree marine per le quali, con norma improvvida, si è previsto che anche il solo ‘sentito' è facoltativo.
Ma allora dietro l'unificazione politica delle diverse aree protette che è, lo ribadiamo, positiva e giusta, rispunterebbe immediatamente una impostazione che ha già fatto molti danni.
È una novità assoluta e da valutare con interesse la prevista Conferenza permanente. Interessante perché come è noto oggi, dopo l'abrogazione del Comitato Stato-Regioni, mancano sedi a strumenti che consentano a Stato, Regioni ed anche enti locali di mettere a confronto impostazioni, scelte e quant'altro.
Ma già la composizione risulta tale da far pensare più che ad un organismo politico- istituzionale, ad una sorta di Conferenza nazionale delle aree protette permanente. Sede sicuramente utile (ma in questo caso da aprire anche ad altri soggetti) se con questa conferenza si intende periodicamente fare verifiche di carattere generale, assai meno praticabile se si pensa- come noi riteniamo si dovrebbe fare- ad una sede tipo appunto Comitato- Stato Regioni dove sia possibile vagliare e discutere di volta in volta proposte, programmi, idee su cui stato, regioni, enti locali e parchi debbono agire e decidere insieme.
È un punto su cui occorre fare chiarezza subito perché in questi casi la vaghezza non aiuta.
La Federparchi è disponibile naturalmente, anzi chiede, di essere coinvolta nella definizione del carattere e delle finalità di questo nuovo strumento di cui parla il decreto di delega.
Infine le deleghe in campo internazionale. Nei due riferimenti; quello relativo alla stipula di accordi internazionali e quello rivolto alla cura dei rapporti con l'Unione Europea si fanno riferimenti, nel primo caso in particolare alla biodiversità e biosicurezza, nell'altro alla tutela di flora, fauna e ancora biodiversità.
Nell'uno e nell'altro caso come si può vedere si tratta soltanto di riferimenti, diciamo così, settoriali, certo importantissimi, dove in qualche caso siamo anche inadempienti (piano nazionale della biodiversità), ma manca il riferimento alle aree protette che sono qualcosa di più della mera sommatoria di quei comparti. Anche qui è giunto il momento che lo stato si faccia carico nei confronti soprattutto dell'Unione Europea di una politica comunitaria delle aree protette sia terrestri che marine.
Ma ciò dal decreto non risulta.
Anche di questo pertanto sarà bene discutere quanto prima.