Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 41 - FEBBRAIO 2004


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LA FOTOGRAFIA DEL PAESAGGIO

Fotografare secondo sguardi “inattuali”

Non è infrequente incontrare nella produzione editoriale delle aree protette edizioni o raccolte d’immagini dei parchi, più o meno evocative o realiste. Si tratta di lavori che a volte comportano anche particolari impegni finanziari e che rischiano di essere generalmente visti come momenti esclusivamente celebrativi, occasioni di produzione di strenne e di volumi di particolare effetto, o come sforzi di crescita autoreferenziale della propria immagine.
In realtà il tema della fotografia, come noto a molti, porta con se un carico di elementi e fattori culturali di non secondaria importanza, che anche nella realtà delle aree protette deve essere pienamente e correttamente coltivata ed interpretata, anche al fine di lavorare con senso e consapevolezza in un terreno, quella della rappresentazione fotografica del paesaggio, dai profondi risvolti culturali.
Ed allora è forse bene partire proprio da due spunti che vengono dal mondo dei parchi descritti in due interventi sulla rivista Piemonte Parchi, uno dedicato all’esperienza particolare del Parco dell’Alta Valle Pesio e Tanaro (con la costituzione del Centro Aldo Viglione per la fotografia), l’altro invece riferito più in generale al tema della fotografia del territorio in un interessante intervento a firma di Marco Tessaro. In particolare in quest’ultimo contributo si può apprezzare l’ampiezza della scuola di cui l’articolo descrive sinteticamente le finalità: la fotografia di territorio possiede un retroterra che parte dalle esperienze statunitensi e si traduce in Europa anche in momenti di grande importanza nei quali si afferma il concetto che “paesaggio” è l'espressione qualitativa del rapporto tra uomo e ambiente e la fotografia è un efficacissimo strumento di analisi di questa difficile dimensione.
Nel XIX° secolo la "Mission héilographique" in Francia e l'esplorazione della "Nuova Frontiera" negli USA inaugurano un filone sempre in grado di rinnovarsi. Nel '900 fa da splendido punto di riferimento il programma della "Farm Security Administration" (FSA) voluto dal presidente Rooswelt nell'ambito del New Deal. Decine di fotografi, tra cui Walker Evans e Dorotea Lange, vengono inviati nelle campagne americane ad indagare sugli effetti dell'estrema povertà succeduta al "Dust Bowl", ovvero alla polverizzazione dei terreni causata dalla siccità e dall'iper-sfruttamento del suolo agricolo, tra le cause della Grande depressione del '29.
Negli anni '80 in Italia si delinea un gruppo di forte connotazione intellettuale, capace, come dice Claudio Marra, "di dar vita, nel giro di poco tempo, a una vera e propria "new wave" visiva che avrebbe presto superato, per risonanza e fama, i confini del nostro paese". Un gruppo che si fa portatore di uno "sguardo "basso", anti trionfalistico, normalizzante, ma paradossalmente "dirompente", splendido controcanto al "paese del boom artificiale... dell'esibizionismo arrogante...", e alla deriva del "non luogo", della svendita del territorio.
Ne fanno parte nomi storici del rinnovamento fotografico italiano: Jodice, Basilico, Cresci, Guidi, Barbieri e soprattutto Luigi Ghirri. Il territorio, dopo l'esperienza degli Alinari, precedente di oltre un secolo e così diversa, ridiventa protagonista delle arti visive del nostro Paese. I fotografi italiani accettano dentro l'inquadratura ogni elemento della descrizione, bello o brutto che sia, per indagare sui segni che un paesaggio complesso ma privo di connotazioni precise offre ormai a sguardi sempre più assenti: "la gente non sente quasi il bisogno di fermare il paesaggio... non vede più, vede distrattamente, è bombardata da mille stimoli visivi" (Mimmo Jodice).”
Il caso del Centro di Chiusa Pesio si lega all’attività del fotografo chiusano Michele Pellegrino ed ha l’obiettivo di presentare un laboratorio sul tema in particolare della fotografia alpina, vivo nel cuneese anche grazie al Centro Fotografia Alpina di Ostana in Valle Po.
È stimolante notare come questo tema stia estendendo il suo interesse anche nel nostro campo, anche in ragione del fatto che la scuola della fotografia del territorio possiede una straordinaria aderenza e coerenza con lo spirito e la cultura di un territorio protetto, e da essa lo stesso lavoro che in un parco si svolge, può trarre spunti di particolare interesse.
D’altro canto la fotografia è uno dei mezzi con i quali documentare e storicizzare una nostra visione del reale, del territorio, delle dinamiche sociali che in esso vivono ed evolvono: è quindi un traduttore straordinario anche di quel nuovo approccio alla pianificazione, che va sotto il nome di “collaborative management o di co-management”, nel quale il ruolo delle componenti sociali e culturali diviene di maggiore peso rispetto ai tradizionali concetti “biocentriciti” della pianificazione territoriale classica. Ma quali sono questi modi di “guardare al territorio”.
Innanzi tutto lo stile discreto e l’assunzione che, come detto sinteticamente da Tessaro, sia importante lo: “sguardo "basso", antitrionfalistico, normalizzante, ma paradossalmente "dirompente", splendido controcanto al "paese del boom artificiale... dell'esibizionismo arrogante...", e alla deriva del "non luogo", della svendita del territorio.” Un approccio che porta automaticamente con se l’assunto che l’esperienza diretta, l’aspetto di vissuto del momento stesso dello scatto fotografico, rappresentano essi stessi un elemento costitutivo di un modo concreto di conoscere la realtà del territorio, comprensibile solo se vissuta direttamente immergendovisi dentro pienamente, in ogni sua fase sociale, climatica, storica, esperenziale.
Quindi un modo che determina l’avvicinamento fra l’attore del territorio ed il paesaggio, contro una cultura del vedere apparente, del conoscere per categorie e per astrazioni, tesa ad affermare stereotipi, falsi ripetuti di una dominate modalità distaccata di osservare il mondo che ci circonda.
Ma poi è anche importante sottolineare il valore dell’avere come obiettivo la documentazione e lo studio del territorio per la sua pianificazione. Come ben descrive Maria Rosaria Nappi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Direzione Generale per i Beni Architettonici ed il Paesaggio) in un suo saggio sul tema: “In Italia negli anni ottanta intorno a Luigi Ghirri si svilupparono ricerche artistiche in cui il paesaggio veniva proposto in modi nuovi e inediti che anticipavano intuitivamente molte concezioni che oggi sembrano acquisite. Proseguendo in questa direzione, la fotografia sembra assumere la funzione di strumento interpretativo dei valori culturali, sociali e artistici di un luogo e al tempo stesso di un documento; in particolare nel caso delle committenze pubbliche, può arricchire gli elementi di conoscenza da utilizzare per la preparazione degli interventi di pianificazione della gestione territoriale paesaggistica e di progettazione dell'architettura contemporanea.
Attraverso campagne fotografiche mirate emerge la possibilità di un più ampio coinvolgimento del pubblico nell'ambito dell'amministrazione di un bene complesso che tocca da vicino il cittadino costituendone addirittura il luogo di vita:la dialettica fra soggetto,oggetto, committente e fruitore può arricchirsi rispetto all'operare artistico tradizionale. Oggi il paesaggio non può più essere proposto né al fotografo né al pubblico come una realtà da documentare oggettivamente solo attraverso il rigore della visione prospettica e della camera ottica.
Se per alcune circostanze resta indispensabile uno studio morfologico composto da una documentazione che comprenda analisi di tipo tecnico, l'uso della fotografia d'autore è utile per diversi motivi: sia come momento di comunicazione al pubblico sia come strumento di scoperta di valori e di aspetti che l'occhio sensibile del fotografo può cogliere, esprimere, evocare: in questo senso si rivelano indispensabili uno studio dei luoghi, della loro storia e della loro immagine. Ciò permette di prefigurare un tipo di fotografia di paesaggio che non rinuncia alla rappresentazione naturalistica, ma la riempie di contenuti, colti, soggettivi, artistici che trovano origine nella unione di elementi che di volta in volta compongono la struttura del progetto di ricerca.” Altro aspetto chiave è l’elemento partecipativo insito nella capacità comunicativa dell’immagine. Documentare il territorio significa costruire infatti momenti di partecipazione del pubblico e dei tanti fotografi più o meno professionisti o delle tante persone che in una immagine, in mille immagini, hanno spesso più o meno consapevolmente contribuito a costruire un immenso archivio spontaneo, nel quale sono iscritte le pagine della storia del paesaggio e della società che lo ha trasformato.
Ma vi è anche un interesse verso questo approccio al territorio che riguarda la costruzione di nuove identità territoriali e di nuovi concetti di paesaggio che diviene spesso una forte necessità specie nei contesti a media e forte urbanizzazione. Costruire una storia delle trasformazioni territoriali in atto e così dare vita ad archivi dei cambiamenti costituisce un momento di particolare valore e che oggi può essere veramente un archivio di grande consultazione grazie alla tecnologia di Internet. Avvicinare il nostro territorio è uno dei modi per riconquistare quel senso dell’abitare di cui tanto vi è necessità nei contesti delle città di oggi, realtà territoriali che sono divenute nuovi luoghi della costruzione di paesaggio, come testimonia la loro particolare estensione e pervasione in tante aree del nostro paese e come stanno a significare i grandi processi di riconversione di parti sostanziali dei loro tessuti territoriali.
Bene ha fatto quindi il Parco agricolo Sud Milano con la sua pubblicazione del 1999 “Parco agricolo sud Milano - Fotografie di Gabriele Basilico e Gianni Berengo Gardin) nel quale proprio la fotografia del territorio ha espresso la sua opera sull’intricato tessuto del parco metropolitano milanese. Un tema, quello dei parchi urbani e periurbani, che è anche divenuto ormai di primario interesse anche per il Sistema nazionale dei parchi come ha testimoniano la Sessione sui parchi metropolitani della II Conferenza sulle aree protette.
Ed è proprio in queste realtà, ad esempio, che la fotografia di questo tipo può trovare grande fermento e materiale, proprio laddove la molteplicità dei paesaggi e delle trasformazioni sembrano quasi sfidare l’occhio a ripercorrerne le tappe ed a ricercarne sensi o ritmi di un nuovo modo di costruire territorio.
Sulla fotografia del territorio è partito anche un progetto di carattere nazionale denominato Atlante Italiano 003 di iniziativa della DARC - Direzione per l’arte e l’architettura contemporanee del Ministero per i beni e le attività culturali in collaborazione con il Dipartimento Ambiente Reti e Territorio della Facoltà di architettura di Pescara e d’intesa con la Fondazione Triennale di Milano, che ha proprio come scopo quello di costituire il primo nucleo della collezione di fotografia contemporanea per il Museo di Architettura del Centro Nazionale per le Arti Contemporanee, promovendo la fotografia come forma espressiva di ricerca e, al tempo stesso, offrendo un punto di vista qualificato sul cambiamento della città e del territorio in Italia. Si tratta di un progetto, che ha già visto un primo momento espositivo a Roma nell’estate 2003, che vede fotografi invitati a partecipare quali: Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Letizia Battaglia, Nunzio Battaglia, Gianni Berengo Gardin, Bruna Biamino, Roberto Bossaglia, Luca Campigotto, Vincenzo Castella, Giancarlo Ceraudo, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Libero De Cunzo, Paola De Pietri, Paolo De Stefano, Vittore Fossati, William Guerrieri, Guido Guidi, Francesco Jodice, Mimmo Jodice, Giuseppe Leone, Armin Linke, Martino Marangoni, Raffaela Mariniello, Alberto Muciaccia, Enzo Obiso, Ippolita Paolucci, Emanuele Piccardo, Francesco Radino, Luciano Romano. Con il progetto Atlante italiano 003, la DARC ha acquisito un primo patrimonio di oltre 500 fotografie che costituiscono il primo nucleo delle collezioni del Gabinetto di fotografia del futuro Museo nazionale di architettura (Il Museo nazionale di architettura costituirà uno dei poli museali - assieme al Museo del XXI secolo - che sorgeranno a Roma all’interno del Centro nazionale per le arti contemporanee progettato da Zaha Hadid, la cui inaugurazione è prevista per il 2005). Ma a fianco di questa iniziativa si sono susseguite in Italia numerose mostre ed eventi sul tema fra le quali si può ricordare quella della Biennale di Venezia del 1993 il cui catalogo è costituito dal volume a cura di A.C. Quintavalle, Muri di carta, Fotografia e paesaggio dopo le avanguardie, Milano 1993, che contiene un’esauriente bibliografia sulla storia della fotografia di paesaggio.
Ma più recentemente è interessante segnalare una antologia di interesse costituita dalla Mostra “ L’idea di paesaggio nella fotografia italiana dal 1850 a oggi - Esponenti dell’ultima generazione” in corso a Modena nell’ambito dell’edizione 2003 di Modena per la Fotografia (aperta sino al 25 gennaio 2004), nella quale, oltre a ripercorrere l’evoluzione di questo genere attraverso le immagini, dislocate in una duplice sede, degli autori più significativi affermatisi in questi 150 anni di storia, è occasione per spingersi a volgere uno sguardo su come l’ultima generazione della fotografia italiana ha deciso di affrontare questo tema. La mostra principale offre così in modo unico l’opportunità di considerare il lavoro di questi giovani come la parte in costruzione di un lungo percorso di visione, di valutare quanto dell’ormai affermata generazione precedente sia rimasto nei più giovani e quanto sia invece andato perduto. Sono tanti spunti sui quali la sensibile cultura dei parchi può trarre momenti di approfondimento, offrendo il proprio territorio come laboratorio dove compiere sperimentazioni ed eventi per la crescita della fotografia e di quel modo di osservare il territorio secondo visuali definibili come “sguardi inattuali”, ma capaci di cogliere il tessuto vero delle dinamiche naturali e storiche, oltre che dei sentimenti che a loro ci legano. Sguardi che ci riconducono a cercare quella parte fondante del nostro comune vivere, fatta di antiche radici e di basilari legami che ci tengono attaccati alla nostra terra e che oggi devono essere reinterpretati anche nella dimensione dell’attuale: i silenzi ed i ritmi che i paesaggi di ieri ci trasmettevano restano il nostro modo di sentire il mondo e ad essi si deve essere capaci di ripensare per non perdere quelle radici, come R.Adams, maestro della nuova fotografia del territorio americana, splendidamente ricorda in queste sue parole sul suo mondo che sono però riconducibili anche alla nostra esperienza europea: “Cerchiamo sempre di non essere sentimentali, di non provare per un soggetto più emozione di quanto non ne richieda. Qualche volta, però le vecchie fotografie di paesaggio ci tentano: scoprendo con esse che il vasto paesaggio americano che abbiamo amato è ormai completamente perduto, pensiamo che il ricordo e il dolore sono forse inutili.(...)
Nell'amarezza che si unisce alla sorpresa del rumore di una lattina capitata sotto i piedi, ci troviamo a pensare che sarebbe stato meglio se Colombo si fosse sbagliato e il mondo fosse stato piatto, con un bordo dal quale precipitare, invece di essere questa gabbia circolare che ci fa ritornare sui nostri errori.
La geografia è senza speranza. La prima cosa importante che le fotografie dell'Ottocento ci ricordano è che lo spazio non è semplice. Abbiamo pensato che lo fosse fino a che steccati e strade non lo hanno annullato, mentre venivano costruiti gli edifici. Finchè si poteva ancora guardare l'orizzonte libero da tutte queste cose, pensavamo che lo spazio esistesse. (...) Tra le verità che più risaltano in alcune delle prime fotografie c'è il silenzio. Lo spazio dell'Ovest era perlopiù quieto: ce lo suggerisce metaforicamente la pacatezza visiva delle immagini, caratteristica sia del soggetto che della composizione della fotografia. L'unico suono che cent'anni fa poteva prodursi davanti all'apparecchio fotografico era quello del vento, per quanto poco potessero essere gli alberi che ne venivano agitati; l' acqua che scorre appare solo in qualche rara immagine, e, almeno nella parte orientale non c'erano neppure molti uccelli. Un'altra qualità dello spazio che ritrovo nelle vecchie fotografie è il ritmo semplice della vita: lo spazio sembra spesso pressochè immobile - un ritmo e un tempo appropriati per chiunque speri di fare l'esperienza dello spazio. Le vedute estremamente dettagliate ottenute con tempi lunghi di esposizione (quanto a lungo doveva aspettare il fotografo che il vento calasse?) e non prima di aver predisposto una sorta di piccolo accampamento per la preparazione delle lastre, indicano, attraverso la pazienza del fotografo, il riconoscimento giustamente rispettoso del tempo, proprio della geologia e della botanica, necessario per dare forma allo spazio".

di Ippolito Ostellino