Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 39 - GIUGNO 2003


PROTEZIONE CIVILE E PROTEZIONE DELLA NATURA: IL CASO ETNEO

Il vulcano - in costante attività - richiama frequentemente l’attenzione della Protezione Civile

I pionieri delle politiche conservazionistiche, più di un secolo fa, non potevano certo immaginare che un giorno qualcuno avrebbe affrontato il tema dei rapporti fra Protezione civile e protezione della natura. L’argomento in effetti merita oggi un approfondimento soprattutto in relazione ad aree come quella etnea dove un vulcano in costante attività richiama frequentemente l’attenzione degli organi di Protezione civile.
Ma quell’area, che sta tanto a cuore ai tutori della pubblica incolumità, rappresenta anche il territorio del più vasto e rinomato Parco naturale siciliano (58 mila ettari).
Inevitabilmente i due differenti approcci alla gestione del territorio (da una parte quello dell’intervento a tutti i costi sugli eventi naturali con l’obiettivo di contenere i danni materiali arrecati dalle eruzioni, dall’altra quello di tutela dei beni ambientali e degli ecosistemi) finiscono con l’entrare in collisione. Da anni la questione si ripropone con una certa frequenza, soprattutto a partire dal 1983, quando il Ministero per il coordinamento degli interventi di protezione Civile, con la consulenza di un gruppo di scienziati, fra cui i professori Barberi e Villari, avviarono il primo tentativo di deviazione di una colata lavica sull’Etna. Da allora la coesistenza fra i due differenti approcci al mondo etneo è diventata sempre più ardua anche perché alla nascita dell’Ente Parco nel 1987 ha fatto seguito un formidabile sviluppo dell’ apparato di Protezione Civile, che pretende adesso di avocare a se il controllo del territorio alla prima avvisaglia di incremento dell’attività vulcanica. Lo scontro fra normative e prassi operative di cui stiamo trattando ha generato una ulteriore importante conseguenza: il ridimensionamento sino alla totale cancellazione di qualsiasi intervento programmatorio in materia di fruizione dell’area protetta. Facciamo un esempio per spiegare meglio la questione: nelle ultime eruzioni ( a partire dal 1991) il Prefetto di Catania su indicazione degli organismi consultivi della Protezione Civile ha regolarmente vietato l’accesso al vulcano proprio durante il corso di quel tipo di manifestazioni della natura che da secoli rappresentano un irresistibile richiamo per le popolazioni locali e per i turisti.
I colti viaggiatori del Settecento e dell’Ottocento consideravano un grande privilegio poter capitare sull’Etna durante un’eruzione e l’evento era naturalmente oggetto di approfonditi resoconti.
Anche in tempi assai più recenti le popolazioni locali usavano raggiungere a piedi i fronti lavici, compiendo un pellegrinaggio verso l’emozionante spettacolo della natura che avveniva a poca distanza dagli abituali luoghi di vita e di lavoro. Da bambini invocavamo l’aiuto degli adulti per poter andare ad osservare il fuoco in movimento nel buio della notte, benché qualche volta il fumo e la polvere facessero bruciare gli occhi ed era straziante vedere gli alberi seccarsi a poco a poco e poi prendere fuoco all’improvviso. Ma la marcia che si faceva insieme a tanti altri amici o a semplici sconosciuti ,che avevano come unica guida il riverbero della lava, era una forma di educazione ambientale ante-litteram. Il rito collettivo dava una dimensione umana alla cieca distruzione del vulcano, creava in ogni caso un rapporto fra l’evento -in se potenzialmente terrificante- e gli abitanti delle pendici del monte, abituati a subire la violenza della natura ma anche a ricostruire ed a ricominciare, perché tanto -come dicevano i vecchi- “l’Etna quel che prende da”. Da oltre un decennio tutto ciò non è più possibile. I tentativi di deviazione della lava, che certamente ricche conoscenze scientifiche hanno fornito agli attori degli interventi, ma anche molti interrogativi hanno suscitato in ordine ai concreti benefici apportati, hanno modificato la relazione stessa fra abitanti e vulcano. Alla rassegnazione che descrivevano i cronisti dei cinegiornali inviati a raccontare l’eruzione del 1950/51, ma anche i telecronisti RAI nel 1971, si è sostituita la frenesia dell’intervento. Mobilitati dalle odi giornalistiche ai vulcanologi dipinti come “domatori” dell’Etna, abitanti e politici in occasione di ogni manifestazione eruttiva invocano l’intervento della Protezione Civile.
Non c’è ormai manifestazione eruttiva (ultimamente assai frequenti) in cui non siano presenti le ruspe inviate dai tutori della sicurezza.
Di fronte alle aspettative popolari e politiche vieppiù crescenti non è difficile immaginare la difficoltà dell’ente parco dell’Etna a far valere le sue prerogative, benché una lungimirante previsione del Decreto istitutivo dell’area protetta (parte terza del Decreto del Presidente della Regione 17 marzo 1987, punto 2.1) contempli l’intesa fra ente parco e Protezione Civile in materia di interventi da effettuare in zona “A” e disponga la programmazione degli interventi in periodo di calma, in modo da evitare le pressioni della piazza e le decisioni concitate. Nel contesto appena descritto non solo è arduo difendere gli ambienti naturali in un contesto di pianificazione territoriale di medio periodo, ma è diventato difficile - come accennavamo prima - anche rivendicare il diritto a fruire liberamente della montagna. Le ordinanze del Prefetto, rinvigorite da interpretazioni giuridiche sempre più prudenziali ed alimentate evidentemente da qualche consulente scientifico preoccupato solo di evitare qualsiasi possibile responsabilità per l’apparato burocratico, hanno finito col bloccare ogni tipo di accesso al vulcano nei periodi di attività, se non quello legato alla sorveglianza ed allo studio.
Senza che questo tipo di provvedimento così drastico trovi un fondamento nelle statistiche riguardanti gli incidenti sul vulcano, che invece dipingono un quadro di modestissima pericolosità per l’uomo in relazione alle attività storiche del vulcano siciliano. Solo in una occasione, il 12 settembre del 1979, l’Etna causò una strage di turisti (9 morti e 25 feriti).
Ma si trattò di un episodio legato ad un tipo di visita delle zone sommitali che allora prevedeva l’afflusso massiccio di visitatori, trasportati con mezzi fuoristrada, sino al bordo dei crateri. Nel resto delle sue numerosissime attività, almeno di quelle risalenti ad epoca storica, l’Etna si è sempre dimostrata un vulcano “buono”, che arreca danni, ma non uccide, che pur distruggendo coltivazioni e persino interi paesi (risale “soltanto” al 1928 l’intero seppellimento del paese di Mascali, che si trovava quasi in riva al mare), non minaccia abitualmente la vita dell’uomo. Certo dopo le manifestazioni degli ultimi anni (estate 2001 ed autunno 2002) si discute se il vulcano siciliano ( “a muntagna” come viene semplicemente chiamato) stia cambiando. È opinione condivisa nel mondo scientifico che l’eruzione del 2001 possa avere avuto un collegamento diretto con un serbatoio magmatico posto a grande profondità e da ciò la conseguente intensissima attività esplosiva. Ma fino ad oggi nessun scienziato sembra disposto ad affermare che l’Etna sia diventato un vulcano “cattivo”. Anzi in un recente convegno internazionale tenutosi a Catania il prof. Franco Barberi ha ulteriormente ribadito che il vulcano siciliano è a “basso rischio” per quanto concerne la fruizione turistica.
E allora perché farne una “montagna vietata”, come ha deliberato il prefetto di Catania il 17 aprile 2003 con una ordinanza con la quale ha proibito l’accesso al di sopra dei 1900 metri di quota se non accompagnati da una guida autorizzata? È evidente che nelle condizioni appena descritte è difficile che possa esprimersi un’organica politica di fruizione da parte dell’ente parco, considerato che il divieto di accesso interessa quasi la metà del territorio dell’area protetta. Probabilmente la motivazione della recente ordinanza prefettizia di aprile ,così come delle molte altre che l’hanno preceduta, sta nella commistione delle due tendenze che abbiamo visto consolidarsi a partire da venti anni orsono. Insieme ai primi tentativi scientifici di deviazione del flusso lavico (se ne ricorda un altro improvvisato nel 1669 da contadini coperti di pelli di animale, sotto la guida di un caparbio prelato) sono infatti progressivamente mutate le aspettative delle popolazioni e l’atteggiamento delle autorità nei confronti degli eventi eruttivi. Per comprendere quel che sta avvenendo in questi anni basta rileggere uno scritto di commento del prof. Cristofolini dell’Università di Catania agli eventi del 1983: “Uno dei rischi maggiori che tale intervento (quello di deviazione, ndr) può aver determinato è quello di avere creato nel pubblico la fiducia che sempre ed in ogni caso, si può intervenire efficacemente sul flusso di una colata lavica dell’Etna”.
I provvedimenti del Prefetto di Catania del 2002 e del 2003 uniti all’ormai costante interventismo della Protezione civile dimostrano dunque che l’impostazione culturale paventata dal prof. Cristofolini e dal mondo degli ambientalisti venti anni fa è purtroppo diventata prassi corrente. Si è imposta la concezione, ingenua e onerosa allo stesso tempo, di uno Stato potente e premuroso che interviene durante le eruzioni adoperandosi in ogni modo per fronteggiare la natura, senza alcun riguardo per una qualsiasi valutazione costi-benefici, e quando le eruzioni sono terminate continua a proporsi come Stato-genitore che proibisce di avvicinarsi al vulcano considerato evidentemente “bocca dell’inferno” - come avveniva nel Medioevo- e non spazio naturale da fruire in maniera rispettosa, come prevede la moderna concezione delle aree protette.
In questa babele di paradossi che si alimentano l’uno dell’altro, creando ogni volta i precedenti per mettere in piedi la volta successiva un nuovo più perentorio provvedimento, è intervenuto un fatto nuovo dopo l’ultima, più severa ordinanza del 17 aprile 2003: si sono inserite nel meccanismo eruzione-emergenza-divieti delle Associazioni di appassionati e di montanari che hanno organizzato una vasta campagna di sensibilizzazione contestando l’essenza del provvedimento (l’idea stessa di poter “vietare” una intera montagna) ed hanno proposto una serie di soluzioni alternative.
Dopo una serrata trattativa tra Prefetto e montanari dell’Etna è scaturita una nuova ordinanza (datata 6 giugno 2003) nella quale l’autorità incaricata di tutelare la sicurezza dei cittadini ha finalmente gettato le basi per arrivare ad una soluzione duratura della questione: non solo vengono elevate le quote oltre le quali vige il divieto di accesso per chi non è accompagnato dalla guide autorizzate (2500 metri sul versante sud, 2800 su quello nord-orientale), ma soprattutto si dispone che il provvedimento abbia durata temporanea sino a quando verrà predisposto un piano di fruizione delle alte quote basato sulla tracciatura di percorsi e sulla predisposizione di punti di accoglienza degli escursionisti nelle località turistiche principali.
Viene così rilanciato il ruolo dell’EnteParco dell’Etna -che come ha già fatto lo scorso inverno, al termine della fase più intensa dell’eruzione e come aveva pure proposto nel 1991- ha risposto alle ordinanze che presentano il vulcano come un “mostro” da cui fuggire con un ciclo di visite organizzato dalle sue guide per riportare gli amanti della natura in mezzo ai boschi ed ai paesaggi lunari dell’area protetta, con l’intento di valorizzare l’aspetto dell’Etna più sorprendente e affascinante. Dopo l’ ordinanza prefettizia del giugno 2003 il Parco e gli altri enti preposti alla fruizione turistica del vulcano hanno l’opportunità di bloccare un meccanismo perverso che si è messo in atto da oltre 20 anni e che ha progressivamente trasformato l’immagine complessiva dell’Etna ed il modo in cui essa viene percepita dai suoi stessi abitanti. Grazie alla sensibilità di un Prefetto, che non ha voluto supinamente ripetere l’operato dei suoi predecessori, c’è finalmente la possibilità di creare un sistema di fruizione integrato che tenga presenti le esigenze imposte dalla tutela della sicurezza dei cittadini senza impedire la fruizione del più importante vulcano d’Europa, anche e soprattutto durante i periodi di attività.
Con l’auspicio che, ripristinando una incondizionata possibilità di visita dell’Etna, si riesca anche a ricondurre a più ragionevoli pretese le aspettative delle popolazioni locali nei confronti degli interventi di deviazione delle colate.

*Redazione di Parchi
Presidente Associazione ETNAVIVA

Bibliografia
Cristofolini/Imposa/Patanè, Etna 1983:
cronaca minore di un evento storico,
Trincale Editore,
Catania, 1984 AA.VV, Etna, mito d’Europa,
Maimone Editore,
1999, Catania,

di Giuseppe Riggio*