Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 43 - OTTOBRE 2004

 




Ordina questo numero della rivista

SISTOLE E DIASTOLE

Quando una rete di momenti di sperimentazione di novità assolute sta esprimendo la volontà di agire come un sistema, come succede con la circolazione sanguigna, occorre concentrare i saperi (confrontandoli, aggiornandoli) e poi distribuirli nel l'intero sistema che li utilizza e li sperimenta. C'è stata una fase di avvio dell'esperienza delle aree protette italiane segnata profondamente dalla volontà dei protagonisti di agire tenendosi in contatto, per costruire un sistema. Oggi quella fase appare lontana, e nuovi protagonisti neppure ne hanno sentore, al punto che non credo sia uno sconfinamento cominciare a mettere nero su bianco qualche ricordo, in modo che non vada perduto. Tuttavia si tratta di un'epoca abbastanza vicina. E quindi tale da essere ricostruita con relativa facilità. Quando ci si dava appuntamento in Ancona, in un appuntamento che si chiamava "parco produce", oppure in varie città scelte con un disegno preciso in occasione della giornata europea delle aree protette (ci incontrammo a Torino, a Milano, a Pescara, a Catania), quando ci si dava appuntamento a Gargnano, sul lago di Garda, a villa Feltrinelli, in un appuntamento che era veramente internazionale, oppure quando si inventavano appuntamenti tematici, sulla comunicazione, a Portofino o altrove, era acquisita una rete di disponibilità che non era per niente scontato che ci fosse. Esisteva una disponibilità diffusa (certo: di intensità, grado e spessore diversi) a ricercare insieme le coordinate di un lavoro che in parte era un dovere legato al ruolo che stavamo svolgendo di amministratori di aree protette, e in parte era un esercizio di supplenza rispetto ad autorità nazionali e regionali che mostravano evidenti ritardi culturali. Quando alcuni di quegli appuntamenti producevano importanti svolte nel nostro complessivo approfondimento, la cosa aveva immediati effetti nelle differenti località nelle quali stavamo amministrando. La sistole si trasformava in diastole, e gli enti parco che venivano irrorati delle nuove acquisizioni operavano con maggiori dinamicità e in effettiva sinergia con gli altri. Nacquero coordinamenti che senza sforzo, come fosse la cosa più naturale del mondo, seppero unire le differenti identità dei singoli parchi di una stessa regione, fronteggiando apertamente e spesso vittoriosamente le autorità superiori, che pure avrebbero avuto forti argomenti per arginare e sopire quelle azioni che disturbavano i tradizionali manovratori. Nasceva in quegli anni una nuova cultura, ma anche una nuova pratica amministrativa, che si articolava tranquillamente in sistemi, in geometrie variabili ma sempre di area vasta. Fu quello spirito che ci portò ad assumere posizioni piene di contenuti e pochissimo attente alle logiche di schieramento. Manifestammo insieme, contro un Governo che non teneva nel giusto conto le nostre proposte e le nostre esigenze, e non ci importava quale fosse il colore partitico di quel Governo. Contavano i contenuti, che approfondivamo nei nostri convegni, sulla nostra rivista, sentendoci sistema anche se il sistema nazionale delle aree protette era ancora uno slogan e una rivendicazione. Quella stagione è passata. Oggi le nostre azioni sono altre. I nostri appuntamenti sono altri. E anche questa rivista non può essere più quel riassunto di esperienze che aspettavamo con curiosità e con interesse. Non c'è più "parco produce". Non ci sono più i convegni internazionali di Gargnano. Non ci sono più gli incontri annuali a margine della giornata europea dei parchi. Ci sono altri appuntamenti. E sulle ragioni del superamento di "parco produce", di "Gargnano" e dei convegni della giornata europea potremmo approfondire l'analisi con abbondante profitto, evitando risposte troppo semplici, perché i processi storici non tollerano slogan quando li si voglia davvero comprendere. Se invece si desidera liberarsi del fastidioso ricordo, o si vuole trovare una spiegazione semplice, che va bene a tutti e non infastidisce nessuno, anche questo si può fare, ma pagando il prezzo pesante di mancare l'obbiettivo di una analisi che produca effetti positivi. Non serve mettere pietre sopra. Ricucendo e cicatrizzando ferite che si sono già abbondantemente rimarginate da sole. Quello che a mio modo di vedere potrebbe essere ancora utile è capire quanto margine ancora resti per reagire alla crisi mondiale delle strutture associative (dalle federazioni di parchi ai partiti politici, per intenderci) che sotto ogni cielo tendono a perdere contatto con i contenuti, gli approfondimenti, i grandi affreschi, le grandi narrazioni, per concentrarsi su segmenti minori, interessi circoscritti e percorsi individuali. C'è una diastole che dura da troppo tempo, e un rifiuto della sistole, che va capita meglio. Si tratta di un evento inevitabile, da assumere come dato di fatto? Oppure si tratta di una pausa, che nello spazio e nel tempo avrà precisi confini e sviluppi da costruire? Le due cose non sono mediabili. O la situazione è destinata a durare per un periodo indefinibile, e allora molte cose dovranno essere modificate (dai piani di lavoro delle aree protette, a quelli di Federparchi, agli strumenti di comunicazione, alla nostra rivista, che potrebbe essere chiusa, oppure resa molto più leggera e leggiadra), oppure è aperta la possibilità di rilanciare le poste in gioco su tutti i tavoli, dai territori nei quali agiscono le aree protette, ai tavoli regionali, ministeriali, mediterranei, della unione europea, delle associazioni che oggi in Europa sono molto più frequentate dai presidenti dei parchi italiani di un tempo, e anche in questo secondo caso occorrerebbe prendere decisioni conseguenti. Lasciando ad altri, che hanno più titoli del direttore di questa rivista, il compito di tracciare le nuove rotte locali, regionali, nazionali, mediterranee ed europee, stando solo sul mio limitato e circoscritto terreno, debbo dire che nel secondo scenario ipotizzato la rivista dovrà passare dall'attuale condizione di strumento di "cultura, progettazione ed esperienze di gestione ambientale" ad una più secca e netta "rassegna di cultura delle aree protette", rinunciando al gusto della grafica e delle piacevolezze fotografiche per entrare in convento, e farsi un più compatto e rigoroso strumento di consapevole crescita del mondo delle aree protette che guarda al nuovo millennio come al tempo dello sviluppo sostenibile e dell' ecologia applicata alla globalizzazione, senza se e senza ma. In una delle nostre tante (troppe?) riunioni abbiamo pensato che questa seconda ipotesi fosse quella da percorrere. Per una serie di considerazioni che non è qui il caso neppure di tentare di riassumere, ma che in sostanza rientrano tutte nella scommessa nel futuro che ci pare di poter fare. Si può pensare molto male del ministero, ma pure un ministero esiste. Si può pensare molto male degli assessorati regionali, ma pure esistono. E l'uno e gli altri rendono ancora possibile l'esistenza delle aree protette, e dell'idea di politiche di sistema degne di questo nome da trasferire in Europa, intesa come Mediterraneo, come Adriatico, come Bruxelles e associazioni e istituzioni di molti tipi e di differenti ruoli. In questo ribollire di materie allo stato nascente e spesso allo stato incandescente appare molto necessario un momento di rigoroso rallentamento delle nevrotiche scadenze e delle giostre degli appuntamenti che generano altri appuntamenti senza respiro e senza misura. Federparchi, si è detto tra noi, non ha bisogno di una ulteriore vetrina per diffondere in un ristretto giro di abbonati e di interessati le stesse notizie e le stesse esperienze che già sono in rete su internet o che possono circolare su altri fogli stampati dalle aree protette. Quello che serve è quello che già la nostra rivista a volte riesce a dare, vale a dire ricerche, interviste, approfondimenti, libri, aumentandone lo spessore culturale, ampliando i canali di reperimento, svolgendo sempre di più una funzione di referente rispetto a quanti non hanno perso la speranza di lavorare in rete, nel quadro di un sistema nazionale impreciso ma in costruzione, e nella prospettiva di un sistema che sia addirittura mediterraneo ed europeo. Quindi la campagna abbonamenti per il 2005 avrà queste nuove proposte da propagandare. Tenterà di vendere un fascicolo molto più sobrio, senza immagini, e senza alleggerimenti. Quella che proporremo ai nuovi abbonati sarà una rivista in senso classico, da libreria e non da edicola. E conterrà le carte in tavola del percorso che affronteranno le aree protette italiane nel millennio che si è aperto. Io sono tra coloro che hanno condiviso questa impostazione. Quindi non sarò io a criticarla, neppure rovesciando l'artificio retorico usato da Shakespeare nel Giulio Cesare, quando Antonio comincia con il dichiarato proposito di seppellire Cesare, e finisce scatenando la folla contro Bruto (ma se io fossi Bruto, e Bruto Antonio, qui ci sarebbe ora un Antonio capace di …). Io sono per prendere atto che è finita una fase della nostra vita associativa, che i nostri strumenti di comunicazione sono molto diversi rispetto a qualche anno addietro, molto più ricchi di opportunità, e che occorre guardare avanti precisando e consolidando ogni aspetto del nostro sistema di informazione, e del nostro principale strumento di approfondimento rappresentato dalla rivista "Parchi". Questa svolta ci porterà a sperimentare anche nuove forme di lavoro redazionale. Nuove energie da impegnare e nuove sinergie se e dove sarà possibile. E naturalmente anche questo rinnovato impegno sarà una verifica sul campo della disponibilità di quanti hanno sostituito nella realtà delle attuali aree protette la generazione dei convegni e della rivista prima e seconda maniera. Da questa nuova realtà, non sempre ancora visibile come sarebbe necessario e giusto, dovrà arrivare all'insieme del mondo delle aree protette una spinta propulsiva nuova, contemporanea ai tempi che cambiano, e tale da essere subito il tessuto connettivo della rete di amministratori che si stanno formando, e la nuova cultura che dovrà dialogare e interagire con i contenuti forti gestiti dal sistema delle autonomie, dai governi nazionali, dal parlamento e dalla commissione europea. La convinzione profonda che tutto questo sia necessario non mi acceca al punto da impedirmi di vedere che l'impresa non è di quelle semplici, soprattutto se messa in relazione con le mie modeste forze. E, già che sono in argomento, aggiungerò che non sono così cieco da non vedere che è particolarmente difficile gestire progetti tra loro assai differenti, anche nel caso che li si abbia desiderati e costruiti. Ma l'intera riflessione non ha alcunché di personale. E, appunto, sempre senza nulla di personale, nel momento in cui comunque una fase della rivista si chiude, sento il dovere di ringraziare Federparchi (nelle persone di un ampio gruppo dirigente nazionale, e di almeno due presidenti, Enzo Valbonesi e Matteo Fusilli, per non parlare del "fondatore" Renzo Moschini) per avermi dato l'opportunità di realizzare una esperienza che mi ha dato molto, e che spero abbia dato qualcosa anche alla nostra associazione. Matteo Fusilli, e la attuale redazione, mi hanno rinnovato di recente la loro fiducia invitandomi ad essere … la levatrice di questo nuovo strumento giornalistico. Sinceramente, non so valutare esattamente i confini e le difficoltà della nuova avventura che mi viene proposto di vivere. E pur essendo certo delle buone ragioni del detto che Machiavelli attribuiva a Boccaccio, e che suonava "che gli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi", pure non vorrei dovermi poi pentire esageratamente. Alcune sere fa sono stato invitato al ridotto dell'anconitano teatro delle Muse, dove veniva presentato un numero speciale di una rivista culturale interamente dedicato al poeta Franco Scataglini. Sono entrato per una antica amicizia che mi legava a quel delicato disegnatore di elegantissime quartine purtroppo scomparso da ben dieci anni, ma con il dubbio di essere una specie di intruso. Invece il regista della serata, un altro poeta piuttosto noto che risponde al nome di Francesco Scarabicchi trovò il modo, vedendomi arrivare, di infilare nel discorso che aveva preparato diversi riferimenti al ruolo che ebbe una rivista che diressi anni fa, "Marche oggi", di una antologia che curai, "Residenza", e di un quaderno con gli atti di un convegno di poesia, "Poesia marginale e marginalità della poesia", al punto da confondermi le idee, restituendo soprattutto a me stesso la memoria di azioni che si erano sciolte nell'acido di una complicata esistenza. Chiudo questa nota con un ricordo solo apparentemente fuori luogo, per esprimere la speranza di passare tra qualche anno per caso davanti a un' altra sala per convegni, di entrare attirato da qualche dettaglio (una ragazza in prima fila, un gioco di colori nel manifesto), e di avere la piacevole sorpresa di ascoltare dalla viva voce del relatore che ancora c'è qualcuno che ricorda le varie stagioni della rivista quadrimestrale dei parchi, nelle sue differenti sequenze, tutte peraltro inserite in un processo di rinnovamento della società italiana. Chiunque sarà al timone nella prossima imminente regata, questa speranza ha sempre un senso, quale che sia la fase che si prepara, di ulteriore e permanente diastole, o di regolare ripresa delle pulsazioni e delle pulsioni.

Commenti di Mariano Guzzini