Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 37 - OTTOBRE 2002


RIFLESSIONI DAGLI USA
Il futuro dei parchi americani
di Renzo Moschini
Sul n. 31 di Parchi (ottobre 2000) ebbi modo di commentare un articolo di Car, un alto dirigente del servizio parchi e foreste degli USA, apparso su una rivista ambientale americana. Quell’articolo segnalava una novità assai importante: anche gli americani guardavano con grande e inedito interesse alle esperienze europee nel campo delle aree protette. Per molti fu una piacevole sorpresa, scoprire che il paese ‘guida’, il vero capostipite, la patria per antonomasia dei parchi potesse trovare di un qualche interesse i parchi europei, i quali – ad eccezione di qualche gelido territorio del Nord- Europa- notoriamente operano in realtà e condizioni incomparabilmente differenti da quelle del continente americano. Ma la lettura di quell’articolo fugava, fin dalle prime pagine, qualsiasi dubbio sulle ragioni che inducevano il super collaudato National Park Service a rivolgere la sua attenzione al continente europeo. Anche negli USA, infatti, si stava scoprendo il valore delle specificità locali, che si manifestava innanzitutto nella ricerca di un maggiore e più diretto coinvolgimento delle strutture dei diversi stati dell’Unione. Insomma, semplificando molto, ma per intenderci, anche gli americani sentono oggi più di ieri la necessità di impegnare maggiormente (noi diremmo in ‘leale collaborazione’) con lo stato federale i vari stati.
Quell’articolo, in definitiva, confermava che anche i parchi americani non intendevano occuparsi soltanto di natura e che questo allargamento di orizzonte (presente da tempo nella esperienza europea) doveva far leva su tutte le strutture istituzionali centrali e decentrate. Per questo parlai di ‘America più vicina’. Con il che ovviamente non intendevo dire che ormai al di qua e al di là dell’Atlantico i parchi fossero esattamente la stessa cosa.
Ecco, dopo quel significativo e importante ‘assaggio’,
il NPS nel dicembre del 99, nella persona del suo direttore, chiede un rapporto per mettere a fuoco proposte e prospettive per i prossimi 25 anni. Il rapporto, infatti, si intitolerà significativamente ‘Ripensando il servizio nazionale dei parchi per il 21° secolo’. Alla sua stesura, che terminerà nel luglio del 2001, furono chiamati 20 esperti nei campi e nelle discipline più diverse. In un anno e mezzo di lavoro, nel corso del quale sono state consultate numerosissime organizzazioni ed esperti, il gruppo incaricato dello studio ha passato in rassegna, potremmo dire al setaccio della critica più spregiudicata, una attività che fa invidia a tutti coloro che si occupano di parchi, ma di cui senza peli sulla lingua si è voluto mettere in luce anche i limiti e i ritardi. Non certo per il gusto di una critica fine a se stessa, ma proprio per costruire una ipotesi per il futuro seria e credibile. Di questo ponderoso documento si è già occupato in una diversa sede il direttore della nostra rivista, che ha opportunamente sottolineato la serietà di questo modo di procedere, che sarebbe stato bene seguire anche da noi, specialmente in una occasione come quella offerta dalla seconda conferenza nazionale delle aree protette. Osservazione quanto mai giusta e calzante, soprattutto se si tiene conto che qui, anziché ripensare il futuro, si sta tentando anche con improvvisate sortite da guastatori, di sbrecciare proprio quel che di più valido è stato fatto in questi anni, rimettendo in discussione la positiva esperienza di questi anni, eludendo invece le questioni più corpose ancora aperte, che evidentemente interessano molto meno.
In questa sede non possiamo naturalmente dare conto adeguatamente dei contenuti e delle riflessioni critiche di questo documento disponibile peraltro su Internet.
Vorremmo limitarci a qualche notazione che, senza scadere in banali semplificazioni, può farci cogliere, pur nella distanza tra le due realtà, qualche utile e valido stimolo anche per noi. Innanzitutto la ‘visione’ globale dei problemi in cui, tanto per fare un esempio che può interessare sicuramente anche noi, le visite specie dei giovani nei parchi pongono problemi sia in relazione alla educazione scolastica (di cui si lamentano serie lacune) che del turismo, cioè dei suoi impatti su un ambiente che a sua volta dovrebbe stimolare e aiutare una maggiore comprensione dei processi e fenomeni biologici etc. Da qui il rapporto trae la sollecitazione a riesaminare un comportamento contrassegnato da una scarsa attenzione per le risorse che vanno protette meglio per il futuro. Pochi parchi, ad esempio - rileva il rapporto- hanno adeguati inventari della flora e fauna. A noi evidentemente, visto cosa è accaduto con la Carta della natura, dovrebbero fischiare le orecchie.
Da questa constatazione critica si trae l’indicazione che ora occorrerà procedere con grande determinazione sia verso un più esteso e diretto coinvolgimento di altre agenzie, accademie etc, sia verso una maggiore e più efficace comunicazione con il pubblico, perché ai cittadini spetterà decidere il destino di queste risorse da tutelare.
Il patrimonio del NPS è notoriamente immenso e di straordinario prestigio, amato e rispettato, ma il rapporto parla di ‘sleeping giant’, ossia di un gigante addormentato, troppo prudente e resistente ai cambiamenti, riluttante a impegnarsi nelle sfide del 21° secolo. Insomma viene data la sveglia senza tanti di giri di parole, mettendo l’accento – è bene ripeterlo- sulla collaborazione tra parchi e sistemi ricreativi, scientifici etc a livello federale, regionale, degli stati e delle istituzioni locali per la costruzione di una RETE USA. Inutile dire che terra e mare in questa visione sono strettamente accomunati, anzi, verso la condizione delle aree marine la valutazione appare ancor più severa e preoccupata tanto da risultare prioritaria.
A fronte di questa stato di cose al quale si guarda con estremo realismo e senza anestetizzanti diplomatismi, si sottolinea che la maggiore pressione che lo ‘sviluppo’ eserciterà con tutto il suo carico di problemi sui parchi, dovrà rendere sempre più ‘speciali’ questi ultimi e il loro ruolo. Facile cogliere – sempre tenendo conto delle abissali differenze tra le due realtà- assonanze con un dibattito in corso anche da noi che però qui sembra voler non rafforzare la ‘specialità’, ma scolorirla, annacquarla.
Assonanze ancora più chiare ed esplicite le troviamo là dove il documento, dopo avere denunciato chiaramente i rischi di degrado, non soltanto degli ambienti naturali a terra e a mare, ma anche dei luoghi (e sono migliaia) dove si è fatta la storia degli Stati Uniti e che sono oggi poco conosciuti dagli studenti, dice a chiare lettere che le risorse finanziarie impegnate, sebbene ragguardevoli, sono assolutamente insufficenti e vanno pertanto accresciute.
Dei 52000 siti archeologici solo 4700 sono tutelati e di questi solo il 31% è in buone condizioni.
L’equazione è molto semplice. I parchi rappresentano il meglio di una realtà nazionale fatta di natura, tradizioni, battaglie anche poco nobili (che in nome delle minoranze e delle popolazioni indigene vanno salvaguardate) e per gestire al meglio tutto questo, in nome della nazione occorre spendere di più e meglio.
Ecco che a noi tornano a fischiare le orecchie tanto è evidente e macroscopica la differenza tra quel che si sta facendo e dicendo negli USA e quello che bolle in pentola qui dove si vorrebbero i parchi ‘autosufficenti’, alla stregua di aziende per compostaggio e il riciclo dei rifiuti.
Questa analisi a tutto campo e spregiudicata del documento approda, come è naturale, alla ridefinizione del ruolo del NPS per il quale si prospettano compiti più precisi e chiari in direzione della protezione marina, della restaurazione dei corridoi biologici, di un più preciso inventario botanico- zoologico con particolare riferimento agli invertebrati minori (altra che caccia sì caccia no che tanto appassiona i nostri legislatori), insomma più scienza per i parchi. Perché solo così i parchi possono diventare ‘laboratori’ in grado di esportare su tutto il territorio le loro esperienze e risultati in materia di biodiversità, sostenibilità, monitoraggio senza peraltro acquistare nuovi terreni in gestione diretta. Il documento parla per questo di innovazione, energia, riciclo energie alternative, popolazione rurale, popolazioni indigene. Diciamo la verità: ci sentiamo a casa quando sono questi i problemi in discussione. Un pò meno a casa ci sentiamo però quando vediamo con quale impegno le autorità americane pensano di affrontare il nuovo secolo. Qui non c’è aria di casa e di Barilla.
Ma chissà che il documento non dia la sveglia oltre che al NPS anche a qualcuno di quelli che nel nostro paese ha preso fischi per fiaschi quando parla di parchi che si autofinanziano.
In conclusione ci sembra di poter dire che, dopo gli anni del ‘mito’ dei parchi americani che ha fatto prendere più di una cantonata anche a qualche generoso ma sprovveduto ambientalista, oggi anche dagli USA viene un contributo ed uno stimolo culturale, politico e istituzionale a non inseguire fantomatici ‘modelli’, ma a misurarsi con umiltà con una complessità che non richiede banalizzazioni di sorta.