Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 37 - OTTOBRE 2002


IL PIANO DEL PARCO
PER LA COSTRUZIONE DEL PAESAGGIO
di Franca Balletti e Silvia Soppa
Il paesaggio è “la memoria in cui si registra e si sintetizza la storia dei disegni territoriali degli uomini”
(E. Sereni)

... il paesaggio vive e racconta.
E’ in verità il nostro racconto, che varia a seconda della nostra memoria, della nostra cultura, della nostra sensibilità nei confronti del paesaggio e dei segni di cui è intessuto.
Un racconto diverso a seconda della percezione che si ha dei tempi lunghi, della storia di lunga durata o dei tempi infiniti o, viceversa, dei tempi storici, dell’interesse o meno per le situazioni attuali
(E. Turri)

Nella società contemporanea sta emergendo una forte domanda di paesaggio che si estende dai “recinti” delle aree a vario titolo protette, ai territori della contemporaneità, agli spazi urbani. Non è solo un intendimento estetico, che rimanda alla qualità formale degli ambienti di vita – ed in particolare di quelli delle città e delle periferie – e al degrado degli spazi aperti periurbani o della città diffusa, è anche, per citare Clementi, “un bisogno di rielaborazione e di rappresentazione simbolica di un’identità minacciata da mutamenti radicali dell’economia, della società e della stessa cultura di cui è espressione il nostro ambiente insediativo” (Clementi 2000).
Se il paesaggio, come afferma Béguin, “è un patrimonio di immagini condivise che fonda una identità”, diviene la “cartina di tornasole” dei valori, del degrado, dei problemi del territorio e dell’ambiente ed il volano di processi innovativi di riqualificazione e restauro ambientale capaci di far interagire componenti naturali, culturali e sociali. Nel paesaggio si integrano, infatti, l’oggettività di elementi e fenomeni di natura fisica, di processi sociali ed economici (la natura e la storia passata e presente), con la soggettività della percezione sociale (degli insiders e degli outsiders).
Recenti documenti elaborati in sede comunitaria (la Convenzione Europea del Paesaggio, firmata a Firenze nell’ottobre 2000, lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo - S.D.E.C. -, Potzdam maggio 1999) recepiscono questa visione olistica del paesaggio e ne sottolineano la dimensione progettuale, riconoscendo insieme il ruolo primario delle comunità locali nella conservazione e nella produzione dei paesaggi.
Se il paesaggio testimonia l’identità delle comunità insediate e costituisce un aspetto essenziale del “quadro di vita” delle popolazioni, diventa l’elemento nodale per la conoscenza, l’interpretazione ed il progetto del territorio, assumendo un significato particolare all’interno di modelli di sviluppo innovativi che proprio nella valorizzazione delle identità locali (delle culture locali) trovano le condizioni per produrre ricchezza e qualità ambientale e insediativa.

Domanda di paesaggio e domanda di pianificazione
La Convenzione impegna gli Stati firmatari su alcuni fronti principali:

  • l’impegno ad approfondire la conoscenza dei paesaggi attraverso la loro identificazione e valutazione, andando oltre la semplice richiesta di fondare le politiche di tutela su una graduazione di valori, per definire misure di protezione e caratteristiche progettuali degli interventi di riqualificazione o innovazione rispettose dei codici genetici, delle regole, dei caratteri identitari, delle peculiarità che differenziano il mosaico dei paesaggi europei: lo stesso S.D.E.C. considera la varietà dei paesaggi uno dei più significativi fattori di sviluppo dei paesi dell’Unione Europea;
  • il rilancio degli interventi a favore del paesaggio (di tutti i paesaggi), perseguendone l’integrazione “nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle di carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico”;
  • la promozione di forme di partecipazione e di coinvolgimento degli abitanti nella costruzione delle strategie e dei progetti territoriali. Se non c’é paesaggio in assenza del riconoscimento delle comunità del loro ambiente di vita, occorre, infatti, una rinnovata attenzione al problema della percezione sociale (che mette in gioco le memorie, i legami affettivi, i comportamenti, i modi di vita nel presente, le attese per il futuro) e verso iniziative di sensibilizzazione, tese a sviluppare la conoscenza del valore dei paesaggi presenti e futuri. L’interazione con le società locali fa inevitabilmente emergere diverse visioni della stessa realtà, espresse dai residenti stabili, dagli utenti delle seconde case, dai fruitori per ragioni turistiche, da chi vive e opera sul territorio e da chi ne coglie la bellezza dall’esterno o le attribuisce significati simbolici. A maggior ragione non è possibile prescindere dal coinvolgimento di tutti i soggetti interessati nelle diverse fasi di piano e di progetto, come unica risorsa per giungere a soluzioni condivise, superando la conflittualità che impedisce l’attuazione di molti strumenti urbanistici e di molte idee progettuali.
    Le questioni ambientali e paesaggistiche assumono, allora, un ruolo essenziale nel contribuire al riordino dell’intero processo di pianificazione, rimarcando l’esigenza di un approccio “locale ed integrato”, nella definizione di politiche e strategie di sviluppo e di assetto territoriale che tengano contestualmente presente l’inevitabile tensione tra locale e globale (De Rita, Bonomi, 1998).
    Non a caso le esperienze di maggior interesse di pianificazione dei parchi - enti per la loro stessa natura preposti ad affrontare in modo prioritario i temi dell’ambiente e del paesaggio - pongono una particolare attenzione alla dimensione paesaggistica, nell’ampio significato culturale, sociale, economico, ecologico, ambientale che la Convenzione le attribuisce, come elemento centrale nella definizione degli obiettivi di gestione, delle strategie da perseguire, delle regole di protezione e valorizzazione.
    Anzi, il paesaggio diventa strumento fondamentale in più direzioni:
  • per la comprensione dei valori, delle risorse e delle criticità del territorio; il paesaggio diviene “chiave interpretativa, qualitativa e di sintesi […] dei fenomeni complessi nel loro processo evolutivo e nel loro manifestarsi olistico”; il paesaggio non come quadro da ricomporre per stratificazioni analitiche ma come “accadimento spazio-temporale da interpretare nella sua complessità e nelle relazioni che lo hanno determinato” (Pizziolo
  • nella definizione degli obiettivi e delle azioni di conservazione e innovazione, superando la conflittualità tra tutela e sviluppo nell’ottica della sostenibilità delle politiche territoriali, ipotizzando, cioè, prospettive co-evolutive piuttosto che di reciproca contrapposizione;
  • per la costruzione del consenso attorno alle scelte degli strumenti di piano e quindi alla gestione delle aree protette, avendo come obiettivo l’efficacia delle politiche intraprese e la concretezza degli esiti.

La nuova di domanda di paesaggio si affianca e sovrappone all’altrettanto recente domanda di pianificazione, che emerge nel dibattito culturale dopo un lungo periodo di deregolamentazione, “di pratiche negoziali avulse da ogni regola” e di “progettualità autoreferente” che sembravano portare alla “morte del piano” (Castelnovi, Gambino 2001). Ne consegue l’introduzione di una pluralità di nuovi strumenti di piano che si affiancano a quelli esistenti, in assenza di un riordino del quadro normativo.
La frammentazione è in realtà accentuata proprio dalla presa di coscienza dei problemi ambientali (necessità di difendere il suolo - e quindi le comunità insediate - dai rischi idrogeologici, di migliorare la qualità dell’aria, dell’acqua, di limitare lo sfruttamento delle risorse territoriali – finalmente considerate beni esauribili da conservare per le generazioni future), ma anche da considerazioni che fanno riferimento alla strategicità dei valori ambientali e paesaggistici rispetto ad innovative politiche di sviluppo (sviluppo sostenibile, sviluppo locale autosostenibile - I. Sacks 1988, Magnaghi 1998, 2000, Bonomi, De Rita, 1998).
Ma le molte pianificazioni, a diversi livelli territoriali, di tipo settoriale o specialistico, entrate nel panorama istituzionale, in particolare, nell’ultimo decennio, pongono, di fronte all’unitarietà del territorio, problemi di coordinamento e di integrazione delle strategie e delle azioni (Peano 2001).
Il problema è complicato dall’introduzione di nuove geografie amministrative che si sovrappongono a quelle degli enti territoriali (piani di bacino e aree protette) creando evidenti situazioni di conflitto, tra politiche ed azioni indicate dai soggetti pubblici posti a tutela di interessi differenziati ed il sistema delle decisioni dei poteri locali cui spetta il compito di pianificare l’assetto del territorio.
Se, come ha di recente sottolineato Attilia Peano, ci sono buone ragioni perché esistano alcune pianificazioni specialistiche e di settore, in particolare per gestire problemi che richiedono una speciale disciplina, estranea ai campi di competenza e gestione degli enti territoriali, questo non dovrebbe far dimenticare l’esigenza fondamentale di integrazione delle politiche e dei processi che si ottiene solo se ogni pianificazione pone in luce le implicazioni e le interdipendenze plurisettoriali che possono interessarla.
In questo senso non si può che concordare con Attilia Peano quando sostiene che i problemi che si incontrano a raccordare i piani “di settore” alla pianificazione ordinaria sono superabili se ci si riferisce ad una “nuova concezione del piano aperta a relazionarsi con le decisioni e le iniziative in corso, ai diversi livelli, pubbliche e private, attiva nel senso di svolgere un ruolo di stimolo e di coordinamento, integrata nella gestione contestuale delle intersezioni tra aspetti territoriali, ambientali ed economici” (Peano 2001).

Ruolo dei Parchi
E’ anche in quest’ottica che si giustifica, almeno in attesa che tutto il territorio sia governato come se fosse un parco (Cervellati 1991), l’esistenza delle aree protette: tra i significati ed i ruoli che possono essere attribuiti ai parchi appare essenziale, infatti, l’essere considerati luogo di sperimentazione di politiche, metodi, tecniche, pratiche di pianificazione e gestione delle trasformazioni territoriali, capaci di proporre nuove relazioni simbiotiche tra uomo, natura e società.
I parchi come modello per il resto del territorio, un ruolo forse utopico, ma che le esperienze in corso possono trasformare in un’utopia concreta (Graziani 2001).
In realtà, in più occasioni, viene ancora posto il dubbio sulla stessa necessità di pianificare i parchi (sancita dalla legge 394/91), in fondo molti dei parchi nazionali di più antica istituzione hanno funzionato per decenni sulla base di un sistema di regole molto essenziale. Ci riferiamo ad esempio a quanto sta accadendo per il Parco di Portofino.
Il bisogno di piano è oggi particolarmente evidente anche in relazione al fatto che la consistente crescita del numero di aree protette ha portato all’inclusione nei parchi di nuovi paesaggi che si affiancano ai più “tradizionali” ambiti di protezione, quelli dove domina la naturalità.
In particolare sono sempre più spesso protetti ambienti rurali connotati da antichi processi di antropizzazione.
Le motivazioni stesse della tutela derivano dalla presenza di questi paesaggi, le cui componenti fortemente interrelate (il sistema insediativo residenziale, la trama delle colture, dei percorsi e delle architetture del lavoro) costituiscono l’esito visibile del lento processo attraverso il quale l’uomo - la comunità - ha interagito con la natura.
Come scrive Sereni, il paesaggio agrario è “la memoria in cui si registra e si sintetizza la storia dei disegni territoriali degli uomini”.
Se ci si pone l’obiettivo di conservare l’identità dei luoghi, e non solo il loro aspetto formale, occorre, però, superare le politiche di “museificazione” che trasformano i segni della storia e della cultura in componenti di accattivanti scenografie per i turisti urbani, favorendo processi di riuso del territorio in grado di consentire la permanenza del presidio umano, necessario alla sua continua manutenzione.
Il governo di questi processi richiede il ricorso a strumenti di piano, per quanto, crediamo, innovativi nei metodi di costruzione, di implementazione e di gestione.

A questo proposito, in occasione di un recente convegno, Castelnovi e Gambino hanno sintetizzato le esigenze prioritarie alla base di nuovi modelli di pianificazione:

  • la necessità di politiche di “difesa attiva”, capaci di incidere sulle dinamiche di sviluppo, di spostare l’attenzione dell’azione pubblica dal breve al lungo periodo, dalla riparazione alla prevenzione, dalla conservazione alla riqualificazione, ancorando i processi di conservazione ai processi di innovazione;
  • la necessità di risposte “complesse” ai problemi del territorio, in grado di tener conto delle interdipendenze tra processi naturali, economici e sociali, tra azioni settoriali e modificazioni globali;
  • la necessità di “contestualizzare” le politiche di tutela e di valorizzazione, che devono essere riferite alle specifiche peculiarità locali, a ciò che differenzia i diversi territori e le diverse comunità; l’identità è data dalla differenza.

Nuove forme di piano per i parchi
Si prefigura allora l’esigenza di adottare modelli di pianificazione e di governo del territorio “protetto” ben diversi da quelli tradizionali (basati sullo zoning, sui vincoli e sui divieti), modelli integrati e processuali, in grado di far coesistere obiettivi di conservazione e di sviluppo/innovazione (e dunque in linea col concetto di paesaggio della Convenzione Europea).
Nelle sperimentazioni più avanzate, il piano del parco si sta, infatti, delineando come un piano che persegue:

  • l’integrazione tra politiche settoriali, tra usi e funzioni, per curare e promuovere tutte le componenti - fisiche, antropiche e culturali - che caratterizzano un territorio e conferiscono ad un determinato contesto locale quel valore aggiunto che gli permette di entrare nel processo di sviluppo sostenibile.
    Perseguire questo obiettivo richiede un approccio inter-disciplinare (o trans-disciplinare), non inteso come accumulo di saperi stratificati (umanistici, storici, economici, sociali, antropologici, tecnici), ciascuno portatore della propria esperienza e della propria "verità", ma come processo di conoscenza all'interno del quale si costituiscono "tra i saperi, o meglio, tra i loro interpreti, in contesti specifici, linguaggi comuni di concetti” (Maciocco, 1991);
  • l’implementazione adattiva delle scelte (Alexander 1986), possibile solo se il piano assume la forma di un processo continuo, all’interno del quale il momento di adozione dello strumento costituisce solo uno step, lungo un percorso che consente di valutare quanto realizzato, di monitorare i cambiamenti e di rispondere a nuove necessità; un percorso che può essere più importante dei risultati, perché in grado di far convergere su obiettivi e strategie condivise le azioni di competenza dei diversi soggetti, coinvolti a vario titolo nel processo di pianificazione e di gestione;
  • la transcalarità, in quanto supera i confini amministrativi nella gestione del territorio e propone assetti non riconducibili entro ambiti predefiniti. Occorre considerare, infatti, come solo alcune situazioni e alcuni fenomeni possano essere governati all’interno di specifici confini, mentre una pluralità di problemi richiedono visioni a scala molto più ampia (si fa riferimento in particolare ai temi dell’assetto e della bonifica idrogeologica, della conservazione dell’integrità dei paesaggi, della fruizione turistica);
  • la cooperazione tra gli attori coinvolti; necessaria a garantire la concreta realizzazione degli interventi proposti, in termini di raggiungimento del consenso, attraverso il confronto e la mediazione degli interessi in gioco, e di “messa a sistema” di iniziative e progetti che nell’integrazione possono raggiungere maggiori livelli di efficacia ; l’approccio cooperativo può, allora, essere declinato facendo riferimento a procedure di co-pianificazione e di co-gestione.
  • La co-pianificazione può essere intesa anche come strumento per superare i conflitti che la “sostitutività” del piano del parco (prevista dalla legge 394/91), rispetto agli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica che insistono sullo stesso territorio, ha spesso determinato. Se il piano si configura come “strumento di partecipazione”, come opera realizzata dall’insieme delle istituzioni e dalla società, allora la sua sostitutività si può interpretare, come suggerisce Graziani, in questa chiave: il piano del parco prende il posto degli altri strumenti perché gli enti competenti ad emanarli hanno portato in esso le loro scelte, i loro piani. E’ la sintesi, a livello alto, di una serie di altri piani, di altre scelte che resteranno in vigore per quanto non espressamente comprese nel piano del parco. E’ sostituzione perché è confluenza (Graziani 2001);
  • la co-gestione centra l’attenzione sull’operatività delle previsioni di piano, sulla concretezza e l’efficacia delle azioni proposte, entro dimensioni temporali programmate e rispettate. Si tratta di passare dal modello del government a quello della governance, facendo ricorso anche alle nuove modalità di concertazione tra operatori pubblici e privati, formalizzate attraverso le diverse tipologie di accordo e gli strumenti di programmazione complessa oggi disponibili (programmazione negoziata, accordo di programma, patto territoriale, contratto di programma, contratto d’area, PRUSST…) e sempre più spesso finalizzati al recupero ambientale oltre che edilizio. Anche i parchi iniziano a muoversi in questo senso. Può essere segnalato un primo, interessante, esempio di concreta cooperazione tra parchi e comunità locali: il PRUSST di Spoleto, che vede la partecipazione dei parchi Subasio, Colfiorito e Nera, delle province di Spoleto e Terni, di quattro comunità montane e ventisei comuni, con priorità riguardanti la valorizzazione delle risorse locali (ambientali, storico-culturali e umane), intese come volano per andare oltre l’emergenza della ricostruzione post-terremoto perseguendo un processo di sviluppo endogeno, sostenibile e duraturo.

Un caso-studio: il piano per il parco di Portofino
Strumenti e metodi per la lettura del paesaggio
Come già sottolineato, il piano del parco, per sua natura, richiede il passaggio da descrizioni “funzionali” dello spazio a letture complesse e integrate del territorio, dalle quali far derivare modelli di assetto capaci di indirizzare l’evoluzione del contesto territoriale -naturale ed antropico- in modo unitario. Questo strumento, infatti, ha tra le sue finalità quella di "mettere a sistema" le risorse, esterne e interne all’area protetta, per dialogare con le specifiche esigenze (di pianificazione, di programmazione e di gestione) dei territori coinvolti dall’istituzione del parco e per attivare logiche auto-propulsive di sviluppo sostenibile. Per il parco di Portofino questo aspetto è fondamentale, in quanto si tratta di un territorio altamente complesso nei contenuti sia materiali (assetto territoriale, caratteristiche fisiche, naturali ed antropiche) sia “immateriali” (aspetti sociali ed economici, fattori di conflittualità). Pertanto, le premesse che hanno indirizzato gli studi sono rivolte a:
- definire criteri descrittivi ed interpretativi utilizzabili per riconoscere i valori identitari di un luogo e le regole di interazione tra società e spazio;
- “estrarre” dal quadro conoscitivo, costruito in modo da restituire i valori della complessità e dell’integrazione, principi e regole fondative per il progetto del territorio e dell’ambiente:
L’applicazione alla lettura di quest’area dei valori del paesaggio ha permesso di organizzare e confrontare la complessità dei temi che riguardano questo territorio e che, per impostare azioni efficaci, non possono essere elusi. Questo ha comportato per lo studio del sistema parco il riferimento ad un indirizzo metodologico che ha cercato l’integrazione tra i differenti approcci disciplinari e le varie fasi di conoscenza ed approfondimento dei sistemi naturale e fisico, antropico e istituzionale, percettivo. L’impostazione del metodo può essere schematizzata come segue:

Il paesaggio antropizzato
L’iter metodologico seguito ha permesso di sviluppare, per la parte di studi che hanno riguardato il paesaggio antropizzato, i seguenti aspetti, che rivestono particolare importanza per le loro ricadute operative nella gestione del piano:
- attenzione alla storia del territorio, che ha comportato la ricerca puntuale e la rilettura degli “elementi identitari” - i segni della storia - nella duplice forma:
a) del sistema delle permanenze materiali, articolate secondo il significato ed il ruolo che oggi hanno nel territorio e nella società, facendo, in particolare, riferimento a tre possibili situazioni: la conservazione dell’edificio o della struttura territoriale in continuità con l’assetto fisico e funzionale del passato; la trasformazione della sua funzione pur in presenza di una struttura fisica sostanzialmente conservata; il rilevamento di tracce o, addirittura, solo della loro memoria nei racconti degli abitanti;
b) delle permanenze “immateriali”: le pratiche della manutenzione territoriale, la cultura materiale locale, le memorie e le tradizioni, i comportamenti sociali;
- lettura diacronica delle sue trasformazioni, non tanto per descriverne gli assetti nel tempo, ma per capirne i meccanismi di cambiamento. Si fa riferimento allo strumento del “racconto identitario”, in cui “i fenomeni pertinenti il campo delle pratiche sociali sono ricomposti ed integrati in una prospettiva totalizzante e finalizzata”, così come accade in un progetto urbanistico, alla cui base sono necessariamente posti l’intreccio, la sintesi tra le diverse componenti e la proposta del nuovo. Anche per il progetto futuro, si tratta di costruire un nuovo racconto, sulla base della trama delle vicende del passato, “una storia non ancora raccontata che possa costituire la nuova identità” (Quaini, 1998);
- osservazione della ‘qualità sensoriale’ dei luoghi e della percezione dello spazio, secondo un duplice sguardo: “interno”, che riguarda la percezione degli abitanti e dei fruitori del parco, ed “esterno”, che si riferisce ai punti di vista, ai luoghi di sosta, alle percorrenze, da cui il territorio viene abitualmente percepito. Se il paesaggio è inteso come manifestazione, struttura di comunicazione del rapporto uomo-natura-società, del quale esprime le configurazioni territoriali, la lettura della qualità del paesaggio, anche nei suoi valori percettivi, può consentire di effettuare operazioni di “monitoraggio” dello stato dei luoghi e di prefigurazione di possibili nuovi scenari (Pizziolo, 2001b).

Gli aspetti relativi al sistema del paesaggio antropizzato, come si evince dal modello metodologico descritto, sono stati studiati secondo due linee di indagine parallele: il sistema storico antropico e il sistema normativo istituzionale e della disciplina urbanistica. Se il primo aspetto ha permesso di evidenziare, avvalendosi di ricerche sulle fonti materiali e documentali insieme, quanto e come l'uomo abbia, nelle diverse fasi della storia, manipolato il territorio per assoggettarlo alle proprie esigenze; il secondo aspetto ha permesso di conoscere gli esiti delle prescrizioni istituzionali sul territorio in termini di trasformazioni fisiche; nonché di individuare quali disposizioni normative generali abbiano carattere di uniformità e compatibilità con il territorio a parco.
I risultati di questa parte del lavoro hanno portato all’elaborazione di diverse carte tematiche, che per il sistema normativo istituzionale e della disciplina urbanistica hanno riguardato: lo studio degli strumenti urbanistici comunali e il loro raffronto, la sintesi delle previsioni dei tre assetti del Piano territoriale di coordinamento paesistico, la considerazione dei vincoli di carattere ambientale ed idrogeologico. Per il sistema storico-antropico, invece, gli studi sulle emergenze storiche, sull’uso del suolo, sugli aspetti legati all’accessibilità, nonché l’approfondimento dei temi della visibilità e della panoramicità, hanno condotto all’individuazione degli ambiti di paesaggio. Il territorio è stato, infatti, suddiviso in ambiti, categoria concettuale che permette l’integrazione/interazione tra le componenti del territorio e le specifiche e distintive caratteristiche di formazione delle sue parti, e che porta al riconoscimento di porzioni di territorio dotate “di una propria riconoscibile unitarietà e identità e perciò nettamente differenziabili” tra loro . L’ambito di paesaggio consente di leggere gli aspetti relativi al rapporto uomo-natura-società al tempo presente e rintraccia le relazioni che sul territorio strutturano l’identità dei luoghi.

La ricomposizione e gli scenari
La metodologia applicata richiede di essere articolata utilizzando più apporti disciplinari, relativi ai fenomeni naturali, umani ed antropici. La ricomposizione delle diverse conoscenze ha comportato la redazione di schede, riguardanti ogni ambito di paesaggio e riassuntive delle diverse componenti di sistema . Questo apporto è stato preliminare alla stesura della tavola di sintesi interdisciplinare, la quale ha restituito, partendo dalla descrizione di livello puntuale della schedatura, un quadro di insieme per l’intero territorio.
Il lavoro di sintesi è stato integrato con la messa a sistema delle informazioni – dati e cartografie – in forma di GIS. Lo strumento utilizzato è coerente con l’impostazione interdisciplinare della ricerca, in quanto tiene conto dell’importanza della componente dinamica del sistema, che richiede la costruzione di un apparato conoscitivo ed informativo integrato ed in continuo aggiornamento. Le procedure e le tecniche da privilegiare nella fase di ricomposizione delle conoscenze sono, infatti, quelle che fanno riferimento alla “pianificazione continua”, intesa come processo gestionale delle trasformazioni. La ciclicità e la continuità sono le caratteristiche basilari di questo metodo, tanto più rilevante in un’area protetta, dove le mutazioni del territorio vanno seguite e controllate con maggior attenzione. Esse presuppongono un impegno amministrativo notevole e una struttura operativa efficiente per monitorare con continuità le dinamiche territoriali e verificare l’adeguatezza delle scelte di piano.
Nel momento in cui si è affrontata la proposta pianificatoria, l’attenzione alle dinamiche (evolutive) dei sistemi presenti nell’area protetta ha portato al disegno di scenari possibili e alternativi in cui articolare il territorio. Gli scenari hanno proposto differenti dimensioni spaziali del parco (alternative di perimetrazione dell’area protetta), a cui è legata una differente dimensione gestionale del territorio (che fa riferimento a differenti aspettative, capacità e volontà degli attori chiamati in gioco). Le conoscenze interdisciplinari sono state collocate all'interno della trama di relazioni che configura il sistema locale cui appartengono; sono stati, però, tenuti fermi due aspetti, preliminari e coerenti con i caratteri strutturali dell’area oggetto di studio:
1. l’inserimento del parco nel sistema di relazioni che lega il promontorio al territorio circostante, in termini di accessibilità, di servizi per i fruitori del parco, di economie ad esso collegate;
2. e ancora, in una prospettiva di più ampio respiro, la considerazione del parco come un "nodo" all'interno delle grandi reti ecologiche e di fruizione, che a livello europeo e nazionale collegheranno, attraverso corridoi ecologici e "infrastrutturali", le aree e gli habitat di maggiore pregio naturalistico.
Il parco sarebbe così inserito in un contesto culturale e in un circuito di fruizione (e dunque di flussi di interessi e di finanziamenti) di notevole rilievo, a cui sarebbe poco lungimirante rinunciare.

Conclusioni
La storia che ha portato all’istituzione del parco di Portofino mette in evidenza quanto in questo territorio sia difficile superare la concezione di paesaggio come rappresentazione di una ricca élite cittadina, per essere percepito come patrimonio della collettività da valorizzare e gestire nell’interesse comune. Non solo, accanto a questo retaggio, si è imposta per Portofino una commercializzazione dell’immagine, propria delle dinamiche della globalizzazione delle reti sociali e dell’economia, che ha condotto allo snaturamento dei luoghi e allo sradicamento delle comunità. In questo territorio è molto evidente tale dinamica, che si manifesta attraverso il consumo delle risorse locali. Il paesaggio del parco è oramai usato secondo le regole della società globale e non è più prodotto, se non in piccola parte, attraverso la cura diretta del luogo, finendo quindi con l’essere legato alla costruzione di immagini “da cartolina”, che vedono il territorio come una “scenografia” al servizio del turista.
Ecco perché un approccio basato sulla conoscenza integrata e sulla lettura condivisa del paesaggio, può condurre ad una dimensione più feconda per il parco di Portofino; dimensione strettamente legata a quella sociale, di gruppi e di individui, che esprimono istanze e hanno attese differenti nei confronti degli effetti che un’area protetta dovrebbe apportare sul territorio. Il riconoscimento degli aspetti identitari, il loro recupero e la loro valorizzazione comporta la costruzione a livello locale di un denominatore comune verso cui confrontarsi; il piano dovrebbe essere l’occasione per attivare strategie di costruzione del contesto identitario a partire dal rafforzamento di ciò che già caratterizza il luogo ed è suo inestimabile patrimonio.
Il problema da affrontare è nell’attribuzione di valore del territorio da parte della collettività, che nel momento della pianificazione dovrebbe essere chiamata a riflettere sulle scelte che riguardano il mantenimento del suo “quadro di vita”. Occorre, infatti, che la comunità locale acquisisca il significato del paesaggio in cui vive e la consapevolezza che la sua conservazione permette di mantenere quei valori identitari che hanno determinato l’eccezionalità dell’attuale ‘ambiente di vita’. Si tratta di una consapevolezza che gli antichi abitanti avevano. Addirittura cinquecento anni fa, la coscienza del valore dei luoghi e la necessità di conservarne l’integrità erano, infatti, presenti e si manifestavano attraverso l’adozione di regole d’uso delle risorse del promontorio particolarmente restrittive, ma condivise in quanto finalizzate a perpetuare valori economici locali e non esogeni.
La mancata considerazione del paesaggio secondo la visione olistica proposta dalla Convenzione europea, ha purtroppo comportato, nella fase di definizione dei confini e di formalizzazione della proposta di piano, scelte che, rispetto alle indicazioni degli stessi studi, finiranno con l’essere controproducenti non solo rispetto alla conservazione ambientale e paesaggistica, ma anche nei confronti delle attese di sviluppo della stessa popolazione locale. La scelta dello scenario più riduttivo del parco (solo il promontorio, ad eccezione di un corridoio di cornice interno, considerato area contigua, e a due aree a questo collegate corrispondenti con i Siti di Interesse Comunitario), finisce con l’impedire pratiche di governo del territorio efficaci e durature.

** Questo saggio è stato presentato alla VI Conferenza Nazionale della Società Italiana degli Urbanisti, I Nuovi soggetti della pianificazione, 24-25 Gennaio 2002, Stazione Marittima, Napoli. Il presente lavoro è frutto di una collaborazione comune; in particolare, la prima parte di riferimento teorico è stata redatta da Franca Balletti; la seconda parte relativa al caso-studio del Parco di Portofino è stata redatta da Silvia Soppa.
Franca Balletti, architetto, è ricercatore presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Genova; Silvia Soppa, architetto, collabora presso il Dipartimento Polis - Facoltà di Architettura dell’Università di Genova.