Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 38 - FEBBRAIO 2003


SINALLAGMI DI STAGIONE
A ncora una volta mi sembra naturale tornare a sfogliare il fascicolo allegato a questa rivi- sta nel settembre 1995, intitolato “Uomini e parchi, vent’anni dopo”, un contributo della redazione della rivista “Parchi” al dibattito sui temi della protezione oggi. Rileggo alcuni passaggi della presentazione:
“Grazie alle caratteristiche specifiche del lavoro che al suo interno viene svolto, la rivista è diventata anche un osservatorio, un punto di incontro di domande che si pongono quanti – con percorsi diversi – sono arrivati ad occuparsi della tutela dell’ambiente e dell’avvio di uno sviluppo eco-sostenibile in maniera professionale ed a tempo pieno.”
“La nostra impressione – in breve – è che nei parchi si fa un po’ di tutto, che esista moltissimo moto in luogo. il più delle volte più che giustificato, ma che tanta attività non produca un conseguente moto a luogo, cioè un lavoro verso un obbiettivo più ampio e generale da tutti riconosciuto nazionalmente e da tutti perseguito. C’è come una attesa, una sospensione del giudizio finché le cose non saranno più chiare, e c’è, a nostro avviso, una presa di distanza da parte di molte autorità culturali e morali che un tempo erano co-protagoniste delle principali battaglie per la conservazione della natura, vinte grazie anche a loro.
Perciò, discutendone in varie riunioni di redazione, abbiamo voluto mettere nero su bianco le nostre comuni preoccupazioni e le nostre riflessioni, trasformandole in un vero e proprio appello, per battere un colpo, aprire una discussione, e dare il nostro contributo affinché si superi la fase attesista avviando una nuova fase di impegno comune”.

Queste righe erano firmate “la redazione” ma ne riconosco tranquillamente la paternità per un paio di vezzi linguistici assolutamente personali (la storia del moto in luogo, per esempio).
Sono passati otto anni dalla pubblicazione di quel fascicolo. E che anni!
In quel remoto settembre 1995 era in carica un governo Dini, dopo le dimissioni di Berlusconi, con un ministro della Giustizia, Filippo Mancuso, che nel maggio avvia una inchiesta disciplinare sulla Procura di Milano, ma in ottobre è costretto a rassegnare le dimissioni.
Il 26 ottobre il Parlamento respinge la mozione di sfiducia contro il governo Dini presentata dal centro destra. L’otto giugno Romano Prodi aveva fondato il movimento politico denominato “L’Ulivo”. Gli anni seguenti li ricordiamo meglio, affollatissimi di fatti e di sterzate della Storia.
Ma la questione che ponemmo allora, nel settembre 1995, non è stata sostanzialmente sbloccata, e non ha avuto da tre governi di centro sinistra e da un successivo governo di centro destra nuovo e diverso ossigeno per respirare meglio.
Anzi, il fievolissimo dibattitino che è seguito all’impegno serio che alcuni di noi hanno assunto nel ripubblicare “Uomini e parchi”, la complicata interpretazione dell’evento pubblico istituzionale che abbiamo contribuito a mettere in scena al Lingotto di Torino or non è guari, ed alcuni altri segnali mi convincono che la serie di interviste che sono venuto facendo e che trovano il punto di sintesi in quella con Roberto Gambino che viene pubblicata in questo stesso numero, risollevano oggi, a otto anni di distanza, in termini molto simili, la questione che ponemmo allora.
Sicché, dopo aver citato esplicitamente gli altri segnali ai quali mi riferisco, tenterò – con spirito di servizio ed assoluta modestia - di offrire la mia conclusione.
In Parlamento accadono molte cose, in questa fase. E c’è dibattito sulle priorità. Molto indietro rispetto alle priorità fissate dall’agenda politica, si posizionano atti che ci riguardano molto da vicino. In ottava commissione il 30 0ttobre 2002 è stata approvata una risoluzione presentata da Bandoli, Vigni e Raffaella Mariani nella quale è scritto tra l’altro: “premesso che i rappresentanti delle regioni e delle province intervenuti durante i lavori della seconda Conferenza nazionale sulle aree protette hanno sottolineato l’esigenza che tra lo Stato centrale, le regioni, ed il sistema delle autonomie locali venga rapidamente ripristinato un rapporto di piena e leale collaborazione istituzionale che deve innanzitutto riguardare l’intesa per le nomine dei presidenti degli enti parco nazionali, la costruzione del sistema nazionale delle aree protette, l’avvio dei progetti di sviluppo sostenibile dei grandi ambiti territoriali dell’Appennino, delle Alpi, delle coste protette, dei corsi d’acqua del bacino del Po, delle piccole isole e delle aree marine protette, il finanziamento di programmi triennali per la conservazione e la valorizzazione delle aree protette regionali e locali;
premesso che la Federazione italiana dei parchi e delle riserve naturali ha presentato nel corso della Conferenza un insieme organico di proposte e di richieste al Governo nazionale che sono l’espressione delle esigenze manifestate unitariamente dall’intero sistema delle aree protette, sia nazionali che regionali, per poter garantire l’ulteriore crescita qualitativa delle azioni di conservazione e di valorizzazione del patrimonio naturale dell’Italia;
premesso molto altro ancora, impegna il Governo:
a completare entro il 2003, con il coinvolgimento delle regioni, del sistema delle autonomie locali e delle aree protette, la predisposizione della Carta della natura e del Piano nazionale della biodiversità;
a provvedere al trasferimento, a favore dei parchi nazionali e delle regioni, della gestione delle riserve naturali dello Stato comprese al loro interno, compatibilmente con la legislazione vigente;
ad istituire, ai sensi del decreto legislativo n.281 del 1997, un comitato tecnico, nell’ambito della conferenza stato-regioni, con il compito di istruttoria delle problematiche e dei provvedimenti inerenti la conservazione della natura di competenza della conferenza stessa;
a rispettare il dettato della legge n. 394/1991 relativamente all’intesa, prevista dal comma 3 dell’articolo 9, tra il ministero dell’ambiente e le regioni per la nomina del presidente degli enti parco nazionali;
a fornire alla commissione i bilanci consuntivi degli ultimi tre anni degli enti di gestione delle aree protette di interesse nazionale (parchi nazionali ed aree marine protette);
a promuovere intese e/o accordi di programma tra gli enti parco nazionali, le regioni e gli enti locali territorialmente interessati per la realizzazione di azioni e progetti concordati volti all’utilizzo dei residui passivi ancora giacenti presso alcuni parchi nazionali e finalizzati al raggiungimento degli scopi istitutivi ed alla valorizzazione ecosostenibile del territorio”.
Tutto questo è stato approvato dalla Commissione parlamentare, ed impegna il Governo.
Si vedrà quanto il Governo farà, e quanto si riterrà davvero impegnato, ma allo stato degli atti le cose stanno così.
Anche sull’altro fronte, nel polo delle libertà, c’è movimento. Il 24 settembre 2002 oltre novanta parlamentari hanno apposto la loro firma ad una proposta di legge il cui primo firmatario è l’avvocato Francesco Onnis, di Cagliari, eletto nelle liste di Alleanza Nazionale, e che porta il titolo di “Modifiche alla legge 394 in materia di aree protette”. Gli altri firmatari appartengono a tutti i gruppi del polo delle libertà (An, Fi, Lega Nord, Ccd – Cdu, più due componenti del gruppo della Margherita Dl-l’Ulivo (Salvatore Ladu, di Olzai, provincia di Nuoro e Santino Adamo Loddo di Orotelli, provincia di Nuoro).
La relazione introduttiva rappresenta la “linea” del polo nei confronti delle aree protette.
Si parte dalla premessa di un “forte e convinto consenso alla istituzione ed alla fruizione, in Italia, di una congrua, organizzata e ben distribuita rete di aree protette”, frutto di un consenso informato delle popolazioni interessate, e si sottolinea che queste aree protette dovranno avere come punto di riferimento “il modello di parco sostenibile e possibile che non deve espellere l’uomo, tantomeno il cittadino residente, ma che deve essere disegnato con l’uomo al centro di un teatro naturale non ingessato e chiuso, ma aperto ad un utilizzo regolato, modulato in termini tali da assicurare la conservazione e, se possibile, l’arricchimento del patrimonio naturale e ambientale”.
A seguire la relazione fa alcune affermazioni sulla 394 che potrebbero essere argomento di un interessante dibattito. La legge quadro sarebbe “nata frettolosamente allo scadere della X legislatura” e non avrebbe dato buoni frutti. “I pochi parchi istituiti e vigenti sono frenati, inceppati, limitati nel loro sviluppo e nel loro appeal anche perché condizionati dalle inattuali, punitive e superate previsioni della legge n. 394”.
Quali? Dal testo non risulta.
Risulta invece che lo stesso legislatore del “lontano 1991”… “avvertì quasi coralmente il deficit di democrazia della legge quadro, arroccata su moduli centralistici retrivi e antistorici, di stampo quasi sovietico”.
“Oggi la 394 rappresenta un monumento ad un centralismo esasperato e anacronistico, capace di soffocare, sul delicato versante delle aree protette, ogni respiro sociale delle popolazioni, delle comunità e delle rappresentanze istituzionali, negando ogni spazio di effettivo intervento nei meccanismi, nei procedimenti e negli organismi attraverso i quali si costituisce o si gestisce un parco”.
Insomma, c’è un deficit di partecipazione che va colmato. Si tratta, scrive la relazione, di realizzare una “effettiva integrazione tra uomo e ambiente, una sorta di sinallagma esistenziale, sociale, economico, morale ed anche religioso tra l’uomo e la natura, un vero e proprio “scambio” di valori e di vantaggi” restituendo all’uomo “quel ruolo di insostituibile centralità nell’ambiente naturale che la legge n. 394 non aveva saputo o voluto dettare e realizzare”.
Quindi si preparano tempi di sinallagma esistenziale, sociale, economico, morale e religioso. Non è poco. Diamoci una mossa, e prepariamoci a riappropriarci di quel ruolo di insostituibile centralità che è il pilastro del sinallagma.
Come si procederà?
La proposta di legge lo spiega.
Prima di istituire un’area protetta ci vuole un referendum tra i futuri residenti.
Se il parco non passa al referendum, niente sinallagma.
Se invece il parco si fa, nell’organismo dirigente vanno inseriti obbligatoriamente i parlamentari ed i consiglieri regionali eletti nel territorio interessato.
Un successivo articolo prevede “divieti meno drastici e tassativi e spazi ridottissimi per l’attività venatoria, in zone e tempi limitati, per i soli residenti e, quanto alla fauna migratoria, a pagamento, per i residenti nella regione e nell’ambito di territori costituiti in aziende venatorie assegnate in gestione a cooperative giovanili formate da soci residenti nei comuni compresi nell’area protetta. In altra parte dell’articolato viene introdotta anche per i parchi regionali la previsione della possibilità di un “limitato esercizio dell’attività venatoria”.
Per quanto riguarda il piano del parco, il piano pluriennale economico e sociale ed il nulla osta si introduce un meccanismo di maggiore coinvolgimento di regioni e comuni, anche per i parchi nazionali.
Per l’istituzione di aree protette marine si introduce il concerto o l’intesa della regione. Per quanto riguarda il corpo forestale dello stato, si prevede che il corpo forestale regionale, “ove esistente” gestisca la sorveglianza sui territori delle aree protette”.
Così come ho fatto con la mozione della Bandoli, anche per la relazione di Francesco Onnis mi tocca tagliare parti anche importanti, facilmente rintracciabili da chi volesse completare il quadro.
Come si collegano la mozione della Bandoli e la proposta di Onnis con la mia curiosità di capire cosa è cambiato nelle tematiche che ponevamo nel 1995? Si tratta di due segnali forti, vistosi. Alla seconda conferenza nazionale sulle aree protette di Torino la federazione dei parchi ha presentato un elenco preciso di undici questioni che aveva il pregio di essere state considerate tali e prioritarie da una affollata assemblea che si tenne in Palazzo Lascaris, ed alla quale presero parti amministratori di aree protette di ogni colore politico.
Dopo di che le priorità e le piste si dividono? Le cose non stanno nemmeno così, per fortuna o purtroppo.
C’è la questione che continuo a pormi del rapporto con i grandi costruttori di opinioni di massa.
Quelli che nel nostro gergo segreto chiamiamo “grandi firme”, e che un tempo erano alcuni grandi intellettuali.
Con le mie interviste ho raccolto il parere di alcuni di loro, ed ho messo in vetrina qualche ipotesi di spiegazione del silenzio dei grandi costruttori di opinioni che oggi incombe sul nostro lavoro come una sorta di grandioso macchinario destrutturatore (e/o sgangheratore) di ambizioni, progetti e speranze.
L’assenza di un insieme di teorie adulte, periodicamente confrontate e sostanzialmente metabolizzate sui circuiti della comunicazione di massa generalista, legittimate dall’autorità degli autorevoli del momento, si trattasse pure di Adriano Celentano, aiuta il sonno della ragione, e favorisce la crescita dei relativi mostri. Noi siamo troppo di nicchia, troppo autoreferenziali, troppo personalmente interessati, per coprire davvero quel vuoto di informazione che favorisce il sonno della azione amministrativa progettata e programmata.
Non basta ristampare “Uomini e parchi”. Non basta costruire gli undici punti di Torino. Perché il potere vero non ci vede nemmeno, e ci avverte come un mondo gelatinoso e stravagante, al quale fare riferimento con finto ossequio ma con sostanziale indifferenza.
Non è certo che in commissione parlamentare nessuno si rendesse conto di che cosa votasse, ma è più che probabile che tutti avessero la consapevolezza che niente di quanto votavano avrebbe mai interessato il Governo. Non è certo che nessuno degli oltre novanta parlamentari che hanno controfirmato la proposta di legge di Francesco Onnis ed altri sia interessato alla costruzione del “nuovo sinallagma”, ma è certo che non esista alcun nesso tra le lunghe discussioni, gli interventi, i saggi, i libri che abbiamo messo in piedi nel decennale della 394 per parlarne bene, ma anche per capirne i limiti e per capire cosa andrebbe cambiato, e l’assoluta “verginità” dei cervelli che hanno concepito la proposta Onnis e la questione geniale del sinallagma.
Panta rei. E poi c’è l’entropia. E poi c’è la noia. Ma se fosse vero quello che a volte ci ripetiamo negli spogliatoi, prima di scendere in campo, sulla crescente maturità della gente, e sulla nuova centralità delle questioni ambientali, se fosse vero un niente per cento delle cose che ci diciamo sull’oggettiva necessità di politiche di conservazione e di valorizzazione del paesaggio e della natura, perché non possiamo continuare a fare danni, e perché la nuova agricoltura non potrà che essere eco sostenibile, come pure il turismo, come pure l’occupazione e la stessa industria. Se fosse vero che nelle aree protette si conserva e si tutela quello che non può più essere distrutto, né cacciato, e insieme si sperimenta l’unico sviluppo possibile, allora dovremmo prendere in considerazione una ipotesi strana, apparentemente maniacale e molto ridicola, ma che pure ha un suo oggettivo fondamento.
Dovremmo deciderci a prendere in considerazione l’ipotesi che non possiamo aspettarci nessun aiuto dall’esterno.
Che non ci sarà un signore pieno di lampi, tuoni e folgori che in cima ad un monte si metterà a declamare a reti unificate i nostri undici punti di Torino.
Che non c’è modo di semplificare una realtà complessa, che ha suoi percorsi nella determinazione degli assetti dei poteri (accademici, giornalistici, parlamentari, regionali) e nella formazione dell’agenda dei protagonisti di quei poteri, sicché occorre prendere atto del dato di fatto che le scelte generali non si compiono sulla base di un lavoro che parte dalle mille esperienze in atto, e che le riconduce a sistema, a progetto e quindi a politica, ma da meccanismi noti, messi in atto per conservare consensi, oppure nella speranza di ampliarli, e per agevolare proprie clientele ovvero per ostacolare le altrui.
E che – quindi – dovremo rassegnarci a considerarci noi le “grandi firme” (o le “piccole”, ma insomma le sole che passa il convento), noi i costruttori di opinione, (poco “di massa”, certo, più che altro di nicchia, ma questa oggi è la situazione). Facendo più e meglio il nostro ingrato lavoro di grilli parlanti, in una società globale che avrebbe bisogno delle nostre competenze, ma ritiene, bontà sua, di poterne fare allegramente a meno, salvo stupirsi periodicamente e ritualmente delle catastrofi e delle ricadute delle politiche che sono state rinviate o che sono state azzerate.
Comunque non considero fatica sprecata il breve viaggio che mi sono regalato in giro per l’Italia in cerca di nuovi interlocutori. Intanto perché ho avuto risposte incoraggianti.
Tutti i miei interlocutori hanno riconosciuto l’esistenza del problema che ponevo loro, e della necessità di fronteggiarlo. Secondariamente non ho ragioni per escludere la possibilità di fare ancora ricorso ai miei interlocutori, per dibattiti, seminari e firme di documenti, in appoggio alle nostre esigenze di sperimentatori di tutela attiva.
Il poco entusiasmo con il quale sviluppo queste considerazioni è figlio di una pretesa che oggi riconosco fuori misura: quella di incontrare personaggi che si sarebbero immediatamente mobilitati, scrivendo libri e articoli, e sfondando tutti gli schermi televisivi con le nostre problematiche, capovolgendo l’attuale nostra condizione di semi clandestinità.
Ma l’acquisizione di questo dato, a pensarci bene, è un ulteriore frutto di questo giro di interviste.
Oggi infatti so meglio, con prove raccolte da me medesimo, che gli intellettuali maggiori (così come i minori), e le grandi firme (così come quelle più piccine) vivono soprattutto all’interno di meccanismi e di labirinti già costruiti che li fanno essere divi e vati nel loro mondo e nei confini di quel mondo. Quando il treno della nostra Storia (o storia?) sarà arrivato al capolinea, e avrà superato tutte le stazioni di tutte le crisi, quando anche l’antipolitica sarà arrivata al suo capolinea, scopriremo se ci sarà un parcheggio scambiatore e qualche altro mezzo che ci porterà più lontano, essendo poco probabile che ci fermeremo tutti lì.
Nell’attesa di incontrarci tutti lì, in un nuovo “sinallagma” culturale, a chi ha la nostra formazione e la nostra esperienza resta il compito di tenere vivo il ricordo di Valerio Giacomini e dei suoi scritti, di ritrovarci in dibattiti e convegni, in seminari, tesi di laurea e relative bibliografie, sempre un po’ troppo autoreferenziali ma sempre anche un po’ aperti verso il resto del mondo, mescolati in una voglia di sinallagma e di sinergia sempre più forte, così come accade ad ogni segmento di realtà e ad ogni corporazione in evoluzione.
Quello che conta sopra ogni altra cosa è la capacità di mantenere il senso delle proporzioni, la capacità di considerarci sempre parte di un elenco di priorità molto più vasto, ma contemporaneamente anche la capacità di non abbandonare la fierezza della nostra identità, e la convinzione che i grandi temi e le priorità maggiori sarebbero meno grandi e meno maggiori senza l’apporto delle nostre esperienze e delle nostre azioni.

m.g.