Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 36 - GIUGNO 2002


LE NUOVE FORME DI PIANO COMUNALE
di Massimo Sargolini*
  E la pianificazione delle aree protette

Le politiche di governo locale e sovralocale degli ultimi anni hanno più volte manifestato palese disaffezione nei confronti della pianificazione urbanistica, offrendo un variegato panorama di progetti, programmi e pseudo-piani, che affrontano problematiche territoriali, il più delle volte, in modo asfittico e circoscritto.
Il ricorso disinvolto a forme di progettazione e programmazione speciale ed occasionale (per interventi particolari o di settore o grandi eventi), toccando porzioni di territorio urbano ed extraurbano, agendo a colpi di variante dello strumento urbanistico generale comunale, ha di fatto delineato, in gran parte del territorio nazionale, non solo interventi talora difficilmente inquadrabili in una coerente cornice di piano, ma anche realizzazioni chiuse in se stesse, prive di input relazionali col contesto, quasi sempre incapaci di un respiro strategico allargato. In altre circostanze, l'introduzione di nuovi strumenti e procedure d'intervento e gestione delle trasformazioni di città e territori ha rappresentato l'unica occasione progettuale di rilevanza territoriale.
Il diritto urbanistico sembra, sempre più, essere dominato dal diritto del caso e delle circostanze ("droit èvenementiel") e molti enti di governo locale e sovralocale mentre da un lato, con bassa quota di entusiasmo, rispondono all'obbligo di dotarsi di un piano, dall'altro, ricercano strumenti, più o meno innovativi, che siano davvero utili, ma che per legge sembra non possano essere i piani .
Se un indicatore dell'inefficacia di un piano è la distanza che separa le previsioni iniziali dai diversi, ulteriori, contenuti che allo stesso piano vengono attribuiti con la successione dei fatti posteriori , è veramente alto l'insuccesso dimostrato dalla gran parte della strumentazione urbanistica esistente.
La progettazione di luoghi e parti della città e del territorio, prescindendo dal piano, ha espresso il disagio del mancato approdo ad un significativo riordino del sistema pianificatorio nazionale ma anche della mancata attuazione della legge urbanistica generale.
È noto infatti come gran parte delle tematiche affrontate dalle diverse proposte di riforma potrebbe già essere stata sperimentata solo applicando integralmente la L. 1150/42.
In questo incerto panorama legislativo, la Legge Quadro nazionale sulle aree protette (L. 394/91), colmando un'arretratezza di almeno cinquant'anni rispetto alla situazione europea ed americana, ed un vuoto pianificatorio, a livello d'area vasta, provocato dall'assenza, almeno nella prassi, della pianificazione sovralocale, introduce un importante strumento di piano che interessa in modo diretto più del 10% del territorio nazionale. Nelle prime esperienze di pianificazione, già portate a compimento, si nota che il piano per il parco presenta autonomia valutativa e decisionale e può intervenire con particolare incisività nella determinazione delle scelte sul territorio.
Oltre a definire le condizioni delle trasformazioni dei sistemi fisico, biologico ed antropico, previa valutazione delle componenti strutturali e strategiche della pianificazione, concorre in modo determinante anche a definirne la componente operativa, almeno per quanto riguarda alcuni aspetti relativi al funzionamento della macchina del parco.
Purtroppo, la L. 394/91 affronta "frettolosamente" la spinosa questione dei rapporti con i diversi sistemi della pianificazione in cui il piano per il parco dovrà inserirsi.
In particolare, l' introduzione del potere sostitutivo "ad ogni livello" dei piani paesistici, piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione , rischia d'indebolire quel rapporto dialogico, più volte auspicato, tra le varie forme della pianificazione.
Nello stesso tempo, le nuove forme piano ed in particolare la proposta di scomposizione nelle diverse componenti (strutturale, strategica, operativa e normativa) avanzata a più riprese, e con diverse accezioni, nel dibattito sulla riforma urbanistica, potrebbero favorire uno sviluppo positivo del rapporto sinergico tra piano per il parco e gli altri strumenti, con particolare attenzione per quello generale comunale .
L'esigenza di misurare le prospettive d'innovazione della pianificazione ordinaria (relative alla struttura dei piani, ma anche ai processi di pianificazione e di governo) con la pianificazione specialistica, quale la pianificazione delle aree protette, sollecita atteggiamenti articolati ed aperti alla sperimentazione ed alla ricerca nell'ambito dei rapporti tra politiche territoriali e questione ambientale.

La questione ambientale e le nuove forme del piano
Il disagio provocato da una sostanziale e sistematica divaricazione dei processi d'attuazione dalle previsioni dei piani, che solo in parte va ricercata nell'effettivo intervenire di eventi improvvisi ed imprevedibili, affonda le sue radici in una serie di insuccessi.
Val la pena di ricordare:

  • l'inconsistenza dell'impianto "a cascata", gerarchicamente ordinato;
  • la frequente assenza di una diretta corresponsione tra gli obiettivi assunti ed i reali, specifici bisogni del territorio;
  • la difficoltà di stabilire effettive interazioni, in senso orizzontale, tra gli enti locali cointeressati al governo dello stesso ambito territoriale;
  • l'eccessiva frantumazione delle figure pianificatorie e dei momenti decisionali, con relativa confusione di competenze;
  • la mancata attuazione del livello operativo della pianificazione riconducibile ai piani particolareggiati esecutivi previsti dalla legge urbanistica generale (L. 1150/42);
  • la ritardata attuazione della pianificazione di area vasta prevista dalla legge urbanistica generale, parzialmente riproposta dalla legge sulle autonomie locali (L.142/90).
    Non è da sottovalutare, inoltre, la disattenzione e la difficoltà dell'urbanistica tradizionale nel misurarsi con:
  • la diversità e la pluralità delle scale territoriali, interessate da progetti finanziati con provvedimenti spesso diversi da quelli ordinari;
  • la diversità e la pluralità dei soggetti programmatori ed attuatori, talora diversi dagli enti preposti alla pianificazione ordinaria;
  • il sistema, in crescente affermazione, dei programmi complessi ed i suoi sviluppi e quindi i possibili rapporti virtuosi e le feconde contaminazioni reciproche "tra questa tipologia di strumenti d'intervento e le pianificazioni ordinarie o di assetto.

La sostanziale centralità del PRG rispetto all'intero sistema della pianificazione urbana e territoriale favorisce il passaggio "dagli ordinamenti gerarchici a forme di cooperazione nella complessità", ripensando nuovi, diversi assetti e connessioni tra i vari livelli della pianificazione. Tale centralità è, molto spesso, l'unico riferimento delle politiche territoriali ed urbane, sia all'interno dei quadri giuridici tradizionali, che attraverso nuove proposte legislative a livello nazionale e regionale. Il percorso dell'innovazione urbanistica non potrà che ripartire dal livello comunale e quindi permeare l'intero sistema della pianificazione urbana e territoriale.
Ma, nel momento in cui non sembra più vicino un probabile sbocco legislativo e sempre più frequentemente compaiono esperienze innovative praticate sulla base della legislazione tradizionale, ha senso continuare a teorizzare e sperimentare nuove forme piano "con i rischi di logoramento e di confusione che ne possono derivare"?
Al di là della posizione che la proposta di riforma della legge urbanistica possa conquistarsi nell'agenda dei prossimi lavori parlamentari, gli insuccessi e le difficoltà appena ricordati esigono un riordino, anche previe forme tentative, dei rapporti tra i molteplici aspetti e contenuti dei piani vigenti ai diversi livelli. Se risulta essere improponibile, rispetto agli ordinamenti governativi nazionali e locali in atto, un unico piano che riassuma in sè tutti i contenuti della pianificazione ordinaria, specialistica e di settore, proprio per le forme di latente conflittualità che potrebbero instaurarsi tra l'unico livello della pianificazione ed i diversi livelli di governo e per il rischio di perdere preziosi, specifici contributi offerti dalla varietà degli enti cui afferiscono i diversi piani, è invece condizione essenziale la delineazione di un processo di pianificazione unitario in cui diversi strumenti, distinti ed autonomi (ivi compresi i programmi complessi e suoi sviluppi), si raccordino e si coordinino coprendo spazi e finalità diverse e complementari.
Suddetta esigenza di approfondimento potrebbe essere sufficiente per giustificare l'impegno profuso dal mondo della ricerca e da quello professionale nella sperimentazione di nuove forme piano. Ad essa si aggiunge un'ulteriore finalità interna all'innovazione: "giungere a praticare politiche di sviluppo e di riqualificazione urbana e territoriale, incorporando ed esprimendo, almeno in parte, le valenze che caratterizzano oggi queste politiche: valenze economiche, ecologiche, culturali, formali, estetiche, sociali, equitative, etc."
In tal senso, la valenza ambientale, agendo in orizzontale, interessa e feconda tutte le altre e costituisce un punto di vista privilegiato dell'intero processo.
Le istanze e le domande sociali sviluppatesi attorno alla questione paesistico-ambientale si affacciano nelle politiche urbane e territoriale e vengono accolte con interesse dalla cultura della pianificazione. L'obiettivo non è quello di soddisfare superficiali richieste di "cosmetica ambientale", ma di rilanciare nelle politiche di sviluppo e riqualificazione, il valore progettuale del paesaggio.
Nei processi pianificatori interviene dunque l'esigenza di riconoscere, interpretare e valutare, a scale diverse ed a livelli diversi, caratteri, risorse, valori e fragilità, intesi come caposaldi e gangli vitali, socialmente riconosciuti e condivisi, su cui innestare politiche di conservazione e trasformazione territoriale ed urbana. L'attenzione non si concentra in alcune porzioni isolate, ma si profila un approccio all'intero territorio che assume rilevanza paesistica. La stessa filosofia dell'Unione Mondiale per la Natura rilevando da tempo l'insufficienza della conservazione "per isole", tende a rimarcare la centralità del territorio che, in quanto "eredità intrinsecamente evolutiva", non può essere separata in parti da conservare e parti da trasformare.
Si assiste, conseguentemente, ad un allargamento del principio di conservazione che si ritrova, inesorabilmente, ancorato al suo divenire e, quindi, all'innovazione.
Dal canto suo, la Convenzione Europea sul Paesaggio 2000 riconosce il significato che il paesaggio assume nelle dinamiche economiche e sociali in quanto aspetto essenziale del quadro di vita delle popolazioni e, quindi, il suo concorso all'elaborazione delle culture locali. Nel contempo, le politiche complessive del territorio vengono integrate dalle diverse problematiche connesse alla difesa del suolo: la gestione delle acque, la tutela dei suoli, la prevenzione ed il controllo dei rischi idraulici, idrogeologici, sismici ed inquinologici.
La questione paesistico-ambientale nel suo complesso contribuisce, quindi, ad orientare la ristrutturazione dell'intero processo di pianificazione rimarcando:

  • l'esigenza di ripartire dal locale, senza allentare l'irriducibile tensione locale/globale;
  • il passaggio da un sistema gerarchico ad un sistema cooperativo, studiando forme di pianificazione aperte al contesto reale, interne ai processi di trasformazione continui della città e del territorio, spostando il più possibile le responsabilità di governo sugli abitanti e favorendo processi d'appropriazione e d'identificazione collettiva ;
  • l'attivazione di processi di valutazione delle scelte da operare. Strumenti come la Valutazione d'impatto ambientale (VIA), o meglio ancora come la Valutazione strategica (VAS), dovrebbero supportare ogni discussione pubblica sulle scelte di governo del territorio;
  • l'attivazione di processi palesi e trasparenti di negoziazione, sulla base di regole chiare e certe, previa definizione del campo di negoziabilità;
  • l'apertura a tutti i soggetti coinvolti nel processo di pianificazione dei sistemi conoscitivi e valutativi, assicurando la circolazione delle informazioni e la possibilità di motivare, giustificare ed argomentare le scelte proposte.

La questione ambientale riporta l'attività analitica e valutativa al centro del processo di piano, nella direzione già indicata nelle grandi lezioni del passato, dal Geddes al Mumford.
Il piano diventa "documento della biografia del territorio ed innesca un processo di costruzione ed utilizzo della conoscenza".
Si sperimentano percorsi cognitivi ed interpretativi per il riconoscimento e la valorizzazione delle risorse, si elaborano "regole condivise della trasformazione del luogo stesso rispondenti al principio di conservarne e aumentarne l'identità ed il patrimonio".
Emergono metodologie diverse e talora contrapposte: da una parte, l'attenzione al rigore scientifico, all'argomentazione ed alla necessità di attribuire un carattere democratico alle procedure, con evidenti riferimenti al pensiero di Astengo; dall'altra, il riconoscimento di differenze strutturali e morfologiche che potrebbero sfuggire ad ogni fondamento sistematico e normativo imposto dal razionalismo, con evidenti riferimenti al pensiero di Samonà.

Struttura, strategia, norme ed operatività.
Nel delineare, esemplificando, due diversi approcci alla definizione delle nuove forme piano, è possibile avvicinare ad ognuno di essi specifiche metodiche cognitive.
Una prima ipotesi, forse la più diffusa all'interno dell'INU , porta a definire due piani, strutturale ed operativo , che agiscono in modo combinato sullo stesso contesto urbano e territoriale. Il Piano Strutturale, di medio-lungo periodo, riconosce, valuta e tutela i fattori strutturanti e caratterizzanti il territorio, relativi agli aspetti fisico-naturalistici, a quelli storico-culturali ed a quelli socio-economici, anche attraverso una eventuale prima zonizzazione (o individuazione di macrosistemi) a grana grossa. Non va considerato come "un piano statico, eterno e del tutto privo di scelte o di contenuti progettuali" , presenta anche contenuti strategici e diventa lo schema di riferimento per forme diverse di coopartecipazione.
Il Piano Operativo, che assume valore conformativo del regime dei suoli, declina alla scala opportuna, con taglio tecnico-normativo, i contenuti di cui al Piano Strutturale.
Come strumento di medio-breve periodo, sceglie tra le possibili trasformazioni quelle effettivamente praticabili in quel periodo e ne organizza i tempi, le risorse e gli attori; lascia quindi interamente all'amministrazione in carica la responsabilità delle scelte, delle attuazioni e del consenso . Attraverso l'attuazione di sistemi perequativi, favorisce un disegno urbano non condizionato dal disegno delle proprietà. Nella L.R. 5/95 della Regione Toscana è esplicita la scelta di distinguere nettamente la componente strutturale (che si carica anche di contenuti strategici, proprio per il valore progettuale, che viene dato allo Statuto dei luoghi, nell'obiettivo di conseguire uno sviluppo sostenibile condiviso) da quella operativa, articolata a sua volta in una parte regolamentare, stabile ed obbligatoria (Regolamento Urbanistico) ed in una parte programmatica, operativa, facoltativa a termine (Programmi integrati d'intervento).
Le forme di conoscenza che sostengono questa prima ipotesi tendono ad essere del tipo total-comprensivo e si riconoscono in una specifica fase ed in un elaborato che è il Piano Strutturale, senza rinunciare all'opportuna declinazione ed approfondimento dei quadri conoscitivi al livello operativo.
Piano Strategico e Piano Strutturale non rappresentano certamente una terminologia nuova nel vasto e storico panorama della pianificazione.
Le prime forme pionieristiche di pianificazione strategica sono del 1929, anno in cui viene completato il Regional Plan of New York and its Environs, che interessava l'area metropolitana di New York integrando strategie di sviluppo economico e pianificazione fisica .
Nel 1934 ad Amsterdam si approva un piano generale per lo sviluppo della città. Nel corso degli anni '50 vengono redatti diversi altri piani per le grandi aree metropolitane europee, tra cui Stoccolma e Londra. Negli anni '60 diversi paesi trasformano le loro leggi urbanistiche e s'introduce un sistema di pianificazione a doppio livello che opera una distinzione tra pianificazione generale dello sviluppo e regolamentazione dell'uso dei suoli. Con queste ultime emanazioni legislative, il piano strategico si configura come uno strumento urbanistico che, nel definire i grandi orientamenti dello sviluppo di un'area, assume valore vincolante per gli enti che operano sul territorio ma non nei confronti di terzi. Per più di vent'anni, in Europa la pianificazione strategica coincide con la pianificazione delle aree metropolitane; successivamente matura la convinzione che l'elaborazione strategica è una questione di metodo e non di scala.
Sulla scia di quest'ultimo approccio, incomincia a delinearsi una seconda ipotesi che accoglie crescente interesse nel dibattito scientifico in atto introducendo due nature nell'unico piano : quella regolativa/prescrittiva, riferita allo stato di fatto consolidato o a scelte di medio/lungo periodo, "con definizione di regole di comportamento in ordine a modeste trasformazioni", sostanzialmente di completamento o adattamento; quella previsionale/strategica, relativa a proposte di trasformazione consistenti, anche riguardanti lo sviluppo della città, configurate per lo più in "termini relazionali e prestazionali", i cui contenuti sono da definirsi in sede di urbanistica operativa (con strumenti urbanistici esecutivi e programmi complessi di riqualificazione e recupero) .
È evidente che la natura previsionale/strategica si distacca nettamente dal significato originario di pianificazione strategica, perde il valore d'interazione gerarchica con la pianificazione locale, tende a selezionare per parti settori e sistemi, indirizzando le interazioni dei diversi soggetti interessati dalle trasformazioni.
Per dare consistenza alla natura previsionale/strategica, che di per sè non può essere conformativa del regime dei suoli, si ricorre all'utilizzazione del progetto urbano, inteso come "insieme di procedure ed atti tecnici finalizzati alla costruzione, secondo un approccio strategico del progetto di assetto di una porzione di città, in trasformazione o di primo impianto, in attuazione di una previsione di PRG".
Il progetto urbano esplicita, dal punto di vista tecnico-normativo, le previsioni di trasformazione della pianificazione generale, "attualizzandole rispetto al quadro delle esigenze, delle risorse, dei soggetti e dei percorsi attuativi utilizzabili". In questa seconda ipotesi, sembra non comparire la distinzione tradizionale tra la fase analitica e quella progettuale ed il progetto si presenta come unico strumento per riconoscere, valutare e decidere.
Diverse altre intepretazioni si intrecciano, integrandosi o apportando modifiche parziali alle due teorie sopra delineate, ma ciò che sembra più interessante è andare a verificare una variante della seconda ipotesi, teorizzata da Roberto Gambino.
Quest'ultimo, pur riconoscendo l'utilità di non giungere alla formazione di due piani separati, evidenzia una duplice distinzione: tra la dimensione normativa e la dimensione strategica; tra la dimensione strutturale e quella operativa.
La prima evoca la differenza tra la norma e la proposta , tra la funzione regolativa e quella negoziale dei piani.
"In ogni piano convivono scelte che possono tradursi in regole di comportamento, più o meno vincolanti, per i soggetti destinatari, ed intenzioni, proposte e suggestioni progettuali cui, per l'imprevedibilità delle situazioni di fatto, l'incertezza in ordine alle condizioni concrete di fattibilità o alla disponibilità futura delle risorse economiche e finanziarie, o anche soltanto per un doveroso rispetto delle autonomie decisionali degli attori coinvolti, appare difficile ed inopportuno conferire efficacia immediatamente operativa". La seconda distinzione, tra la dimensione strutturale e quella operativa, "evoca invece la differenza tra quegli aspetti del piano che hanno carattere più stabile e di lunga durata e quelli più mutevoli", congiunturali, aperti all'evoluzione delle condizioni operative. Le due distinzioni non sono sovrapponibili: la coppia normativo/strategico non coincide con la coppia strutturale/operativo, poichè non è affatto scontata la meccanica coincidenza tra gli aspetti strutturali e quelli strategici, nè quella tra gli aspetti operativi e quelli normativi.
Parole come strategia, ma anche come struttura, norma ed operatività stanno, dunque, mutando rapidamente di significato.
Al di là del fatto di attribuirle ad uno o due diversi strumenti urbanistici (con cammino formativo ed approvativo separato), esse vanno a definire contenuti, efficacie ed aspetti diversi, molto spesso complementari. Delinearne i contorni è propedeutico alla definizione di sinergie, condivisioni e reciproche interazioni tra il piano comunale e gli altri strumenti della pianificazione ordinaria e specialistica, locale e sovralocale ed in particolare offre materia per un auspicabile dialogo tra la pianificazione comunale e quella dei parchi.
Traguardando i diversi aspetti del piano comunale dalla prospettiva ambientale emerge che:

  • l'approccio strutturale presuppone letture ed interpretazioni interdisciplinari, in una visione sistemica molto spesso non sufficientemente sperimentata e di difficile espletazione anche in considerazione dell'atavica divisione tra il mondo delle scienze sociali e quello delle scienze della terra, e della conseguente difficoltà di pervenire ad accettabili accordi linguistici e valutativi;
  • l'approccio strategico si trova a confrontarsi con "l'imprevedibilità e la complessità dinamica dei moderni processi decisionali" che, in presenza di forme di finanziamento speciali (e talora in mancanza di diagnosi compiute, ancorchè basate sulla semplice intuizione), innescano accelerazioni improvvise rispetto ai tempi della programmazione ordinaria. A diversi livelli e scale esso delinea ipotesi progettuali non abbastanza definite da poter essere supportate da contenuti tecnico-normativi, ma sufficientemente abbozzate per avviare e circoscrivere processi di coopianificazione e forme di partecipazione condivisa.
    Si presenta come un'organizzazione di processi decisionali, in grado di gestire e fornire quadri di riferimento generali per negoziazioni e "lieti accordi" (anche rispetto alle innumerevoli forme di programmi complessi), "indirizzando l'interazione di diversi soggetti, con strumenti flessibili e da verificare nel tempo, entro una razionalità procedurale". Si avvale di elaborati previsivi (schizzi e schemi), di tipo esplorativo o esemplificativo composti da testi e disegno iconico, in grado di raggiungere facilmente anche i non addetti ai lavori;
  • gli aspetti operativi sono significativamente relazionati al milieu amministrativo in cui si collocano e quindi alla maggiore o minore efficienza degli apparati, oltre che alla "cronica separazione tra le politiche di vincolo e le politiche di spesa";
  • gli aspetti normativi incominciano ad aprirsi alla reale informazione dei processi attuativi, sollecitando il soggetto a prendersi le sue responsabilità, in uno spirito di sussidiarietà. In tal senso intervengono: la norma d'indirizzo che il soggetto ricettore traduce in disposizione operativa, la norma informazione , la norma consiglio .
    Si avvalgono di strumenti comunicativi verbo-visivi, in cui la parte disegnata è di tipo misto (o ibrido), composta cioè da una parte iconica e da una parte convenzionale .
    La costruzione del rapporto di reciproca interazione tra il piano comunale e gli altri strumenti della pianificazione specialistica passa dunque attraverso il riconoscimento dei contenuti e degli aspetti che concorrono a delineare i diversi livelli della pianificazione.
    In particolare, nel caso specifico del rapporto con la pianificazione delle aree protette, si noterà che il problema non potrà ridursi a semplice "sostituzione o non sostituzione" bensì, articolando ed investigando più finemente sui diversi aspetti dei due piani, distinguendo contenuti e competenze strutturali e strategici rispetto a quelli più propriamente operativi e/o regolamentativi, si potranno definire sussidiarietà, integrazioni e coopianificazioni o improcrastinabili "sostituzioni".

Il piano per il parco
Il piano per il parco, istituito dalla legge 394/91, si configura come uno strumento dai contenuti di tipo urbanistico-territoriale, paesistico e naturalistico. Non è pensabile, pertanto, che si possa cadere in nessuna delle due contrapposte tentazioni:
a) di confondere il piano per il parco con la pianificazione ordinaria;
b) di considerare solamente la componente naturalistica, lasciando irrisolti i problemi di tutela paesistica e di organizzazione urbanistico-territoriale.
Il piano per il parco è dunque uno strumento complesso, di natura interdisciplinare e multisettoriale; una concezione che sembra trovare, per ora, solo parziale conferma nelle esperienze europee di pianificazione dei parchi naturali, mentre può essere facilmente riscontrata nella filosofia di pianificazione sostenuta da tempo negli Stati Uniti dal National Park Service. Il piano definisce l'organizzazione generale del territorio e la sua articolazione in aree e parti a differente livello di tutela dei valori naturali e culturali , oltre che: "i vincoli, le destinazioni d'uso pubblico o privato e norme d'attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano; i sistemi d'accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi, accessi e strutture riservate ai disabili, ai portatori di handicap ed agli anziani; i sistemi di attrezzature e servizi per gestire la funzione sociale del parco, musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività agrituristiche; gli indirizzi ed i criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull'ambiente naturale in genere".
Il Piano viene ad assumere diverse funzioni ed in particolare:

  • è quadro di riferimento strutturale per la tutela e la conservazione delle specificità paesistiche, culturali, economiche e sociali;
  • è quadro di riferimento strategico per coordinare ed orientare le azioni ed i programmi d'intervento di diversi soggetti attuatori, pubblici e privati, a vario titolo operanti sul territorio, valorizzando le sinergie e le complementarietà che derivano dalla "messa in rete" di risorse, opportunità e competenze differenziate. Tali strategie terranno conto delle dinamiche ambientali, economiche e sociali e quindi agiranno in coerenza con i caratteri strutturali dell'area ;
  • è quadro di riferimento argomentativo delle decisioni progettuali intraprese, in quanto esplicita le poste in gioco ed i valori di riferimento, le ragioni delle scelte ed i loro margini di negoziabilità, le condizioni del dialogo e del confronto tra i diversi soggetti istituzionali, i diversi operatori ed i diversi portatori d'interessi. Tale funzione è tanto più importante quanto più ci si allontana da una concezione puramente vincolistica del piano e quanto più si punta a stimolare la positiva interazione dei diversi soggetti istituzionali nei processi di pianificazione, sollecitandone la responsabilizzazione sui problemi comuni. In tal senso, uno degli obiettivi è il superamento o la mitigazione della dicotomia, radicata nella pianificazione italiana, tra politiche della conservazione e quelle della spesa e dell'investimento;
  • è strumento per normare (articolando le determinazioni per le diverse aree o parti o risorse del territorio del Parco) ed attuare in modo diretto alcuni particolari interventi (es.: organizzazione della fruizione, infrastrutturazione per il funzionamento della macchina del parco, opere di restauro ambientale e per la protezione della flora e della fauna).
    Il piano per il parco presenta, dunque, contenuti strutturali e strategici, e solo limitatamente ad alcune categorie d'intervento ricopre ambiti propri della regolamentazione tecnico-normativa.

Il piano comunale ed il piano per il parco
Come anticipato in premessa, la legge quadro sulle aree protette, nel momento in cui introduce il piano per il parco, ne definisce il potere sostitutivo nei confronti di qualsiasi altro strumento pianificatorio. Se l'apertura di possibili conflitti interistituzionali è stata sinora controllata da un'applicazione "non rigida" di tale dettato, i primi piani completati o in corso di completamento e quindi la definizione dei contenuti di piano intervenuta in forma esperienzale, invitano a non proseguire solo contando sulla buona volontà e sul buon senso dei "contendenti" ma, a delineare con più nettezza i contenuti del PRG comunale (nella sua riconosciuta centralità rispetto al processo pianificatorio), coglierne eventuali condivisioni, coopartecipazioni, integrazioni e comuni momenti di formazione col piano per il parco.
Nelle nuove forme-piano comunale, ed in particolare nell'articolazione dei diversi aspetti (strutturali, strategici, normativi ed operativi), si riscontrano interessanti punti di contatto con la natura integrata e multisettoriale del piano per il parco.
Ritrovare spazi e tempi per favorire feconde interazioni evitando inutili sovrapposizioni, diseconomie e conflittualità, significa definire, almeno concettualmente i limiti entro cui si esplica l'azione sostitutiva del piano per il parco rispetto agli altri strumenti della pianificazione ordinaria e quindi i supporti conoscitivi, valutativi ed interpretativi (di tipo strutturale e strategico) che il Piano per il Parco mette a disposizione del piano comunale (sulla base del principio di sussidiarietà). Si tratta, dunque, di sottolineare il "valore aggiuntivo" del Piano per il Parco nel processo di pianificazione nel momento in cui esplica un ruolo informativo, formativo e normativo a livello d'indirizzo generale (ma non strettamente regolamentativo ed operativo) lasciando al governo locale il compito di assumersi le proprie responsabilità decisionali.
I contenuti strutturali, previa certificazione sociale dei caratteri territoriali "scientificamente" riconosciuti , introducono opzioni irrinunciabili relative alla conservazione di risorse, dinamismi ed equilibri essenziali ed opzioni suscettibili di un'interpretazione più flessibile e quindi oggetto di negoziazione.
In tal senso è evidente che delineare il quadro strutturale non è operazione di mera elencazione di oggetti ed aree; si tratta invece di costruire interpretazioni cariche di progetto che in taluni casi richiedono metodiche ed approcci innovativi di tipo analitico.
È quanto ad esempio si è registrato nella Regione Liguria, dove l'intera collettività, nelle sue espressioni sociali e culturali viene chiamata a pronunciarsi su una "Descrizione Fondativa" che non riguarda tanto la realtà territoriale esistente quanto le prospettive di una sua evoluzione, "una descrizione che non è solo qualitativa e prestazionale, ma è anche un'intepretazione della realtà tutt'altro che neutra, anzi fortemente intenzionata".
Si tratta dunque di stabilire interazioni tra i diversi saperi tecnici anche introducendo concetti che talora rappresentano sostanziali novità rispetto alla pratica urbanistica tradizionale (ecosistemi ambientali locali, vulnerabilità, identità, potenzialità innovative, stabilità ambientale e suscettività alle trasformazioni).
Così pure, nella Regione Toscana, la descrizione identitaria, interna allo Statuto dei Luoghi, rappresenta, argomenta e certifica dal punto di vista sociale valori ritenuti intrinseci del territorio, al fine di delineare scelte di scenario e di sviluppo sostenibile "ovvero di valorizzazione del patrimonio e dunque degli attori e delle energie sociali locali portatori di patti evolutivi verso la sostenibilità.
In questo senso, costruire lo Statuto dei Luoghi per lo sviluppo sostenibile significa fare società locale per l'autosostenibilità".
Non siamo di fronte ad un insieme di vincoli urbanistici ma piuttosto, evocando lo statuto della città medioevale, all'esito di "una fase costituente che produce un patto condiviso per lo sviluppo".
Gli aspetti relativi alla struttura riguardano dunque valutazioni complesse che ricercano feconde interazioni, e non semplici accostamenti, tra le molteplici componenti dell'ampio spettro delle conoscenze relative alle scienze della terra ed alle scienze sociali.
Peral