Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 37 - OTTOBRE 2002


“I NOSTRI ERRORI.
E QUELLI DEGLI ALTRI”

Intervista ad Aldo Cosentino Direttore generale
del Ministero Ambiente, Servizio Conservazione Natura
di Giulio Ielardi
Aldo Cosentino è nato 62 anni fa vicino Roma, a Velletri (oggi tra i Comuni del parco dei Castelli Romani), da padre calabrese e madre ciociara. Ha due figli. Dopo la maturità classica e ancora prima della laurea in Giurisprudenza entra nella pubblica amministrazione, a 21 anni, prima nella Pubblica Istruzione e poi nelle Ferrovie.
Per quindici anni ha rappresentato le Ferrovie dello Stato nella Cit, la Compagnia italiana turismo. Occupandosi di accordi aerei ha girato il mondo dall’Australia al Nordamerica, dalla Francia al Belgio, all’Inghilterra. Al ministero dell’Ambiente è arrivato nel ’91, come membro della commissione tecnico-scientifica di valutazione dei progetti Fio. Da maggio del ‘98 è a capo della Direzione (ex Servizio) Conservazione Natura e nei mesi scorsi è stato confermato nell’incarico dal ministro Matteoli, che gli ha pure affidato ad interim la guida della Direzione Difesa Mare al posto di Renato Grimaldi.

Quante persone lavorano alla Direzione?
Attualmente una settantina di persone. Va detto che si tratta di personale proveniente dalle esperienze più diverse, dall’Ente nazionale cellulosa e carta all’Eni, messo assieme all’atto dell’istituzione del ministero. Un mix che può sembrare anche suggestivo, ma poi non si può pretendere da chi ha fatto un certo mestiere fino al giorno prima che all’improvviso si inventi una certa cosa.

Questo del personale è un problema importante nel suo lavoro?
Sì, anche se io non chiedo né aumenti degli organici né particolari specializzazioni. Quelle di cui ho bisogno preferisco prenderle di volta in volta sul territorio, in particolare dalle università, le cui potenzialità non mi sembrano ancora sufficientemente esplorate e utilizzate. Perché, ad esempio, va benissimo assumere un esperto di ornitologia ma poi insorge sempre l’inconveniente del rapporto pubblico. Cioè, nello stesso momento in cui il soggetto viene assunto, il rischio sostanziale è che quel soggetto non si senta più stimolato all’aggiornamento, ad essere sul campo, sul mercato.
E questa strada non può praticarla come vorrebbe? Ha dei limiti di bilancio?
Beh, i limiti di bilancio sono quelli che sono e su questo non c’è niente da fare. Bisogna allora ottimizzare le risorse. Per esempio, noi stiamo finanziando dei dottorati di ricerca su alcuni problemi, come le specie invasive. Alla fine del biennio di studi otterremo uno studio compiuto sull’argomento, cioè un buon punto di partenza nella ricerca di soluzioni, e per i rapporti intercorsi avremo anche contribuito a cambiare l’ottica di approccio ai problemi da parte del personale.

I funzionari del Servizio seguono corsi di aggiornamento?
Sì, ma il difficile è far loro capire che i corsi non sono di biologia o botanica ma di management, di pubblica amministrazione in termini avanzati.

Quindi, lei può far sostenere ai suoi funzionari un corso di formazione o aggiornamento, se lo ritiene opportuno?
Entro certi limiti, perché questo poi rientra nella necessità di una contrattazione sindacale che è riservata al mio collega del Personale e degli Affari generali, altrimenti andiamo nel volontarismo. La maggiore difficoltà resta comunque la mentalità che porta a pensare: sono entrato nello Stato, ho il posto sicuro, adesso non mi state pure a seccare coi corsi di aggiornamento.

Insomma, è un nodo che va ancora risolto.
Sì, questo è indiscutibile.

Veniamo alla 394. Nonostante i bilanci positivi, per la legge quadro questi sono tempi di cambiamenti se non di stravolgimenti.
Dal suo osservatorio, dov’è che a parer suo sarebbe utile intervenire per migliorarla, dov’è che il sistema delle aree protette così come governato dalla legge arranca e ha bisogno di recuperare?
Io ho una mia filosofia. Della 394 abbiamo cominciato a capire meccanismi e attuazioni dopo un trend necessario di assestamento.
Il Parlamento ha apportato a questa legge già due modifiche, correggendone alcuni aspetti. Ma a parer mio il problema è, di nuovo, di mentalità. Alle autonomie locali talvolta l’istituzione di un parco nazionale dà la sensazione, sicuramente sbagliata, che da quel momento in poi sarà lo Stato a provvedere a tutto, salvo poi un attimo dopo tornare a rivendicare le proprie competenze amministrative. Bisognerà trovare nuovi equilibri, evitare errori anche da noi commessi in passato come l’essere intervenuti ignorando il quadro di riferimento già predisposto dalla Regione. Dall’anno scorso, così, abbiamo comunicato agli enti parco che non finanzieremo più interventi di opere pubbliche senza la garanzia che rientrino in qualche modo nella programmazione regionale. Insomma, basta sovrapposizioni o peggio situazioni nelle quali uno fa e l’altro disfa.

E’ un passaggio importante.
Si tratta ovviamente, anche da parte nostra, di fare un salto di qualità passando dal mero vincolo, dal blocco, dall’ingessatura del territorio a delle regole che devono essere convenute e concordate con il territorio. Non possiamo più offrire la sensazione che stiamo espropriando un territorio all'utilizzo della gente.

Un esempio?
La perimetrazione dei parchi nazionali. Il ministro Matteoli mi ha autorizzato ad aprire un tavolo per rivisitare tutti i confini, laddove ci sono proposte in tal senso. Tutti temevano un affollamento di Comuni lì a premere per uscire dai parchi, e invece si sta prefigurando una situazione esattamente opposta. Sono molti di più i Comuni che vogliono entrare nelle aree protette. Forse siamo riusciti, allora, a far passare una logica che vuole l’area protetta legata non al vincolo ma all’opportunità.

Dov’è che ci sono state più richieste di adesione di nuovi Comuni?
Al Pollino o all’Aspromonte, dove cerchiamo di non estendere troppo i perimetri del parco perché poi rischia di diventare un monstrum. D’altro canto, oggi ci rendiamo conto che alcuni territori inseriti entro il perimetro dei parchi nazionali non possiedono oggettivamente quelle caratteristiche di naturalità tali da giustificarne l’inserimento.

Questo lavoro di revisione ha delle scadenze? Vagliate le proposte assieme ai parchi?
Scadenze non ce ne siamo poste. Tutte le richieste che ci sono arrivate, di ampliamento o di tagli, le abbiamo girate alle Comunità dei parchi, perché sono loro che devono prendere certe decisioni.

Albo dei direttori: a che punto siamo?
Il relativo bando in questo momento è alla registrazione degli organi di controllo. Dovrebbe essere pubblicato a breve e avrà scadenze non ravvicinate, in modo da offrire a tutti gli interessati il tempo per raccogliere e presentare la documentazione richiesta. Tanto meglio se gli aspiranti direttori avranno competenze naturalistiche, ma i requisiti che ci interessano sono soprattutto l’esperienza in materia di bilanci, di gestione, di acquisizione di risorse.

I parchi in un futuro prossimo dovranno pagarsi il personale, così come è avvenuto già per le riserve marine?
No, per loro il problema è diverso. I parchi sono nati come enti pubblici non economici, hanno le piante organiche approvate da tre amministrazioni vigilanti (Economia, Funzione Pubblica e Ambiente). La questione che ci poniamo è: fino a che punto un ente è in condizioni di autofinanziarsi?
Noi attualmente eroghiamo una somma a ciascun ente parco che poi ogni consiglio direttivo canalizza come crede, sulla parte corrente piuttosto che sulla parte in conto capitale.
Se il parco riesce a fatturare i servizi che rende al cittadino, i soldi che gli arrivano dallo Stato possono a quel punto essere utilizzati per nuovi investimenti. Così facendo l’ente rafforza anche la sua autonomia. Certo, personalmente non credo che l’autofinanziamento possa essere totale, ma…

Potrei interromperla facendole osservare che, allora, già il direttore nominato da Roma è un ostacolo a questa autonomia, ma mi rendo conto che questo dipende dalla legge e non da lei.
Da un punto di vista tecnico, io su questo lascerei la massima libertà al consiglio direttivo. Fisserei solo alcuni “paletti” per garantire una certa qualità nella scelta della persona, per il resto a me interessa verificare se la gestione ha perseguito gli obiettivi fissati dal consiglio direttivo. Sul resto non può rispondere il direttore, né tantomeno il personale, ma l’organo politico che è quello nominato dal mio ministro.

Chiaro. Come va Ape?
Ape ha qualche leggero problema. Nel nostro Paese noi abbiamo tantissime belle idee, poi però ci perdiamo quando si tratta di passare ai progetti. In una recente riunione col Cipe si è convenuto che chi possiede i progetti definitivi, col via libera della Regione, avrà i soldi per partire. E’ il caso per adesso degli interventi della sola area nord che coinvolge Toscana, Emilia-Romagna, Liguria. Nel Sud, qualche problema con la Regione Calabria dovremmo risolverlo presto, mentre con l’Abruzzo aspettiamo ancora le relative delibere di giunta.

Riguardo agli altri progetti di sistema, ad esempio la Convenzione per le Alpi: è stata definita la sede della segreteria permanente?
Questo non glielo so dire perché la Convenzione delle Alpi, in base a un accordo tra me e il collega Clini, è gestita da lui nell’ambito della sua Direzione per la Protezione internazionale dell’Ambiente.

Sulle coste, lei sa che Federparchi ha elaborato il progetto Coste italiane protette. Il ministero cosa pensa di fare, visto che ci capita un Paese con ottomila chilometri di litorale?
Qui ci sono problemi di ordine di competenza tra vari ministeri. Comunque non intendo stare fermo ad aspettare, certamente il Piano delle Coste deve essere portato avanti. Se qualcuno ha delle difficoltà, anche se ha vinto degli appalti, deve avere la cortesia di scansarsi e di farci lavorare.

Si riferisce all’Enea?
Non mi riferisco a un soggetto particolare, ma faccio un discorso di carattere generale.

Ad ogni modo non intende stare fermo.
No. Se i tempi non possono essere rispettati, per qualunque motivo e da chiunque, l’unica cosa che non posso fare è dire che bisogna aspettare dieci anni. Il problema è attuale. Perché altrimenti fare i ripascimenti, scegliere una soluzione piuttosto che un’altra, non ha un grosso significato perché sono tutti interventi tampone, non sappiamo nemmeno quanto validi. Magari facciamo un ripascimento e ci ritroviamo l’anno dopo nelle stesse condizioni di erosione della costa.
A questo punto occorre fare un discorso diverso, anche un discorso integrato che ci porti ad avere più conoscenza sulle coste, e poi a caduta sulle maree, sulle correnti...

Non mi ha detto però se il progetto CIP interessa al ministero oppure no.
La posizione del ministero è una posizione di interesse, con l’impegno di valutarlo con la massima attenzione e - laddove rispondente ai nostri obiettivi - con l’intento di finanziarlo.

Cambiamo argomento. I piani dei parchi: come mai nessun parco nazionale, con la sola eccezione delle Dolomiti Bellunesi, ha visto concluso l’iter necessario all’entrata in vigore del suo principale strumento di gestione? Lei ci vede anche qualche responsabilità degli enti?
Le colpe non stanno mai tutte da una parte. E qui non si tratta di un problema politico, poiché ci sono casi di piani fermi in Regione prima e dopo un cambio di maggioranza…

L’Abruzzo.
Infatti, l’Abruzzo. Oggi è cambiata la maggioranza che governa quella Regione ma non è cambiato il risultato: i piani non sono ancora stati approvati. In generale, forse in alcuni casi gli enti parco hanno ecceduto nel voler pianificare al di fuori e al di sopra del sistema pianificatorio delle Provincie e dei Comuni. Non sarà un caso che l’unico piano pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, costato peraltro pochi soldi, si limita a indicare le linee direttrici lasciando sufficiente spazio ai Comuni. Poi, certo, un piano del parco è un piano che non finisce mai e che necessita di continui aggiornamenti, ma non dev’essere un piano che fa paura.

E riguardo ai fondi non spesi, oggetto della nuova indagine della commissione Ambiente della Camera?
Qui forse sulle responsabilità dei parchi vorrà essere più esplicito.
Certamente, ma devo pure aggiungere che in alcuni casi le risorse non spese erano state messe a disposizione dei Comuni, per la realizzazione di interventi programmati e poi non decollati. In ogni caso, noi stiamo cercando di capire assieme ai parchi quanto questa giacenza di cassa sia reale. Mi spiego: siccome il ministero eroga i fondi per stati di avanzamento lavori, se le opere sono effettivamente partite una giacenza va considerata quasi necessaria e quindi virtuale. Ma se c’è solo il cosiddetto mero impegno e non c’è nessuno che lavora, allora delle due l’una: o sarà il parco a fare una ripianificazione dell’utilizzo delle risorse oppure l’amministrazione vigilante rivendica la possibilità di fare la pianificazione nelle forme previste dalla legge. Che non è un intervento punitivo, ma vuol solo evitare che restino inutilizzati fondi per investimenti, oltretutto in aree che quasi sempre – lei sa meglio di me – non sono in aree di sviluppo ma perlopiù marginali, di spopolamento.

Sono in vista altri commissariamenti?
Questo non glielo so dire.

Mi cita un esempio di gestione che la trova soddisfatto? Vedo che spesso lei cita le Cinque Terre.
Quest’anno alle Cinque Terre solo nel primo semestre c’è stato un introito di 800mila euro, per servizi che sono stati resi dal parco. Ciò significa che ci sono persone che lavorano e che non sono a carico dello Stato.

E un esempio negativo?
I numeri di giacenza di cassa parlano soprattutto di parchi del Sud – Cilento, Aspromonte, Gargano, Pollino – dove però esistono difficoltà di ordine oggettivo. Le Cinque Terre contano tre Comuni, il Cilento ne ha 82 o 83, oltre a realtà assolutamente diversificate, per esempio tra costa ed entroterra.

Al tavolo delle riperimetrazioni ci sono anche proposte di dividere parchi già molto estesi?
Non posso farlo se non c’è una legge e laddove dovessimo arrivare a questo convincimento dovremmo chiedere al ministro, appunto, di farsene promotore.

Tra i parchi in via di istituzione, quale sarà il primo ad approdare alla Gazzetta Ufficiale?
La Sila. Il provvedimento è in fase di approvazione finale del Dpr, dopo il passaggio positivo alla Conferenza Stato-Regioni. Subito dopo dovrebbe seguire l’istituzione formale del parco dell’Asinara, dove manca ancora il Dpr: abbiamo già le intese raggiunte con la Regione Sardegna e pure il parere positivo della Conferenza Stato-Regioni. Entro la fine dell’anno probabilmente avremo anche l’Alta Murgia, perché c’è una forte pressione da parte dei Comuni per l’istituzione del parco.
Tranne però uno, Altamura, quello più importante.
Adesso anche con quel Comune abbiamo avuto una serie di chiarimenti e ha dato il proprio assenso. Poi l’indicazione del ministro Matteoli è di non pensare di mettere tutto dentro i parchi, ma di partire con chi ci sta. Gli ampliamenti, se sapremo lavorare bene, arriveranno.

Che estensione avrà il parco dell’Alta Murgia?
Intorno ai settantamila ettari. Dalla previsione iniziale siamo scesi, anche perché c’è un piano cave approvato dalla Regione e bisogna tener conto di alcuni condizionamenti che si sono verificati nel frattempo.

Da alcuni mesi lei ha assunto ad interim anche la guida della Direzione Difesa Mare. Da dove ha iniziato questo nuovo lavoro?
Le cose da fare sono tante. Ciascuno di noi quando lascia un posto lascia una serie di cose incompiute, piaccia o no, che chi viene dopo cerca di chiudere prendendosene i meriti oppure correggendole. Sulle aree protette marine, la sensazione che sto avendo è che finora non sia stata ancora ben compresa la necessità di rientrare in un sistema. Inoltre sto stimolando i diversi soggetti gestori a dotarsi di gommoni e altri mezzi che consentano una maggiore presenza nell’area protetta, nonché di regolamenti più snelli. Meno regole e più rispettate.

Ci sono nuove riserve in arrivo?
Ce ne sono più di una. Per Capo Gallo-Isola delle Femmine, in Sicilia, il ministro ha già firmato il decreto che ora è alla Corte dei Conti. Per le Pelagie manca solo il parere della Conferenza unificata. Per l’Asinara abbiamo inviato a Regione ed Enti locali la richiesta di parere per l’affidamento in gestione, che potrebbe andare a soggetti diversi tra cui lo stesso ente parco nazionale: vorremmo infatti indicarlo già nel decreto istitutivo, in modo tale da non perdere tempo all’avvio della riserva.
E poi in arrivo sono pure Capo Caccia e le isole Eolie, dove però non è ancora stata ultimata l’istruttoria della segreteria tecnica e quindi ci vorrà un po’ più di tempo. Insomma stiamo accelerando, ma cercando al contempo il coinvolgimento delle Regioni senza con questo voler scavalcare i Comuni. Facciamo il caso della Sardegna: è possibile che il ministero si limiti a trattare coi vari sindaci su Tavolara, La Maddalena, l’Asinara, Cabras, Villasiumius senza coinvolgere la Regione e quel livello di pianificazione?
Noi dobbiamo trovare un meccanismo che coinvolga di più il territorio, anche perché una riserva affidata al solo Comune se non ha una visione e un respiro ampi finisce per essere asfittica.