Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 43 - OTTOBRE 2004

 




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MERCATO DEL LAVORO E FORMAZIONE NEL SETTORE TURISTICO

Una riflessione su problemi e tendenze

Il settore turistico: un breve inquadramento del fenomeno. Il turismo rappresenta il settore economico che negli ultimi 40 anni è cresciuto di più e più velocemente. Le stime dell'Organizzazione Mondiale del Turismo (WTO), pur nell'incertezza determinata dalla difficile situazione contingente, confermano tale tendenza anche per il futuro. Alcuni dati serviranno a chiarire la dimensione del fenomeno. In termini di arrivi internazionali, il WTO calcola che dal 1950 ad oggi essi siano aumentati di 25 volte, raggiungendo nel 2002 i 714,6 milioni. Non solo, ma si calcola che nel 2020 gli arrivi internazionali saranno pari a 1,6 miliardi.

L'importanza del settore è resa più evidente dall'analisi di alcuni dati macroeconomici da cui si evince che: - il 10,7% del PIL mondiale è prodotto dal settore turistico; - quasi il 40% dei servizi all'esportazione e circa il 12% delle esportazioni mondiali di beni e servizi sono imputabili al turismo; - per l'83% dei paesi il turismo rappresenta uno dei principali settori export-oriented, costituendo la principale fonte di moneta estera per almeno il 38% di essi; - circa il 7% dei lavoratori nel mondo è impiegato nell'industria turistica.

Questi dati, di per sé importanti, non devono però far passare in secondo piano altri aspetti molto importanti, soprattutto in un'ottica di sviluppo locale. Infatti, quello turistico, pur stimolando molto la creazione di piccole e medie imprese, è un settore in cui forte è il processo di concentrazione economica. Alla fine degli anni ‘90: - le prime 5 catene alberghiere gestivano il 14% circa delle camere d'albergo a livello mondiale; - 4 tour operator europei da soli organizzavano gli spostamenti di 50 milioni di turisti; - i due terzi dei profitti totali delle compagnie aeree associate all'ATA (Air Transport Association) erano prodotti dalle prime 10 compagnie aeree (Mastny, 2002).

Allo stesso tempo, ed in parte come conseguenza di quanto appena detto, il reddito generato da tale settore si distribuisce in maniera molto sperequata, sia a livello nazionale che, soprattutto, internazionale. Secondo stime del WTO, in molti paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, fino al 50% (con picchi di oltre il 70%) dei profitti derivanti dal turismo fuoriesce dal paese sotto forma di profitti per imprese estere, spese promozionali all'estero o importazioni di beni e lavoro qualificato. A questo si deve aggiungere che molte regioni e paesi, al fine di migliorare la propria posizione sul mercato turistico mondiale, stanno di fatto svendendo a compagnie private parte del proprio territorio e delle proprie risorse naturali, in alcuni casi deprivando le comunità locali di diritti storici. In molti casi, le posizioni monopolistiche di alcune imprese, gli accordi sul commercio internazionale ed i vantaggi che molti governi riservano alle grosse catene internazionali al fine di attirare investimenti stranieri, producono, di fatto, l'effetto di estromettere dal mercato i piccoli operatori locali. Il risultato è, spesso, la creazione di vere e proprie enclave turistiche che hanno uno scarsissimo impatto sullo sviluppo locale. Lo scarso impatto economico e gli ingenti danni ambientali, spesso irreversibili, prodotti in questi casi rendono insostenibili tali modelli di crescita, trasformando il turismo da possibile volano di sviluppo in strumento di impoverimento locale. Molte destinazioni turistiche, infatti, soprattutto laddove il principale elemento d'attrazione è rappresentato dalle culture locali o da risorse ad alto valore naturalistico e/o paesaggistico, assistono nel medio periodo ad un declino della propria immagine e ad un corrispondente calo di presenze. L'importanza economica e sociale del settore, riconosciuta anche nella recente Costituzione Europea, quindi, non deve far passare in secondo piano i rischi insiti in una sua crescita incontrollata. I dati sopra esposti, se da un lato portano ad individuare nel turismo un possibile volano per lo sviluppo locale, dall'altro impongono una riflessione sulle ripercussioni che lo sviluppo di tale industria può avere sull'ambiente, naturale ed umano. La relazione tra crescita e ambiente assume in questo settore connotazioni del tutto particolari. La domanda di valori turistici è soprattutto, anche se non esclusivamente, domanda di valori ambientali e culturali (clima, natura, tradizioni, risorse storiche ed artistiche). La conservazione di questi beni può essere minacciata da un eccessivo e/o incontrollato sviluppo dell'attività turistica. Paradossalmente il turismo può distruggere il turismo. Allo stesso tempo, però, occorre notare che se il turismo, non correttamente gestito, può trasformarsi in pericolo per le risorse ambientali e culturali, allo stesso tempo l'assenza di turismo, soprattutto nelle zone in cui rappresenta una insostituibile fonte di reddito, può essere causa di degrado ambientale. In tali zone, l'assenza di opportunità economiche genera emigrazione e questo, alla lunga, genera perdita in termini di "diversità" (scomparsa di culture, colture, tradizioni) e, infine, degrado sociale. La scomparsa di certe forme di produzione, oltre a ridurre la diversità, ha un impatto negativo anche sul territorio, che è sottoposto a degrado per assenza di manutenzione (si pensi a cosa è successo a molti centri storici abbandonati o a cosa accadrebbe ai terrazzamenti tipici della Liguria se la produzione agricola fosse completamente interrotta). Le considerazioni appena esposte e la disillusione che in molti casi si è vissuta nei confronti del cosiddetto turismo di massa hanno spinto molti studiosi ed operatori a proporre ed auspicare forme di "turismo alternativo". Con questo termine si intendono genericamente quelle modalità di fare turismo che, oltre a contribuire allo sviluppo economico locale, sono compatibili con i valori naturali, sociali e culturali dei luoghi, e che consentono sia agli ospiti che ai visitatori di trarre giovamento dall'interazione generata dall'esperienza della visita. Queste forme di turismo stanno acquisendo un ruolo sempre più rilevante, sia in termini di tassi di crescita che di incidenza. Tra esse spicca il turismo natura e l'ecoturismo. Secondo una stima effettuata dal World Resource Institute, mentre i flussi turistici mondiali totali crescono ad un tasso medio del 4,3% il turismo di natura cresce ad un tasso annuo medio vicino al 20%. In Italia il fenomeno del turismo di natura è stimato rappresentare il 2% dell'intero mercato turistico (WTO, 2002), mentre una stima approssimativa calcola che il 7% degli arrivi turistici internazionali totali siano da attribuirsi al segmento ecoturistico (Lindberg, 1998). Proprio in considerazione di quanto appena detto, già a Lanzarote, in occasione della prima Conferenza mondiale sul Turismo Sostenibile, fu messa in evidenza la necessità di ripensare le politiche di sviluppo turistico (e le politiche territoriali ad esse associate) e di dotare le località turistiche di strumenti idonei a coniugare crescita e qualità. La questione della sostenibilità del turismo, come indicato pure nella Conferenza di Rio del 1992 ed in molti documenti dell'Unione Europea, deve quindi essere affrontata. Per poter adeguatamente sfruttare in termini di lungo periodo le opportunità di reddito ed occupazione connesse con lo sviluppo turistico è necessario rendere il turismo un elemento di valorizzazione e non di consumo della qualità dei territori. Le risorse locali, opportunamente combinate con una buona cultura dell'accoglienza e con una diffusa imprenditorialità a produzione territorializzata, possono trasformarsi in un potente motore di crescita, in quanto, a differenza delle politiche basate sul costo di produzione, rappresentano risorse non trasferibili né clonabili. A fronte di tali questioni si impone la necessità di ripensare l'offerta turistica in un'ottica di sistema e di sostenibilità. Un tale passaggio, oltre a richiedere la creazione di nuove competenze e professionalità, per potersi realizzare necessita di una nuova sensibilità diffusa. In tal senso, un ruolo importante è demandato alla formazione. La comprensione generalizzata di tali tematiche e la capacità di farvi fronte in modo proattivo, infatti, richiede un forte salto culturale, nella comunità ospitante come in quella visitante, ed una conseguente ristrutturazione dell'offerta come della domanda. Questo, oltre all'arricchimento degli esistenti, richiede la costruzione di nuovi e più idonei percorsi formativi che, più che diretti a creare esclusivamente tecnicalità, generino un "progresso capacitazionale" ed un humus culturale dal quale far germogliare nuovi modelli di sviluppo territoriale. Il mercato del lavoro nel settore turistico. Qualsiasi riflessione sul tema deve partire dalla constatazione che quella turistica è un'industria complessa e trasversale che non può essere delimitata aprioristicamente in modo netto, coinvolgendo operatori del comparto pubblico e privato, così come attività solo apparentemente da essa indipendenti, come l'agricoltura, l'artigianato. Una diversa delimitazione o il passaggio ad una organizzazione sistemica dell'attività turistica ha conseguenze notevoli sia di tipo quantitativo, in termini di reddito ed occupazione attivati, che qualitativo, in termini di competenze e professionalità richieste. Le professionalità e le competenze richieste, infatti, dipendono in maniera cruciale dalle caratteristiche e dalla tipologia organizzativa dell'offerta turistica. In generale, il settore turistico viene da più parti individuato come un volano per la crescita economica e la creazione di occupazione. Il WTO stima che ogni stanza d'albergo crei, in via diretta ed indiretta, l'equivalente di 1 o 2 posti di lavoro. Questo è particolarmente vero per un paese come l'Italia dove il turismo genera il 5,4% del PIL ed un numero di unità lavoro pari al 9,4% del totale (XII Rapporto sul Turismo Italiano, 2003). A fronte di questi dati, bisogna rilevare il fatto che quello turistico è un settore costituito prevalentemente da piccole, a volte piccolissime, e medie imprese a conduzione familiare. Questo fenomeno non è tipico solo dell'Italia ma è comune a molte realtà europee ed extra europee, come è stato da più parti ribadito anche al IV Euromeeting di Firenze tenutosi il 5 novembre 2004. La piccola dimensione associata alla stagionalità che in molti casi caratterizza tale attività fa sì che a prevalere in tale settore siano, in molti casi, forme occupazionali precarie, stagionali ed a bassa qualifica, oltre che irregolari. Il naturale effetto è un elevato turn over con conseguenti rischi di marginalizzazione economica e sociale. Questi dati, oltre ad essere evidenziati da studi ed indagini (si veda tra gli altri Ente Bilaterale Nazionale del Turismo e Rapporto sul Turismo Italiano), sono confermati dagli studi sui fabbisogni formativi che evidenziano come ad essere maggiormente richieste in tale settore siano proprio le figure professionali più tradizionali, seppur arricchite di nuovi saperi. In questo settore, infatti, i bisogni formativi degli occupati sono aumentati notevolmente, basti pensare alle carenze linguistiche e/o informatiche spesso riscontrabili. Purtroppo, non sempre una tale tipologia di domanda trova rispondenza nelle caratteristiche e nella localizzazione dell'offerta. Anzi, spesso si genera uno iato tra le richieste dell'uno e le aspettative e la formazione dell'altro (Manente e Furlan, 2003; Todisco 2003). La dimensione e la tipologia delle imprese operanti nel settore turistico contribuiscono, spesso, ad esasperare tale aspetto. Le caratteristiche e la struttura dell'offerta, spesso autoreferente, rendono quest'ultima poco aperta alle innovazioni e, quindi, anche poco sensibile alla formazione del capitale umano intesa sia come possesso di alcuni saperi all'entrata che come aggiornamento di quelli degli addetti. Questo, alla lunga, può erodere i vantaggi competitivi che un paese come l'Italia, per ovvie ragioni, comunque ha. Infatti, se da un lato è vero che il capitale umano nel settore turistico rappresenta uno di quegli elementi meno visibili e che, probabilmente, meno fanno presa sulle aspettative del turista, è pur vero che esso gioca un ruolo rilevante sia nella fase organizzativa e di comunicazione che nella determinazione della qualità dell'esperienza di visita. Il capitale umano è uno di quegli elementi che paradossalmente hanno scarsa evidenza (anche se conta molto) quando operano in positivo ma ne hanno molta quando operano in negativo (Todisco, 2003; Bimonte e Punzo, 2003). Un paese come l'Italia, per poter competere sul mercato internazionale, non può far perno sul costo di produzione ma bensì sulla qualità e l'innovazione. Entrambi questi elementi richiedono un forte investimento in capitale umano. Si apre, quindi, un grosso spazio ed una sfida per il settore pubblico e della formazione.


La formazione in Italia
L'importante ruolo economico e culturale che il turismo riveste ed ha rivestito a livello globale e nazionale giustifica l'attenzione che, anche in termini di formazione, è stata ad esso rivolto. Le recenti evoluzioni della domanda turistica e le questioni legate alla sostenibilità dello sviluppo locale rendono sempre più evidente l'importanza del capitale umano sia per finalità esecutive e di consulenza che di coordinamento, promozione, comunicazione e programmazione. In Italia l'offerta turistica si è formata quasi come fenomeno spontaneo in risposta ad una crescente domanda di servizi turistici che è andata sviluppandosi a partire dagli anni '60. In generale, date le caratteristiche e date le buone prospettive di sviluppo, il settore non ha fatto altro che cavalcare acriticamente il paradigma della crescita, limitandosi a richiedere professionalità tecniche, normalmente a bassa qualifica. In una fase iniziale, quindi, la formazione ha svolto un ruolo marginale, indirizzato prevalentemente a fornire competenze professionali di base, le figure prevalenti essendo i cosiddetti self-made men (Pechlaner et al., 2003). È da sottolineare, però, che la stessa spontaneità ed improvvisazione dell'offerta si è alcune volte riscontrata anche nel sistema della formazione professionale, soprattutto quella post-diploma. Quest'ultima non sempre è derivata da un progetto coerente e sistematico, essendo spesso la sovrapposizione di interventi di breve o brevissima durata sganciati da una logica di piano (Mongelli, 2000). Lo sviluppo del settore e l'evoluzione delle esigenze dei turisti, pur non facendo venire del tutto meno una sorta di "autoreferenzialità" dell'offerta turistica, ha fatto emergere la necessità di costruire nuove e più articolate competenze, cui il sistema della formazione ha risposto con la costruzione di due tipologie di percorsi: il professionale ed il tecnico. Il primo tipo di percorso è diretto a formare competenze per l'espletamento di prestazioni di tipo materiale (alloggio, ristorazione), mentre il secondo è più direttamente interessato a formare competenze per la prestazioni di servizi alle persone, cioè competenze atte a poter svolgere al meglio una serie di attività strutturate per rispondere alle esigenze ed alle aspettative dei turisti (Tattolo, 2003). Per quest'ultimo tipo di attività, sono richieste figure tecniche intermedie preparate e motivate che solo una formazione di tipo tecnico ben congegnata può garantire. Purtroppo, nonostante tutto, data anche la struttura dell'offerta, le tipologie professionali che il mercato continua maggiormente a richiedere sono quelle più tradizionali, seppur arricchite di nuove capacità. In molti casi, le competenze richieste sono acquisibili con una qualifica professionale. Questo genera spesso, come già detto, situazioni di mismatch tra domanda ed offerta di lavoro, poiché all'evoluzione dei fabbisogni, cui è seguito un aumento nei livelli formativi delle persone in cerca di lavoro, non sempre ha corrisposto un equivalente adeguamento nell'offerta turistica. Come sostengono Manente e Furlan (2003) "esiste di fatto un gap tra l'immaginario lavorativo degli addetti e le reali opportunità occupazionali del settore". È pur vero, però, che, anche grazie alle nuove tendenze di mercato, si stanno aprendo nuove opportunità di impiego o di autoimpiego in settori o comparti nuovi, legati in parte allo sviluppo di alcune forme di turismo ed alle richieste da queste espresse (si pensi alle certificazioni legate alla qualità in generale ed a quella ambientale in particolare), così come all'avvento della telematica ed alla ricerca di fonti di finanziamento erogate da vari enti e/o istituzioni (si pensi ai Fondi Strutturali). Normalmente, queste nuove tipologie di impiego richiedono un più elevato livello di scolarità. Di fatto, sono proprio i giovani con un più elevato livello di istruzione ad essere sensibili ed attratti da questi nuovi tipi di lavoro. In generale, comunque, è sempre più evidente che il mercato turistico, per poter funzionare efficacemente, alla qualità nella gestione delle più tradizionali facilities (alberghi, ristoranti) deve saper affiancare un'offerta di servizi specifici di qualità, dall'informazione all'animazione, dall'assistenza all'autenticità dei prodotti, dall'usufruibilità alla tutela ambientale. La competitività di una destinazione turistica si decide e sempre più si deciderà su questi elementi, soprattutto in una situazione in cui la concorrenza spinge i prezzi dei servizi elementari verso il basso e più forti diventano certi segmenti del mercato turistico. Per questi ultimi, quello turistico più che un semplice atto di consumo materiale diventa un atto estetico. Non sempre le competenze e le sensibilità necessarie ad organizzare e gestire un'offerta in grado di fronteggiare le nuove richieste ed esigenze di mercato sono acquisibili con la sola formazione in affiancamento o con i tradizionali percorsi formativi, compresi i corsi post-diploma, quali i corsi I.F.T.S.. Nasce, quindi, la necessità di integrare i percorsi formativi richiamati con formazione teorica e specialistica. Non solo. Diventa, infatti, altrettanto importante avviare un "processo formativo" a più alto livello che, oltre a creare professionalità elevate idonee a fronteggiare le nuove tendenze di mercato, incida sulle metapreferenze della comunità, cioè un processo finalizzato alla creazione di una cultura diffusa della qualità, della tutela e dell'accoglienza. Un ruolo cruciale in tal senso può essere svolto dalla formazione di terzo livello che in Italia, soprattutto dopo la riforma universitaria, ha portato all'attivazione di molti (forse troppi?) corsi di laurea in turismo, sia di primo che di secondo livello. L'evoluzione della formazione a questi livelli, però, per quanto importante, è relativamente recente, prova ne sia il fatto che molti posti di rilievo sono ricoperti da personale che ha conseguito il titolo di studio in altri ambiti formativi.


Nuove tendenze del mercato turistico e relative esigenze formative
I più recenti fenomeni globali corroborano le necessità prima espresse e spingono a dire che, in un'ottica di lungo periodo, per poter vincere la sfida è necessario che i vari processi formativi in turismo, oltre che alla creazione di competenze e professionalità, mirino anche, se non soprattutto, alla definizione di un approccio culturale. Infatti, parafrasando Euripide, a differenza di quanto comunemente si crede, l'intelligenza non è mai una caratteristica individuale ma è sempre un fenomeno collettivo. È importante metabolizzare questo aspetto, soprattutto in una fase in cui si rende necessario uscire da un'offerta turistica autoreferente e passare ad un'offerta territoriale integrata organizzata su base sistemica. D'altra parte, il turismo è un bene composito, non solo per i soggetti e gli operatori coinvolti, ma anche per il tipo di risorse coinvolte (ambientali, culturali, artistiche) e per i diversi modi in cui è possibile offrire e o gestire il medesimo tipo di risorse. Qualità del servizio, tipo di risorse, modalità di utilizzo, combinazione e comunicazione delle stesse caratterizzano quello che più genericamente viene individuato come "bene turistico". Anche in base a quanto detto in precedenza, diventa chiaro che all'attività turistica è richiesto di svolgere un ruolo di "interfaccia" tra le risorse su cui il turismo si basa, normalmente patrimonio di comunità locali, ed i turisti che insieme, o in competizione, ad esse ne fruiscono. Questo ruolo richiede non solo di dover soddisfare clienti dalle esigenze sempre più diversificate ed in rapido cambiamento, ma anche di dover dare un contributo attivo sia alla tutela delle aree naturali e del patrimonio culturale, sia alla prevenzione di potenziali conflitti tra comunità autoctone e comunità alloctone, da cui anche dipende l'esperienza di visita. La soddisfazione del turista e la tutela del patrimonio sono variabili inscindibili che possono generare forti legami di feedback di tipo sia positivo che negativo. Da quanto detto, si capisce che sono vari i livelli di complessità cui bisogna far riferimento quando si parla del fenomeno turistico. Ad ogni livello di complessità sistemica cui si fa riferimento corrisponde una diversa tipologia ed un diverso modo di combinare i fattori necessari ad organizzare un'offerta turistica e, quindi, una visita turistica. Normalmente i fattori cui si fa riferimento sono le attrazioni (naturali e/o costruite), le facilities (alberghi, ristoranti, ecc.), le infrastrutture, dimenticando che ciò che conta è anche la capacità di gestire e comunicare le attrazioni, nonché di combinarle tra loro e con il resto delle risorse, produttive e non, presenti nel territorio. In una tale prospettiva assume un'indiscutibile rilevanza la capacità di programmazione e pianificazione, parole, purtroppo, ormai in disuso. Il management turistico, per il tipo di risorse coinvolte e per il ruolo che la loro preservazione ha sulla stessa profittabilità di lungo periodo del settore, più che in altri settori economici, non può prescindere dai seguenti quattro elementi: pianificazione, organizzazione, conduzione e controllo secondo principi di sostenibilità. Le stesse tendenze di mercato evidenziano sempre più che ciò che conta è la capacità di progettare e proporre. Innovazione, tutela delle risorse ed apprendimento rappresentano fattori cruciali della competitività dinamica. Ciò rende necessario investire sia nello sviluppo di capacità e professionalità nuove, che in attività di tutela e promozione delle risorse su cui si basano i flussi turistici stessi. Abbiamo prima visto quali sono i fattori principali necessari ad organizzare un'offerta turistica ed abbiamo anche visto che essi possono essere organizzati a livelli diversi di complessità sistemica. Potremmo, quindi, dire che il livello di formazione richiesto, sia in termini di grado che di contenuti, dipende da un lato dalle mansioni che si è chiamati a svolgere e dall'altro dal livello di complessità sistemica con cui le risorse sono gestite. Più le risorse si combinano per somma esterna, più il livello di formazione richiesto è basso. Con questo non si vuole dire che la tradizionale formazione professionale non sia utile. Anzi, per un paese come l'Italia, dove il turismo costituisce una voce importante nella produzione del reddito e dove numerose sono le imprese direttamente operanti nel settore (facilities), la formazione professionale, pur arricchita di nuove competenze e capacità, può e deve svolgere un ruolo importante. Allo stesso tempo, però, non bisogna dimenticare altre forme e gradi di formazione, quale quella universitaria. È la stessa trasversalità e complessità del settore a richiederlo. Tradizionalmente, i percorsi formativi in turismo, anche a livello universitario, si sono basati sulla formazione di figure a carattere gestionale, nell'accezione tradizionale del termine. Attualmente, seppur importante resta la formazione nel campo della gestione dei servizi turistici, una maggiore attenzione deve invece esser riservata al turismo come volano dello sviluppo locale ed alla gestione delle risorse turistiche. A tutt'oggi, però, è ancora esiguo il numero di corsi universitari che mirano a studiare il turismo in un'ottica di sviluppo locale sostenibile, nell'accezione ampia, cioè economica, ambientale e sociale, ed altrettanto esiguo è il numero di posti chiave, soprattutto nelle amministrazioni pubbliche, occupati da personale formato in tal senso.


Alcune considerazioni conclusive
Due sono, quindi, i punti emersi in questa breve riflessione su cui occorre riflettere: da un lato l'esubero di persone formate, soprattutto rispetto alla formazione universitaria, e dall'altro la necessità di uscire da una visione ristretta di turismo. Rispetto al primo punto, i dati mostrano come solo una piccolissima parte delle persone assunte nel core business siano in possesso di una laurea. Questo dato non sembra venir meno nemmeno per effetto delle più recenti evoluzioni di mercato. Anzi, esso tenderebbe ad esacerbarsi se è vero che, mentre le iscrizioni ai corsi di laurea ad indirizzo turistico continuano ad aumentare, esperti ed operatori del settore, come evidenzia una recente indagine, ritengono il numero di corsi di laurea esuberante rispetto alle reali necessità ed alle caratteristiche dell'industria turistica. Quest'ultima, costituita in prevalenza da piccole e medie imprese, non attribuisce che un ruolo marginale alla formazione di terzo livello, ritenendo che molto più importante sia l'esperienza di lavoro e che, in generale, la chiave del successo delle varie attività sia da ricercare nell'esperienza tramandata di padre in figlio. Tutto ciò, se confermato, spingerà molti laureati a cercare lavoro in settori diversi da quello turistico. La previsione negativa cui siamo giunti, però, è frutto dell'angolo visuale ristretto dal quale si è usi osservare il problema. Da un'analisi più approfondita ed accorta si capisce che le tendenze in atto nel mercato turistico e le nuove emergenze e sensibilità emerse a livello globale spingono gli operatori, pubblici e privati, ad abbandonare una visione autoreferente ed a compartimenti stagno del turismo e ad affermare una visione sistemica finalizzata allo sviluppo locale. In una tale ottica, diventa chiara la dimensione pubblica dell'organizzazione e della programmazione turistica. La dimensione pubblica rende evidente che, in un'ottica di sviluppo locale, l'offerta turistica non è e non può essere la semplice somma esterna di risorse singole, per quanto ben gestite, ma deve costituirsi ed essere gestita come sistema integrato. L'organizzazione sistemica necessita da un lato di figure professionali in grado di gestire, organizzare e promuovere tutte le risorse, umane, naturali, storiche, di un territorio, direttamente ed indirettamente legate al turismo, e dall'altro di un humus culturale diffuso. La formazione di tale figure e la creazione di queste nuove sensibilità non può che richiedere, tra le altre cose, un coinvolgimento delle università. Queste ultime, però, oltre a fornire corsi per formare personale destinato al core business delle aziende, dovrebbero affermare la multidisciplinarità della formazione turistica ed investire di più nell'istituzione di corsi in cui il core formativo sia lo sviluppo locale sostenibile in chiave turistica. Allo stesso tempo, attraverso progetti aperti alla partecipazione di vari attori, le università dovrebbero contribuire alla diffusione della cultura della sostenibilità e della qualità quale strumenti strategici per la crescita. Questo richiede anche che si faccia più affidamento su personale formato al turismo e meno su personale "prestato" e formato da altri percorsi formativi. Un tale processo, oltre a rappresentare un investimento funzionale allo sviluppo endogeno, rappresenterebbe un modo per riassorbire, sia in termini quantitativi che qualitativi, le frizioni che tuttora esistono tra domanda ed offerta nel mercato del lavoro turistico. In estrema sintesi, un'offerta turistica proattiva, per poter funzionare efficacemente, necessita di un piano formativo che preveda un numero programmato e diversificato di percorsi composto da una fase scolastica ed una o più fasi universitarie, affiancate, entrambe, da una formazione ripetitiva che duri quanto la vita professionale del lavoratore (formazione continua). A questo bisognerebbe poi affiancare (forse strano a sentirsi per un settore come il turismo) una mirata attività di ricerca. Tutto ciò, oltre a contribuire a formare un sistema turistico sostenibile e di qualità, contribuirebbe a formare individui che in uscita, diventati a loro volta turisti, naturalmente contribuiscono alla sostenibilità ed alla qualità globale del settore.

di Salvatore Bimonte (Dipartimento di Economia Politica, Facoltà di Economia "Richard M. Goodwin" Università degli Studi di Siena)

Una specie di "speciale"
È passato, almeno in parte, il tempo delle incomprensioni e delle contrapposizioni, quando gli operatori turistici guardavano gli ecologisti come gente di un altro mondo e di una epoca superata dall'afflusso di massa. Non vale neppure la pena di rievocarli, quei tempi. Quando il modello Rimini (o il modello Rapallo) facevano tendenza, e chi si azzardava a mettere in dubbio la sua bontà veniva preso a male parole. Ormai i parchi sono la parte pregiata di ogni pacchetto turistico, di ogni convegno, di ogni progettazione. E addirittura esiste una solida corrente di pensiero che si preoccupa dell'abbondanza di visitatori, e si domanda come sia possibile coniugare la tutela con la valorizzazione anche turistica dei beni naturali e di quelli paesistici. Insomma, la Bit (la famosa principale borsa del turismo italiano e mondiale) riassume facilmente le differenti fasi del discorso. C'è stato un tempo nel quale la Bit non voleva i parchi tra i piedi. A quei tempi ormai remoti ne sono seguiti altri, nei quali la Bit ha esaltato i parchi, diventati - mi si passi l' espressione - le principali... soubrettes dell'offerta turistica internazionale. Poi, terza fase, le soubrettes hanno avuto il dubbio inquietante di essere in procinto di trasformarsi in... "donne di facili costumi", si sono ricomposte e rivestite, e - ai nostri giorni - i parchi si muovono con grande attenzione in un settore economico sempre più professionale, sempre più soggetto a fluttuazioni nel mercato mondiale ed europeo. Oggi che - come tendenza - non sembra essere più necessario battersi per conquistarsi il diritto di essere invitati nei luoghi dove si assumono decisioni che riguardano il turismo, il nuovo scopo é rendere sempre meno commerciale il rapporto tra turismo e tutela, nella convinzione che una serena e disinteressata iniezione di forti dosi di cultura potrebbe fare molto del bene sia al turismo che ai parchi, senza snaturare la funzione primaria delle aree di protezione, tutela e reintegro della biodiversità, e soprattutto senza confondere i ruoli dei centri visita dei parchi con quelli delle pur molto necessarie articolazioni delle agenzie di promozione turistica. In questa sezione della nostra rivista, che non a caso si richiama alla "cultura", coesistono materiali di differente provenienza.
C'è uno studio sul mercato del lavoro e la formazione nel settore turistico preparato appositamente per la nostra rivista da uno dei nuovi componenti del nostro comitato scientifico, Salvatore Bimonte, dell'università di Siena e protagonista di importanti appuntamenti convegnistici organizzati a Grosseto.
E ci sono altri materiali che sono nati in un convegno che si è svolto questa estate in Valle D'Aosta, dove operatori particolarmente riflessivi si sono misurati pragmaticamente sul medesimo argomento.
Questa particolare forma di "speciale" segnala a noi stessi e ai nostri lettori il punto che sta raggiungendo la questione, osservata con il nostro punto di vista. Credo che pochi altri capitoli di attenzione (la biodiversità, la forestazione, le reti ecologiche, l'agricoltura, l'educazione ambientale, ecc) abbiano raggiunto oggi il livello di approfondimento e di "incandescenza" di questo, del turismo nei parchi. "Incandescenza" è un termine forte. Lo uso nel senso di una materia fortemente riscaldata che è tempo che prenda forma. Come un blocco di vetro che, soffiato sapientemente, si farà bicchiere, bottiglia, vaso. Con l'attenzione che merita un argomento tanto delicato e tanto esposto ai rischi del deragliamento mettiamo in campo queste carte, che non ripetono cose note, ma tentano un approfondimento significativo. Che mi auguro sarà apprezzato dal nostro attento, navigato, e appassionato lettore.

M.G.