Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 39 - GIUGNO 2003


AREE PROTETTE: IN EUROPA TERRITORI "SPECIALI"

L’Unione Europea può intervenire con misure proprie rispettando le diverse gestioni istituzionali

Su questa rivista ci siamo occupati più volte di aree protette in rapporto alla situazione internazionale ed in particolare a quella europea. Pure in altre sedi a cominciare da Gargnano nei seminari del Centro studi Giacomini la questione è stata ripetutamente affrontata anche con il contributo di qualificati esperti e amministratori stranieri.
L’argomento è stato oggetto di analisi principalmente su due piani distinti riguardanti da un lato l’assetto istituzionale che nelle diverse realtà soprattutto europee regola la gestione dei parchi, dall’altro gli effetti delle politiche comunitarie di protezione della natura e della biodiversità con il loro corollario di siti (SIC e ZPS).
Nel primo caso l’interesse istituzionale era dovuto in particolare alla discussione mai venuta meno nel nostro paese sulla ripartizione dei ruoli tra stato e istituzioni decentrate nella gestione dei parchi.
Il confronto con le altre realtà soprattutto europee mirava infatti in larga misura a cercare conforto e sostegno per quelle impostazioni meno centralistiche che da noi hanno sempre incontrato diffuse diffidenze non godendo di buona fama neppure in ambienti non ostili ai parchi. Nel secondo caso, invece, specie all’inizio, l’interesse per i siti era rivolto principalmente alla regolazione dei rapporti con le regioni in cui il nostro paese confermava le sue note difficoltà ad assolvere ai suoi compiti istituzionali in sede comunitaria.
Con l’evoluzione delle politiche ambientali comunitarie sono andati però evidenziandosi intrecci e connessioni all’inizio trascurati e sostanzialmente elusi che hanno finito giustamente per imporsi alla attenzione anche dei più scettici. Vediamo di cosa si tratta. Sul piano normativo la istituzione dei siti ha dimostrato che l’unione europea può intervenire con proprie misure rispettando però le diverse gestioni istituzionali degli stati membri. I siti infatti hanno su tutto il territorio della comunità le stesse finalità, si propongono uguali obiettivi che devono essere assunti e ‘trasposti’ nelle legislazioni nazionali e regionali, ma sono gestiti in base ai diversi regimi costituzionali.
In parole povere si ha la riprova che le politiche comunitarie possono convivere senza eccessivi traumi con le diverse politiche istituzionali nazionali.
Con il che non si intende dire che esse sono prive di implicazioni e di effetti sotto questo profilo, ma più semplicemente che anche le politiche ambientali sono ‘armonizzabili’ sul piano comunitario.
E poiché l’armonizzazione degli obiettivi e degli strumenti è uno degli scopi più importanti dell’Unione Europea specialmente oggi che essa vede l’ingresso di nuovi paesi, si è stati indotti a chiederci perché essa doveva intervenire soltanto con e su i siti ignorando le altre aree protette e in primis i parchi nazionali e regionali o naturali.
La domanda è risultata tanto più legittima e naturale dal momento che gran parte di questi siti sono situati (almeno nel nostro paese) all’interno dei parchi nazionali e regionali. Per quali ragioni allora i siti sì e i parchi no? Perché questo diverso trattamento specie se proprio su scala europea ci si prefigge di istituire reti ecologiche etc. Ha senso istituire reti che includano tra i loro nodi SIC e ZPS e non anche i parchi?
È dipanando questi interrogativi che si è senza eccessiva fatica giunti alla conclusione che questa disparità di trattamento non aveva ragione d’essere e che anzi danneggiava gli stessi interventi sui siti, isolandoli da un contesto non soltanto territoriale con il quale essi da soli non sarebbero riusciti a misurarsi con la necessaria efficacia e forza come tanti esempi dimostrano.
Partendo da qui e in coincidenza con l’impegnativa discussione sulla nuova architettura costituzionale dell’unione, abbiamo ritenuto giusto passare da una discussione interessante ma estemporanea e affidata più al caso che ad un disegno, ad un dibattito mirato che potesse coinvolgere tutti i soggetti interessati sul piano nazionale ma anche e al tempo stesso gli altri paesi interessati.
Il documento varato all’inizio dell’anno dalla Federparchi sui parchi e l’Europa a questo voleva e doveva servire.
Che il tema posto dal documento sia stato affrontato con una certa solennità in apertura del nostro congresso nazionale a Riomaggiore conferma la precisa e determinata volontà dei parchi di assumersi la loro parte di responsabilità in una discussione alla quale è giusto e necessario partecipino tutti, cittadini, associazioni e istituzioni. Non è certo un caso che proprio in questi mesi siano andate infittendosi le iniziative di soggetti istituzionali e associativi con l’apertura anche di uffici e sedi a Bruxelles a sottolineare appunto questa esigenza di essere presenti là dove si decide. Anche i parchi devono essere maggiormente presenti in quelle sedi avvalendosi intanto di più degli uffici e della iniziativa dell’Uicn che finora non è risultata poco visibile.
Le politiche ambientali dell’Unione hanno mosso i primi passi con notevole ritardo rispetto a quelle economico-finanziarie, ma ormai anch’esse esse sono diventate adulte come testimoniano una molteplicità di programmi, interventi, progetti che hanno assunto la sostenibilità come obiettivo non più settoriale. E tuttavia si è parlato in più occasioni anche recenti di ‘deficit di implementazione’ con riferimento sia ai ritardi di trasposizione delle norme europee negli ordinamento nazionali (qualora ciò sia richiesto come nel caso delle direttive) sia nella carenza di effettivi meccanismi di regolazione e controllo a livello degli stati.
In sostanza sono risultate ardue e fortemente contrastate quelle politiche di ‘armonizzazione’ previste dai trattati che debbono agire per essere efficaci e produttive sia nel rapporto unione -stati membri sia nella ‘integrazione’ delle politiche settoriali; agricoltura, coste, turismo etc che spesso sono destinate a non incontrarsi mai o in misura assolutamente insufficente.
Il tema da noi posto con il documento di Federparchi concerne chiaramente entrambi questi profili e lo fa con la consapevolezza che per i parchi quanto e più che per altri comparti e soggetti, l’armonizzazione delle politiche e degli interventi è decisiva su tutti e due i piani. Lo è in maniera assolutamente evidente su quello del rapporto comunità stati membri perché risulterebbe sempre più inconcepibile che in una materia come quella dei parchi oggi regolata in tutti gli stati membri dell’Unione da leggi organiche nazionali e regionali, i poteri e gli organi sovranazionali si limitino a intervenire e occuparsi dei siti che per dimensione e finalità esprimono e rappresentano una parte assai circoscritta e parziale di questa complessa realtà. Ma lo è non di meno in rapporto a quel deficit di implementazione che caratterizza non soltanto le politiche comunitarie ma anche quelle nazionali.
I fallimenti o comunque i modesti successi delle politiche di programmazione non ultima quella ‘nuova’ lanciata pochi anni fa a Catania, trovano in questa riottosità a uscire dai binari di un settorialismo spesso esasperato e miope la loro prima e fondamentale spiegazione. Ora è a tutti noto (o almeno dovrebbe esserlo) che i parchi possono svolgere con successo la loro ‘missione’ solo e soltanto se riescono a definire, progettare, promuovere e gestire politiche e interventi ‘integrati’ che non riducano il soggetto parco a clone o brutta copia di altri soggetti di qualunque ‘settore’.
Sotto entrambi i profili richiamati dunque i parchi nazionali o regionali che siano, non solo possono - ma per finalità fissate dalle leggi- debbono assolvere a questa funzione di ‘integrazione’ e ‘armonizzazione’ sia nella dimensione sovranazionale e territoriale (tra parchi anche appartenenti a paesi diversi) che in quella concernente le ‘materie’. I campi d’azione a cui mira il piano dell’area protetta previsto sia pure con qualche differenza da tutte le legislazioni nazionali e regionali oltre che da numerosi documenti dell’UICN sono appunto l’insieme di quei settori che oggi è estremamente arduo raccordare anche in sede comunitaria come da tempo vanno ripetendo e denunciando numerosi documenti dell’unione.
D’altronde non c’è documento internazionale riguardante le politiche ambientali, la sostenibilità etc che non sottolinei questo ruolo -diciamo duplice- del parco.
Il che rende ancor più contraddittorio, e per taluni aspetti persino inspiegabile, che i parchi non figurino invece in nessun provvedimento o documento importante e significativo della comunità, se si fa eccezione appunto dei siti. Una carenza e un ritardo pesante e grave dalle conseguenze negative sia perché fa mancare agli stati membri il sostegno sempre più necessario di finalità e obiettivi volti ad ‘armonizzare” le politiche nazionali, sia perché priva la comunità del sostegno prezioso e qualificato di una realtà che ha in se, nel suo DNA, quei connotati e caratteri di integrazione che come abbiamo visto risultano fortemente carenti nelle politiche dell’unione. Insomma nessuno ci guadagna tutti ci rimettono. Ecco perché abbiamo deciso di affrontare la questione sulla base di un documento organico rivolto a tutti i soggetti interessati sia nella dimensione nazionale che in quella comunitaria.
D’altra parte come abbiamo potuto vedere nel corso del dibattito di questi mesi sulla nuova costituzione europea le questioni ambientali non sono affatto pacifiche e scontate per tutti se è vero che da più parti si è tornati a proporre persino di escludere qualsiasi accenno nella nuova costituzione alle politiche sostenibili.
Ma accanto a queste posizioni smaccatamente e apertamente ostili ve ne sono altre assai meno rozze e clamorose che non vedono comunque di buon occhio che la comunità metta becco in certe faccende.
Nel corso di questi ultimi anni in varie sedi mi è capitato - parlando di queste questioni- di sentirmi dire che i siti vanno bene ma per il resto è meglio lasciar perdere perché si toccano gangli troppo delicati riguardanti il governo del territorio e in sede comunitaria questo non è assolutamente gradito e ben visto. Non saprei dire quanto queste affermazioni trovano riscontro effettivo in sede comunitaria, di sicuro c’è che finora i parchi sono stati ignorati. Senza perciò addentrarci in ipotesi che potrebbero risultare poco più che un processo alle intenzioni, va detto che i ‘silenzi’ della comunità sul tema parchi non possono essere casuali.
E se non sono casuali o mere dimenticanze (e sarebbe ugualmente grave) è giusto che la cosa sia finalmente affrontata e risolta. Questo siamo andati proponendo e sostenendo in questi mesi non senza qualche primo non trascurabile risultato se non altro per essere riusciti a far iscrivere il tema dei parchi tra i problemi da discutere e approfondire.
Iscrizione che per noi non significa in alcun modo ‘rimettere’ alla sede sovranazionale compiti e responsabilità che debbono rimanere nazionali e quindi affidati alla titolarità non solo degli stati ma anche, in ragione della ‘sussidiarietà’, delle regioni e delle altre istituzioni decentrale e locali. Armonizzare in questo campo significa innanzitutto mettere a punto finalità e obiettivi come del resto si è fatto già con i siti, ma anche per settori fortemente connessi ai parchi; il paesaggio, la ruralità, la politica integrata delle coste.
Una volta fissate queste finalità, questi obiettivi che peraltro sono già ampiamente e validamente delineati in moltissime leggi nazionali e regionali, si tratterà di assicurare il massimo sostegno comunitario, con incentivi vari anche di carattere finanziario perché possano essere realizzati. L’armonizzazione non si impernia su nuove e inaccettabili gerarchie magari poco trasparenti bensì su una comune volontà e cooperazione capace di mettere in giusto rapporto le dimensioni locali con quelle superiori fino a quelle comunitarie.
Si tratta in sostanza, per riprendere le definizioni in discussione, di perseguire principi condivisi con una modulazione di strumenti anche normativi che contemperino le responsabilità e titolarità sovranazionali con quelle nazionali e locali. Quel che non può assolutamente restare com’è oggi è che i parchi siano tagliati ‘fuori’ dalle politiche europee.
Ciò li danneggerebbe ma non ne guadagnerebbe neppure l’Europa. È pur vero e noi l’abbiamo documentato che i parchi nonostante questa esclusione sono riusciti in questi anni ad avvalersi di programmi comunitari con risultati notevoli che gli fanno onore che confermano le potenzialità del loro ruolo.
Ma tutto questo è stato fatto attingendo a finanziamenti e avvalendosi di opportunità che non riguardavano direttamente ed espressamente i parchi diversamente invece da quanto generalmente è previsto dalle leggi nazionali e regionali.
Per tutte queste ragioni abbiamo ritenuto fosse necessario preparare un ‘Libro verde’ con il quale documentare la realtà dei parchi europei, i progressi compiuti, i risultati conseguiti e i problemi aperti. Un libro che come già in questi anni più volte è stato fatto per altri settori e comparti mettesse gli organi comunitari nelle condizioni di decidere con piena cognizione di causa, con conoscenze di prima mano.
Solo se si è ben informati sui fatti si può valutare correttamente le esigenze di una realtà che non può rimanere confinata ai margini della nuova Europa.
A chi temesse o obiettasse che è impresa sicuramente difficile ricondurre ad unità situazioni ed esperienze tanto diverse anche tra paesi vicini e affini sotto molti profili non risponderemo certo che non è vero.
Dobbiamo dire però che, diversamente da quanti molti ritengono forse perché non molto informati, che la realtà europea ad un esame accurato delle varie esperienze e normative presenta accanto a innegabili e fin troppo ovvie differenze anche affinità e convergenze inaspettate. Non sono distanti, ad esempio, anche tra paesi con assetti istituzionali e amministrativi assai differenti, le finalità dei parchi nazionali e regionali.
In quasi tutti i paesi europei in un modo o in altro, sanzionato o meno dalle norme, le istituzioni centrali e decentrate cooperano in forme comunque volte a coinvolgere le popolazioni.
È comune alla stragrande maggioranza dei paesi europei il riconoscimento di un ruolo in qualche nodo ‘speciale’ delle aree protette rispetto alle istituzioni e gestioni ordinarie.
Ovunque le aree protette sono titolari di strumenti di pianificazione e gestione distinti da quelli ordinari degli altri soggetti istituzionali. Non siamo certo in presenza di una realtà uniforme (ma in quale settore lo è?) ma affini sono gran parte dei compiti fondamentali che fanno del parco uno strumento in qualche modo ‘speciale’.
Non si vede perciò perché sia possibile usare una moneta unica e non raccordare realtà ed esperienze che sovente scaturiscono da un comune percorso culturale.

Osservatorio Istituzionale di Renzo Moschini