Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 42 - GIUGNO 2004

 



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STESSA FACCIA, STESSA RAZZA

Il progetto AAP2020 (Adriatic Action Plan)

Tutte le volte (tante) che ci siamo sentiti dire questa cosa, spesso in Grecia, ma qualche volta anche in Turchia, o più a nord, in Albania o Croazia, abbiamo pensato che fosse solo uno dei tanti luoghi comuni per attaccare discorso con un turista potenzialmente fornito di denaro e buone opportunità. Però in fondo in fondo, da qualche parte, abbiamo anche avuto la sensazione che, come in tutti i luoghi comuni, qualcosa di vero ci fosse, e cioè che veramente un tempo (l’espressione viene dall’ultima guerra, e quindi non molto indietro negli anni) italiani, greci, etc. avessero la stessa faccia e facessero parte di una stessa razza.
Questa sensazione ha almeno una radice comune: il mare, prima Adriatico, poi Ionio ed Egeo. Stessa faccia qualche volta, stessa razza non si sa, ma stesso mare si, sempre.
Chi sa un minimo di ecologia (come scienza, non come moda o come ideologia) sa anche quanto è importante questa radice comune. Stesso terminale di smaltimento di ciò che resta dei nostri cicli produttivi e di consumo.
Le condizioni economiche e sociali, vale a dire l’utilizzo di quel mare come risorsa produttiva, variano continuamente nel tempo e nello spazio, ma le condizioni ecologiche di supporto ai nostri cicli vitali no, sono molto più immutabili. Qualsiasi cosa accada, noi continueremo a smaltire lì, e il nostro mare sarà sempre e comunque l’obiettivo finale dei nostri successi e dei nostri errori, il fattore limitante (sempre in senso ecologico) del nostro sviluppo. Qualsiasi cosa facciamo, bella o brutta, va a finire lì, e questo vale per Italiani (fino a Milano e Torino, giusto?), Sloveni, Croati, Jugoslavi, Albanesi e Greci indifferentemente. Il prossimo arrivo di un importante oledotto da est fino al golfo del Quarnaro, in territorio Croato, quindi non soggetto per il momento a standard di controllo EU, è lì a ricordarcelo. E’ per questo che gli unici confini che veramente conteranno nei tempi lunghi della storia sono quelli del bacino, prima idrografico poi marittimo, ed è per questo che con ogni probabilità una riappacificazione tra storia ed ecologia si avrà/avrebbe solamente attraverso una progressiva riunificazione di limiti politici, amministrativi ed ecologici.
Ma questo è un altro sogno.
E’ vero che l’apertura ad est dell’EU, cosiddetto “allargamento”, fornisce in questo senso una opportunità storica, tanto per usare parole che ascoltiamo in tutti i convegni e leggiamo su tutti i giornali. L’opportunità che questo mare sia tutelato e gestito, almeno nei suoi aspetti di base e nei suoi cicli ecologici fondamentali, da leggi e procedure uniche, uguali per tutti coloro che lo utilizzano. L’opportunità che l’utilizzo delle sue risorse sia governato da standard amministrativi e di mercato omogenei, o almeno in grado di parlarsi ed interagire facilmente ed in tempo reale. Mai accaduto prima. E sappiamo bene quanto questo mare sia fragile, tanto da essere considerato laboratorio assoluto per tutti gli altri mari EU, tanto da poter considerare “terminale” quasi qualsiasi incidente. E quindi sappiamo bene come un governo unico, o almeno regole uniche, siano indispensabili per il nostro futuro. L’opportunità è ancora maggiore per chi come noi (Ancona) si trova in una posizione geopolitica di assoluto rilievo per il governo della transizione da mare di tutti a mare EU, quanto meno in riferimento agli altri governi locali della costa est.
Se il sistema Adriatico-Ionico è porta di accesso tra est e ovest del mediterraneo, e questo sembrerebbe comunque il posto che la storia gli ha riservato, nel bene e nel male, allora Ancona è sicuramente un corridoio di accesso a quella porta. Certo non l’unico, ma sicuramente quello “non troppo a nord e non troppo a sud”. Parliamo, ovviamente, di un corridoio reale, che sino ad oggi non ha visto da parte dell’EU un sistema di programmazione infrastrutturale adeguata.
Da questa posizione è immediato pensare ad Ancona come ad un attore privilegiato, non il solo ovviamente, all’interno di un sistema di innovazione locale sostenibile, in grado di favorire un consistente drenaggio di fondi EU in direzione est, verso i governi e le comunità locali dell’area balcanica, ovviamente sulla base di una progettualità ben definita ed in cambio di livelli gestionali adeguati. Un tutor efficiente, in grado di affiancare i governi locali di area balcanica nella loro personale transizione verso gli standard amministrativi europei.
Stiamo provando a svolgere questo ruolo, per il momento all’interno del programma Interreg III C Est, con il progetto Adriatic Action Plan 2020 (www.aap2020.com).
L’idea del progetto è semplice: applicare e diffondere nella regione adriatico-ionica gli strumenti di base dello sviluppo sostenibile locale (indicatori e bilanci di sostenibilità, sistemi di gestione ambientale nei governi locali, processi di governance e partecipazione), fino alla definizione di un Piano di Azione che contenga strategie, obiettivi ed azioni per l’Adriatico del 2020. In termini meno tecnici, si tratta di definire una sorta di sustainable Adriatic lifestyle, uno stile di vita sostenibile, ma fortemente caratterizzato dalla/e identità presenti nella regione.
Per facilitare il loro compito, i 21 partner di area Adriatica del progetto sono supportati tecnicamente da alcune tra le migliori espressioni nel campo dell’innovazione amministrativa in ambito EU (si veda elenco dei partners). Molti partners, quindi, e soprattutto linguaggi tecnici, amministrativi e politici profondamente diversi, per ora.
Ma è proprio questo l’ambito di ricerca di Aap2020, provare a creare una base di linguaggio tecnico - amministrativo comune a tutta la regione, puntando sul ruolo sempre più centrale del governo locale nella attivazione delle politiche di sostenibilità. Recentemente ad Aap si è aggiunto Ionas, progetto cofinanziato Interact, guidato dal Comune di Venezia, e mirato alla creazione di forme di collaborazione affidabili tra città e autorità portuali della stessa regione. Aap2020, avviato da un anno, ha prodotto ACI (Adriatic Common Indicators - vedi scheda), un set di indicatori per la valutazione dello sviluppo sostenibile locale che i partners adriatici dovranno essere in grado di elaborare e proporre all’attenzione dei propri organi di governo (Consigli Comunali o altro) entro il 2006, sperimentando una procedura di “rendicontazione di sostenibilità” che nei tempi successivi al progetto dovrà consolidarsi e divenire pratica quotidiana ed annuale dei governi locali. Prossimo forum Aap, il 18 settembre a Venezia.
Come la mettiamo quindi con l’ “opportunità storica”? Ci stiamo riuscendo?
E’ importante saperlo, perché l’aggettivo “storica” starebbe a significare che difficilmente si ripresenterà, almeno in tempi brevi.
Ci sono comunque elementi strutturali che rendono molto difficile cogliere quella opportunità, e che è opportuno mettere al centro dell’attenzione, perché possono avere conseguenze molto negative per chiunque (non solo Ancona) provi a giocare un ruolo importante nel sistema Adriatico.
La pianificazione italiana a livello decentrato (regioni da un lato, province e comuni dall’altro) è ancora gestita in modo occasionale in base ad ogni singolo programma.
In riferimento ai fondi FESR (Fondi Europei di Sviluppo Regionale ), nell’ambito dei quali il programma Interreg III A-B-C gioca un ruolo rilevante, il sistema Adriatico-Ionico si trova a fare i conti con un “paniere contorto” di programmi, competenze ed obiettivi. Il mare Adriatico-Ionio sta pagando un costo rilevante proprio per la mancanza di una strategia “imposta” dallo Stato Italiano a Bruxelles. L’origine di tutto questo risale a parecchi anni fa (se si vuole definire un termine è possibile risalire fino agli ultimi 10 governi), quando la scommessa è stata persa dall’inizio per una mancata standardizzazione delle competenze a livello dei nostri Ministeri. Le responsabilità sono di noi tutti, o meglio di coloro che hanno lasciato (o non hanno saputo evitare) che si creasse a livello centrale “un disordine sistematico” sulle competenze che altri paesi (come la Spagna e la Grecia, senza andare nel Nord Europa) hanno invece evitato, accorpando queste competenze in un solo Ministero (quello dell’Economia, ad es.). Nell’area Adriatico-Ionica il parco progetti è consistente, perfino eccessivo. Il problema è che spesso sulle stesse aree si concentrano livelli operativi ed istituzionali che dovrebbero essere complementari, se non proprio “sussidiari”, ma finiscono il più delle volte per lavorare in concorrenza, dando chiarezza al concetto di “paniere contorto”, con il solo risultato certo di sprecare i risultati ottenuti. Manca una regia del sistema, o forse sono troppe le regie presenti (almeno una per stato + una per ogni regione).
Il governo centrale e le regioni non hanno acquisito una cultura di “programmazione d’area”, e il nostro sistema Adriatico-Ionico ne risente in modo evidente.
I governi regionali, come dimostra il recente caso del programma Interreg III Transfrontaliero Adriatico, spesso non strutturano un percorso di confronto con le amministrazioni locali (comuni e province). Forse dovrebbero analizzare più attentamente le raccomandazioni della Conferenza di Barcellona 1995 per comprendere quale ruolo devono giocare in un meccanismo di costruzione di un’Europa non delle burocrazie, ma “dei cittadini”. Sono le città che storicamente gestiscono le necessità quotidiane dei cittadini. In Grecia, ad es., le Regioni stanno nascendo da pochissimo tempo, mentre gli interlocutori nei progetti sono esclusivamente Città e Prefetture (le Province greche). In altre parole, se il concetto di governance è sempre più diffuso, la sua pratica è ancora allo stato embrionale. Non è questo il caso di altri paesi (ancora una volta Spagna e Grecia, ad es., senza scomodare i “grandi”) che sull’accesso dei governi locali in Europa hanno investito da qualche tempo, e oggi portano a casa risultati molto concreti. Peccato, perché nel caso specifico chi ci rimette non sono solo le città italiane, ma tutto il sistema Adriatico. Una soluzione possibile? Creare la famosa “cabina di regia” adriatica, con il contributo e la partecipazione di tutte le amministrazioni che hanno capacità progettuali e di programmazione, da mettere in rete con l’altra parte del sistema Adriatico-Ionico.
L’allargamento EU è solo all’inizio, ma è estremamente necessario fare arrivare alle istituzioni comunitarie a Bruxelles un messaggio molto preciso, partendo dalle nostre amministrazioni locali: se i fondi FESR ed altri fondi comunitari continueranno ad essere erogati e spesi senza una strategia di progettazione in partenariato costante con i paesi Balcanici, non sarà possibile evitare (e non potremo stupirci e lamentarci più di tanto) che altri paesi, molto spesso non Adriatici, vengano ad impostare modelli di sviluppo che rispondono solo a ritorni economici e di immagine, e non ai bisogni strutturali dei cittadini e delle comunità locali.
Il programma di Prossimità è forse la possibilità più concreta per arrivare a sviluppare un vero processo di allargamento con questi paesi.
Abbiamo speranze e forze sufficienti per mutare questo quadro? Dipende soprattutto da noi. Le città dell’Adriatico-Ionio non devono limitarsi a criticare lo stato attuale dell’allargamento, ma essere propositive in tutte le sedi Istituzionali Nazionali e Comunitarie, per razionalizzare e qualificare il sistema di programmazione comunitaria in tutta l’area Adriatico-Ionica. Sono i nostri Amministratori che devono iniziare una maratona permanente di colloquio istituzionale con l’Italia e l’Europa, per far comprendere quali sono i deficit programmatici e progettuali che ancora oggi pesano sull’area Adriatico-Ionica. E’ necessario pensare ad un sistema Adriatico-Ionico in grado di presentarsi sulla scena internazionale con il ruolo che le organizzazioni internazionali già gli riconoscono, quello di area-pilota per gli elevati livelli di sensibilità ambientale, sociale ed economica, ma con in più una capacità progettuale ed operativa solida, con governi locali in grado di esprimere uno standard ammimnistrativo e gestionale di livello europeo. Un ecosistema, prima di tutto, ma anche un riferimento geopolitico su cui è possibile costruire politiche di sostenibilità efficaci perché comuni, quanto meno a livello locale. Il sistema delle aree protette, particolarmente presente e significativo in Adriatico, ci può aiutare in questo, può funzionare da laboratorio e fattore di riequilibrio delle aree urbane, magari anticipando quella capacità di “vendersi” come prodotto unico sul mercato internazionale che oggi manca, e che è la nostra reale debolezza. E non pensiamo solo al mercato del turismo, ma anche e soprattutto a quello delle merci e dei trasporti.
Noi comunque ci stiamo provando, per dare una stessa anima a facce e razze che oggi sono sempre più diverse.

di Piero Remitti (Comune di Ancona – Project Manager Aap2020)
e Gilberto Zinzani (
Coordinatore gruppo tecnico Forum delle Città dell’ Adriatico e Ionio)
www.aap2020.net



Medoc e Medor
A metà settembre un lavoro che impegna da qualche tempo soggetti pubblici e parchi del Mediterraneo attorno alla tematica della governance degli spazi naturali periurbani avrà un’importante tappa intermedia nella città di Lione, dove sarà presentata ufficialmente e solennemente la “Carta della governance degli spazi naturali periurbani”. Altrove, in questo stesso numero della rivista, si entra maggiormente nel dettaglio di quell’iniziativa comunitaria finanziata da Interreg IIIB, chiamato Metropole nature, e più estesamente “Gli spazi naturali periurbani e la città sostenibile”.
Dall’articolo di Remitti e Zinzani apprendiamo che sempre a metà settembre, ma questa volta a Venezia, ci sarà una giornata particolarmente importante di un altro programma Interreg (III C Est) che si chiama Adriatic Action Plan 2020, che ha un sito, come l’altro, sul quale è possibile conoscere molto del lavoro già svolto (www.aap2020.com). A Venezia, infatti, il 18 settembre, un forum di Aap 2020 proporrà all’attenzione dei rappresentanti degli organi di governo del territorio interessato dal progetto un set di indicatori per la valutazione dello sviluppo sostenibile, in modo da unificare linguaggi tecnici, amministrativi e politici dei partner sparsi nell’area adriatica e ionica, nei vari segmenti di sponde, tutti egualmente intenzionati ad attuare politiche di sostenibilità. Remitti e Zinzani, nel loro articolo affermano che stanno lavorando per cogliere una grande opportunità storica. E aggiungono cose importanti in ordine ai provvedimenti che le Regioni e gli Stati nazionali dovrebbero assumere per collaborare proficuamente dando vita ad un vero e proprio “sustainable Adriatic lifestyle”. Non diverso da questo spirito e da questi proponimenti è stato lo stile dei documenti semilavorati discussi a Lille e la discussione svoltasi nel seminario che preparava l’appuntamento di Lione. Che si svolgerà in assenza e molto probabilmente all’insaputa di quanti si riuniranno a Venezia, dove - specularmene - si discuterà e si presenterà, in totale ignoranza di quanto accadrà a Lione.
Eppure in entrambi i gruppi di lavoro si dicono cose molto simili, compresa la valutazione sul ruolo di sede di sperimentazione e di laboratorio delle rispettive aree protette. Una delle ragioni della impermeabilità dei due percorsi di ricerca è data dalla divisione burocratica tra due Mediterranei, quello occidentale, che in lingua burocratica europea si chiama Medoc e fa capo al “programma operativo mediterraneo occidentale - Medoc” e quello orientale, che può godere di finanziamenti, di interreg e via dicendo, all’interno della gabbia cosiddetta Medor, “programma operativo Mediterraneo orientale”.
Si era detto “unione europea”, ma c’è sempre qualche euroragioniere e qualche euroburocrate che ci mette del suo per dividere. Può anche darsi che la divisione abbia qualche significato e qualche utilità, che momentaneamente mi sfugge. Tuttavia non mi sfugge la ricaduta negativa. Quando, in fase di predisposizione del progetto “Metropole nature” i parchi italiani aderenti a Fedenatur si riunirono a Milano, chiesi che il parco del Conero fosse della partita, ma mi fu risposto che il Conero e Ancona non erano inquadrabili nel Mediterraneo occidentale (Mentre Milano sì!).
La realtà, a volte, supera le fantasie più tetre, e la burocrazia può riuscire a complicare cose a prima vista ovvie.
Per carità, si vivrà egualmente, anche senza un raccordo tra “Metropole nature” e “Adriatic action plan”. E non è detto che le due azioni non riescano a dialogare e a competere, con reciproci vantaggi. Tuttavia mi sembra ovvio che nel momento in cui Federparchi e Mediterre ragionano in termini di unità del mediterraneo e dei parchi del mediterraneo, sarebbe più opportuno che il Medoc tornasse ad essere solo la nota denominazione di origine controllata degli ottimi vini del territorio di Bordeaux, e Medor il compagno di Angelica nell’Orlando furioso (si veda in particolare il canto diciannovesimo) di Ludovico Ariosto, o del canto terzo della Marfisa di Pietro Aretino. “Angelica e Medor, bell’alme elette, l’una in l’altra di fede e d’amor strette”.
Con il vantaggio che Angelica e Medor avrebbero tranquillamente potuto ubriacarsi di vino del Medoc, senza che nessun progenitore degli attuali euroburocrati avesse niente da ridire. Ed è assai probabile che l’abbiano fatto, a suo tempo alla salute dei signori di Bruxelles e di Strasburgo, anche se di questo non parlano né l’Ariosto né l’Aretino.


M.G.