Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 44 - FEBBRAIO 2005

 




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IL PARCO DELLO ZOLFO

È in gioco la memoria collettiva di interi paesi dell'interno della Sicilia

Prima di varcare l'ingresso del Parco Minerario Floristella Grottacalda bisognerebbe avere sottomano una di quelle foto in bianco-nero che ritraevano i carusi dello zolfo: magrissimi e sporchi, spesso nudi, avevano il compito di trasportare i cufini con il minerale su e giù per le gallerie. Un tanto per ogni “viaggio” effettuato su per scalette e cunicoli ripidissimi.
Oppure bisognerebbe avere letto l'Inchiesta in Sicilia di Franchetti e Sonnino, dove si racconta che “la vista dei fanciulli in tenera età, curvi e ansanti sotto i carichi di minerale, muoverebbe a pietà, anzi all'ira, perfino l'animo del più sviscerato adoratore delle armonie economiche”.
Era il 1876 e per tanti bambini e ragazzi siciliani l'inferno era una esperienza terrena e quotidiana. Assoldati dai picconieri delle miniere trasportavano carichi di 30 e più chili ad appena sette-otto anni di età. Ma Franchetti e Sonnino precisavano che in qualche caso venivano portati a faticare anche bambini di cinque anni. Quando ne avevano 18 –secondo gli autori dell'Inchiesta- i pesi da trasportare arrivavano anche a 70 chili per volta. Per i carusi dello zolfo a volte il legame con il picconiere che li aveva comprati in tenera età andava oltre la giovinezza e continuava sino a quando non erano in grado di riscattarsi, restituendo la somma che il picconiere aveva dato alla famiglia per assicurarsi i loro servigi (il cosiddetto soccorso morto).
L'epopea dello zolfo in Sicilia terminò ufficialmente soltanto negli anni Ottanta del Novecento. Ma chiusa la vicenda produttiva iniziò qualche anno dopo la genesi legislativa dei provvedimenti che condussero alla istituzione del primo Parco minerario siciliano, quello di Floristella-Grottacalda. Con l'avvio della politica di conservazione dei siti zolfiferi venne riconosciuto che in gioco c'era la memoria collettiva di interi paesi dell'interno dell'isola, così come tutto l'insieme delle conoscenze sviluppatosi per oltre un secolo e mezzo in Sicilia, dall'inizio dell'Ottocento sino, appunto, alla seconda metà del Novecento. Dal periodo del vorticoso sviluppo iniziale legato alla nascita dell'industria chimica europea ed al conseguente ruolo dominante dei mercanti inglesi, sino alla prolungata agonia, manifestatasi già nei primi anni del Novecento, dopo l'invenzione, da parte del tedesco Frash, di un rivoluzionario sistema di sfruttamento dei giacimenti americani (acqua bollente iniettata a pressione nel sottosuolo). Di certo il tracollo non fu immediato. Ma troppo grande era la differenza di produttività fra le enormi miniere degli USA ed i piccoli proprietari siciliani impegnati a litigare fra di loro ed in costante scontro con gli industriali della raffinazione, questi ultimi concentrati soprattutto a Catania.
Venne tentata anche la costituzione di un consorzio obbligatorio in modo da sostenere i prezzi del minerale. Il fascismo tentò senza fortuna di ristrutturare l'intero comparto produttivo per aumentarne la produttività. Dopo la fine della seconda guerra mondiale il destino delle zolfare dell'Isola era ormai segnato, anche perché ulteriori innovazioni tecnologiche avevano ridimensionato l'utilizzo industriale del minerale. Gli ultimi minatori li incontrammo proprio a Floristella venti anni fa, risultavano ancora in servizio –a spese della Regione- ma non andavano più nelle viscere della terra, aspettavano –giocando a carte nei depositi ormai vuoti- che arrivasse il momento del pre-pensionamento.
Del vasto complesso minerario Floristella-Grottacalda oggi sono visibili le discenderie dalle quali si accedeva al sottosuolo (budelli in cui si consumava l'esistenza dei carusi incaricati di trasportare lo zolfo), i calcheroni utilizzati per bruciare il minerale grezzo sino a quando non vennero introdotti i cosiddetti forni Gil, le attrezzature risalenti all'ultimo periodo di esercizio dell'impianto estrattivo. All'interno dell'area mineraria si trova anche il maestoso palazzo Pennisi di Floristella, simbolo del potere economico e sociale dei proprietari della miniera, per il quale è in corso un impegnativo progetto di restauro che richiederà ancora lunghi anni di lavoro. Proprio il recupero dell'enorme, ma fragile edificio che fu dei signori dello zolfo è uno degli obiettivi fondamentali del Parco, così come viene dichiarato nella legge istitutiva dell'area protetta: uno stringato articolo (il numero 6) inserito nella legge regionale 17 del 15 maggio 1991. La disposizione normativa è articolata su sole 18 righe, sufficienti ad enunciare gli scopi della istituzione (protezione dell'area e recupero del palazzo, come accennato sopra) e soprattutto il passaggio della proprietà dei terreni e degli impianti dall'Ente Minerario Siciliano al costituendo Parco. Con la stessa legge si vollero anche istituire altri “luoghi della memoria” in altri bacini zolfiferi dell'isola, prevedendo l'apertura di appositi musei. La normativa del 1991 cercava insomma in qualche modo di porre un freno al rapidissimo degrado seguito ad un'altra legge regionale (la numero 34 del 1988) con la quale, dopo una serie di inutili e costosi tentativi di recupero della produttività degli impianti, era stata scritta ufficialmente la parola “fine” nel libro delle miniere di zolfo isolane. L'Assemblea regionale aveva stabilito in quella occasione la chiusura delle gallerie e la dismissione da parte dell'Ente Minerario Siciliano (E.M.S) di tutto quanto poteva essere alienato. In pochi anni quel provvedimento, cui seguì l'abbandono fisico degli impianti da parte degli ultimi minatori, portò al vertiginoso degrado ed in molti casi al furto o al danneggiamento di gran parte delle attrezzature. Tre anni dopo lo stesso parlamento regionale su pressione di diversi partiti politici cercò di porre rimedio al manifesto fenomeno di cancellazione della memoria mineraria dell'Isola, approvando appunto una nuova normativa (la citata legge 17 del 1991) che prevedeva l'istituzione di un Parco e di quattro aree museali .Per Floristella Grottacalda venne scelta la soluzione più completa anche perché gli impianti di estrazione si trovano al centro di una vasta area di rimboschimento gestita dall'Azienda regionale foreste demaniali e quindi il sito coniuga l'archeologia industriale con una certa dose di naturalità.
L'ingresso del Parco minerario si raggiunge facilmente seguendo la provinciale che dal casello Mulinello dell'autostrada Catania-Palermo va in direzione di Valguarnera e Piazza Armerina, non lontano da Enna. Oggi la vallata è piuttosto amena. Ma per entrare nello spirito dell'area mineraria occorre provare a immaginare cosa doveva essere questo luogo assolato mentre bruciava lentamente il minerale grezzo inondando l'atmosfera di anidride solforosa. Un inferno animato da un andirivieni di operai e carusi che si muovevano su e giù dai pozzi e dai cunicoli dove lavoravano i picconieri. La vegetazione cela parzialmente anche le tonnellate di materiali di scarto accantonate nel corso dell'attività estrattiva. Sono invece ben visibili sei grandi aree circolari in cui veniva accumulato il materiale ancora grezzo (i cosiddetti calcheroni).
Ma per apprezzare il Parco minerario occorre conoscere, almeno sommariamente, il processo di lavorazione dello zolfo che si può così riassumere: il materiale grezzo estratto dal sottosuolo veniva impastato con acqua per ricavare dei pani che venivano accatastati sino a formare delle piramidi. Una volta costituita la pila di minerale grezzo essa veniva incendiata e coperta con terra in modo da ottenere una lenta combustione del minerale e la fusione dello zolfo (un po' come fanno ancora oggi i carbonai). Di fianco al calcherone (costruito con la base in lieve pendenza) c'erano delle strutture in pietra dove scivolava lo zolfo fuso, le cosiddette “bocche della morte”. Qui gli operai raccoglievano lo zolfo liquido in appositi contenitori di legno per farlo addensare e formare infine le balate di minerale allo stato puro.
Tutto questo processo è ancora leggibile nei resti che si trovano al centro della vallata di Floristella. Dove sono ubicati anche gli edifici di servizio della miniera, quelli in cui i picconieri ed i carusi si adattavano a passare le notti, visto che la fatica al termine di turni massacranti era veramente tanta ed i centri abitati erano spesso troppo distanti per essere raggiunti in poche ore di sosta. Per gran parte dell'Ottocento nei locali del “dopolavoro” avveniva anche la vendita di prodotti alimentari su iniziativa delle stesse imprese esercenti gli impianti, le quali anticipavano così in natura ai picconieri una parte dei loro proventi applicando però consistenti ricarichi ai prezzi abituali delle derrate (il cosiddetto truck system , introdotto dai mercanti inglesi)
In realtà in mezzo alla umanità violenta e spregiudicata che gravitava intorno allo zolfo le prevaricazioni non erano mai a senso unico. Gli stessi picconieri ( a loro volte imprenditori in piccolo e sfruttatori dei loro collaboratori) erano a volte protagonisti di truffe ai danni dei datori di lavoro con repentine fughe da un giacimento all'altro, una volta ottenuti gli anticipi. Insieme a loro si spostavano i carusi dello zolfo, i veri disperati della miniera di cui si può oggi solo immaginare l'esistenza osservando gli ambienti in cui lavoravano anche a Floristella-Grottacalda. A fianco del tracciato principale si vedono chiaramente le imboccature di numerose discenderie, ripidi e angusti cunicoli quasi verticali che precipitano nelle viscere della terra. Erano i luoghi in cui si consumava l'attività dei ragazzi incaricati di trasportare il minerale strappato al giacimento dai loro padroni-picconieri nelle condizioni descritte dettagliatamente da Franchetti e Sonnino.
Proseguendo ancora per circa un chilometro si può infine visitare il sito di Gallizzi-S.Giuseppe (piuttosto nascosto sulla destra in mezzo al bosco, prima di giungere alla recinzione che delimita il Parco minerario). Qui si vedono i resti del primo impianto fatto costruire dai Gesuiti- quando il feudo era ancora di proprietà ecclesiastica, verso la fine del Settecento.
Dal punto di vista gestionale il Parco versa purtroppo in uno stato di grave ritardo. Il suo commissario-presidente, Gaetano Gullo, scriveva tempo fa di un “ente precario fondato sul precariato”. Ovvero un ente di diritto pubblico che vive dei contributi ordinari inviati con ritardo ed in maniera insufficiente dalla Regione Siciliana e da alcuni enti locali; quasi privo di personale di ruolo, ma dotato in compenso di una ventina di lavoratori precari incaricati di vigilare dove ormai c'è ben poco da custodire. Le risorse ordinarie sono talmente scarse da aver indotto il commissario-presidente a non bandire il concorso per il ruolo di direttore del Parco in modo da evitare di dissanguare le casse dell'Ente. In compenso l'area di Floristella Grottacalda ha attratto negli ultimi anni ingenti fondi del PIT n. 11 della Sicilia finalizzati al ripristino delle attrezzature di superficie e di qualche discenderia (circa 2,2 milioni di Euro), nonché fondi ex legge 64 (oltre quattro miliardi di vecchie lire) destinati all'impegnativa opera di restauro del palazzo Pennisi, iniziativa per la quale è in arrivo un ulteriore finanziamento che dovrebbe garantire il completamento del progetto. Un terzo progetto è stato infine impostato per realizzare la sentieristica nell'area protetta (in questo caso la dotazione finanziaria è di circa 500 mila Euro). “Dal completamento di queste tre iniziative – spiega Salvatore Di Vita, funzionario dell'Ente Parco- ci aspettiamo il pieno sfruttamento delle potenzialità dell'area mineraria, che sino ad oggi risultano ancora inespresse”.
Il Parco che scaturirà dalla concretizzazione dei progetti sopra evidenziati sarà caratterizzato da una eminente componente museale (il palazzo Pennisi e le attrezzature di superficie), mentre l'esperienza “sotterranea” dei visitatori – così è stato stabilito dopo un acceso dibattito in Comitato tecnico scientifico- sarà limitata alle discenderie oggetto di restauro, senza ripristino di alcun pozzo facente parte degli impianti novecenteschi. Una scelta questa che ha fatto molto discutere e che non mancherà di suscitare ulteriori dibattiti, considerati i flussi turistici che in altri paesi europei (ad esempio l'Austria) si è riusciti ad organizzare con grande successo nelle aree minerarie dismesse, facendo leva proprio sulla proposta ai turisti di una pur fugace esperienza nel sottosuolo.

di Giuseppe Riggio