Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 43 - OTTOBRE 2004

 




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IL BUON GOVERNO DEI SISTEMI COSTIERI

Attraverso la GIZC

L'8 ed il 9 di ottobre 2004 si è tenuto a Cervia un importante Convegno sulla Gestione Integrata delle Zone Costiere (GIZC). La prima giornata dei lavori è stata interamente dedicata alla presentazione dei risultati scaturiti da un progetto biennale (2002 - 2003) della Regione Emilia - Romagna finalizzato alla GIZC delle sue coste. Il progetto è stato coordinato dalla Fondazione Cervia Ambiente ed ha visto la partecipazione di oltre 150 esperti. Tra i prodotti più significativi ed innovativi del progetto è da annoverare il documento delle Linee Guida che raccoglie 100 proposte virtuose propedeutiche per lo sviluppo responsabile e sostenibile del sistema costiero dell'Emilia - Romagna. La Gestione Integrata della Zona Costiera rappresenta oggi un esercizio complesso sul quale occorre sempre più riversare conoscenze interdisciplinari, scienza ed adeguate risorse. La contingenza delle problematiche esistenti già oggi pone la fascia costiera in una evidente condizione di precarietà e di emergenza, ove conflitti sociali spesso aspri caratterizzano, con sempre maggiore frequenza, i rapporti tra residenti ed organi amministrativi preposti al governo del territorio. Questo soprattutto alla luce del fatto che oggi circa un terzo della popolazione mondiale vive sulla fascia costiera, e che in essa si trovano tra l'altro straordinarie ricchezze in termini di valori storico - culturali ed ambientali - paesaggistici. La stretta dipendenza tra territorio costiero e mare pone un altro inquietante momento di riflessione sul fatto che "il futuro del mare si gioca nella fascia costiera", questo è quanto emerge dalle discussioni di qualificati esperti nei settori della oceanografia e della biologia marina: il 70% degli inquinanti è di origine terrestre, interventi strutturali quali porti, moli, manufatti, ecc. possono generare gravi forme di degrado, il sommarsi di tali fattori si riflette nella fascia di mare strettamente costiera, quella con i più alti valori di biodiversità, con la più alta produttività, quella ove molti organismi marini compiono parte del proprio ciclo vitale. La sola elencazione delle minacce che oggi affliggono i sistemi costieri del Mediterraneo ci pone di fronte ad uno sforzo non indifferente, sforzo che tende ad aggravarsi se si ha la pretesa di predisporre una analisi con un buon grado di dettaglio.
Il cahier de doléances vale ovviamente per l'intero insieme dei sistemi costieri del pianeta. La dinamica dei processi costieri naturali - ivi compresi i regimi di marea, le condizioni climatiche e i meccanismi di trasporto dei sedimenti, nonché i collegamenti ideologici tra il bacino imbrifero e la costa - hanno influenzato la capacità dell'uomo nel sostenere le proprie attività nelle zone costiere. Ciò si traduce in rischi maggiori e in un aumento dei costi necessari a sostenere le infrastrutture e le popolazioni residenti in condizioni di instabilità del livello del mare provocate dai cambiamenti climatici e dai fenomeni di subsidenza. In talune zone, interventi antropici quali l'ubicazione inadeguata di nuove infrastrutture e l'eccessivo sfruttamento delle risorse viventi e non viventi hanno esacerbato tali problemi. Le pressioni umane rischiano di distruggere gli habitat e di conseguenza la capacità stessa di tali zone di svolgere molte delle loro funzioni essenziali. Nel punto di incontro tra il mare e la terra si sono sviluppate forme di vita rispondenti alle particolari condizioni di questi ambienti che possono definirsi "di transizione". Gli habitat naturali sono molto vari ma la loro superficie è poco estesa; da alcuni decenni, inoltre, sono in forte regresso. Otto dei quaranta tipi di habitat da proteggere in via prioritaria, cosi come previsto della direttiva relativa alla conservazione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatica, sono costieri. Circa un terzo delle zone umide dell'Unione si trova lungo il litorale, cosi come oltre il 30% delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) designate ai sensi della direttiva concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Come già ricordato la maggior parte degli ecosistemi costieri ha una produttività biologica molto elevata: nella fascia costiera si ritrovano le aree di riproduzione e di crescita del novellame della maggior parte delle specie di pesci e molluschi di interesse alieutica. Una parte considerevole delle catture di queste specie proviene da questa zona, dove si concentra la metà dei posti di lavoro del settore della pesca. Dei 700.000 ettari di paludi costiere esistenti in Italia all'inizio del secolo, nel 1972 ne restavano 192.000 e meno di 100.000 nel 1994. Il 75% dei sistemi dunali dell'Europa meridionale (dallo stretto di Gibilterra alla Sicilia) è scomparso dal 1960. L'aumento della popolazione, sia residente che temporanea, determina tensioni sociali tra i possibili usi della costa. Destinazioni a basso impatto vengono spesso sostituite da altre a carattere intensivo che risultano remunerative nel breve termine ma che alla distanza minano il potenziale della costa riducendone la qualità ed il suo valore sociale ed economico. Sebbene problemi analoghi possano presentarsi anche in altre parti del territorio continentale, essi sono particolarmente acuti nelle zone costiere per le complesse interazioni esistenti tra i sistemi acquatici e quelli terrestri, tra i litorali e i rispettivi hinterland (ad esempio tra i porti e l'economia dell'entroterra) e tra le zone insulari e quelle continentali. La necessità di intervenire con urgenza nelle zone costiere deriva anche dai seguenti fattori:
> La rapida dinamica evolutiva e sociale delle zone costiere;
> Il grande potenziale di sviluppo delle zone costiere, che attrae importanti quote di popolazione ed attività economiche;
> I numerosi problemi connessi all'inquinamento e alla gestione dei sedimenti che finiscono con l'esplicare i loro effetti nelle zone costiere;
> Il rischio particolarmente elevato di erosione, di subsidenza e di calamità naturali, come le inondazioni provocate da alluvioni o mareggiate;
> I limiti e problemi particolari di gestione dei trasporti e di assetto territoriale nelle zone al confine tra terra e mare;
> Il ventaglio estremamente ampio di attività diverse che si contendono l'uso delle medesime risorse;

La qualità delle acque in queste aree è motivo di forte preoccupazione. I due fenomeni più spettacolari degli ultimi anni, le maree nere derivanti da incidenti nel trasporto via mare di idrocarburi e la proliferazione delle alghe, hanno evidenziato come spesso l'area marino-costiera subisca le conseguenze di eventi originatesi in mare aperto (trasporti di sostanze pericolose) o nell'entroterra. L'occupazione secolare delle zone costiere da parte dell'uomo e lo sfruttamento delle loro risorse hanno creato forme originali di paesaggi rurali e urbani e culture improntate agli scambi e notevolmente orientate verso l'esterno. Purtroppo l'urbanizzazione diffusa (città lineari) e lo sviluppo agricolo e industriale hanno fortemente ridotto la diversità biologica e l'identità culturale dei paesaggi in moltissime regioni europee. Ai problemi indicati si aggiungano quelli che possono in futuro incidere ulteriormente sulle zone costiere. Le ultime valutazioni degli Organismi internazionali che si occupano di monitorare il clima e le sue variazioni, indicano che i processi di subsidenza sono tuttora presenti, che il cambiamento climatico comporterà un aumento del livello del mare di alcuni millimetri l'anno e che si sta già assistendo ad una maggiore violenza delle mareggiate (condizioni meteorologiche estreme). Gli effetti cumulativi di questi fenomeni avranno ripercussioni più o meno marcate e potranno causare una accentuazione dei processi di erosione ed a gravi inondazioni ed esondazioni. Inoltre, il grande sviluppo previsto in alcuni settori, il turismo ad esempio, porterà ad un aumento della pressione antropica sugli ambienti naturali, rurali e urbani. Le attività umane nelle zone costiere sono molto numerose (industria, turismo, pesca, acquacoltura, ecc.), ma non necessariamente maggiori rispetto ad altre zone. I problemi subentrano quando queste attività tendono a svilupparsi insieme sulla stretta fascia del litorale entrando in conflitto tra loro e con le esigenze di tutela degli ambienti naturali e del paesaggio. Le forti variazioni stagionali dell'attività turistica e delle pressioni ambientali ad essa associate costituiscono inoltre una complicazione supplementare per uno sviluppo sostenibile di queste aree. Nella storia, le zone costiere hanno rappresentato un importante polo di sviluppo della civiltà. La possibilità di usare il mare ai fini del trasporto e degli scambi commerciali e l'abbondante disponibilità di alimenti ricavati dalle acque costiere ad elevata produttività hanno incoraggiato e favorito lo sviluppo di insediamenti urbani e produttivi. Tali zone racchiudono ancora oggi un grande potenziale per la società moderna. Le lagune costiere, le saline e gli estuari svolgono un ruolo importante nella produzione alimentare (grazie alle risorse della pesca e dell'acquacoltura), nonché nella tutela dell'ambiente e della biodiversità. Il ventaglio delle opzioni produttive insite nelle zone costiere è comunque molto ampio e costituisce il volano per la creazione di posti di lavoro e la crescita economica. Le attività e le azioni di seguito riportate rappresentano solo alcune delle leve socioeconomiche di tale contesto:
> Turismo balneare, ambientale, culturale, svago, ricreazione e amenità (spiagge, sport acquatici e paesaggi ameni).
> Produzione agricola specializzata nelle pianure litoranee.
> Diversificazione delle attività della pesca e dell'acquacoltura.
> Generazione di energia, da fonti tradizionali
(ad esempio gas naturale).
> Mobilità e commercio: i porti naturali e non e le vie di comunicazione costiera sono elementi essenziali delle reti di trasporto.
> Conservazione del patrimonio culturale, sia negli insediamenti storici sia nei siti archeologici.

Da una trentina d'anni ha cominciato a farsi strada un nuovo modo di concepire i rapporti tra esseri umani e ambiente. Dal concetto tradizionale di sfruttamento di risorse naturali inesauribili si è gradualmente passati ad una visione più globale e lungimirante, che si integra con le dinamiche naturali. La consapevolezza della necessità di una migliore gestione delle zone costiere è sfociata, agli inizi degli anni '70, in impegni politici che si sono tradotti in numerosi passi concreti. Nei diversi Paesi questi passi sono stati all'origine di normative specifiche, strategie nazionali, piani di assetto regionali, studi, inventari e ricerche. Esistono numerose misure legislative la cui applicazione dovrebbe contribuire alla protezione dell'ambiente del litorale. Studi recenti in questa materia concordano sul fatto che il ventaglio disponibile di normative e strumenti di altro genere è relativamente soddisfacente, ma è lungi dal raggiungere la piena efficacia per mancanza di coordinamento tra i numerosi soggetti che influenzano l'evoluzione delle aree costiere. Ciò non riguarda soltanto le relazioni orizzontali tra settori di attività, ma anche l'articolazione tra le politiche e le azioni portate avanti a diversi livelli di competenza territoriale (locale, regionale, nazionale ed europea).
Un'applicazione troppo rigida del principio di sussidiarietà porta infatti troppo spesso ad un frazionamento di responsabilità, che vengono ad essere ripartite tra i livelli di competenza senza la possibilità di tener conto delle numerose interazioni tra di essi. Per questa mancanza di coordinamento, le complesse relazioni tra le attività umane e l'ambiente costiero, sopra evocate, vengono trascurate e a volte le singole misure non raggiungono il loro obiettivo o addirittura lo ostacolano. Le zone costiere sono entità complesse e influenzate da una miriade di forze e pressioni intercorrelate, com'è il caso dei sistemi idrologici, geomorfologici, socioeconomici e culturali. Una gestione sostenibile richiede quindi necessariamente un'attenzione simultanea nei confronti di tutti i numerosi sistemi che agiscono sulle dinamiche costiere. Nella definizione dei progetti si tende a scegliere l'ambito che pone minori problemi di gestione e spesso le azioni subiscono il limite imposto dai confini amministrativi che, quasi mai, coincidono con quelli naturali o sociali di un determinato ecosistema o bacino. Un approccio "sistemico" richiede generalmente l'esame di forze trainanti o di aree d'impatto ubicate in altre unità amministrative, magari anche lontane dal litorale. Dal momento che le componenti marine e terrestri delle zone costiere sono strettamente correlate (dai processi umani, fisici e biologici), qualunque iniziativa per la loro gestione che punti al successo dovrebbe includere entrambe. Per assicurare un assetto adeguato a una zona costiera occorre comprenderne le specificità, nonché le pressioni e le forze - anche esterne - che agiscono sulle sue dinamiche. Ciò richiede la raccolta di dati opportuni, la produzione di informazioni e indicatori pertinenti, un buon flusso di comunicazioni tra chi interviene nell'ambito della GIZC e chi fornisce informazioni, ed un uso opportuno delle tecniche di valutazione integrata.
In passato, la gestione dei litorali è stata spesso vista come una "lotta contro il mare", in cui i processi naturali avevano frequentemente la meglio sui costosi sforzi dell'uomo. Una buona gestione delle zone costiere si basa piuttosto sulla comprensione delle dinamiche e dei processi naturali dei sistemi litoranei, perché solo assecondando questi processi, e non contrastandoli, è possibile ampliare le opzioni a lungo termine e rendere le attività più sostenibili dal punto di vista ambientale e più remunerative nel lungo periodo. L'assetto delle zone costiere deve riconoscere esplicitamente l'incertezza del futuro e promuovere un approccio sufficientemente flessibile. La pianificazione partecipativa cerca di integrare nei processi di pianificazione e programmazione le opinioni e i punti di vista di tutti i soggetti interessati mediante un coinvolgimento collaborativo che crei impegno e responsabilità condivise, sfrutti le conoscenze locali, contribuisca ad assicurare l'individuazione delle questioni reali e porti a soluzioni fattibili. Anche se una partecipazione dal basso verso l'alto (bottom-up) costituisce una componente importante della buona gestione, sono le politiche nazionali e regionali a guidare la definizione degli obiettivi settoriali nonché i piani e le strategie d'intervento associati all'uso dei litorali e delle loro risorse naturali e sociali.
Oltre a coinvolgere le autorità locali fin dall'inizio, occorre far si che tutti i livelli e i settori amministrativi siano disponibili a sostenere in modo continuativo nei loro ambiti di competenza il processo di gestione di una zona costiera, assicurando ad esempio la capacità istituzionale necessaria per la raccolta dei dati, la gestione degli stessi e la documentazione.
Serve una chiara ripartizione e attribuzione delle responsabilità fra i vari livelli amministrativi (UE, nazionale, regionale e locale) in ottemperanza al principio di sussidiarietà. I vari livelli e settori dell'amministrazione dovranno istituire collegamenti tra di loro e definire azioni con effetto sinergico nonché provvedere a coordinare le rispettive politiche.
La Gestione Integrata delle Zone Costiere può avere successo soltanto con il ricorso ad un insieme di elementi ed azioni comprendente gli strumenti giuridici, quelli economici, gli accordi volontari, l'erogazione di informazioni, le soluzioni tecnologiche, la ricerca e l'istruzione. Il dosaggio corretto di tali strumenti dipenderà dai problemi riscontrati e dal contesto istituzionale e culturale ove questi si manifestano. Ad ogni buon conto occorrerà tener presente le seguenti raccomandazioni:
> Una migliore concertazione tra i soggetti costituisce la base di uno sviluppo sostenibile. Essa serve infatti a riconoscere le sinergie o le contraddizioni tra azioni derivanti da politiche diverse e facilita l'accettazione dei necessari arbitrati. In sintesi, responsabilizza i soggetti;
> Tale concertazione può svilupparsi soltanto partendo da un'informazione completa e comprensibile da parte di tutti sulla situazione dell'ambiente, sulla causa dei mutamenti che esso subisce, sulle implicazioni delle politiche e delle misure ai vari livelli e sulle opzioni disponibili;
> La concertazione deve essere organizzata e seguita con attenzione.
Sono indispensabili meccanismi e metodi di lavoro per il dialogo tra i soggetti dei diversi settori nonché uno scambio continuo di informazioni tra i vari livelli di competenza territoriale, dal livello locale, al nazionale a quello comunitario e viceversa.

di Attilio Rinaldi (Direttore Struttura Oceanografica Daphne e Ingegneria Ambientale. ARPA Emilia Romagna)

Senza CIP, il piatto piange
Devo confessare, sinceramente, che fa un certo effetto ascoltare convegni sulla gestione integrata delle coste, o sul modo di affrontare gli inquinamenti volontari dell'Adriatico, in totale assenza di riferimenti al ruolo delle aree protette. È esistita un'epoca, non troppo lontana, dopotutto, nella quale sembrava ovvio che i parchi costieri dovessero essere in sintonia con quanti si stessero occupando di gestione integrata delle coste, o di temi legati al risanamento e alla conservazione. Alla conferenza di Torino delle aree protette (quella nazionale, con i sottosegretari, il ministro, le regioni, le associazioni, gli illustri accademici, le sotto commissioni tematiche) nelle mostre allestite al Lingotto, nelle relazioni, nei gruppi di lavoro, la parola "CIP" risuonava come un termine noto e familiare, quasi ovvio, politicamente corretto, e apripista di interventi concreti coordinati tra il ministero, le regioni e i parchi. Sembrava vero. Sembrava fatta. Eravamo così convinti di avercela fatta da esportare il concetto. Ricordo un intervento all'Accademia dei Lincei. Un altro a Sarajevo, dove cercammo di proporre il modello CIP per politiche europee, trans frontaliere, mediterranee. Per chi già avesse dimenticato, CIP voleva dire "coste italiane protette", viaggiava in tandem con APE, "appennino parco d'Europa" e faceva parte della più grande famiglia dei progetti di sistema, usciti dalla fucina di Catania sotto l'ombrello dell'allora ministro Ciampi. È curioso come si dissolvano al vento i grandi progetti! Un "guru" del calibro di Predrag Matvejevic, che colgo l'occasione di ringraziare di aver accettato di far parte del comitato scientifico di questa rivista, svolgendo a Senigallia la prima delle "Lezioni Sergio Anselmi" dedicata alle "Alternative mediterranee" esprimeva il suo profondo rammarico per la perdita di credibilità dei progetti legati alla "Conferenza di Barcellona". Di fronte a quelle idee così precise, a quegli impegni così forti, ai quei finanziamenti che sarebbero stati così utili se fossero stati davvero erogati, Predrag Matvejevic definiva il mediterraneo uno "stato di cose che non riesce a diventare progetto". Se in quei progetti di Barcellona ci fossero state scadenze, date, responsabilità, forse oggi non ci sarebbe la crisi di credibilità che avvertiamo, un certo pessimismo, una sorta di crepuscolarismo mediterraneo che pesa sulle nostre speranze e sulle nostre aspirazioni. Ha detto Matvejevic, a Senigallia. Ma le stesse cose, con lo stesso scetticismo molto creativo che fu di Sergio Anselmi, si potrebbero dire dei progetti di sistema di area vasta, di APE e di CIP. Qui a fianco corre un articolo che ho chiesto ad Attilio Rinaldi, sollecitando un richiamo alle esperienze mediterranee di gestione integrata messe in campo dalle aree protette. Forse Attilio non mi ha ascoltato attentamente. Forse la sua è una cultura più legata all'Icram e all'Agenzia per l'ambiente che alle vicende dei parchi, e ciascuno di noi è figlio delle proprie esperienze e della propria cultura. Inevitabilmente. Tuttavia ho l'impressione che la questione non si possa ridurre a questo. I motivi della "rimozione" non sono solo personali. Quando Attilio Rinaldi a lungo descrive i guasti della frammentazione degli attuali interventi, sottolineando i limiti dell'attuazione della sussidiarietà, senza avere poi lo stimolo di concludere che le aree protette costiere e marine potrebbero essere gli strumenti ideali per sciogliere questo genere di nodi, in realtà ci pone un tema ulteriore, e propone a tutti noi un terreno di discussione più moderno e più aggiornato di quanto non appaia ad una prima lettura. Dietro quel fragoroso silenzio, infatti, a mio modo di vedere c'è la cronaca di una stagione politica e amministrativa che è riuscita addirittura ad aggravare i problemi di gestione tra mare e terra, e che dovrebbe essere sottoposta ad un giudizio attento, e non episodico. La frammentazione delle competenze è diminuita o é aumentata con l'istituzione dei nuovi parchi marini? Ne vogliamo parlare? Supposto che non ci sarà nessuna gestione integrata delle coste se non riusciremo anzitutto nei parchi marini e costieri a dotarci di strumenti e di soggetti istituzionali idonei a proteggere ambienti tanto pregiati, perché questa nostra ferma opinione contagia così poco esperti frequentatori delle materie in questione del calibro di Attilio Rinaldi? Anche questo è un interrogativo serio. La nostra idea fissa è che il territorio (costiero e marino) abbia bisogno anche e in particolare delle aree protette e dei parchi. Con strumenti di gestione molto integrati fra loro, e con un dibattito esplicito su questo punto, che non nasca (e subito si smaterializzi!) solo in seguito ad un pronunciamento della Corte dei Conti o dopo una vicenda locale più o meno chiara, o in seguito ad un cambio di maggioranza politica e di persone fisiche. Se il tema è centrale, tutti dovrebbero trovare il modo di rendere le aree protette il principale snodo della gestione integrata delle aree costiere e marine. Al contrario in questi mesi sempre più spesso gli stessi parchi entrano in progetti europei, li sostanziano di buone pratiche, dibattono, confrontano, progettano, ma poi scompaiono nelle spire e nei pozzi senza fondo del partenariato (oserei dire nelle … foibe) e di teorie generali burocratiche e accademiche che, in buona sostanza, non li contemplano. Perché - forse - la nostra antica idea che nelle aree protette si potesse sperimentare il moderno possibile anche per territori più vasti e meno protetti era - appunto - solo una idea. Che, come il Mediterraneo nella definizione di Predrag Matvejevic, non è riuscita a diventare progetto. Però, che peccato! E che spreco, signora mia!
M.G.