Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 38 - FEBBRAIO 2003


LINEE GUIDA PER UNA "NATURA ACCESSIBILE"
Mentre il tema conosce un crescente interesse
Ormai è chiaro: il dibattito sul tema della “natura accessibile”, nel nostro Paese, ha raggiunto una fase di piena maturità. Oggi, tuttavia, non si tratta più di stabilire quanto sia giusto ed eticamente corretto allargare la fascia di utenza dei parchi, né quali siano le tipologie e le tecniche di intervento meno invasive nei confronti dell’ambiente naturale; è il momento di progettare, di realizzare, di vivere e far vivere l’idea forte scaturita da quel dibattito: l’integrazione sociale di tutte le persone, anche di quelle disabili.
È ovvio che il confronto su tali tematiche non può e non deve considerarsi concluso, ma anzi, evoluto in una nuova fase, in cui i “buoni propositi” si scontrano necessariamente con le difficoltà del “fare”.
Molti sono infatti i progetti già realizzati e si stima che il numero di aree naturali protette rese accessibili in Italia sia in continua crescita: in un recente studio ne sono state individuate 57 (circa l’8% su un totale di 736 aree censite).
Va sottolineato che il dato dell’8% include solo le aree protette effettivamente fruibili ed accessibili e non comprende una vasta gamma di situazioni intermedie che, tuttavia, rappresentano un indice inequivocabile della tendenza in atto:
  • casi in cui viene dichiarato un forte interesse per l’argomento e, contestualmente, una difficoltà nel reperire informazioni utili (scarso coordinamento tra gli enti gestori);
  • casi in cui si riscontrano interventi che, privi di una logica progettuale, portano a risultati parziali e non soddisfacenti;
  • casi in cui esistono studi preliminari o definitivi, rallentati dall’iter burocratico (finanziamenti, approvazioni, affidamento degli incarichi, ecc.).

Si deve dunque riconoscere l’esistenza di un certo “fermento” nel panorama italiano, in tema di natura accessibile; fermento che deve tuttavia essere gestito ed indirizzato, data la delicatezza degli ambiti di intervento, considerando anche le grandi opportunità che si aprono per il miglioramento della qualità ambientale, per l’integrazione territoriale dei parchi, per l’integrazione sociale in generale.
Disaggregando il dato principale è possibile una lettura che offra nuovi spunti di riflessione.
Ad esempio, analizzando la distribuzione degli interventi per Regioni, si evidenzia una sostanziale disparità tra Nord Sud e Centro Italia:
Le Regioni che presentano il maggior numero di esperienze - da 6 a 9 - (si tratta della sommatoria di tutte le tipologie di aree Protette, sia nazionali che regionali) sono quelle dell’Italia centrale (Abruzzo, Emilia, Lazio, Toscana); con 5 esperienze progettuali seguono quelle dell’Italia Settentrionale (Lombardia, Piemonte, Trentino), con l’eccezione della Regione Sicilia, unica regione del Sud a competere con le Regioni del Nord. Le rimanenti Regioni vedono un mix tra Nord, Centro e Sud con un numero di esperienze compreso tra 1 e 2. Restano escluse dall’analisi Basilicata, Liguria, Molise, Sardegna, Umbria e infine la Valle d’Aosta, regione che peraltro si è molto impegnata in passato, con studi specifici per l’individuazione di sentieri accessibili già esistenti nel proprio territorio.
Il dato numerico, di per sé, non è molto significativo; a seconda dei punti di vista esso può risultare scoraggiante o incoraggiante.
Se, da un lato, possono sembrare molto poche 57 iniziative rispetto ad un numero così elevato di possibilità (anche ripensando all’esplicito richiamo contenuto nella Legge Quadro a proposito di disabili, anziani e portatori di handicap), dall’altro esse costituiscono il manifestarsi di una nuova progettualità orientata da obiettivi originali, rispetto ai convenzionali modi di intendere il rapporto uomo-natura. Entrambe le interpretazioni possono risultare valide e, allo stesso tempo, incomplete; infatti, è vero che le iniziative, nonostante l’esiguo numero, stanno crescendo in quantità, ma è altrettanto vero che una lettura in positivo o in negativo deve dipendere innanzitutto dalla qualità delle soluzioni adottate.
Gli unici riferimenti legislativi specifici (L. 394/91 e Regolamenti dei Parchi) sono, a dire il vero, poco indicativi in tal senso e il vuoto normativo si fa sempre più evidente.
Sono l’arbitrarietà e talvolta l’ingegno del professionista a colmare tale vuoto.
Anche lo stesso fondamentale concetto di accessibilità risulta variamente percepito e, spesso, viene interpretato in modo parziale dagli stessi organi di gestione; talvolta vengono catalogati come accessibili percorsi che risultano all’apparenza pianeggianti o semplicemente privi di ostacoli a terra, senza che ciò sia supportato da una verifica condotta sulla base di criteri oggettivi. Inoltre, nella prassi, le uniche forme di disabilità prese in considerazione sono quelle motorie in abbinamento, nel 21% dei casi, a quelle sensoriali (ipovedenti e non vedenti), e solo nel 4% dei casi a quelle intellettive; tuttavia è noto che le situazioni di svantaggio psico-fisico sono molto più diversificate e complesse e, come tali, richiedono soluzioni altrettanto differenziate.
Un ulteriore nodo problematico è da individuarsi in una generale non corrispondenza tra finalità istitutive delle aree e interventi, nello specifico di accessibilità, che vi si pongono in atto: la causa principale di questo “scollamento” tra obiettivi e azioni è da imputarsi alla disomogeneità normativa in ambito classificatorio.
È evidente, infatti, una sostanziale differenziazione tra le legislazioni regionali, che vanno a configurare diversi sistemi di aree protette: in altre parole ciascuna Regione, attraverso l’attività legislativa, individua categorie di classificazione sue proprie, le quali molto difficilmente si accordano e si uniformano con quelle definite dalle altre Regioni.
La ricerca sopra citata evidenzia una netta preponderanza di Parchi Regionali (PR) e Riserve Naturali Regionali (RNR), mentre per Parchi Nazionali (PN) e Altre Aree protette (AAP) si registra una attività progettuale (in tema di accessibilità) più contenuta. Si trovano in coda le Riserve Naturali Statali, che contano solo 5 interventi per migliorare l’accessibilità dell’area a favore di un’utenza allargata. Si tratta dunque di un’ulteriore conferma del fatto che, nella prassi, la distinzione tra Parco e Riserva, operata sul filo di una comparazione tra valore ricreativo e valore conservativo, risulta molto labile e meno condivisa di quanto ci si potrebbe aspettare.
La questione “natura accessibile”, rappresenta dunque un aspetto importante nella definizione di politiche per le aree protette; essa, infatti, assume una veste particolare riguardo alla classificazione, alla pianificazione e alla gestione delle aree naturali protette, caricandosi di significati anche molto diversi tra loro, a seconda del “ruolo” che la società attribuisce a ciascun tipo di area tutelata. È quindi di fondamentale importanza stabilire in modo chiaro e a priori, prima di tutto con una corretta interpretazione e conseguente classificazione dell’area, la logica che guiderà le azioni di miglioramento o costruzione del sistema dell’accessibilità, nonché prevederne le modalità di gestione, soprattutto rispetto al contesto territoriale. Ciò che in sostanza manca, nella realtà attuale, è la formulazione di vere e proprie “linee guida” che, pensate per promuovere l’accessibilità nel pieno rispetto della natura, siano da supporto sia ai soggetti istituzionalmente delegati alla gestione delle aree protette, sia ai professionisti incaricati di redigere piani e progetti di fruizione.
Di seguito si tenterà la stesura di un primo nucleo di tali linee guida; un input che, si spera, possa diventare la base di ulteriori riflessioni.
Le linee guida devono essere orientate da due obiettivi fondamentali:

  • 1) L’obiettivo della salvaguardia ambientale;
  • 2) L’obiettivo dell’integrazione sociale della persona disabile

Il requisito dell’accessibilità in un ambiente naturale comporta il raggiungimento simultaneo dei due obiettivi; questo può implicare l’insorgere di situazioni conflittuali, che devono essere gestite e mediate tramite soluzioni di compromesso.
Va inoltre sottolineato che si tratta di operare in ambiti spesso già segnati da conflitti di interesse circa i diversi usi del territorio (ad esempio tutti i casi in cui attività economiche di diverso tipo si sovrappongono alle esigenze di tutela ambientale), a cui possono sommarsi tutte le esigenze legate alla fruizione turistica da parte di un’utenza allargata. Laddove la risoluzione di tali conflitti non sia possibile, se non attraverso interventi che riducano il valore ambientale e naturalistico dei luoghi, il primo dei due obiettivi, cioè quello della salvaguardia ambientale, deve avere la priorità.
Si rende dunque necessaria, per la risoluzione di tali possibili conflitti, l’individuazione di alcuni Principi Generali che guidino i decisori nella stesura dei progetti di accessibilità nella natura; tali principi dovranno valere come sistema, in quanto tutti egualmente concorrenti al raggiungimento degli obiettivi suddetti.
Sinteticamente:
Tutti i soggetti, singoli o collettivi, pubblici o privati, ragionevolmente rappresentativi delle persone interessate al progetto, devono essere coinvolti nelle fasi del processo decisionale in cui vengono individuati i problemi e le opportunità da affrontare, e determinati gli obiettivi da raggiungere. Nell’ottica di una generale trasversalità delle politiche di pianificazione, la condivisione delle decisioni permette di considerare esigenze, bisogni e interessi che altrimenti verrebbero ignorati, garantendo, da un lato, una minor probabilità dell’insorgenza di conflitti d’interesse a lavori ultimati e, dall’altro, la legittimazione della stessa area naturale presso l’opinione pubblica. In tal modo è possibile anche far passare gli utenti disabili dallo status di “portatori di diritti” a quello di “portatori di interessi”, da assistiti a potenziali consumatori.
Tutte le figure professionali utili all’apporto di competenze diverse (mediche, naturalistiche, sociologiche, ecc.) devono essere coinvolte nelle fasi di studio e analisi dell’ambito di intervento, allo scopo di sviluppare le ipotesi progettuali. Questo, come garanzia di una corretta interpretazione, sia delle risorse ambientali che delle diverse esigenze dell’utenza, è necessario per non convogliare su un’unica figura professionale il compito progettuale, in quanto l’accessibilità “per tutti” di un ambiente naturale richiede conoscenze molto specifiche e approfondite, nessuna delle quali può essere omessa a vantaggio di altre.
Le ipotesi progettuali devono essere tali da minimizzare il carattere di esclusività dell’intervento per quanto concerne le caratteristiche fisiche degli utenti. Si devono cioè realizzare progetti pensati per tutti, e non per categorie caratterizzate da particolari impedimenti fisici o mentali; laddove si renda necessaria la realizzazione di interventi miranti a soddisfare le necessità specifiche di alcune categorie di persone (disabilità gravi o gravissime), questi devono essere caratterizzati da accorgimenti percepiti (per quanto possibile) solo dai loro destinatari, rimanendo poco evidenti a tutti gli altri utenti (evitare il formarsi di “aree ghetto”).
L’estensione e l’articolazione dei percorsi accessibili devono essere modulate in funzione della diversità paesistica dell’area e della rilevanza naturalistica di ciascuna risorsa in essa presente, a prescindere dalla maggiore o minore estensione superficiale. Modulare l’articolazione e l’estensione dei percorsi di visita sulla dimensione superficiale dell’area non costituisce un principio corretto, ma può, anzi, portare al sovradimensionamento dell’intervento e alla possibile esclusione di alcuni sentieri dall’utilizzo dei visitatori (sottoutilizzazione).
Questo va chiaramente contro il principio di una equilibrata distribuzione dei flussi tra le diverse offerte fruitive del parco.
Il progetto deve organizzare l’offerta fruitiva in segmenti corrispondenti ad una domanda diversificata, per aspettative, inclinazioni ed attitudini personali. In un’ottica più generale, che miri in ogni caso ad un arricchimento personale del visitatore, è fondamentale diversificare l’offerta tenendo conto delle diverse aspettative possibili; tale diversificazione è attuabile, da un lato, individuando alcune delle risorse più significative dell’area (dal punto di vista faunistico, botanico o culturale) facilitandone l’accesso al maggior numero di persone possibile - compatibilmente con la capacità di carico - (massima condivisione di specifiche risorse ambientali) e, dall’altro, pianificando la distribuzione dell’utenza più esigente in particolari zone, caratterizzate da usi maggiormente specifici (luoghi solitari o di wilderness, siti per la pesca sportiva, per la ricerca scientifica,ecc.). Sinteticamente, accessibilità pianificata prima che progettata.
Il progetto deve essere supportato da un apparato comunicativo che renda l’informazione, in tutte le sue forme (interna al parco, tra parco e contesto territoriale, tra parco e associazioni di utenti, tra parchi diversi), diffusa e facilmente accessibile.
L’accesso all’informazione e la sua divulgazione sono elementi strategici per la riuscita di qualsiasi intervento di accessibilità nella natura; a tutte le persone, in particolare a quelle svantaggiate, deve essere garantita innanzitutto la conoscenza delle caratteristiche dell’area, ancora prima di raggiungerla, per permettere a tutti una valutazione preventiva rispetto ai propri limiti, esigenze ed aspettative. Questo viene reso possibile dalla creazione di una rete informativa che unisca gli enti di gestione, le associazioni di utenti (disabili e non), i Comuni, le Regioni e gli enti per il turismo. Un’informazione più ricca e dettagliata deve poi essere resa possibile all’interno del parco, con gli strumenti e gli ausilii più idonei.
Fondamentale è infine lo scambio di informazioni tra aree protette (circa le iniziative intraprese volte all’accessibilità dei rispettivi ambienti naturali) e quello tra l’area stessa e il suo contesto territoriale.
Il progetto deve prevedere ed incentivare soluzioni che offrano un’alternativa a quelle modalità di fruizione che implicano un accesso strettamente fisico all’ambiente naturale.
È infatti necessario, per non irrigidire la progettualità con soluzioni volte alla sola accessibilità fisica degli utenti, abbracciare forme e modalità di fruizione alternative, che talvolta possono essere suggerite dalla natura stessa dei luoghi; in tal modo il territorio non viene più assunto solo come possibile ostacolo all’accessibilità, ma anche come propulsore di soluzioni diverse. Si pensi ai paesaggi letterari, ai “luoghi della memoria”, e a tutte le manifestazioni naturali fondate sul valore del paesaggio.
In questo senso, anche un campo coltivato, espressione antropica di uno sfruttamento economico della natura, può diventare un elemento di fruizione estetica di grande pregio ed interesse, nonché fonte di arricchimento delle conoscenze personali.
È infatti auspicabile, ai fini di un positivo confronto di conoscenze, che il mondo della produzione agricola e forestale non rimanga legato esclusivamente alle sue funzioni tradizionali, ma si apra ad esperienze “miste” che implichino la sovrapposizione con realtà anche profondamente diverse, come, ad esempio, quella che vede coinvolte le persone disabili.
È infatti un dato preoccupante quello dell’abbandono dell’agricoltura, fenomeno attribuito spesso alla difficoltà di gestire la forbice tra le attività tradizionali e le attività di fruizione turistica. Nell’ottica mirante a fornire opportunità di fruizione alternative vanno prese infine in considerazione soluzioni già sperimentate, del tipo “park and see” o “park and explore”, viste nelle esperienze statunitensi, basate sull’utilizzo esclusivo del veicolo privato e sulla predisposizione di strade carrabili per la fruizione dell’area. Vanno inoltre sperimentate relazioni uomo-ambiente di tipo “interattivo e dinamico”, contrapposte alla tradizionale esperienza di natura di tipo “passivo”: si pensi, ad esempio, all’inserimento lavorativo di persone disabili in cooperative che gestiscono la coltivazione e la manutenzione dei giardini botanici o dei percorsi sensoriali nelle aree naturali.
Il progetto deve contribuire alla valorizzazione dell’identità delle culture locali, puntando sul concetto di condivisione delle risorse ambientali e su una gestione degli interventi territorialmente integrata. Pianificare e progettare l’accessibilità dell’area significa anche sostenere, valorizzare e a volte ricostruire un’identità comune, di tipo sia naturale che culturale. Molto spesso infatti si presentano situazioni di squilibrio tra i Comuni dal punto di vista socio-economico, accentuate talvolta da profonde differenze culturali.
Gli interventi, oltre a rispettare le culture locali esistenti e l’identità naturale del luogo, dovranno contribuire alla valorizzazione di tali elementi, laddove essi siano interessati da processi di degrado. Nell’ottica più generale mirante ad evitare fenomeni di insularizzazione, le iniziative per migliorare l’accessibilità all’interno dell’area naturale devono essere coordinate e integrate con le attività esterne ad essa, in modo da garantire l’accessibilità ai servizi complementari che possono non rientrare nell’offerta del parco (accordi e convenzioni con le attività ricettive, di ristorazione, di promozione delle comunità locali, ecc.). Tale principio risulta orientato all’allargamento istituzionale nella gestione delle aree protette ed è volto a mettere in luce un possibile nuovo ruolo degli Enti Locali, in forme di compartecipazione diretta o coordinata.
Se non si segue questo approccio, anche gli interventi maggiormente rispondenti ai criteri di accessibilità, rischiano di essere sottoutilizzati rispetto alle loro reali potenzialità.
Come già detto, i principi sopra esposti sono da intendersi esclusivamente come “linee guida”, cioè come indicazioni di carattere generale. La loro attuazione è infatti possibile solo attraverso il riferimento a specifici criteri progettuali (ampiamente individuati dalla manualistica tecnica), che devono essere selezionati “caso per caso”, dopo un’attenta analisi della situazione esistente e degli obiettivi che si intende raggiungere.
In chiusura è bene ricordare che nessun progetto di fruizione potrà considerarsi completo se in esso non comparirà anche una approfondita analisi della domanda; in altre parole è necessario, in fase di analisi, procedere alla valutazione, sia qualitativa che quantitativa, della domanda reale di strutture e servizi accessibili, sia nell’area che fuori da essa: disponibilità economica delle famiglie, reale desiderio di integrazione sociale, predisposizione a viaggiare e distanze massime accettate, particolari aspettative riguardo alla visita, ecc., sono indicatori di una domanda, che può essere più o meno consistente ed esigente, e non si deve cadere nella tentazione di pre-supporli senza dati certi. Il rischio, come detto, è la sottoutilizzazione o, peggio, l’inutilizzazione da parte dell’utenza.
A grave danno della qualità ambientale nel suo complesso.

*Lucrezia Colurcio e Liborio Vaccaro, Laureati in Architettura nel febbraio 2002 presso il Politecnico di Torino, si sono occupati di accessibilità alle Aree Naturali Protette, per la propria tesi di Laurea, dal titolo “Natura accessibile in Italia: Principi, criteri ed esperienze. Il Politecnico di Torino ha autorizzato la pubblicazione della Tesi su Internet (www.archi.polito.it), nella sezione Tesi Meritevoli.

Le immagini sono tratte dai due bei volumi “ L’ambiente per tutti, sentieri accessibili” di Monica Brenga, pubblicati dalla regione Lombardia in occasione del primo censimento dei sentieri accassibili nelle aree protette della regione Lombardia.
Una recensione più ampia e dettagliata degli stessi sarà pubblicata nel prossimo numero di “Parchi”.