Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 41 - FEBBRAIO 2004


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LE INFRASTRUTTURE PER GLI SPORT INVERNALI NELLE AREE PROTETTE

Problematiche ecologiche, paesistico-ambientali e territoriali

La maggior parte delle aree protette italiane ricade in zona montana (89%), solo il 3% in zona collinare ed il rimanente 8% in prossimità delle coste. Il trend economico di queste aree marginali di montagna (interessate dai parchi), un tempo saldamente ancorato alle produzioni agro-silvo-pastorali, è in fase di generale e inarrestabile declino; l’obiettivo di riorientare l’imprenditoria locale verso lo sviluppo turistico è spesso diventato un concreto programma di azioni in campi d’intervento diversi.
Parlare di turismo nelle aree protette ha quasi sempre sottinteso, soprattutto negli anni più recenti, un’attenzione verso forme di fruizione leggere, volte a valorizzare la natura e le culture locali ed a favorire la diffusione di strutture e spazi in cui le finalità didattiche si frappongono a quelle ricreative. Nel contempo, non si può trascurare che in molte aree di montagna, dove sono stati istituiti (soprattutto nell’ultimo ventennio) parchi nazionali e regionali, erano già preesistenti bacini sciistici con attrezzature (funivie, seggiovie, cabinovie e sciovie) soggette a continua manutenzione e ad interventi di potenziamento, e che eventi speciali (es.: le Olimpiadi Invernali del 2006 a Torino o i Campionati del Mondo del 2005 in Valtellina) molto spesso prefigurano scenari di “miglioramento” o formazione di nuove località sciistiche in aree di alto pregio ambientale e comunque ad alta sensibilità.
Nella seconda metà dell'Ottocento, le stazioni turistiche di montagna non si configuravano come località sciistiche, si sviluppavano per lo più attorno alla pratica delle cure termali ed alla contemplazione delle alte vette, e l'arco alpino era la meta preferita di pittori, scrittori e naturalisti e poi di alpinisti, scalatori ed esploratori. Questi primi centri (Madonna di Campiglio, Cortina d'Ampezzo, Courmayeur...) venivano sfruttati, sia nella stagione estiva che in quella invernale, con insediamenti turistico-alberghieri lussuosi ma concentrati nel cuore del nucleo abitato. Anche quando venne ad introdursi la pratica dello sci alpino come un'evoluzione dello sci nordico (in Italia, per la prima volta nel 1897, da un gruppo di torinesi che si cimentarono sulle montagne di Bardonecchia, e poi in modo più diffuso con la prima guerra mondiale), lo scarso apporto di mezzi motorizzati per la risalita ne fece un'attività i cui effetti sull'ambiente naturale erano relativamente modesti e trascurabili.
Successivamente (nella metà del XX secolo), con gli sviluppi della motorizzazione, la nascita delle prime forme di impianti per la risalita e la diffusione dell'edilizia turistico-residenziale (alberghi e seconde case) a supporto di una pratica sportiva ormai divenuta di massa, gli impatti diventano più consistenti.
Si delineano almeno due differenti tipologie di strutturazione dei bacini sciistici: quella alpina (caratterizzata da insediamenti per la ricettività alberghiera ed extralberghiera nel fondovalle ed impianti di arroccamento per il raggiungimento delle piste) e quella appenninica (con insediamenti in prossimità delle piste, raggiungibili attraverso strade carrabili). Le due modalità di organizzazione delle stazioni per gli sport invernali si riscontrano anche in numerose aree protette e interferiscono diversamente con l'ambiente naturale circostante. In generale, possono essere svolte alcune considerazioni riguardo l’orientamento e il controllo degli effetti diretti e indiretti originati da bacini sciistici (impianti di risalita ed attrezzature per la ricettività) ubicati in aree particolarmente sensibili:
1. le emanazioni legislative vigenti, relative alla formazione di stazioni sciistiche, riguardano esclusivamente l’esercizio (D.M. n. 1533 del 05/06/1533) e le tecniche, competenze e modalità di costruzione degli impianti di risalita veri e propri, quali funicolari aeree (D.P.R. n. 1367 del 18/10/1957) e sciovie (D.M. 15/03/1982). Alcune regioni hanno disciplinato l’esercizio e l’uso delle piste da sci: il Trentino Alto Adige (L.R. n. 13 del 13/07/1970), il Veneto (L.R. n. 11 del 28/01/1975) e la Lombardia (L.R. n. 81 del 12/06/1975); recentemente è stata varata dal Parlamento Italiano la Legge n. 363 del 24/12/2003 che detta “norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo”. Si è di fronte, dunque, ad un quadro normativo non sufficientemente orientato a gestire la complessità del problema in oggetto, anche in considerazione del fatto che nel “Protocollo di attuazione della Convenzione delle Alpi del 1991 nell’ambito del turismo”, definendo le procedure nazionali di autorizzazione degli impianti di risalita (art.12), si ravvisa l’opportunità di rispondere non solo ad esigenze economiche e di sicurezza ma anche a quelle ecologiche e paesaggistiche;
2. i riverberi generati dalla realizzazione di infrastrutture per la pratica di sport invernali non riguardano solo le località in cui fisicamente si realizzano gli impianti e le attrezzature di supporto, bensì territori assai più vasti. Si rende opportuno allargare l'ambito della riflessione, spostando la valutazione dall’area in cui s’interviene direttamente all'intero bacino ed al contesto territoriale cui si relaziona, delineando un percorso di confronto con una molteplicità di variabili e risorse afferenti a campi d'intervento diversi;
3. per il raggiungimento di un livello accettabile di sostenibilità è necessario considerare le problematiche ambientali sin dalle prime fasi di discussione ed elaborazione di piani e programmi di settore anche al fine di costruire un quadro sintetico di riferimento, in continua evoluzione, che funge da supporto per definire accordi stabili e vantaggiosi per tutti gli attori pubblici e privati coinvolti. In tal senso, è da tempo in discussione (e sperimentazione) la direttiva comunitaria che introduce l'obbligo della Valutazione ambientale strategica (VAS) preventiva (ex ante) degli impatti di determinati piani, programmi e progetti (la proposta di direttiva europea relativa alla VAS è la 96/0304, adottata definitivamente con la 2001/42/CE).
In occasione della programmazione delle infrastrutture per le Olimpiadi Invernali del 2006 a Torino, la Giunta Regionale del Piemonte, d'intesa con il Ministero dell'Ambiente e sentiti gli enti locali interessati, ha portato ad approvazione una pionieristica applicazione della VAS sulla base di uno Studio di compatibilità ambientale svolto dal Politecnico di Torino;
4. l'effettivo beneficio socio-economico che il bacino sciistico in formazione (o potenziamento) può rappresentare per le comunità locali va considerato nelle sue diverse sfaccettature. Talvolta, l'acritica prosecuzione di politiche di sviluppo per la montagna (precedentemente incentrate esclusivamente sulla pratica dello sci alpino) non tiene conto che, negli ultimi decenni, l'offerta di stazioni sciistiche è notevolmente aumentata, e che invece la nuova domanda si rivolge, sempre più diffusamente, verso forme di fruizione leggere che vanno dallo sci nordico, in periodo invernale, alle attività didattiche ed escursionistiche, nell'intero arco dell'anno;
5. per ottenere la partecipazione dell'imprenditoria locale ai processi d'investimento necessari per avviare la formazione della stazione turistica, si rende opportuno il coinvolgimento degli attori pubblici e privati nelle attività di verifica delle strategie e degli effetti cumulativi dei singoli interventi, ed in particolare nei processi decisionali connessi alla formazione delle infrastrutture di supporto all'attività di fruizione;
6. la realizzazione ex novo (o la sostituzione, con relativo potenziamento) di impianti di risalita e di attrezzature per l'innevamento programmato provocano impatti specifici sull’ecosistema interessato. Gli effetti sono da ricercarsi in forme di degrado dell’area naturale (o seminaturale) oggetto d’intervento che vanno dalla perdita di porzioni di manto forestale e relativo suolo all'accresciuto rischio idrogeologico cui le aree verranno a sottoporsi; dall'alto consumo di acqua ed energia, spesso in situazioni già di grave penuria, all'inquinamento prodotto dall'uso di additivi per realizzare neve artificiale; dalla distruzione di alcuni habitat faunistici propri delle aree pascolive e boschive, al disturbo temporaneo per alcune specie animali (solo a titolo di esempio: la forte compattazione del manto nevoso che si ottiene a seguito di specifiche preparazioni e battiture di piste da discesa impedisce la respirazione delle specie erbacee ed ostruisce i piccoli roditori nell'opera di scavare tunnel);
7. il propagarsi (in prossimità delle piste) delle espansioni turistico-residenziali di supporto al bacino sciistico, soprattutto nel modello "appenninico", favorisce l’abbandono ed il degrado del centro abitato storico di fondovalle, segna la diffusione (in quota) di trame edilizie proprie delle aree urbane o periurbane, dando vita, in aree sensibili, a nuove forme di urbanizzazione ad alta criticità ed onerose sia in fase di realizzazione che in quella di manutenzione;
8. l'innescarsi di un pendolarismo fuori misura, ad opera dei frequentatori della stazione sciistica, con conseguente pesante incremento del traffico veicolare e quindi inquinamento da rumore e da emissioni di gas per autotrazione, presenta talora punte da collasso (in alcuni centri turistici montani, in ore particolari della giornata, si sono registrate forme di inquinamento atmosferico almeno pari a quelle dei maggiori centri metropolitani europei). Il potenziamento delle infrastrutture viarie di afflusso e deflusso, nonchè delle opere accessorie (parcheggi, aree di sosta,...), diventa purtroppo la soluzione più praticata per migliorare l'accesso all'area, senza neppure tentare di programmare servizi navetta o altre forme di trasporto pubblico. In conclusione, il confronto tra lo sviluppo di bacini per la pratica degli sport invernali e la programmazione di una fruizione alternativa, leggera ed attenta alla sensibilità ed alla fragilità delle aree di pregio naturale e culturale è una partita ancora completamente aperta, rispetto alla quale non esistono ricette e soluzioni preconfezionate. Se da un lato è improponibile la generica limitazione di realizzazioni infrastrutturali (strade, impianti, manufatti per la ricettività) di supporto alla pratica dello sci alpino in aree protette (con conseguente penalizzazione delle attività commerciali connesse a questo sport), dall'altro non è più possibile procedere alla progettazione ex novo o al potenziamento delle attrezzature esistenti con uno sguardo strettamente tecnicistico, senza tener conto degli effetti sistemici e cumulativi che vanno ad interessare uno spettro ampio e variegato di problematiche ecologiche, paesistico-ambientali e territoriali.

di Massimo Sargolini
Docente di Pianificazione delle aree protette.
Scuola di specializzazione in Gestione delle aree protette. Università di Camerino.