Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 41 - FEBBRAIO 2004

 



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UN FORUM DI “PARCHI” CON I PRESIDENTI DEL DECENNALE

Nei primi mesi del 1994, con la nomina da parte del Ministro dell’Ambiente Edo Ronchi dei Presidenti dei Parchi delle Foreste Casentinesi, dei Monti Sibillini, della Val Grande e delle Dolomiti Bellunesi, prendeva concretamente avvio la fase di costruzione dei parchi nazionali concepiti dalla legge 394, approvata dal Parlamento due anni prima. Superata, per quei quattro parchi, la non brevissima fase (ma per altri parchi sarebbe durata assai più a lungo) delle discussioni sui confini e sulle salvaguardie, si partiva. Ai presidenti spettava una responsabilità grandissima, poiché la legge attribuiva loro ampi poteri, facendone una figura ben diversa da quella, pressoché onorifica, dei presidenti dei parchi nazionali “storici”. Ma ad ampi poteri non corrispondevano certo grandi strumenti e ampie possibilità da azione. La scelta cadde comunque su persone dei territori interessati, che al processo di istituzione dei rispettivi parchi avevano dato un contributo considerevole. A quelle persone, che affrontarono per prime, con coraggio e dedizione, un percorso che in pochi anni ha portato molto lontano i parchi loro e quelli italiani, la rivista ha voluto chiedere una testimonianza che, come si vedrà, è in realtà un confronto utile a comprendere il presente delle nostre più grandi aree protette e a immaginarne il futuro. In verità, come è noto, il presidente del 1994 del Parco delle Dolomiti Bellunesi fu Cesare Lasen, che mise le basi di un successo al quale Valter Bonan ha aggiunto tra l’altro, una volta raccoltone il testimone, l’esperienza di anni di amministrazione locale. Il mandato di Franca Olmi, di Carlo Alberto Graziani, di Enzo Valbonesi, è giunto al termine e non può essere rinnovato. Approfittiamo dunque per ringraziarli, insieme a Cesare Lasen, per il contributo che hanno dato ad una vicenda appassionante per loro e per noi, ma soprattutto ricchissima per il Paese. Il mandato di Bonan potrebbe invece essere rinnovato per un altro quinquennio. Ci auguriamo che chi deve decidere sfrutti questa possibilità.
I quattro Parchi nazionali che compiono dieci anni e la data del provvedimento istitutivo:
Parco delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna (12-7-93)
Parco dei Monti Sibillini (6-8-93)
Parco della Val Grande (23-11-93)
Parco delle Dolomiti Bellunesi (12-7-93)

Guzzini
1) I vostri parchi hanno compiuto nelle scorse settimane i dieci anni di vita. Sono i quattro parchi che la legge quadro e gli adempimenti successivi hanno consentito di avviare per primi. C’è stato in quel primo periodo, in voi e nei vostri Enti, la consapevolezza di avere un ruolo da protagonisti in una fase che ha cambiato profondamente il modo di fare tutela nel nostro Paese?

Valbonesi
La percezione che i parchi giocassero, sulla base della nuova legge, un ruolo di punta, era senz’altro presente. Soprattutto perché venivamo da anni di disinteresse dello Stato in materia. Ma fu un ruolo impossibile da coltivare oltre una certa misura, poiché il lavoro di avvio della gestione, di costituzione dell’Ente era prioritario e vitale. La definizione dei suoi primi atti, dei suoi primi rapporti con le comunità e gli Enti locali, assorbiva totalmente e personalmente, per quanto avessi la consapevolezza di essere parte di un importante processo generale, devo riconoscere che non ci fu molto tempo per contribuire alla diffusione oltre i nostri confini del significato di quella grande novità che era “l’operazione parchi”.
Fu prioritario e assorbente, insomma, dare vita al Parco come struttura e come politica e legittimarlo nella realtà locale.

Olmi
In realtà siamo stati, perché non dirlo, dei pionieri, sorretti soprattutto dal nostro entusiasmo e dalla nostra passione.
Non avevamo dipendenti né strutture, dovemmo quindi sopperire lavorando in prima persona, correndo per non deludere le aspettative delle popolazioni che giustamente chiedevano risultati in tempi brevi.
Mi sento di dire che abbiamo fatto miracoli. Perché non solo abbiamo costruito una struttura dal nulla, ma siamo riusciti a fare in modo che l’idea del parco fosse accettata dalle comunità locali, divenisse anzi un loro patrimonio.

Graziani
Sono stato sempre convinto – a volte con maggior penetrazione razionale, a volte in modo più istintivo - dalla novità e dall’importanza della costruzione del parco; del valore delle idee che il parco rappresentava. Ciò prima della legge, ciò soprattutto durante questa esperienza che è stata straordinaria sul piano personale. È una convinzione che permane tuttora, nonostante tutte le difficoltà : nella sua “utopia”, il parco ha un carattere davvero dirompente. Al di là dei risultati (di cui parleremo più avanti) è stato fondamentale che ci fosse questa percezione del contributo dato ad una cosa assolutamente nuova nel panorama delle istituzioni e dei rapporti tra le istituzioni e i cittadini. Ha ragione Valbonesi nel ricordare che questa percezione non si è tradotta pienamente in azione politica generale.
Se ciò ha costituito forse un elemento di debolezza per i parchi credo però che non abbia indebolito la nostra carica, che è di entusiasmo e razionale allo stesso tempo.

Bonan
Si, sono profondamente convinto che in molti parchi si siano attivate esperienze e politiche tra le più innovative nella gestione e pianificazione territoriale del nostro Paese.
La “modernità” delle visioni culturali e strategiche dei parchi si sta imponendo sulla generale difficoltà di dare risposte credibili alle contraddizioni della globalizzazione economica e dell’omologazione sociale e degli stili di vita. Un progetto locale che si fonda sulla conservazione e valorizzazione delle divesità bioculturali, sulla qualità dell’abitare e delle relazioni di vicinato, sulla coesione sociale che è la nuova frontiera propositiva e valoriale per territori considerati solo superficialmente marginali e perdenti.

Guzzini
2) Durante questa attività di frontiera, che vi portava ad affrontare sempre momenti di novità, anche nella comunicazione, avete avuto le prove dello spostamento - dello “scongelamento” - di antichi assetti sociali? Avete avvertito che le storiche chiusure “di villaggio” venivano gradualmente a confrontarsi con una realtà nuova chiamata parco?

Olmi
Abbiamo fatto della strategia della comunicazione - in senso lato: dal rapporto interpersonale al coinvolgimento di scuole ed associazioni, all’informazione costante e sistematica - una scelta prioritaria. In particolare il nostro messaggio teso a far rivivere l’ambiente della civiltà alpina, per creare i presupposti della strategia dell’accoglienza al turista, è stato compreso soprattutto dalle donne dei Comuni del Parco. Gli antichi mestieri, i vestiti della tradizione, le ricette dei piatti tipici “ereditate dalla nonna”, hanno creato tra le donne dei Comuni del Parco, al di là delle chiusure storiche di villaggio e dei municipalismi, un clima d’intesa: si sono “sentite Parco” ed hanno creato un cammino insieme, istituendo il gruppo “Le Donne del Parco”.

Bonan
Condivido queste difficoltà citate da Valbonesi. Anche da noi inizialmente si è creata un’artificiosa frattura generazionale nel rapporto con il Parco. Ritengo che ciò sia dipeso da un’iniziale enfasi tecnico scientifica delle nostre finalità istituzionali poco attenta agli aspetti sociali, antropologici, ai bisogni identitari delle nostre comunità.
Successivamente abbiamo imparato anche ad ascoltare,a dare parola a chi spesso non ce l’ha, a valorizzare proprio quelle competenze, equelle produzioni, quei saperi, talvolta nascosti, che sono il valore aggiunto, il genius loci di un territorio. Da qui i nostri progetti sulle biodiversità coltivate, sulle malghe modello, sull’ospitalità familiare rurale, iniziative dove giovani ed anziani sono stati insieme protagonisti ed artefici.

Valbonesi
Gli antichi modi di essere delle realtà locali si sono effettivamente mossi. Attraverso l’azione del parco si è cominciato a guardare oltre il proprio stretto specifico di frazione o di comune e a riconoscersi in un territorio più ampio. Ma attenzione: è un fenomeno che ha coinvolto soprattutto gli amministratori e le forze più giovani e più colte, quelle più attente ai processi generali e che dunque hanno saputo cogliere la novità di un soggetto che li poteva proiettare, pur valorizzando una specifica identità, su uno scenario regionale o addirittura nazionale. I più anziani, i meno colti, hanno conservato diffidenza e sono rimasti quasi impauriti, in particolare in montagna, dove il legame anche fisico con la terra è più forte.

Graziani
Ritengo che il problema non sta tanto nella capacità di certi soggetti, soprattutto i più anziani, di riconoscersi nel parco, quanto nella possibilità concreta di conservare e di trasmettere ai giovani questi saperi di cui sono detentori. Quella della trasmissione è una delle sfide maggiori che hanno i parchi. C’è il rischio che diventi impossibile realizzarla. La contrastano fortemente condizioni oggettive, scelte politiche che non dipendono da noi e che rendono molto problematico intravedere un futuro per i giovani che abbracciano queste attività tradizionali. Che futuro li attende? Come rispondere ad una loro propensione che pure si sta manifestando?

Guzzini
3) Stiamo parlando da qualche minuto di una esperienza viva e assorbente di conservazione eppure non abbiamo ancora parlato di natura. Converrete che una discussione sui parchi, dieci anni fa, sarebbe partita senz’altro da lì, dai camosci e dagli stambecchi, dalle cifre sulle popolazioni animali e vegetali, ad esempio. Stiamo facendo un errore? Di che parchi stiamo parlando?

Graziani
Stiamo parlando dei parchi che vuole la legge, cioè di quelli che stiamo costruendo noi. Siamo ormai tutti convinti che il parco a cui faceva riferimento Bonan è poi quello che consente la crescita delle popolazioni di camosci. Sono le azioni su cui abbiamo discusso fino ad ora che creano le condizioni che fanno vivere bene gli stambecchi o le aquile. Stamani, uscendo per venire qui ho visto una coppia di aquile: ciò significa che il territorio sta bene.

Valbonesi
Se spesso non mettiamo l’accento sugli aspetti naturalistici è perché siamo calati in una realtà in costruzione – come vuole la legge del resto – di rapporti “sociali”, con le popolazioni e le loro istanze. Mi rendo conto che esiste uno stacco tra questa concezione, propria di noi amministratori e di coloro che nel parco vivono, e la percezione che hanno coloro che stanno fuori dal parco e che lo considerano, in base ad un messaggio prevalente, esclusivamente un luogo “di natura”.
Tra le due immagini è necessario trovare un equilibrio.
Ora forse, nel momento in cui le sollecitazioni che ci vengono dal mondo della politica sono soprattutto rivolte al versante economico, c’è bisogno da recuperare i valori originari, perché le gerarchie tra natura e sviluppo non vengano ribaltate. Gerarchie non ce ne devono essere. Lo dico agli amministratori che verranno io che non ho una formazione di tipo naturalistico, ma proprio una storia di amministratore.

Bonan
La sostenibilità è ambientale, sociale ed economica o non è. Per dirla in sintesi: non esiste ecologia senza equità sociale e viceversa. La vera sfida è quindi quella di integrare le priorità ambientali nelle scelte di pianificazione e gestione territoriali e di evidenziare la verità dei costi del modello di sviluppo oggi prevalente. Servono perciò percorsi trasparenti e partecipati, indicatori riconoscibili e condivisi, ricerca e formazione.

Valbonesi
Così come noi abbiamo riequilibrato a favore della funzione socio-economica dei parchi oggi si sente l’esigenza di riequilibrare nell’altro senso, richiamando l’attenzione sugli aspetti più strettamente ambientali.

Olmi
È vero! L’idea di Parco è cambiata: oggi è strettamente connessa al binomio “uomo-natura”. I Parchi offrono beni ambientali, ma anche culturali, dovuti alla presenza dell’uomo. A mio parere, non è un errore.
È un arricchimento. È chiaro che non può e non deve essere trascurata la ricerca scientifica legata alla fauna, alla flora e a tutto quello che riguarda la natura, che rimane la ricchezza primaria dei Parchi e, pertanto, deve essere adeguatamente valorizzata.

Guzzini
4) Ho bisogno a questo punto di verificare un’impressione. Credevo che l’Europa fosse il luogo delle maggiori difficoltà per la sperimentazione di uno sviluppo compatibile e sostenibile e che i parchi fossero gli incubatoi di una risposta a grandi questioni ambientali quali la protezione delle coste, l’uso dell’energia, la costruzione della rete ecologica e così via. Bene, l’impressione è che questi potenti mezzi che sono i parchi stiano ripiegando sui paesaggi e i prodotti di nicchia. A volte lontani persino dal controllo della loro biodiversità. È un’impressione fondata?

Graziani
Condivido l’impressione che si stia manifestando un rischio: che il parco diventi un prodotto, accompagnato da messaggi puramente formali, senza contenuto. Di qui il valore ancora maggiore del nostro lavoro, che non è vuota forma o sola comunicazione – certo, facciamo anche comunicazione, per quanto spesso non adeguata – ma sostanza e fatica. Guzzini ha citato i prodotti tipici o di nicchia. Il pericolo è che siano solo immagine, se alla loro promozione non si accompagna il sostegno vero alla conservazione e alla trasmissione di saperi alle nuove generazioni.

Bonan
I rischi di deriva dai parchi ai “lunapark” ci sono così come sussiste il pericolo inverso di fungere da tranquillizzante foglia di fico a politiche territoriali oppressive. È necessario quindi uscire dai nostri singoli confini, consolidando le politiche di sistema, connettere le reti affini, definire dal basso fondamentali strumenti programamtici quali la Carta della Natura, il piano delle Biodiversità e le strategie per la Tutela del Paesaggio.

Olmi
Il problema esiste. Noi però ben sappiamo che i parchi sono destinati a diventare i nodi della Rete Ecologica nazionale e come tali punto di riferimento dello “sviluppo compatibile” per l’intero territorio nazionale, punto di forza per esercitare, nell’era del progresso tecnologico, in parte incontrollato, la protezione della natura e della salute dell’uomo. Come presidenti dei nuovi parchi ci siamo mossi fin dall’inizio in quest’ottica, ma l’argomento avrebbe richiesto di per se stesso molto più tempo ed impegno di quanto gli potessimo dedicare. Non dimentichiamo che i nuovi Parchi, per nascere e per crescere, hanno dovuto affrontare un cammino amministrativo così difficile, così pieno di emergenze e contraddizioni che non ci ha permesso di dedicare a questa finalità il tempo e l’impegno che il problema richiedeva. Oggi che i Parchi sono consolidati, io penso che a questo tema si debba dedicare il massimo impegno.

Valbonesi
Siamo ad un nodo di fondo, che investe la funzione strategica dei parchi. Anche tra coloro che i parchi hanno voluto si potevano incontrare due modi di concepire lo strumento.
Una che si potrebbe definire “minimalista”, secondo la quale l’obiettivo consisteva in una buona gestione del territorio tutelato, con un accettabile mix di conservazione e gestione e l’eventuale esportazione delle buone esperienze in altri ambiti. L’altra, dall’orizzonte un poco più ampio, che vedeva i parchi come punte avanzate di una nuova stagione di politiche territoriali orientate alla sostenibilità. La verità è che questa seconda linea, alla quale dal di dentro dei parchi in questo decennio abbiamo guardato con favore, dipende assai poco da chi gestisce e moltissimo dalle politiche di scala nazionale e regionale. Non vi dobbiamo rinunciare, perché di una efficace politica nazionale di gestione del territorio che riconosca un grande ruolo ai parchi c’è bisogno e perché senza di essa i parchi diventano un fattore ordinario e per di più isolato e con scarse motivazioni.

Graziani
È vero quel che dice Valbonesi sulla necessità che i parchi divengano un elemento di una politica nazionale complessiva. E tuttavia nutro delle perplessità. Mi chiedo cioè: e quando questa politica non c’è (tutto fa vedere che non c’è e non ci sarà) che succede? Dobbiamo pensare che l’idea di parco, il parco in quanto tale, non abbia in sé la forza per rappresentare comunque un esempio, un laboratorio? Non possiamo rimandare tutto al compito degli altri, delle altre istituzioni.

Valbonesi
Penso però agli amministratori che verranno. Quali motivazioni potranno trovare, al di fuori di una strategia ampia condivisa? Noi avevamo dalla nostra la novità e un disegno nazionale istitutivo. Ora che quel periodo è concluso, senza la spinta della fase pionieristica e senza un disegno ulteriore che ti guidi anche sul piano culturale, il rischio è che venga meno il vigore necessario.

Graziani
Abbiamo ottenuto risultati concreti ed esemplari anche in questa situazione che non è stata ideale e dobbiamo continuare anche se la situazione è difficile. Sarà ancora più difficile ma la fase pionieristica deve continuare. Noi che stiamo concludendo un ciclo questo dovremmo riuscire a trasmettere, anche attraverso la Federparchi: che per le aree protette la fase pionieristica non è mai conclusa.

Guzzini
5) Messaggi da trasmettere, disegni nazionali e politiche da costruire ci portano inevitabilmente a parlare della Federparchi. Ognuno di voi ha sentito il bisogno di agire in rete e dato il proprio contributo alla costruzione dell’associazione, rispondendo così ad una evidente necessità.
Ciò che vorrei chiedervi è un giudizio sul ruolo che l’associazione ha avuto per voi e, in generale, per i parchi.

Bonan
La coesione che Federparchi ha creato tra di noi e tra i parchi è stata fondamentale. Così come è stata essenziale la sua dimensione solidale e collaborativa, con l’attribuzione di una pari dignità di rappresentanza alle diverse componenti delle aree protette, parchi nazionali e regionali, riserve terrestri e marine. Componenti che avrebbero altrimenti rischiato di essere competitive. Importantissima anche la strada degli accordi strategici, indirizzati ad obiettivi propri dei parchi, con molte istituzioni e associazioni.
Credo che ora Federparchi debba proporsi di lavorare per costruire legami tra le aree protette anche “dal basso”. Vedo infatti, oltre i giusti e buoni legami interpersonali e tra gruppi dirigenti, un ritardo nel favorire scambi ai diversi livelli, ad esempio tra le comunità residenti, che hanno condizioni, storie e culture diverse ma molta curiosità reciproca. Una coesione anche a questo livello sarebbe straordinaria. L’altro elemento su cui puntare è l’allargamento dell’interlocuzione interministeriale, superando gli angusti confini dellapolitica settoriale.

Olmi
Fin dal 1995 la Federparchi ha costituito per i nuovi parchi nazionali un importante tavolo di incontro, confronto e collaborazione. L’aiuto dell’associazione fu, in quel periodo, vitale per superare la difficile fase di avvio e l’altrettanto difficile fase di decollo. Di questo ringrazio i due presidenti che si sono succeduti: Bino Li Calsi ed Enzo Valbonesi.
Altrettanto importante ritengo sia oggi il compito della Federparchi, soprattutto per favorire l’attuazione della Rete Ecologica nazionale di cui, come ho precedentemente detto, i parchi sono punti nevralgici.

Graziani
La cosa straordinaria di questi dieci anni di Federparchi (non ho conosciuto direttamente la fase precedente, quella del Coordinamento) è stata la capacità dei suoi membri di ragionare, su temi innovativi e di grande portata, mantenendosi sulla stessa “lunghezza d’onda”. Il parlarsi e comprendersi è servito moltissimo, tanto alle persone che ai parchi.
Da quella capacità, e dalla svolta impressa da Valbonesi, è derivata la forza che ha fatto dell’associazione il vero interlocutore per tutti, al di là dei riconoscimenti formali di cui per altro non c’è bisogno. Il timore è che dentro l’associazione si possa in futuro perdere questa identificazione su elementi vitali. Federparchi ha fatto qualcosa per i singoli parchi? Probabilmente in concreto pochissimo, ma in realtà tutto, perché nel nostro lavoro di ogni giorno noi sapevamo di non essere soli.

Valbonesi
Degli elementi positivi che hanno caratterizzato il ruolo della Federparchi – la coesione, la capacità di fare “massa critica”, l’elaborazione collegiale, lo scambio di esperienze – quello che segnalo come determinante per me è stata la capacità di farti sentire parte di un insieme da costruire e affermare. La logica del “sistema”, che dà un orizzonte alla missione e impedisce la chiusura localistica. Per dare il meglio di sé stimoli simili sono indispensabili. Dobbiamo essere fieri di questa natura dell’associazione che non ha uguali in altri paesi e che con lucidità abbiamo difeso così – unitaria e rappresentativa di tutti i tipi di area protetta - quanto ci sono state lusinghe (nei confronti dei parchi nazionali) o tendenze e manovre centrifughe.
Ciò ha consentito di affermare, almeno sul piano culturale (e vorrei ricordare in proposito i contributi di Bino Li Calsi e Renzo Moschini) se non su quello del governo, l’idea del sistema nazionale. Attraverso Federparchi i parchi si sono autorappresentati come sistema, ponendo così le premesse perché in futuro la politica costruisca veramente il sistema.

Guzzini
6) Vorremmo sapere a questo punto, da ciascuno di voi, quale “tesoro” di questa lunga vicenda sarà più gelosamente conservato nel piccolo scrigno dei ricordi e delle soddisfazioni. Magari con qualche aneddoto significativo che possa rendere partecipi dell’esperienza noi e i nostri lettori.

Olmi
Un Sindaco del parco mi ha proposto per il conferimento della cittadinanza onoraria del suo Comune. È un fatto significativo, di cui sono molto contenta. Ma di avvenimenti soddisfacenti e di cui serberò il ricordo ce ne sono altri. Come la dedica del parco ad una Madonna Miracolosa del 1494, venerata dagli alpigiani per cinque secoli; o la creazione di un foltissimo gruppo di “Donne del Parco” in costume della tradizione, gruppo che costituisce un legame forte con le comunità locali, la loro storia e la loro cultura.

Valbonesi
Certo l’occasione che ho avuto di poter guidare la Federparchi è stata un fattore di enorme interesse e di crescita personale, tanto sul piano umano che su quello culturale e tecnico. Ma anche dal mio parco ho ricavato grande soddisfazione. Lascio un ente che è molto cresciuto, una struttura adeguata. Devo confessare di provare quasi nostalgia per le tante difficoltà attraversate (ad esempio a metà degli anni ’90, quando qualcuno si propose di costruire un’associazione filoministeriale, di soli parchi nazionali, antagonista della Federparchi) di fronte ai problemi acuti che hanno i parchi oggi. Allora c’era dibattito e competizione, ma rispetto ad un tema vivo. Oggi - non credo di essere affetto dalla “sindrome dell’abbandono”, dal momento che resterò in questo mondo – vedo il mondo nostro finire, e non per sua colpa, in un cono d’ombra, dal quale fa molta più fatica ad affermare la missione di cambiamento che gli è propria poiché non gli viene riconosciuta da una “sponda” nazionale.

Bonan
Io porto con me la ricchissima esperienza di un lavoro quotidiano collettivo, caratterizzato da una partecipazione diffusa e crescente, dallo svolgersi di un processo culturale di una comunità attorno a temi complessi che ha fatto sì che il parco “non luogo” cominciasse ad essere “luogo” di nuove speranze, di concreti cambiamenti. Mi porto insomma l’orgoglio di aver visto una sfida così alta diventare un vero progetto locale. Più in concreto conserverò la soddisfazione del parco che ha avuto per primo in Italia i Piani in vigore e, primo in Europa, la certificazione di qualità ambientale e organizzativa integrate.

Graziani
Ho particolarmente cari due aspetti. Il primo è l’aver constatato - nel mio parco, con il tentativo, a volte anche riuscito, delle “Case del Parco”, e ovunque - come i parchi siano divenuti punto di riferimento ideale per tanti giovani. Quella del rapporto con le nuove generazioni è una delle sfide che va assolutamente vinta, per dare un futuro alla missione dei parchi. Il secondo elemento è l’esperienza condotta sul tema della disabilità, che mi ha convinto che si possa aprire per i parchi, e attraverso i parchi, un percorso di grandissima civiltà. Infine un aneddoto che riguarda il rapporto con i cacciatori, questione sulla quale abbiamo lavorato tantissimo per l’abbattimento selettivo dei cinghiali.
Non sto a raccontare l’infinità di tempo e di discussioni dedicati al problema. Durante una delle tante riunioni, un importante rappresentante di una importante associazione venatoria tagliò corto proponendo la “semplice” reintroduzione delle battute di caccia. Ebbene, a quel punto un cacciatore, rappresentante degli operatori di selezione reagì, chiedendo “allora, per cosa l’abbiamo fatto il parco?”. È stato il segno che quella che ho definita “utopia” aveva fatto breccia anche lì.

Guzzini
7) E infine una domanda sulla strumentazione attuale e futura a disposizione dei parchi. Nessuno meglio di voi, che siete stati primi ad attuare la 394, può dare un giudizio sull’efficacia della legislazione, sugli orientamenti per una sua revisione e su un’utile strada da seguire per migliorarla, allo scopo di rendere il lavoro più semplice a coloro che verranno.

Bonan
Da un punto di vista strategico la 394 è stata e continua ad essere una legge equilibrata e innovativa, anche se è stata depotenziata in alcuni aspetti importanti, di programmazione e operativi, ad esempio con l’abolizione del Piano Triennale. È difficile comprendere a questo punto quale sia la direzione di marcia che si intende prendere per la revisione, perché non ci sono proposte certe. Andranno certamente tenute in conto le modificazioni in chiave federalista intervenute sul piano istituzionale generale. La 394 potrebbe essere allora migliorata attraverso l’affermazione della piena autonomia gestionale degli enti parco, con uno spazio garantito per la revisione degli statuti e il riconoscimento delle specificità territoriali e delle concrete necessità organizzative dei parchi, che sono molto differenziate. Insomma, più che modifiche strutturali, sono auspicabili arricchimenti che puntino alla concertazione e alla integrazione delle politiche settoriali e alla attuazione concreta della previsione di priorità per gli investimenti nelle aree protette.

Olmi
La 394 ha avuto il grande merito di aver dato l’avvio alla istituzione delle nuove aree protette nazionali e di aver stabilito la loro finalità. Essa presentava senza dubbio interessanti aspetti innovativi, ma è stata di difficile attuazione, forse perché affidata a mani non sufficientemente esperte in quanto gli Enti Parco sono nati, e rimasti a lungo, senza personale e senza strutture e, successivamente, si sono dotati, tramite i concorsi, di dipendenti spesso di prima nomina. Perplessità inoltre suscitano la dipendenza funzionale del Corpo di sorveglianza, la nomina ministeriale del direttore del parco, il complesso iter burocratico degli strumenti di pianificazione, la non chiara autonomia dell’Ente. Io ritengo che questi problemi dovrebbero essere verificati.

Valbonesi
Non vorrei mettere troppa enfasi sull’aspetto tecnico-legislativo. Le leggi sono strumenti preordinati all’attuazione di politiche e alla risoluzione di problemi: ciò che conta moltissimo è la loro applicazione, sono le politiche – istituzionali, finanziarie - e i programmi che ne derivano. Ciò premesso non si può non vedere come la 394 si sia dimostrata una legge versatile, in grado cioè di adattarsi all’evoluzione del concetto e del ruolo del parco. L’opportuno aggiustamento introdotto con la 426 del ’98 ha contribuito a conferirle questa duttilità. I problemi irrisolti che i parchi hanno davanti – quelli delle risorse gestionali, della necessità di programmi di sistema, del finanziamento degli investimenti, della cooperazione interistituzionale – non dipendono in nessun caso da limiti dalla legge. Una innovazione legislativa dovrebbe perciò puntare ad affrontare altri temi, venuti a maturazione recentemente, e prioritariamente quello della rappresentatività ai problemi del mondo rurale. Non è solo questione di rappresentanza negli organismi (basterebbe per questo che il Ministro, invece di nominare esponenti del CFS nominasse membri delle associazioni agricole) ma di assunzione, dentro i processi decisionali e soprattutto pianificatorie, delle istanze del mondo rurale. Ma, ribadisco, la questione è quella delle politiche concrete.
Graziani
Il giudizio sulla legislazione non può che essere positivo. Basta guardare ai risultati che ha dato, ai parchi che sono nati e che funzionano, per rendersene conto. Alcuni elementi sono poi molto importanti: penso alla natura dell’ente parco come ente misto, in cui siedono le diverse rappresentanze, e al soggetto del tutto originale - e secondo la mia esperienza utilissimo - costituito dalla Comunità del parco. Si pone, è vero, il problema della rappresentanza dei portatori di interesse. Sono d’accordo con Valbonesi (anche alla luce dell’esperienza fatta dalle associazioni ambientaliste, che hanno in pratica finito per depotenziare la propria funzione politica affidandola ai rappresentanti negli organismi) che la soluzione non è la presenza nei Consigli. Occorre trovare altre strade per dare prospettiva all’agricoltura…
Valbonesi
Per esempio con una concertazione specifica con il mondo rurale, prevista per legge, nella preparazione dei Piani?

Graziani
… con innovazioni anche di questo genere, o con Piani specifici per l’agricoltura nei parchi, anche se tutta l’esperienza della pianificazione in agricoltura non ha dato buoni frutti. Infine rimane una questione di fondo irrisolta: quella della mancanza di autonomia. L’applicazione dell’attuale normativa, che non è specifica, crea troppe difficoltà e pastoie da cui è necessario che i parchi, come è stato fatto ad esempio per le Università, vengano al più presto liberati.