Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 38 - FEBBRAIO 2003


AREE MARINE PROTETTE: CONSIDERAZIONI E PROSPETTIVE
Verso una rete che avvii una seria politica di sistema
V ent’anni fa Antonio Cederna rilevava la differenza tra l’Italia e gli altri paesi europei nell’atteggiamento culturale con il quale, nel nostro Bel Paese, così lo chiamava, veniva considerato il problema della Natura. Egli attribuiva la nostra arretratezza in questo campo a tre precise componenti culturali che avevano caratterizzato nel tempo la politica ambientale: o il Cattolicesimo, che ignorando l’insegnamento di San Francesco sulla fratellanza e uguaglianza dell’uomo con le altre specie animate e non della terra si era rifatto alla tradizione giudaico-cristiana dell’uomo despota nella natura;
o l’Idealismo, che teorizzando l’inesistenza della natura aveva considerato il paesaggio come stato d’animo e trascurato i problemi del territorio; o il Marxismo, che aveva sottovalutato per lungo tempo i problemi ambientali rimandandone la soluzione ad un’ipotetica palingenesi sociale.
Si può condividere o non condividere lo scenario interpretativo delineato da Cederna, rimane tuttavia il fatto che la gestione della politica ambientale aveva condotto l’Italia, degli anni Ottanta del ventesimo secolo, ad essere considerata come il paese, tra quelli industrializzati, più arretrato sul piano della tutela, della gestione e progettazione del territorio e dell’ambiente.
Seppure ancora in ritardo rispetto allo sviluppo di tematiche ambientali di rilievo (come ad esempio l’indice di boscosità o il rischio idrogeologico) possiamo riscontrare un impulso significativo nell’istituzione di parchi e aree protette e nella realizzazione in tempi brevissimi (praticamente negli ultimi sette anni) della tutela del 10% del territorio nazionale.
A più di dieci anni dall’approvazione della legge quadro sulle aree naturali protette il nostro Paese è caratterizzato da un dato molto positivo nel campo della tutela delle risorse ambientali: sono state istituite 675 aree protette per un totale di circa 3 milioni d’ettari di territorio. Purtroppo a questo dato non ne corrisponde un altro altrettanto positivo, se ci si riferisce alla gestione di tutte queste aree.
È dimostrato che la gestione e l’effettivo radicamento nel territorio di un parco o di un’area protetta costituiscono problemi complessi e difficili da risolvere.
È noto inoltre, e lo provano le esperienze italiane e quelle europee, che, dal momento dell’istituzione, occorrono almeno dieci anni prima che si realizzi in un’area protetta il funzionamento a regime. Proprio la tumultuosa crescita, in questi anni, nel numero e nella varietà delle aree protette italiane, e la constatazione delle insufficienze e dei limiti nella loro gestione in relazione al rapporto con le comunità locali da un lato, e con il Ministero dell’Ambiente dall’altro, mi spingono ad esporre alcune considerazioni. Considerazioni che sottolineano la mia posizione su settori fondamentali per la salvaguardia del patrimonio costiero e marino di tutto il Mediterraneo e per la conservazione attiva della biodiversità marina; considerazioni dedotte anche dalla mia diretta esperienza e che ritengo opportuno esporre nell’assumere la Vicepresidenza della Federparchi in rappresentanza delle aree marine protette (AMP).
Quanto riferirò costituisce il mio pensiero e non necessariamente quello delle Aree Marine, che invece deve risultare dal gioco democratico delle parti e da salutari “incontri e scontri” che in Federparchi danno e trovano adeguato sostegno.

1. Il senso dello Stato
Le aree protette, di qualsiasi tipo esse siano, secondo il mio parere, devono essere gestite con profondo “senso dello Stato”; ciò significa che ogni opera, attività, azione da realizzare in queste aree, va fatta tenendo conto che s’intervene su un patrimonio di tutti e che si agisce in un settore al pari di altri, come la difesa, la sanità, l’istruzione, che dovrebbe essere considerato sopra le appartenenze politiche e delle singole istituzioni.
Inoltre, se è valido il gestire le Aree regionali, provinciali e comunali con “senso dello Stato”, a maggior ragione, in tal senso, si dovrà operare nei parchi nazionali, nelle riserve naturali e nelle AMP che sono di diretta emanazione statale.
La considerazione dell’area protetta come patrimonio e risorsa di tutti, nel caso delle aree marine, dovrebbe costituire un imperativo categorico.
Come sappiamo, infatti, le AMP attualmente sono 18 e se a livello teorico tutti concordano sul fatto che la loro “mission” riguarda la ricerca, il monitoraggio e la protezione dei valori biologici, con particolare attenzione alla tutela ed alla conservazione della biodiversità, la promozione dell’uso sostenibile delle risorse e lo svolgimento d’attività ecocompatibili, siamo ben lontani dalla realizzazione di queste finalità.
Come vedremo più avanti, il mancato raggiungimento di parte degli obiettivi istitutivi delle AMP non può essere giustificato dal fatto che esse riguardano ambienti ed ecosistemi di particolare complessità che costituiscono una fragile interfaccia tra l’ambiente terrestre- costiero (altra nostra risorsa fondamentale) e il Mediterraneo, un bacino con caratteristiche d’unicità per la elevata diversità biologica e per la particolare combinazione di fattori abiotoci che lo caratterizzano.

2. Il rapporto tra l’ente gestore e il Ministero dell’Ambiente
Molti dei problemi che in diversi casi hanno ostacolato e/o ritardato l’avvio e lo sviluppo delle AMP riguarda la gestione delle stesse.
Credo sia utile fare notare per prima cosa la confusione di ruoli e funzioni che spesso ha connotato il rapporto tra gli enti gestori delle AMP ed il Ministero dell’Ambiente.
Specialmente nelle aree protette, nelle quali l’ente gestore è il Comune, si è verificato che il concetto di delega sia stato più volte frainteso.
Frequentemente il Comune, quale ente gestore dell’AMP, ha considerato, e gestito, la riserva marina come “cosa propria”, come risorsa da aggiungere a quelle dell’ente locale e quindi utilizzabile per risolvere i bisogni comunali.
Ma come è noto, laddove lo Stato istituisce un’area protetta e ne delega la gestione, affidando ad altri i compiti propri, non significa che il “delegato” debba, o possa, di fatto, considerare il bene affidato come proprio; la titolarità del bene, come pure la possibilità stessa di revocare la delega data, rimane allo Stato e nello specifico al Ministero dell’Ambiente.
Sembra dunque accertato, al di là da ogni tesi interpretativa, e d’ogni dibattito, il fatto che chi riceve la delega è, per molti aspetti subordinato al “delegante”, che detiene i poteri d’indirizzo e di controllo del bene delegato. Come pure è evidente che i fondi destinati alla AMP non devono, in alcun modo, soddisfare esigenze già di competenza altrui.
Da parte sua, il Ministero fino a pochi mesi fa non comprendeva che dare delega significa per sua natura stabilire un rapporto fiduciario con il “delegato” e che come tale questo rapporto non può essere regolato da comportamenti statalisti e centralisti. Non può, infatti, definirsi di delega ma neanche dialogico un rapporto che vede i funzionari ministeriali prendere decisioni importanti e affidare ad altri i compiti della gestione specifici dell’Ente gestore, pretendendo dallo stesso la mera esecuzione degli “ordini”.
Oggi, grazie all’ingresso delle AMP in Federparchi, alle forme di razionalizzazione interna disposte dal Ministro (quali l’accorpamento del Servizio Conservazione Natura e del Servizio Difesa Mare, in un’unica Direzione Generale affidata al dott. Cosentino), nonché dai risultati dei primi incontri avuti con il Direttore Generale ed il suo staff, molte cose mi sembra stiano cambiando in positivo nei rapporti Ministero-enti gestori. Anche se il lavoro che attende entrambi è enorme e dovrà affrontare problematiche fondamentali per la realizzazione di una gestione efficace ed efficiente delle AMP.

3. Per l’unificazione del modello di gestione
3.1 La rete delle AMP
Le principali convenzioni internazionali ed i maggiori esperti di aree marine hanno individuato la necessità di creare un “sistema” interconnesso di Aree Marine Protette che consenta progettualità, anche comuni, di tipo gestionale e scientifico e che punti alla valorizzazione delle singole specificità. Tale sistema va integrato a quello terrestre allo scopo di condividerne non solo i confini, ma anche i programmi. È, inoltre, necessario che le aree marine partecipino alle politiche di conservazione del Mediterraneo, assumendone, per alcune, ruoli di riferimento.
Bisogna integrare il sistema delle AMP come strumento di gestione nelle politiche costiere-marine riguardanti l’intera penisola, isole comprese, richiedendo infine una maggiore collaborazione degli Enti territoriali per il successo del sistema ed in particolare per l’adozione di una normativa coerente con la legge quadro e con il potenziamento necessario della ricerca scientifica in questo specifico settore di protezione e conservazione.
Ritengo che negli anni sia andata maturando la consapevolezza dell’indispensabilità di avere una rete di AMP che, pur nella loro specificità, possano interfacciarsi ed utilizzare reciprocamente quanto di meglio si attua sul territorio. Tale rete consentirebbe l’avvio di una “politica di sistema”. È indispensabile, per tale politica, che i soggetti gestori non siano organizzati in modo casuale e che aderiscano e si adeguino ad un modello di gestione unico, fondato su precisi criteri e su modalità omogenee; scomparirebbero così le gestioni attualmente affidate a molteplici soggetti (Enti locali, Consorzi, Associazioni ambientaliste, Capitanerie di porto, Università, ecc.) in favore di una gestione affidata ad un “Consorzio Misto” che può essere composto anche da due partner.
Ritengo, anche in base all’esperienza personale, che il “Consorzio Misto”, sia il modello che presenta la maggiore capacità operativa esso, costituisce infatti la soluzione idonea per molti dei problemi di gestione (da quelli di bilancio alla perequazione all’ente locale prevista dall’art. 2 del testo unico delle Autonomie Locali) e, in ogni caso, per lo snellimento delle procedure burocratiche.
I confronti permessi dalla rete di AMP e l’individuazione di un un modello unitario di gestione porterebbero anche ad una chiara distinzione di ruolo, funzioni e competenze tra il Responsabile legale dell’Ente gestore (il Presidente) e il Responsabile amministrativo tecnico scientifico (il Direttore).
Accade spesso che il responsabile legale sia un Sindaco, o altra figura istituzionale, che vede l’attività connessa al ruolo di Presidente dell’AMP come aggiuntiva ad altre di pari importanza, e quindi da delegare.
Più volte la delega è fatta in favore della direzione della riserva che si trova così a svolgere ruoli e competenze che non le sono propri.
L’impegno di un Presidente consiste non solo nelle azioni derivate da ciò che attiene alla sua diretta responsabilità, ma anche – e forse soprattutto – da quelle necessarie per organizzare e mantenere l’enorme serie di rapporti connessi alla partecipazione dei diversi soggetti coinvolti alla vita dell’area protetta.
La funzione di Direttore, come ho già evidenziato, è per sua natura tecnica, amministrativa e scientifica, e necessita dunque di una giusta autonomia propositiva e di veto (per la parte scientifica), nonché della possibilità di relazione con il Ministero, per la parte tecnica che gli compete.
La specificità di questa funzione è tale da spingermi a sottolineare l’indispensabilità di una regolamentazione (l’albo dei Direttori di AMP) che ne definisca il ruolo, le modalità di accesso, la certezza dei tempi e dei modi dell’attività, l’autonomia e la remunerazione. Per concludere le mie sintetiche osservazioni e ipotesi ai fini della definizione di un modello gestionale unitario delle AMP, ribadisco la necessità e l’importanza della previsione, al suo interno, di due figure professionali di dirigenza, distinte e non intercambiabili, che svolgano ognuno per quanto di competenza le peculiari attribuzioni di ruolo.

3.2 Il problema dei soggetti esterni alla gestione
La legge n°179 del luglio 2002 recita, tra l’altro, che l’individuazione del soggetto gestore delle aree marine protette, ai sensi dell’articolo 2 comma 37 della legge 9 dicembre 1998, n° 426, e successive modificazioni, è effettuata dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, anche sulla base di apposita valutazione delle risorse umane destinate al funzionamento ordinario delle stesse, proposte dai soggetti interessati.
In base a tale normativa e a quelle pregresse di riferimento il Ministero può affidare la gestione di un’AMP ad enti pubblici, istituzioni scientifiche e associazioni ambientaliste riconosciute, anche consorziate tra loro (“Consorzio Misto” di gestione come ho in precedenza auspicato), tuttavia, può anche affidare incarichi (attività, servizi, ricerca) a soggetti esterni all’ente gestore.
Dagli anni novanta, in AMP non direttamente gestite, molti di questi incarichi sono stati spesso affidati ad associazioni ambientaliste di fama nazionale.
Se ciò era giustificabile in relazione alle esperienze maturate dalle associazioni stesse nella costituzione e gestione di aree protette, nella generale impossibilità di affidare questi compiti allo Stato o agli enti locali, oggi la situazione sia dal punto di vista dell’applicazione della norma, che dal punto di vista esperienziale, è completamente cambiata.
Non si può continuare a limitare – e in alcuni casi ad escludere – l’Ente gestore dalle proprie competenze.
Quanto detto non significa “tener fuori” qualcuno, bensì sostenere il ruolo dell’Ente gestore affidando ad esso, con le procedure che lo caratterizzano amministrativamente il giusto coinvolgimento delle associazioni.

Alcuni aspetti dell’interconnessione terra–mare
Quando le prime aree marine furono istituite la “visione” di chi le ideò si fermò alla battigia poiché il mare era (e per alcuni ancora lo è) elemento- ambiente specifico soprattutto se guardato settorialmente (ed esclusivamente) dal punto di vista scientifico. Quel “bagnasciuga”, quella linea di confine tra quest’elemento e il resto delle terre emerse costituisce ancor oggi uno dei maggiori problemi nei rapporti tra AMP e Ministero; solo recentemente la problematica è stata affrontata con determinazione dal Ministero, ma i tempi e le modalità per affidare agli enti gestori delle AMP le aree del demanio marittimo, si stanno rivelando lunghi e difficoltosi.
Ad oggi le competenze in materia di demanio marittimo non sono state ancora trasferite agli enti gestori impedendo, di fatto, la realizzazione di una pianificazione e di una gestione integrate della fascia costiera marina e terrestre. Mi chiedo Perché ci si è mossi dopo tanti anni, visto che la legge quadro al titolo II art. 18 – Istituzione di aree protette marine, comma 2, già prevedeva che nel decreto istitutivo delle AMP figurasse anche la concessione d’uso dei beni del demanio marittimo.
Una interpretazione personale forse semplicistica ma volutamente ingenua di questo stato di cose si può far derivare dalla necessità di parte del mondo politico, ministeriale, scientifico universitario, associativo, di avere un piccolo mondo “esclusivo” ove operare senza ingerenze, soprattutto poiché “gli altri” non capiscono né le tematiche né le problematiche di questa particolare fascia di territorio.
Questa situazione ha comportato non solo la mancata considerazione di alcuni aspetti importanti delle realtà delle Aree Marine Protette connessi alla costa (come ad esempio il peso ambientale e la sostenibilità del prelievo ittico dal punto di vista scientifico o come il diving o il diportismo dal punto di vista ecoturistico), ma, come già anticipato, ha reso soprattutto impossibile l’interconnessione tra le AMP, il sistema costiero e le altre realtà protette terrestri.
Da sempre considero terra e mare come elementi quasi simbiotici e giudico una forzatura, o in alcuni casi addirittura un’incongruenza, il voler definire o aggettivare come “marini” elementi ed attrezzi prettamente terrestri (e il viceversa) solo perché si trovano, o sono usati, in uno dei due ambienti. Soprattutto ritengo che se i decreti istitutivi, la logica, oltre il buon senso, pongono tra gli obiettivi principali di un’AMP quello dello sviluppo sostenibile del territorio e delle sue popolazioni, ciò non può prescindere da una totale interconnessione terra–mare, come hanno sempre dimostrato la tradizione, la storia e la cultura di questi luoghi.
Conflitti personali creati da coloro che hanno interesse alla gestione dell’AMP, e magari si vedono minacciati nel loro intento da un parco nazionale adiacente, o meglio dai responsabili dell’ente parco, creano solo danni e confusione.
Come è stato sottolineato durante la seconda Conferenza Nazionale delle aree naturali protette in particolare nel documento su “Le aree marine protette per la tutela della biodiversità e la promozione di uno sviluppo sostenibile”, che ho più volte citato, sono proprio le AMP, con il loro caratteristico rapporto di interconnessione tra la terra e il mare, che possono rivestire un ruolo strategico nell’ambito della gestione dello sviluppo sostenibile della fascia costiera marina e terrestre e contribuire a conservare la diversità marina, mantenere la produttività degli ecosistemi, promuovere il benessere economico e sociale delle comunità. D’altro canto, anche per considerare solo l’aspetto puramente finanziario dello sviluppo economico delle fasce costiere marine e terrestri, connesso naturalmente e opportunamente alla gestione delle AMP, basterebbe computare nel bilancio finale di gestione il valore degli apporti culturali che queste forniscono (dal valore dei cambiamenti collettivi di comportamento a quello dei progetti educativi attivati, dalle semplici ricerche ambientali sviluppate in ambito scolastico fino alle tesi di laurea). Braudel uno dei più noti studiosi del Mediterraneo sostiene: "Il Mediterraneo, come tutti i mari che vi accedono è mille cose insieme.
Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa [...] significa incontrare realtà antichissime, accanto alla barca del pescatore, che è ancora quella di Ulisse, il peschereccio devastatore dei fondi marini o le enormi petroliere.
Significa immergersi nell’arcaismo dei mondi insulari e nello stesso tempo stupire di fronte all’estrema giovinezza di città molto antiche, aperte a tutti i venti della cultura e del profitto, e che da secoli sorvegliano e consumano il mare [...]
Da millenni tutto confluisce nel Mediterraneo [...] E anche le piante, le credete mediterranee, ebbene, a eccezione dell’ulivo, della vite e del grano [...] sono quasi tutte nate lontano dal mare [...]".
Descrive un ambiente complesso, usato da millenni, con un continuo interagire di attività e di natura, interpretazione questa che ritengo debba essere alla base dei criteri alla cui luce si attua la gestione delle AMP.
Le aree marine protette sono piccoli spazi di mare, difficili da proteggere, fragili nello sviluppo sostenibile e indissolubilmente legate alle terre. "Su una carta del mondo il Mediterraneo non è che una fenditura della crosta terrestre" scrive ancora Braudel, ed è proprio così, ma da questa “fenditura” come sappiamo dipende il nostro futuro e quello delle Aree Marine per la tutela e affermazione delle quali abbiamo tanto lottato.

Il popolo dei parchi
Per terminare due considerazioni.
La prima: ritengo molto importante il fatto che tutto il mondo della conservazione, in Italia, si sia associato a Federparchi poiché in questo modo si è creata la possibilità, per ogni singola realtà, di affrontare i propri problemi all’interno di una Associazione che proprio per le sue caratteristiche può fornire strumenti, adeguato sostegno e rappresentanza.
La seconda è anche un augurio (o una minaccia, decidete voi): non si può dimenticare che grazie al lavoro fatto in passato dalle associazioni ambientaliste, dallo Stato con la legge quadro e da tanti operatori di settore si è formata una sensibilità, anzi una volontà, e ancor di più un popolo silenzioso, trasversale alla politica e al mondo economico: sono i milioni di persone che ogni anno visitano i parchi, sono le decine di migliaia di operatori, sono le aziende che con o per i parchi lavorano; in poche parole “il popolo dei parchi”.
Chiunque abbia responsabilità in campo ambientale non dovrà mai dimenticare che esiste il “il popolo dei parchi”, gente fiduciosa e tranquilla, ma non per questo disposta a tollerare politiche d’arretramento o di stasi nell’azione di tutela e conservazione del nostro patrimonio ambientale.

* Presidente della Riserva Naturale dello Stato e della AMP di Torre Guaceto e vicepresidente di Federparchi.