Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 37 - OTTOBRE 2002


CRITERI DI GESTIONE
DELLE RISORSE FORESTALI
L’esempio del Parco nazionale dell’Aspromonte
di Roberto Mercurio
Introduzione
Obiettivi e criteri generali
Gli obiettivi e i criteri di gestione delle risorse forestali all'interno di un'area protetta si devono rifare agli obiettivi previsti dalla legge quadro sulle aree protette (L.394/1991) e dalle risoluzioni sulla gestione sostenibile delle risorse forestali e sulla conservazione della biodiversità (Conferenze UNCED di Rio, 1992 e di Helsinki, 1993). Gli obiettivi previsti dalla Legge 394/91 che si devono concretizzare nel piano del Parco prevedono: preservazione, conservazione e uso delle risorse; quelli della gestione sostenibile, di soddisfare i bisogni sociali, economici, ecologici, culturali e spirituali della presente e delle future generazioni, mentre quelli della conservazione della biodiversità, si pongono l'obiettivo della salvaguardia della diversità biologica degli organismi viventi.
Ciò significa individuare le strategie di gestione per conciliare di volta in volta aspetti etici, estetici, naturalistici, socioeconomici, per ridurre le conflittualità che possono insorgere tra i differenti operatori presenti nel territorio. L'ampio dibattito scientifico dimostra che se vi è convergenza sugli obiettivi non lo è altrettanto sui metodi per arrivarci. Questo lavoro è stato impostato intendendo il Parco come luogo di tutela delle risorse naturali in quanto di interesse generale di tutta la collettività, di riorientamento nella gestione dei sistemi forestali, di laboratorio didattico e di studio per accrescere le conoscenze scientifiche e per l' elaborazione e la verifica di nuovi modelli di gestione, di attenzione nei riguardi delle tradizioni e degli interessi delle popolazioni locali.
Al fine di consentire la comparazione delle informazioni raccolte con quelle di altre aree protette si è fatto riferimento alle "Linee guida per la gestione ecosostenibile delle risorse forestali e pastorali nei parchi nazionali" a cura del Servizio Conservazione della Natura del Ministero dell'Ambiente e dell' Accademia Italiana di Scienze Forestali.

La zonizzazione
La legge quadro prevede la suddivisione dell'area del Parco in zone con differente livello di tutela e uso delle risorse in cui si devono applicare appropriate strategie per rispondere alle diverse finalità.

Nella zona A: l'obiettivo è la preservazione di tutti i sistemi forestali: ossia devono essere lasciati alla libera evoluzione eliminando qualsiasi influsso antropico: pascolo, incendio, interventi selvicolturali, attività ricreative e didattiche. Questa zona rappresenta comunque un momento attivo di gestione in quanto intesa come area di studio delle dinamiche naturali e di laboratorio all'aperto da cui acquisire nuove conoscenze per la gestione dei sistemi forestali. In concreto, ciò si traduce nel monitoraggio continuo di apposite aree di studio per verificare l'andamento dei processi naturali.

Nella zona B: l'obiettivo è la conservazione dei sistemi forestali. Si concretizza: a) nei sistemi poco alterati, in azioni selvicolturali che mirano ad abbandonare le forme di gestione tradizionali che hanno come obiettivo primario la produzione legnosa verso quei nuovi indirizzi di gestione che vedono nel bosco un sistema dinamico complesso e che si sono espressi negli ultimi anni in vario modo: selvicoltura ecosistemica; sylviculture proche de la nature; forest ecosystem management; selvicoltura sistemica; gli elementi comuni sono: interventi graduali, puntuali, eseguiti con criteri esclusivamente colturali, di basso impatto ambientale, con l'obiettivo di assecondare la dinamica naturale, rilascio di piante di grandi dimensioni, di piante morte e deperienti, ecc. b) nei sistemi artificiali o semplificati in termini di composizione e struttura, nella rinaturalizzazione. Questo termine può assumere diversi significati. In questo caso assume il significato di ripristino dei processi naturali e di aumento della funzionalità del sistema. Tra gli strumenti per la rinaturalizzazione delle monocolture artificiali si fa riferimento al taglio a buche, inteso come processo colturale sia per la creazione di condizioni favorevoli all'insediamento e sviluppo della rinnovazione naturale che per l'agevolazione dei processi di rinnovazione che si sono già affermati (es. tagli di smantellamento della specie pioniera o preparatoria).

Nella zona C: l'obiettivo è sia la conservazione che l'uso delle risorse. Oltre all' applicazione dei nuovi criteri selvicolturali e alla rinaturalizzazione dei sistemi artificiali o semplificati, si possono prevedere azioni selvicolturali tradizionali con i dovuti correttivi per ridurre gli effetti impattanti: allungamento dei turni, riduzione della superficie dei tagli, ripartizione degli interventi nel tempo e nello spazio, definizione dei limiti di pendenza per le superfici da utilizzare, rilascio delle fasce di rispetto lungo i corsi d'acqua, gli impluvi e i crinali, salvaguardia degli alberi secchi, delle piante di grandi dimensioni, delle specie rare o a rischio, impiego di sistemi di esbosco di basso impatto sul suolo e sul soprassuolo.

Nella zona D: l'obiettivo è di favorire l'uso delle risorse. Si possono privilegiare forme di selvicoltura tradizionale, in relazione allo stato dei soprassuoli e considerazioni di ordine economico, la rinaturalizzazione, l'arboricoltura da legno e i rimboschimenti con finalità naturalistico-ambientali. L'arboricoltura da legno ha per obiettivo l'ottimizzazione della funzione produttiva in impianti a carattere reversibile e transitorio. All'interno delle aree protette, si possono prevedere una serie di accorgimenti per attenuare gli impatti negativi (es. impiego esclusivo di specie e provenienze autoctone; evitando i sesti regolari, i diradamenti geometrico-sistematici, la creazione di limiti geometrici o comunque non in sintonia con il disegno del paesaggio, rilascio degli elementi della vegetazione preesistente, ecc.).
I rimboschimenti, con finalità naturalistico-ambientali, hanno lo scopo di ricostituire un sistema forestale permanente. Nelle aree protette si deve affrontare il problema in modo diverso rispetto allo schematismo che ha caratterizzato i rimboschimenti tradizionali a scopo produttivo e protettivo. A tal riguardo si possono prendere in considerazione approcci diversi da valutare caso per caso:

Criterio della continuità della vegetazione storicizzata
Si basa sulla necessità di salvaguardare e dare continuità all’azione dell’uomo nel territorio. Determinati tipi vegetazionali di origine artificiale, sono divenuti con il tempo elementi caratterizzanti il paesaggio, la cultura e la tradizione locale (es. i filari di pioppo tremolo in Aspromonte). In caso di degrado o di distruzione si deve procedere al restauro delle medesime tipologie e delle stesse specie.

Criterio della dinamica della vegetazione
Si basa sul rispetto dei processi dinamici naturali della vegetazione. Sono i criteri delle serie potenziali di vegetazione che definiscono aree con dinamica evolutiva della vegetazione simili e fissano livelli di culminazione del processo evolutivo vegetale.
Questo approccio può essere integrato con il criterio bidimensionale di progressione-regressione forestale secondo il quale il ripristino vegetale può essere accelerato mediante specie colonizzatrici subclimaciche appartenenti alla stessa o simile sottoserie di vegetazione.

Criterio del mantenimento della biodiversità
Il concetto di biodiversità viene espresso nel senso più ampio di diversità intraspecifica e interspecifica e di diversità tra ecosistemi. In questo caso il rimboschimento assume il significato di conservazione del patrimonio genetico intraspecifico e di ridiffusione delle specie rare o a rischio.

Anche per la realizzazione dei rimboschimenti con finalità naturalistico-ambientali si devono prevedere specifiche modalità operative (impiego di materiale di propagazione autoctono, lavorazione del suolo, sesti e cure colturali di basso impatto ambientale, ecc.). Inoltre, occorre individuare le aree di raccolta del materiale di propagazione delle specie autoctone e creare i vivai dove queste specie possano essere allevate.

Metodologie d'indagine
Lo studio delle formazioni forestali è stato condotto attraverso l'analisi e la discriminazione tipologica che rappresenta un salto di qualità per la conoscenza e la gestione dei boschi. Consente di costituire unità di riferimento, di apprezzarne la variabilità strutturale ed ecologica e di stabilire una base comune di descrizione e di confronto delle varie formazioni. In Europa, la metodologia che si è affermata nello studio della vegetazione è quella fitosociologica che ha come unità di base l’associazione vegetale. Il sistema tipologico definito in fitosociologia risulta però complesso per chi deve occuparsi della gestione corrente, a tal fine è possibile ovviare con la realizzazione di un sistema di riferimento più semplificato, che si basa sulla composizione floristica principalmente dello strato arboreo, e di poche altre specie erbacee particolarmente significative (integrazione tra gli aspetti fisionomici e fitosociologici) e che sia inoltre correlato con gli aspetti applicativi e gestionali.
Nasce quindi da questa impostazione la definizione di tipologia forestale intesa come sistema di classificazione delle formazioni forestali in unità floristico-ecologico-strutturali con finalità applicative.
Questo approccio metodologico giunge in Italia dopo molti decenni rispetto ad altri Paesi europei. E gli esempi applicativi a livello di area protetta sono stati decisamente molto pochi.

Il rilevamento delle unità tipologiche è stato condotto prendendo in esame i seguenti aspetti:

1. Inquadramento dell'unità
Si tratta di indicazioni utili per l'inquadramento dell'unità nei diversi sistemi di classificazione.

Denominazione fitosociologica
Ad ogni unità tipologica possono corrispondere o unità fitosociologiche o loro aggregazioni o disaggregazioni, o nessuna quando il tipo ha un significato esclusivamente fisionomico.

Definizione delle unità tipologiche:
Categoria: dove vengono raggruppati i tipi che hanno in comune la specie dominante (aspetto fisionomico). Alla categoria corrispondono le grandi unità di vegetazione usualmente impiegate in selvicoltura: faggete, abetine, ecc.
Sottocategorie: sono utili per differenziare la categoria in base all'orizzonte altimetrico o al substrato.

Tipo: è l'unità tipologica fondamentale, caratterizzata da un elevato grado di omogeneità, sotto l'aspetto floristico, ecologico e selvicolturale.
E' individuabile dal punto di vista floristico dalla presenza delle specie indicatrici. Viene denominato impiegando termini in uso nella pratica corrente. Contiene nella sua denominazione qualche caratteristica ecologica, geografica e talvolta anche floristica importante per la distinzione. L'aggettivo tipico indica una situazione caratteristica del tipo considerato. La preposizione con quando una specie arborea si aggiunge al consorzio (anche nel caso di sottotipo o variante). Si possono usare, come nel sottotipo, nomi di specie erbacee particolarmente abbondanti e caratteristiche dell'unità precedute dalla preposizione a.

Sottotipo: viene distinto dal tipo in relazione a variazioni floristiche che possono determinare differenti dinamiche evolutive e criteri di gestione (scelte selvicolturali).

Variante: viene distinta dal tipo e sottotipo quando si notano cambiamenti nella composizione dello strato arboreo senza variazioni dal punto di vista gestionale.

Specie indicatrici: sono le specie proprie di ciascun tipo, in quanto più frequenti e a maggior grado di copertura e utili per un primo riconoscimento.

Ogni categoria individuata è stata inquadrata secondo le "Linee guida per la gestione ecosostenibile delle risorse forestali e pastorali nei parchi nazionali" anche se, si sono dovute apportare leggere modifiche tenendo conto della situazione aspromontana; ognuna di queste categorie è stata poi riferita ai seguenti sistemi di classificazione:

  • Inventario Forestale Nazionale Italiano
  • Sistema europeo di classificazione degli Habitat Eunis
  • Corine Land Cover, secondo il sistema di classificazione nazionale della copertura del suolo adottato nel progetto "Completamento delle conoscenze naturalistiche di base"
  • Habitat Natura 2000 d'interesse prioritario (Dir 92/43/EEC) effettivamente censiti nei Parchi Nazionali. Le singole unità tipologiche sono state inoltre riferite alla classificazione Corine 1991, Inventario Forestale Nazionale Italiano 1998, Habitat Natura 2000.

2. Localizzazione geografica dell'unità
Ha lo scopo di fornire una indicazione di massima della distribuzione dell'unità tipologica e individuare alcune località in cui è presente nella sua espressione più tipica.

3. Indicatori qualitativi
Vengono descritti alcuni caratteri qualitativi dell'unità. È utile per delineare sia una corretta gestione sostenibile sia la sua futura evoluzione. (Composizione arborea, tipo di struttura, modalità e grado di copertura, tendenze dinamiche naturali, stato vegetativo, azioni di disturbo, pregi, ecc.)

4. Indicatori quantitativi
Si tratta di indici quantitativi utili per comprendere la funzionalità del sistema. (Diametro medio, altezza media, altezza dominante e/o statura, età, numero di piante vive e morte, area basimetrica, volume, tasso di accrescimento naturale, ecc.)

5. Indicazioni sulla gestione sostenibile delle unità tipologiche
Le indicazioni selvicolturali sono orientative e sono calibrate in rapporto alle diverse zone.

*Università degli studi di Reggio Calabria

CATEGORIE E UNITÀ TIPOLOGICHE FORESTALI DEL PARCO NAZIONALE DELL'ASPROMONTE

CATEGORIA: BOSCHI DI FAGGIO

CATEGORIA: BOSCHI DI FAGGIO

A sottocategoria FAGGETE MICROTERME
  • 1 Tipo: Faggeta microterma 1b sottotipo Faggeta microterma con abete
  • 1a sottotipo Faggeta microterma tipica 1c sottotipo Faggeta microterma cacuminale
  • B sottocategoria FAGGETE MACROTERME
  • 2 Tipo: Faggeta macroterma 2b sottotipo Faggeta macroterma con abete
  • 2a sottotipo Faggeta macroterma tipica
  • 3 Tipo: Faggeta macroterma oceanica 3b sottotipo Faggeta macroterma oceanica con abete
  • 3a sottotipo Faggeta macroterma oceanica tipica
CATEGORIA: BOSCHI DI ABETE BIANCO
  • 1 Tipo: Abetina microterma tipica
  • 2 Tipo: Abetina microterma cacuminale con ginepro emisferico

CATEGORIA: BOSCHI DI PINI MONTANI E ORO-MEDITERRANEI
  • 1 Tipo: Pineta pura di pino calabro tipica
  • 1b sottotipo: Pineta di pino calabro con faggio
  • 1a sottotipo: Pineta di pino calabro con rovere

CATEGORIA: BOSCHI DI CASTAGNO

Sottocategoria: CASTAGNETI DELL'ITALIA CENTRO-MERIDIONALE

  • 1 Tipo: Castagneto montano
  • 2 Tipo: Castagneto submontano
  • 3 Tipo: Castagneto da frutto

CATEGORIA: BOSCHI DI QUERCE TERMOFILE E BOSCHI MESOFILI
  • 1 Tipo: Querceti di roverella
  • 2 Tipo: Querceti di farnetto

CATEGORIA: BOSCHI DI QUERCE ACIDOFILE
  • 1 Tipo: Formazioni di rovere

CATEGORIA: BOSCHI DI LECCIO-SUGHERA
  • 1 Tipo: Leccete pure
  • 2 Tipo: Leccete con farnetto
  • 3 Tipo: Formazioni di sughera

CATEGORIA: MACCHIA ALTA-MACCHIA BASSA
  • 1 Tipo: Macchia alta

CATEGORIA: FORMAZIONI BOSCHIVE IGROFILE
  • 1 Tipo: Formazioni ripariali di ontano nero e napoletano
  • 2 Tipo: Formazioni ripariali di salice

CATEGORIA: BOSCHI DI FORRA
  • 1 Tipo: Acereto-carpineto con nocciolo

CATEGORIA: RIMBOSCHIMENTI DI CONIFERE
  • 1 Tipo: Rimboschimenti di pino calabro
  • 2 Tipo: Rimboschimenti di pino marittimo
  • 3 Tipo: Rimboschimenti di pino radiata

CATEGORIA: RIMBOSCHIMENTI DI LATIFOGLIE
  • 1 Tipo: Rimboschimenti di eucalitti
  • 2 Tipo: Rimboschimenti di pioppo tremolo
  • 3 Tipo: Rimboschimenti di latifoglie a legname pregiato

Considerazioni conclusive
La distinzione dei diversi sistemi forestali secondo unità tipologiche rappresenta un elemento innovativo per l'area aspromontana. Ciò costituisce un primo passo per una razionale gestione dei boschi date le carenze conoscitive di base e di una diffusa e attenta pratica selvicolturale. Le indicazioni riguardanti la discriminazione delle tipologie forestali e le relative linee di gestione secondo le varie zone del Parco, devono essere validate in sede applicativa. Ciò significa che si possono rendere utili approfondimenti e modificazioni. Questo nuovo approccio nella gestione delle risorse forestali comporta uno sforzo culturale per ridefinire il rapporto uomo-bosco, con evidenti ripercussioni sul piano socio-economico, che deve essere affrontato attraverso l'informazione e con il contributo attivo delle varie componenti (istituzionali, economiche, sociali, ambientalistiche, tecniche e scientifiche) che agiscono nell'area del Parco. Non solo, l' applicazione e il controllo delle diverse pratiche colturali richiede la formazione di personale altamente qualificato.