Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 37 - OTTOBRE 2002


LIBRI
I Parchi naturali di Roma
Fabrizio Carbone e Mimmo Frassineti
Roma Natura- Ente regionale per la Gestione del Sistema delle Aree Naturali Protette nel Comune di Roma
Dicembre 2001
pp. 160; s.i.p.

Tutti –in ogni parte del mondo- pensano all’Urbe come alla più grande ed affascinante concentrazione di beni archeologici ed artistici, un incomparabile, immenso museo che ripercorre una storia millenaria, ricchissima di testimonianze. Pochi, invece, pensano a Roma come ad una metropoli che, singolarmente, dispone di un ampio ed altrettanto prezioso patrimonio naturalistico.
A diffondere la conoscenze delle tante aree verdi protette della capitale ha contribuito di recente un bell’atlante fotografico curato da Fabrizio Carbone, per quanto riguarda i testi e da Mimmo Frassineti per quanto riguarda le immagini, pubblicato da RomaNatura con il contributo del Servizio Conservazione Natura del Ministero dell’Ambiente. Quattordici aree protette, oltre 15.000 ettari di territorio tutelato nella capitale e anche al di fuori del territorio comunale fotografate e disvelate come tesori nascosti ed incompresi. Non è stato facile trasformare in aree verdi a disposizione della città molti di questi territori segnati da incuria ed abbandono e destinati prima dell’istituzione dei parchi ad essere assorbiti nel tessuto urbano, inglobati dal cemento. L’Atlante di RomaNatura lo fa intuire qua e là anche se le fotografie ci mostrano paesaggi assolutamente impeccabili, boschi verdissimi e angoli che sembrano incontaminati.
L’opera testimonia anche lo sforzo compiuto dall’ente preposto ai parchi- RomaNatura, appunto- di coinvolgere decine di migliaia di cittadini romani e di far conoscere loro con la creazione dei sentieri natura e con visite guidate settimanali per tutto il corso dell’anno i paesaggi, la flora e la fauna dei parchi romani. E gran parte dei visitatori ha accolto con entusiasmo una proposta di questo tipo, scoprendo con sorpresa angoli verdi, “isole di campagna” nel cuore della capitale. Isole che hanno anche il grande compito di rifornire Roma di prodotti agricoli a basso impatto ambientale e di ottimo livello qualitativo. Per chi ancora non avesse partecipato a questa scoperta, il libro di Carbone-Frassineti rappresenta un ottimo punto di partenza.
F.Z.

L’uomo e la foresta
Marco Paci
Editore Meltemi
pp. 162; euro 14,50

Perdersi, cercarsi, trovarsi tra gli alberi non è solo un espediente narrativo da sempre caro alla tradizione letteraria.
Abbiamo ragionevoli motivi per scorgervi un bisogno umano quanto mai cogente nella nostra attualità.
Un sano paradosso che scuote sonnolenti schemi mentali e che sfida l’approccio scientistico-materialista alla natura, riabilitando il valore spirituale del mito.
Stavolta, il sasso che increspa le acque stagnanti della dimenticanza è stato scagliato da uno scienziato naturalista, il professor Marco Paci dell’Università di Firenze, nel suo ultimo , affascinante saggio ‘L’uomo e la foresta’.
Un invito che vale davvero la pena raccogliere, un percorso simbolico a tappe che presenta, con efficace immediatezza e incisività, la fenomenologia storica del rapporto tra l’uomo e gli alberi.
Un rapporto fatto di tensione e di passione, di paura e sopraffazione, di culto, sacralità, magia.
La foresta è il luogo del mistero, una sorta di non-io in cui l’uomo perde se stesso per ritrovarsi cresciuto, cambiato. In essa si sono contestualizzati e avvicendati forti conflitti e quindi gli esiti più contraddittori dei medesimi: presa di coscienza e insieme perdita di coscienza, delirio dionisiaco.
A proposito del rapporto tra l’uomo e la natura, lo stesso Paci osserva: -L’atteggiamento nei confronti della natura è stato ondivago, ed è passato dalla paura al rispetto , dall’arroganza del potere fino alla nostalgia del paradiso perduto”.
Se considerassimo il libro di Paci come una mera rassegna di situazioni storiche, ne sviliremmo di certo la poliedrica vivacità.
Il nostro autore è riuscito a stemperare in un unico crogiuolo una tale varietà di ingredienti, che ci riesce difficile individuare, anche a posteriori, una singola tipologia di lettore destinata in via eminente a recepirne il messaggio. Insomma, è un libro adatto a tutti.
Nel dipanarsi progressivo della Storia, vengono alla luce tutte le espressioni dello spirito e della cultura in cui il rapporto uomo-albero è stato variamente declinato ed elaborato: religione, antropologia, arte figurativa, architettura, letteratura, pensiero filosofico, musica e, naturalmente, scienza. I lettori di cultura umanistica resteranno gradevolmente impressionati nel riscontrare la finezza metodologica con cui l’autore si addentra in un campo certo inusuale, per un uomo di scienza: la letteratura.
Chi è sensibile all’argomento, forse, proverà persino un senso di gratitudine verso questo libro, perché l’esito dell’indagine letteraria va ben oltre il rilievo tematico. Si fa addirittura fenomenologia esistenziale, analisi spregiudicata di un disagio che accompagna l’uomo da sempre e che lo spinge a distruggere tutto ciò che non comprende.
La foresta è portatrice di una sua saggezza peculiare, d’un distacco dagli affanni dell’esistenza che tormentano invece l’uomo e che lo rendono aggressivo e spesso incline a cercare i propri equilibri fuori di sé.
Il tema non è nuovo, ma la formula scelta da Paci appare senz’altro inedita e attentissima ai messaggi riposti nello scrigno della letteratura, dove giace uno degli archetipi più significativi per il genere umano.
Luogo di mistero e di minaccia, ma anche paradiso perduto, regione utopica in cui recuperare ad un tempo il senso della prospettiva temporale e lo spirito di complessità.
Quello stesso spirito che, del resto, anima il grande romanzo, l’ironia, il conflitto mai risolto tra bene e male, l’anelito del finito all’infinito: è il cuore della foresta, dove affondano le radici dell’uomo.

Maria Luisa Santoru
Tourism, Biodiversity and Information
Edited by
F. di Castri and
V. Balaj
Backhuys Publishers - Leiden, 2002 pag. 501

Tra le segnalazioni della rivista le pubblicazioni in lingua inglese sono state finora assai rare. Non certo a causa della lingua visto l’uso e persino l’abuso che ormai se ne fa. Ma per una ragione molto più semplice e cioè la giusta preferenza che viene data ai libri ‘nazionali, peraltro tutt’altro che numerosi, dedicati ai temi che a noi interessano maggiormente.
Ma ogni regola, come si sa, ha le sue eccezioni. E se in questa caso facciamo appunto una eccezione è perché il volume con le sue 500 pagine e i suoi 28 capitoli ai quali hanno contribuito autori di vari paesi e di differenti discipline merita davvero, e per più di un motivo, una particolare segnalazione.
Il principale curatore e autore del libro (ed anche l’unico italiano) è il prof. Francesco di Castri, Direttore di ricerca presso il Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica, con importanti incarichi per conto dell’UNESCO e che recentemente ha scritto in ‘ricordo’ dell’amico una presentazione per la ristampa di ‘Uomini e parchi’ di Valerio Giacomini. Un anno fa a Gargnano, in occasione del tradizionale appuntamento del Centro Studi intitolato a Giacomini, avevamo avuto il piacere di conoscerlo e di apprezzarne la competenza, anzi ‘le’ competenze davvero straordinarie di questo ambasciatore ambientalista giramondo.
Del ponderoso volume la lui curato vale la pena di sottolineare innanzitutto che la sua pubblicazione è stata resa possibile dalla ‘Fondation d’enterprise pour la biodiversitè et la mer TOTALFINAELF’, che ha supportato un lavoro avviato in Francia dal Parco nazionale di Port Cros e Porquerolles, due piccole isole del Mediterraneo di particolare interesse biologico e culturale. Il tutto con l’aiuto del Conservatorie du Littoral l’Agenzia statale che in Francia si occupa della protezione costiera. Già in questi pochi dati si possono rilevare più motivi di interesse per un libro che ha alle spalle un impegno di anni, che ha potuto contare sulla fattiva collaborazione di più soggetti privati e pubblici, animati da un preciso e chiaro interesse per i temi della protezione e della tutela, con speciale riferimento al mare, anzi alle coste viste -lo sottolinea con forza di Castri nella sua presentazione- non soltanto come punto di incontro tra terra e mare ma anche come incontro di due diverse competenze legislative e normative, che rendono spesso problematica e ardua la gestione di questa complessa e ‘instabile’ realtà.
Inutile dire che tutto ciò non può non indurre a qualche amara considerazione se confrontiamo il tutto con la situazione del nostro paese. Se il libro, infatti, dà conto di una ricerca collegiale e interdisciplinare che dalla Francia e dal bacino mediterraneo si spinge verso lidi lontani dal Canada all’India, da Malta ad Haiti, per mettere a fuoco le strette connessioni tra biodiversità, turismo e informazione, noi non possiamo certo dimenticare il buco decennale della Carta della natura, la mancata approvazione (fino a questo momento) di quel Piano della biodiversità’ che si aggira ramingo (anzi disperso) nei meandri ministeriali, per non dire dei fantomatici studi per il piano delle coste che mancano all’appello ormai dal lontanissimo 1982.
Detto questo, e non certo per buttarla ancora una volta in polemica, ma molto più semplicemente perché gli studi, specie quando sono seri e riguardano anche noi, debbono aiutarci anche a fare meglio, a stimolarci a muoverci con maggiore convinzione, determinazione e fiducia.
Libri e studi servono insomma anche a questo, anzi soprattutto a questo. E il libro di cui stiamo parlando è sicuramente tra quelli di cui, chi di dovere – e siamo tanti- lo tenga in debito conto.
Uno dei primi capitoli a cura di Pierre Bougeant tratta, ad esempio, del turismo nel Mediterraneo e dei rischi che le prospettive di un incremento massiccio del turismo previsto per i prossimi anni potrebbe avere (ed in qualche misura ha già) sull’ambiente, la sua biodiversità. L’autore ripercorre alcune situazioni soffermandosi in particolare su quella francese, esaminando i tentativi che in alcuni decenni sono stati fatti per contrastare un irreversibile ‘consumo’ delle coste, spesso con scarsi successi e con notevoli ritardi e esitazioni, ma anche con risultati importanti ai quali anche altri paesi si sono potuti ispirare con esiti positivi. Particolarmente interessante si è rivelata l’esperienza del ‘Conservatorie du littoral et des ravages lacustres’ che con l’acquisto di 60.000 ettari di terreno in 420 differenti località e 800 chilometri di coste (il 12% del litorale) per un costo di 300 milioni di euro ha potuto svolgere un efficace azione sia di contenimento verso processi speculativi sia di promozione di politiche pubbliche ispirate ad una rigorosa protezione ambientale.
L’autore accenna ad alcune esperienze, talvolta ispirate a quella francese, che sono state fatte o sono in corso dalla Tunisia alle isole Baleari, alla Catalogna e infine all’Italia.
E per noi si rinnova l’amarezza per una situazione che merita una segnalazione di poche righe solo per l’esperienza del WWF che ha acquistato alcuni piccoli terreni costieri (oasi) per sottrarli ad interventi di cementificazione, nella più completa latitanza dei poteri pubblici che ora, anzi, pensano semmai a privatizzarne altri per fare ‘cassetta’.
Nei capitoli successivi diversi autori, e tra questi ancora una volta di Castri, trattano di situazioni ed esperienze che come abbiamo accennato vanno da un capo all’altro del pianeta, privilegiando però le isole che – è noto- presentano sotto il profilo ambientale e della biodiversità condizioni assolutamente speciali.
Ovunque si avverte lo sforzo (anche se i risultati cambiano sovente da situazione a situazione) per far leva su una adeguata ed efficace protezione della biodiversità, intesa però in termini non esclusivamente naturalistici bensì culturali, per un turismo che sappia avvalersi della informazione e dei suoi nuovi potenti strumenti (Internet), che privilegi il ruolo dei residenti, delle comunità locali specialmente nei casi in queste, dal Canada alle isole più sperdute del Pacifico, sono depositarie di culture a rischio di cancellazione. Il tutto insomma incentrato su l’uso e non l’abuso del territorio e dell’ambiente.
Ciò che colpisce maggiormente in questo variegatissimo campionario di situazioni è che se da una lato le diversità appaiono enormi, abissali dall’altro anche realtà tanto incomparabili mostrano straordinarie somiglianze.
Che si tratti dei grandi parchi nazionali canadesi costieri o delle riserve in ambienti da sogno immortalate dal cinema, dalla pittura, dalla fotografia ovunque, specialmente all’interno delle aree protette (ma non solo) si pone il problema di ‘rivedere’ norme, regolamenti riguardanti l’uso. Anche in situazioni normativamente consolidate- è il caso dei parchi canadesi- alcuni anni fa si è dovuto ridefinire i compiti dell’area protetta non più riconducibili principalmente alla ricreazione ma alla tutela della biodiversità.
La legge in sostanza ha ridisegnato le finalità precipue rafforzando i compiti di protezione.
Ora saremo anche inguaribilmente polemici, ma come non vedere anche in questo caso quanto distanti siano da queste tendenze generali, certe sortite nel nostro paese volte a presentare il turismo nei parchi come un promettente ‘regalo’ da fare all’industria del settore. Anche per questo- è bene ribadirlo- il libro merita davvero di essere conosciuto, a cominciare da quelle sedi dove maggiore è la responsabilità di quel che succede sulle coste e nei parchi.
Renzo Moschini

La nuova vita delle Alpi
di Enrico Camanni-
Bollati Boringhieri, Torino 2002
pp. 210 - euro13,00

L’autore, direttore attualmente della bella rivista ‘L’ALPE’ di cui è uscito da poco il N. 6 dedicato a De natura e in sostanza all’anno della montagna, e per tanti anni direttore di Alp, ha i titoli giusti per cimentarsi con conoscenza, competenza e intelligenza con un tema spesso oggetto di trattazioni o piagnucolose sui bei tempi passati o, altrettanto fuori misura, inneggianti a illusori e pericolosi destini sportivo-muscolosi. Camanni, che pure ha scritto importanti libri sull’alpinismo, qui non ha bisogno di ricorrere all’ausilio di corde, moschettoni e ramponi per muoversi agevolmente sull’impervio terreno della montagna alpina e dei suoi problemi.
Il libro con il suo utile corredo di documenti si segnala come uno dei pochi (finora almeno) contributi che in occasione dell’anno della montagna c’era da aspettarsi più copiosi e interessanti.
Ma le ‘celebrazioni’ evidentemente non sempre riescono ad andare molto al di là di manifestazioni ‘ufficiali’, spesso retoriche e povere di contenuti.
Il libro in questo panorama poco esaltante si segnala dunque innanzitutto per il rigore e la ricchezza di riferimenti, dati e spunti che permettono al lettore di farsi una idea della complessità dei problemi della montagna in generale e delle alpi in particolare. Già presentando l’ultimo numero de L’ALPE Camanni sottolineava l’esigenza di sfatare i troppi luoghi comuni che circolano e non da ora sull’argomento.
Le pagine di questo agile ma corposo volumetto di luoghi comuni ne sfatano davvero parecchi a cominciare da quello forse più diffuso sulla intrinseca incapacità del mondo alpino di trovare in se stesso le forze propulsive, le energie riposte per uscire da una condizione in cui si corre il rischio di condannare ad un futuro di marginalità economica e sociale e di distruzione ambientale un patrimonio unico e irriproducibile.
L’impoverimento e lo spopolamento delle alte valli in particolare – annota Camanni- ‘non sono ‘naturali’ conseguenze del carattere severo dell’ambiente alpino, con cui i popoli delle Alpi hanno imparato a convivere con risultati culturali sorprendenti, ma sono piuttosto il risultato dell’isolamento politico ed economico che, anziché correggerle, tende a esaltare le negatività ambientali’. Muovendo da questa corretta premessa l’autore individua e si sofferma sugli intrecci (che sovente vengono sorvolati per rinchiudere l’analisi all’interno di una presunta realtà ‘isolata’ e impermeabile) tra le vicende complesse e spesso drammatiche del mondo alpino e quelle più generali dei processi che investono l’economia, i costumi, la cultura non soltanto nella dimensione nazionale. Solo in questo ‘contesto’, infatti, si possono cogliere le potenzialità e le vie d’uscita da una situazione alla cui soluzione non bastano certo nè i sussidi né l’esaltazione folcloristica e falsa di un mondo, come diceva una volta enfaticamente la Settimana Incom, il mondo e il tempo sembrano essersi fermati.
L’ambiente inteso nella sua variegata ricchezza di paesaggio, natura, cultura, tradizioni non cartolinesche, occupa ovviamente nella riflessione di Camanni un posto centrale ma non per questo superficiale e ‘propagandistico’.
Non a caso il capitolo dedicato ai parchi è intitolato un po provocatoriamente; ‘i parchi ‘male’ necessario’. E’ chiaro l’intento dell’autore di sgombrare il campo da ogni illusione miracolistica riguardo al ruolo delle aree protette, ma anche di rispondere a chi in definitiva ritiene che essi non siano in defintiva necessari perché i ‘montanari’ il loro ambiente sono sempre riusciti a proteggerlo senza ricorrere a queste invenzioni cittadine, estranee alla cultura alpina.
Proprio nella realtà alpina- come testimonia l’alto numero di parchi nazionali e regionali presenti- le aree protette possono contribuire efficacemente e concretamente a superare innanzitutto qualsiasi ‘lettura’ del territorio in chiave di ‘settore’; agricoltura, turismo etc, per ritrovare tutti gli indispensabili intrecci con il ‘contesto’ a cui accennavamo. Fa bene dunque Camanni a proiettare questa riflessione critica, senza troppi riguardi per certe lamentazioni e litanie, nella dimensione europea e comunitaria.
Fa bene perché- ed è giusto sottolinearlo in particolare nell’anno della montagna- finora anche l’europa ha fatto poco per la montagna ma anche per i parchi. Se la prima attende infatti ancora un riconoscimento e una definizione giuridica adeguati ai tempi, i secondi vagano ancora- a livello comunitario- tra SIC e ZPS alla ricerca di un riconoscimento ‘diretto’ ed esplicito. Il libro, ne siamo certi, non potrà non contribuire ad avvicinare questi importanti traguardi.
Renzo Moschini

L’Europa e la montagna
di Luciano Caveri
Prefazione di Romano Prodi
TARARA’
Euro 12 pag. 109 Dicembre 2001 - Verbania

Anche questo, come quello di Camanni è un libro scritto per l’Anno internazionale delle montagne 2002’, con un intento però chiaramente più ‘politico- istituzionale’. L’autore, infatti, è parlamentare europeo e presidente del Comitato italiano per le celebrazioni di questo importante evento.
Il libro testimonia –come sottolinea il Presidente Prodi nella prefazione- ‘di un percorso preciso che si sta perseguendo’ in sede comunitaria per capire se e quale politica sviluppare in favore delle montagne europee all’inizio del nuovo millennio.
L’autore intende innanzitutto mettere in chiaro che finora le montagne sono state considerate ‘subalterne’ ad ‘altre’ politiche; della pianura, della agricoltura, delle zone disagiate etc, manifestando peraltro una sua malcelata diffidenza anche nei confronti di quei movimenti ambientalisti colpevoli –a suo dire- di integralismi volti a cancellare ‘definitivamente la presenza umana considerata fatto perturbativo rispetto ad un preesistente elemento naturale’. Ne risulta nel complesso una appassionata ‘difesa’ dei montanari vittime storiche, oltre che di tante ingiustizie e penalizzazioni economiche, sociali e culturali, anche di scarsi studi, dati, statistiche etc.
La prova di questa colpevole politica ( non soltanto italiana) è data anche, se non principalmente dal fatto che ad oggi non vi è ancora una soddisfacente definizione giuridico-normativa della montagna.
L’autore a questo punto si rifà ad una serie di documenti, direttive e provvedimenti comunitari per dimostrare la giustezza della sua critica ma anche per cogliere le ‘novità’ che potrebbero (e dovrebbero) finalmente preludere a quella svolta di cui parla Prodi.
Va detto che- come ammette l’autore stesso alla conclusione- il libro risulta appesantito da questa sovrabbondante messe di documenti di cui è ‘infarcito’, che nella loro ripetitività aggiungono poco o niente ad una efficace messa a fuoco delle questioni aperte. Che sono molte e che spesso risultano ‘affogate’ o confuse in questa analisi che pur nell’abbondanza eccessiva di riferimenti appare in definitiva elusiva e sfuggente rispetto ad alcuni nodi che invece avrebbero dovuto essere ben altrimenti considerati e affrontati. Nelle oltre 100 pagine del libro dove è ricorrente, attraverso i molti documenti riportati il riferimento alle ‘nuove’ politiche indispensabili per la montagna, che vanno dalla agricoltura al turismo alla protezione ambientale fino ai percorsi escursionistici e così via, sorprendentemente non vi si trova alcun cenno alla esperienza, al ruolo, a quel che stanno concretamente facendo (e non da poco) i parchi specialmente nelle Alpi. L’autore ricorda, ad esempio, che il nostro paese se ha ritardato l’approvazione della Convenzione alpina ciò è dovuto anche alla sua personale opposizione a che il ministero dell’ambiente facesse prevalere una impostazione nettamente ‘centralistica’. Ma dopo questo scampato pericolo, di cui l’autore è giustamente fiero, non sarebbe stato opportuno ed utile far capire cosa si sta concretamente facendo (o non facendo) per la Convenzione che tra l’altro a Bled costituì su proposta francese una ‘rete delle aree protette’, a conferma che il ruolo dei parchi non è così irrilevante come risulta dal libro. Ad essi infatti si fa riferimento unicamente quando si parla dei dati statistici che sarebbe opportuno su scala comunitaria raccogliere.
Anzi, Caveri parlando proprio del caso italiano ad un certo punto scrive; ’Anche in Italia si è pensato alla – in parte contraddittoria- politica dei Parchi e delle aree protette come soluzione per la montagna’.
E’ la sola annotazione in tutto il libro dalla quale è impossibile capire cosa avrà voluto dire l’autore. Contraddittoria rispetto a che cosa?
Gran parte dei parchi europei sono montani, moltissimi sono alpini, collaborano alla esecuzione di progetti comuni in tanti campi; si muovono nelle direzione auspicata dal libro o no?
Caveri è valdostano; il ‘suo’ Parco, quello storico del Gran Paradiso ora affiancato dal un brillante parco regionale, quello del Monte Avic , è ‘contraddittorio’ rispetto alle auspicate politiche per la montagna o stanno facendo cose previste anche dalla convenzione alpina in una visione finalmente non ‘settoriale’?
E visto che giustamente ci si è opposti a impostazioni centralistiche perché tutti i livelli istituzionali avessero ‘pari dignità’ (modifiche titolo V) e la sussidiarietà non rimanga una mera affermazione, merita qualche riflessione la vicenda del parco dello Stelvio dove stato, due province speciali e una grande regione a statuto ordinario faticano a trovare il giusto punto di equlibrio in una collaborazione che non deve ‘penalizzare’ né il momento ‘locale’ né quello ‘nazionale’ (e comunitario)?
Che senso ha raccomandare tante buone politiche ma ignorare che alla sua realizzazione ‘integrata’, tanto auspicata quanto irrealizzata a livello comunitario, se poi le aree protette, gestite in ‘leale collaborazione’ da stato, regioni, province e comuni sono snobbate e ignorate?
E che senso ha parlare di agenzie ed altri strumenti per favorire e gestire il turismo, un uso diverso del territorio che sia più rispettoso dell’ambiente, di questo patrimonio della ‘umanità’, ignorando la ‘rete di aree protette’ nazionali, regionali. locali e comunitarie (i vari siti) che vi opera sovente da decenni? Possibile che non si avverta che anche da qui passa una delle scommesse della costruzione di un Europa di tipo federale?
Renzo Moschini

Storia della natura d’Italia
Fulco Pratesi
Editori Riuniti-Roma,
pag 240, Euro 16,53-2001

Presentando questo libro di Pratesi su un quotidiano Massimo Venturi Ferriolo osservava che il titolo sarebbe potuto essere più appropriatamente; ‘Storia del paesaggio naturale d’Italia’.
La recensione recava questo titolo; ‘La natura italiana? Violentata’.
Il libro di Fulco Pratesi racconta e ricostruisce la trasformazione di un territorio, degradato dall’opera di 300 generazioni. Al termine di questa storia, scrive Pratesi; ‘non esiste nel nostro paese un luogo che possa in qualche maniera essere considerato ‘naturale’’. L’autore premette anche che si dovranno perdonare all’opera necessariamente di dimensione ridotta (240 pag.), carenze, approssimazioni e interpretazioni’.
La documentazione di quel che è accaduto da 8000 anni A.C., è sufficiente tuttavia a darci una idea dei cambiamento intervenuti, delle distruzioni, aggressioni, insomma delle ‘violenze’, come titolava il quotidiano citato.
Una cavalcata che ha i caratteri di un ininterrotto processo distruttivo che fa dire a Pratesi, giunto ai giorni nostri; ‘Tutto qui. Scomparsa la natura resta il paesaggio’.
Un giudizio singolare, quasi che il paesaggio, il nostro paesaggio, quello europeo fossero solo ciò che resta dopo la scomparsa della natura e non il risultato straordinario di una azione che ha trasformato, certo, ed anche ‘violentato’, ma anche salvaguardato la natura.
Una conclusione, quella dell’autore, in parte obbligata dopo che la successione degli eventi così distruttivi è rappresentata alla stregua di un’opera dissennata, immotivata di un uomo accecato.
Cieco e dissennato quando disbosca per costruire navi. Cieco e dissennato il povero cristo che per procurarsi il pochissimo per sopravvivere brucia, taglia legna.
Parlando della natura oggi, a conclusione del libro, Pratesi cita una statistica europea per ricordarci che al 1997, mentre i paesi dell’UE hanno perduto il 2% di terreno coltivabile, in Italia il calo dovuto maggiormente alla invasione del cemento e dell’asfalto, è stato del 20%.
Una raffigurazione che tace, non spende una parola sulla espulsione dalle campagne e spesso al conseguente degrado, dovuto all’abbandono innescato da sconvolgenti processi economici e sociali, non riducibili alla cementificazione e speculazione che, naturalmente, hanno avuto un peso enorme.
Un silenzio che omette di ricordare che quella espulsione, sovente anticamera di abbandono di interi paesi e quindi di drammatiche vicende sociali cariche di sofferenze, fu considerata ‘benefica’ per la natura, che si sarebbe così riappropriata di quei terreni che l’uomo gli aveva espropriato coltivandoli.
Ecco, dal libro, questo intreccio complesso tra vicende economiche, sociali e culturali non emerge come sarebbe necessario e giusto. Oggi la ricerca storica sta ‘rivalutando’, ad esempio, sotto taluni profili la mezzadria, per gli effetti positivi che avrebbe avuto nella ‘tutela’ di un certo paesaggio e ambiente. Considerata, giustamente, ‘arretrata’ come istituto economico- sociale, rivelerebbe alla distanza alcuni meriti su altri piani.
Certo se il paesaggio lo si giudica semplicemente quel che resta del paradiso perduto anche quei ‘meriti’ (si pensi alla toscana) passano in seconda linea.
Credo che la lezione da trarre da queste complesse e non indolori vicende, che fa scrivere a Venturi Ferriolo che occorre formare ‘una vera e propria cultura paesaggistica e ambientale, purtroppo ora del tutto carente’, riguardi la nostra capacità di considerare le politiche generali di un paese come intrinsecamente connesse alla tutela della natura e del paesaggio.
Senza ‘omissis’, senza dimenticare cioè, anche quando si ricostruisce la storia della natura e delle culture che più si sono impegnate su questo terreno, che le più moderne ed efficaci sono le politiche in grado di coinvolgere TUTTI gli interessi in campo.
La dimensione ridotta del libro, peraltro corredato da una iconografia suggestiva e bella, se può ‘perdonare’ le carenze di documentazione, meno indulgente deve essere verso le ‘interpretazioni’ che rischiano – o possono rischiare- di dare dell’uomo con la U maiuscola una immagine degna di Attila, quando sarebbe stato preferibile parlare degli uomini più concretamente, in riferimento a vicende non riconducibili o riducibili tutte e sempre a fobie distruttive. Anche perché se in migliaia di anni abbiamo saputo solo distruggere cosa può farci sperare che proprio l’uomo cambi.
Renzo Moschini

Autori vari Prodotti dal Parco: Parco naturale e sistema rurale, un incontro possibile
La Celere Editrice
Alghero, maggio 2002, pag. 110

Nel marzo del 2001 si svolse vicino Alghero un evento importante da diversi punti di vista. Presso il centro di ricerche “Porto Conte Ricerche”, animato dal orof. Giovanni Antonio Farris, si svolse una mostra dei prodotti tipici dell’agricoltura dell’areale interessato dal parco naturale regionale di porto Conte.
Quel parco regionale aveva conosciuto vicende complicate.
Una prima perimetrazione comprendeva le aziende agricole, ma poi una seconda le aveva escluse. Sicché l’argomento del possibile dialogo tra il sistema rurale ed un parco naturale si presentava li con caratteristiche del tutto specifiche e particolari.
All’interno del complesso residenziale della Società Porto Conte Ricerche, efficientissimo e modernissimo polo del parco scientifico e tecnologico sardo, mentre fuori si svolgeva la mostra di prodotti tipici, si articolò un convegno – al quale ebbi l’onore di figurare tra i relatori invitati – che non si limitò ad enunciare il tema sulla base di valutazioni legate al territorio di Alghero o della Sardegna, ma ampliò la sua attenzione alla vicina Corsica (con una brillante relazione di Francois Casabianca) ed all’esperienza della regione Marche e del parco naturale regionale del Conero, considerata utile termine di paragone.
Assieme a queste due esperienze esterne, il convegno approfondì il sistema agricolo della Nurra (con una relazione di Salvatore Piras), il rapporto tra biodiversità e produzioni agro-alimentari tipiche (Antonio Farris e Luca Pretti), riprese il discorso sull’area protetta di Porto Conte e sulle opportunità di un suo incontro con il sistema agro alimentare locale, si occupò della tematica generale delle “strade dei sapori” (Davide Beccu) e dello sviluppo di un sistema agro alimentare attraversi il marketing territoriale (Salvatore Masia). Devo dire che quella giornata fu davvero intensa e ricca di informazione utili.
L’avevo affrontata con uno di quegli intrecci strani che la vita ci propone, arrivando ad Alghero da Torino, anzi, da una baita a ridosso delle nevi nelle Alpi sopra Torino, dove Gianni Boscolo mi aveva coinvolto in un seminario di studi per addetti stampa dei parchi piemontesi, e il contrasto tra le due realtà e le due problematiche fu una salutare scossa, e forse produsse un effetto di impreziosimento. Ma oggi, a un anno di distanza e senza gli effetti speciali delle slide elettroniche la semplice rilettura degli atti mi riporta in un mondo proteso allo sviluppo sostenibile, ricco di forze produttive e culturali, e fortemente radicato nella propria storia e nei propri valori, da seguire con attenzione,e, magari, anche con una punta di ammirazione verso quanti operano in situazioni difficili per la rinascita della propria terra.
Chi vorrà provare la stessa emozione, documentandosi su una esperienza particolare e molto interessante potrà richiedere il volume degli atti all’editore (079/951595) oppure a Porto Conte Ricerche, Alghero (prof. Antonio Farris).
Mariano Guzzini

Ambiente e Urbanistica
A cura di Carlo Desideri
e Federico Spantigati
Edito da ente parco Migliarino S.Rossore Massaciuccoli Pp 112

Il volume raccoglie gli atti di un’iniziativa di studio e riflessione che si è tenuta nel giugno 2000. Da quel seminario è uscita confermata l’immagine di un parco come ente speciale per la gestione di valori eccezionali. Pur essendoci molti altri aspetti importanti è emerso in particolare il concetto di un’attività che ha requisiti di eccezionalità, incentrata- come ricordava Carlo Alberto Graziani- “tra conservazione e sviluppo sostenibile visti non come due binari separati e paralleli che non si incontrano mai ma fusi insieme in un unico percorso”. Il modello toscano, peraltro, è di grande interesse perché non solo ha individuato le aree contigue ma ha esteso a queste la capacità di sostituzione del parco ai poteri di altre amministrazioni.
Un fatto di grande rilievo, nel senso che in questo modo nelle aree contigue permane la piena competenza ed autorità di fatto del nostro ente. L’incontro che si è svolto nel parco Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli è l