Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 44 - FEBBRAIO 2005

 




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REGIONI, IL LABORATORIO DEI PARCHI


La prima Assemblea nazionale dei parchi regionali, organizzata da Federparchi al Ticino dal 22 al 24 aprile, giunge in un momento particolarmente delicato per le aree protette italiane. Chiamate sempre più a misurarsi, dopo i congressi Iucn di Durban e Bagkok, con la rete locale delle istituzioni e della pianificazione territoriale; orfane del sostegno statale ai sistemi regionali; investite dalle innovazioni imposte dai progressi della ricerca scientifica e dalle politiche comunitarie. Dalle novità normative ai piani, dal personale alle risorse finanziarie in gioco, dagli assetti organizzativi alla comunicazione, un'inchiesta di Parchi per mettere a fuoco – attraverso la voce dei protagonisti – i problemi, le idee, alcune delle più importanti questioni che emergono dal laboratorio delle Regioni. Con luci e ombre, rassicuranti conferme e qualche piacevole sorpresa.

I quadri normativi

È senza dubbio la principale novità normativa di questo primo scorcio del 2005. Diciassette anni dopo, l'Emilia-Romagna ha approvato la sua nuova legge-quadro sui parchi. S'intitola “Disciplina della formazione e della gestione del sistema regionale delle aree naturali protette e dei siti della rete Natura 2000” e porta la data del 17 febbraio 2005 e il numero 6(1). La firma è dell'assessore uscente Guido Tampieri, ma il vero “padre” è l'ex presidente di Federparchi, Enzo Valbonesi. La legge è complessa, come forse deve esserlo una norma che aspira a guidare una politica di conservazione moderna, trasversale, partecipata. Molte le conferme del vecchio impianto della 11/88(2), a cominciare dalla scelta non degli enti parco ma dei consorzi tra enti locali per la gestione dei parchi. Ma diverse e importanti sono anche le novità, a cominciare dal ruolo maggiore attribuito alle Province, al rapporto privilegiato con gli agricoltori, al raccordo con la pianificazione ordinaria. I primi due, punti di una discussione anche accesa che in Regione hanno saputo gestire con prudenza ma portando avanti le convinzioni di partenza, recependo alcune osservazioni secondarie(3). Facciamo una veloce disamina dei punti più innovativi toccati dai 72 articoli della legge. La classificazione: oltre alle categorie usuali, viene confermata quella delle aree di riequilibrio ecologico (siti di limitata estensione, spesso frutto d'interventi di rinaturalizzazione: ve ne sono già 48) e introdotta ex novo quella dei paesaggi naturali e seminaturali protetti, che riprende la categoria V dell'Iucn (art.4). I corridoi ecologici: qui si chiamano Aree di collegamento ecologico e sono individuate e disciplinate, quanto a modalità di salvaguardia, dalle Province (art.7). Il coinvolgimento delle rappresentanze non istituzionali: avviene nel Comitato consultivo regionale per l'ambiente naturale, quindici persone di cui dieci indicati da università e associazioni ambientaliste (i cui rappresentanti, quindi, non hanno qui funzioni direttive), organizzazioni produttive e sindacati (art.8). Il Programma regionale delle aree protette e dei siti Natura 2000: assente nella precedente legge e ora a cadenza “di norma” triennale, detta indirizzi, priorità, risorse e criteri di riparto, nuove aree da istituire ed è definito dal Consiglio regionale sulla base delle proposte di Province ed enti di gestione dei parchi (art.12 e 13). Le funzioni attribuite alle Province: parchi regionali esclusi, sono praticamente tutte e riguardano gestione, individuazione e cofinanziamento (art.14); quanto ai parchi, le Province ne approvano piano e regolamento (artt.28 e 32). Componenti e poteri degli organi dei consorzi: sono stabiliti dai rispettivi statuti, che ciascun parco predispone in autonomia decidendo ad esempio se includere nell'esecutivo del consorzio anche un rappresentante degli agricoltori o come istituire una Consulta rappresentativa delle categorie economiche e sociali, chiamata a pareri non vincolanti sui principali atti programmatori del consorzio (art.19-20). Il rapporto privilegiato con gli agricoltori: viene regolato da un nuovo istituto, l'accordo agro-ambientale stipulato tra parco, associazioni di categoria e Provincia, che prevede una più specifica integrazione delle istanze del mondo agricolo nel piano del parco pur senza obblighi per l'ente gestore in caso di contrasti (art.33). L'introduzione del nulla-osta: assente nella vecchia legge, viene rilasciato dall'ente gestore entro due mesi e secondo il principio del silenzio-assenso (art.40). È una legge assai meditata, non a caso frutto di ripetute consultazioni preventive cui ha partecipato – avanzando numerose proposte, in buona parte accolte – lo stesso Coordinamento regionale di Federparchi presieduto da Valter Zago. Attenta a recepire le novità maturate tanto a livello scientifico internazionale, come il dibattito sulle reti ecologiche, che a livello normativo comunitario e nazionale, in particolare su Natura 2000 e il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Su Natura 2000 la Regione si era in realtà già attivata dall'aprile 2004, con la legge n.7 che ne affida la gestione alle Province, oppure alle aree protette regionali (se coinvolte) o alla Regione (per Sic e Zps ricadenti in aree protette statali). Quanto al nuovo Codice dei beni culturali – come forse non sufficientemente noto - nel gennaio del 2004 ha sancito la fine della priorità gerarchica assoluta del piano del parco sugli altri strumenti pianificatori, oggetto prediletto di divisione tra urbanisti e ambientalisti. Dal decreto legislativo 42/2000 in poi, infatti, sono i parchi obbligati a conformare i propri strumenti di pianificazione ai piani paesistici(4): e la legge emiliano-romagnola mette diligentemente il nuovo compito nero su bianco, all'art.24, tra le proteste di qualche critico poco informato.
“Devoluzione” del patrimonio delle aree protette (Legambiente) e “forte indebolimento dei parchi” (Wwf): così le principali associazioni ambientaliste hanno bocciato, seppure con le consuete diverse sfumature, la 6/2005. Paletta rossa anche dai Verdi, contrari al passaggio di testimone all'insegna della sussidiarietà tra Regione e Province “per il semplice motivo”, ha chiarito il responsabile Conservazione della Natura Francesco Mezzatesta, “che il controllo provinciale non funziona sui Comuni che sono lo stesso bacino elettorale”. A favore le principali associazioni agricole, con la riserva che avrebbero preferito la rappresentanza nel comitato esecutivo dei consorzi fissata per legge: e con la soddisfazione di aver portato a casa, più che solo un accordo agro-ambientale, “il riconoscimento della par condicio tra agricoltori e ambientalisti”(5). A favore pure le Province, pur se preoccupate dalle risorse economiche e poco soddisfatte da un coinvolgimento nella fase decisiva, quella programmatoria, che è solo iniziale senza la previsione di momenti successivi di confronto e verifica. Giudice ultimo, naturalmente, sarà il tempo: con la messa alla prova degli elaborati meccanismi disegnati da una legge che, almeno sulla carta, si configura tra le più avanzate del panorama nazionale soprattutto per il tentativo di radicare davvero il sistema delle aree protette nella popolazione e tra le istituzioni. Oltre all'Emilia-Romagna, c'è un'altra Regione che ha approvato nei mesi scorsi una nuova legge sui parchi. È il Molise, che anzi mai prima d'ora si era dotato di una normativa quadro sulle aree protette, restando l'unica Regione italiana a non aver recepito – tredici anni dopo – la 394(6). Tra i suoi punti principali elenchiamo: la classificazione delle aree protette, limitata a parchi, riserve e monumenti naturali senza alcuna concessione a categorie “di transizione” che facilitano il raccordo con le aree diversamente tutelate dagli altri piani settoriali ; il programma triennale d'indirizzo e finanziamento; il rapporto con l'agricoltura, per favorire la quale i piani dei parchi devono favorire tra l'altro “le colture e gli allevamenti esercitati al momento dell'istituzione delle aree protette”, “le attività cinofile”, “il mantenimento, il miglioramento e l'adeguamento della rete stradale” di servizio (art.6); l'ente gestore guidato da un consiglio direttivo di sette membri, tra cui tre rappresentanti della Comunità del parco, due degli ambientalisti, uno degli agricoltori e uno dei … sì, dei cacciatori (art.9); il piano del parco, di cui si continua a dettare (art.13) quella supremazia sui piani paesistici ormai superata – come ricordato in precedenza – dal nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio; la previsione (art.28) della partecipazione della Regione al finanziamento del parco nazionale d'Abruzzo, Lazio, Molise (curiosamente chiamato ancora, proprio qui, “parco d'Abruzzo”). Nessuna nuova area protetta istituita, invece, nella Regione che si conferma così fanalino di coda quanto a territorio protetto con nemmeno l'1.5 % della superficie totale. “È stata colmata una lacuna”, ha dichiarato sull'ultimo numero di ToscanaParchi il presidente di Federparchi, Matteo Fusilli, “ma i contenuti della legge sono assolutamente inconsistenti. Manca anche un solo elemento di consapevolezza del ruolo che le aree protette possono avere, proprio nel Molise dove la visione italiana della compatibilità tra sviluppo e tutela ambientale potrebbe essere uno degli aspetti fondamentali dello sviluppo regionale. Basti pensare alla cultura millenaria della transumanza, che ha prodotto una identità forte e che ben si presterebbe a comunicare grazie a istituzioni come i parchi una terra autentica e genuina. Insomma, non è quello che ci aspettavamo, e ci auguriamo che molto presto la legge vada rivista”.
Prima del Molise, l'ultima Regione a promulgare la sua legge sui parchi era stata – nel 2003 - la Calabria(7). Qui val la pena ricordare giusto l'articolo relativo all'istituzione delle aree protette (è il n.49), secondo cui la Giunta regionale istituisce i nuovi parchi previo parere della commissione competente entro novanta giorni oppure, trascorso il termine, con proprio atto da sottoporre al consiglio regionale. Seicento giorni dopo non è accaduto nulla, solo l'assegnazione in commissione Ambiente di due proposte per alcune aree protette da istituire a terra e a mare(8), destinate a spiaggiarsi sulla battigia della fine della legislatura. Al palo sono rimasti pure altri due progetti di legge quadro sui parchi. Quello che riguarda l'Umbria, a dire il vero, non è mai approdato al consiglio regionale. Dopo l'incarico all'Agenzia Umbria Ricerche (istituto pubblico con sede a Perugia) e alcuni contatti con una serie di esperti chiamati a contribuire all'elaborazione dell'articolato, è seguito il nulla di fatto e rimane in vigore la vecchia 9/95. Al bollettino ufficiale è giunto, a febbraio, solo il provvedimento di perimetrazione definitiva del parco del Subasio (istituito dieci anni prima !) cui il Comune di Assisi – vale a dire quello maggiormente coinvolto dal punto di vista territoriale – ha subito promesso guerra aperta con un ricorso al Tar. “Quella umbra è davvero un'esperienza sconcertante”, dice Renzo Moschini, tra gli esperti coinvolti per predisporre la nuova legge quadro mai nata. “La legge del '95 era farraginosa, senza la dovuta copertura finanziaria e soprattutto senza la dovuta considerazione dell'esperienza in alcuni casi ventennale che le altre Regioni avevano nel frattempo maturato. Dopo anni si prende atto del fallimento, si mette al lavoro gente proveniente dalle migliori esperienze regionali ma poi si rimette tutto in un cassetto. Ecco un esempio”, conclude Moschini, “di come una Regione non deve lavorare in materia di parchi”. Non ha tagliato il traguardo, in questo scorcio finale di legislatura, nemmeno il progetto di legge di riforma della legge sui parchi della Lombardia. Presentato dalla Giunta a fine 2003, riuniva e confermava tutti i numerosi interventi (aspramente criticati dagli ambientalisti(9)) operati negli ultimi anni sull'impianto normativo originario, quello delle leggi 9/77 e 86/83 che portarono la Regione all'avanguardia nel quadro nazionale. “Non c'erano le condizioni politiche per approvare quella legge”, dice la responsabile del Coordinamento regionale di Federparchi Milena Bertani, presidente del parco del Ticino nonché consigliere regionale. “Però abbiamo ottenuto l'inserimento di una norma sulla rete ecologica regionale nella nuova legge urbanistica appena varata dal Consiglio”. Ancora, tra le proposte di legge di nuove leggi regionali sui parchi stavolta ancora in pista, meritano la citazione le due che interessano la Provincia Autonoma di Trento. Cioè la prima, in Italia, a istituire due parchi che andavano ad affiancarsi a quelli nazionali: l'Adamello-Brenta e Paneveggio-Pale di San Martino (era il 1967). Dall'entrata in vigore della legge provinciale 18/88 ad oggi, solo un disegno di legge del lontano 1993 si era occupato dell'istituzione di nuovi parchi: si trattava di quello del Lagorai, mai nato. Ora ci riprova un drappello di consiglieri, con due ddl(10) che puntano ad espandere il Trentino protetto e a rendere più autonomi gli organismi di gestione. Ben sei nuovi parchi naturali e altri sei fluviali sono previsti dal più recente dei due ddl. Sono, rispettivamente: Cadria-Tenno, Lagorai-Cima d'Asta, Latemar, Monte Baldo-Garda trentino, Monte Bondone, Pasubio-Piccole Dolomiti-Lessini; e Adige, Avisio, Brenta, Chiese, Noce e Sarca. Al momento in cui scriviamo, a febbraio, i ddl sono in discussione presso la commissione competente, la terza. Infine, novità potenziali in arrivo pure dalla Sardegna. Certo non all'altezza delle attese che circondano, da troppi anni, il decollo spesso annunciato e mai avvenuto del sistema isolano delle aree protette: il ddl che impegna attualmente la commissione Ambiente, infatti, è dedicato esclusivamente alla gestione straordinaria dei parchi e delle riserve(11). Due articoli per dire che, in situazioni eccezionali che possono riguardare “l'assenza dell'organismo di gestione, l'inerzia, il grave pericolo di danno ambientale, gravi violazioni di legge”, il presidente della Regione può nominare un commissario regionale. Un provvedimento utile, se servirà a sbloccare parchi finora distintisi quasi solo nelle storie di carta della rassegna stampa di Federparchi (si veda la raccolta de Il Giornale dei Parchi, disponibile sul sito web www.parks.it). Ma dalla giunta sarda il mondo dei parchi attende ben altro.

Le nuove istituzioni

A febbraio quello della Grigna settentrionale è diventato il ventiduesimo parco regionale lombardo. Il Consiglio ha infatti approvato il pdl 423 presentato un anno prima dalla Giunta, su sollecitazione anche degli enti locali interessati. Il nuovo parco coinvolge infatti una Comunità montana e otto Comuni della Provincia di Lecco, e si estende su una superficie di 5548 ettari per circa la metà dell'area geografica prevista inizialmente dalla legge regionale 86/83, il cui disegno complessivo contava ventisei parchi(12). La gestione è affidata a un consorzio tra Comunità montana e Comuni coinvolti. Come gli altri parchi regionali lombardi, non prevede norme particolarmente restrittive (come il divieto di caccia) se non in un'area più ristretta denominata parco naturale da definire, in questo caso, con successivo provvedimento(13).
Altre novità riguardano l'Emilia Romagna, il Piemonte, il Lazio e il Friuli-Venezia Giulia.
Il più esteso tra i nuovi arrivati è il parco regionale della Vena del Gesso Romagnola, istituito pure a febbraio in Emilia Romagna. Circa 2000 ettari di estensione, tra le Province di Ravenna e Bologna, con altri 4000 ettari tra zone di pre-parco e aree contigue già fissate dalla nuova legge. In Piemonte a novembre sono sorti quattro parchi e una riserva, tutti istituiti dalla Regione e affidati in gestione alla Provincia di Torino(14). I parchi sono quelli del Monte San Giorgio, del Monte Tre Denti-Freidour, di Conca Cialancia e del Colle del Lys, mentre la nuova riserva tutela lo Stagno di Oulx. Si affiancano al preesistente parco del Lago di Candia, istituito già nel 1995, vi vige il divieto di caccia e la Provincia si assume tutti gli oneri riguardo a gestione e personale. Sempre in Piemonte sono state ampliate e ridenominate le riserve di Valle Andona-Valbotto-Vallegrande e della zona di salvaguardia del Bosco delle Sorti La Communa (data in gestione ai Comuni). Altre aree minori sono sorte in diverse Regioni, tra cui il Lazio e il Friuli Venezia Giulia. Nella Regione di Roma, rimasta senza nessuna attuazione la delibera di Giunta (dell'agosto 2002) che prevedeva numerosi tagli ai parchi, nel 2004 sono stati istituiti i due monumenti naturali dell'Area Verde Viscogliosi, nel Comune di Isola del Liri (FR), e di Acquaviva- Cima del Monte-Quercia del Monaco, nei Comuni di Fondi (LT), Vallecorsa (FR) e Lenola (LT). La Giunta ha poi deliberato nel dicembre scorso l'istituzione di altri nove monumenti naturali, una importante riserva naturale (quella del Monte Terminillo) e l'ampliamento di tre riserve esistenti: ma fuori tempo massimo, visto che la fine della legislatura fa rinviare tutto al nuovo Consiglio regionale. Infine, in Friuli-Venezia Giulia a maggio la Giunta ha varato l'istituzione del biotopo naturale Selvuccis e Prat dal Top, nel Comune di Pocenia (UD): è il venticinquesimo nel territorio regionale.

Le questioni strutturali

C'è una Regione in Italia che negli ultimi tempi ha più che triplicato il personale delle proprie aree protette. “Prima dell'ultimo ciclo di concorsi contavamo 170 unità in servizio”, dice Giuliano Tallone, direttore dell'Agenzia Regionale Parchi del Lazio: “oggi siamo a quota 525 persone già assunte, e una recente delibera di Giunta ha portato il complesso delle piante organiche a 722 unità di cui 51 all'Arp”. Cos'è successo? Tutto è partito nell'agosto del 2002, con la decisione della Giunta (di centro-destra) di avviare le procedure finalizzate alla copertura delle dotazioni organiche degli enti parco. A dicembre di quell'anno partono i concorsi, che interessando qualifiche diverse e a ondate successive si susseguono integrando nel ruolo unico del personale dei parchi(15) naturalisti, tecnici, operatori dell'educazione e della comunicazione, pianificatori, etc. E guardiaparco, oggi la metà circa del personale assunto. La Direzione regionale Ambiente ha proposto area per area una dotazione di organico standard, applicando ad esempio il principio di un guardiaparco ogni mille ettari di territorio, raramente assunto nei parchi regionali. Dopo anni e in qualche caso decenni di organici a una cifra, così, si è passati a una situazione paragonabile a quella dei parchi nazionali. “Ci sono state anche critiche sul rischio di trasformare i parchi in un baraccone e sulle finalità elettoralistiche dell'operazione”, continua Tallone, “in realtà è avvenuto quello che molti di noi chiedono da tempo, cioè che nei parchi si facciano scelte di tipo strategico: e questa sicuramente lo è”. Settecento e passa persone che lavorano nei parchi e per i parchi, prima d'ora, non si sono mai viste neanche nella Regione spesso portata ad esempio per continuità d'impegno, articolazione del sistema, risorse economiche e, appunto, umane. “Da noi i posti in organico sono 577, ma quelli coperti sono 396”, dice Ermanno De Biaggi, che dirige il Settore Pianificazione Parchi della Regione Piemonte. “Di questi, circa 200 sono guardiaparco, e tutti lavorano per il funzionamento di un sistema che oggi è articolato in 63 aree”. In Lombardia, che pure vanta una ricca articolazione di aree protette, gli enti gestori dei parchi possono contare su circa 260 dipendenti (quasi la metà dei quali, e precisamente 110, in forze a due soli parchi: Ticino e Nord Milano). In Toscana, le dotazioni organiche dei tre enti parco regionali ammontano complessivamente a 108(16), di cui 40 sono guardiaparco. In Sicilia, nei quattro parchi esistenti lavorano attualmente 148 persone(17), a cui si aggiungono altre 146 unità degli enti gestori delle riserve naturali(18).
Quella del personale insufficiente, insomma, con tutte le eccezioni che confermano la regola è una lacuna che si va colmando. E negli uffici regionali, cosa accade? Nel Lazio, oltre e accanto all'Agenzia (con evidente rischio di sovrapposizione), presso l'assessorato Ambiente sono state recentemente create sette strutture con una trentina di persone che sovrintendono all'intero funzionamento della macchina amministrativa dei parchi: dalla gestione del personale alla logistica, dalla programmazione dei finanziamenti alla pianificazione. In Piemonte, tra Settore Pianificazione e Settore Gestione, lavora una trentina di persone. In Trentino, al Servizio Parchi e Conservazione della natura lavorano in ventidue. Poco di più dei dipendenti regionali in forza al Servizio Protezione del patrimonio naturale in Sicilia, che sono diciassette. E poco meno che in Lombardia, dove il personale di ruolo dell'Unità organizzativa Pianificazione ambientale e gestione parchi conta venticinque persone. In Puglia, rilevante novità del nuovo Programma regionale per la tutela dell'ambiente approvato a febbraio è proprio il potenziamento dell'Ufficio Parchi, affiancato ora da una segreteria tecnica di dieci esperti. Ma in altre Regioni la musica è ancora diversa. In Veneto e Umbria i dipendenti non arrivano a cinque(19). In Toscana sono sei, in Abruzzo quattro. Al Servizio Aree naturali protette delle Marche lavorano a tempo pieno in tre, cui si aggiungono collaboratori part-time. In Emilia-Romagna sono sette – “ma i nostri parchi sono gestiti da consorzi e non da enti regionali, quindi richiedono meno passaggi burocratici e a noi non spetta un controllo formale sugli atti e i bilanci”, chiarisce il responsabile del Servizio Parchi, Enzo Valbonesi.
Quanto alla dotazione dei singoli parchi, la situazione è ancora più varia. Si spazia da strutture all'osso come i parchi umbri, ai tre dipendenti più direttore al Beigua in Liguria, ai quarantotto dipendenti (tra tecnici, guardiaparco e operai) dell'Adamello- Brenta ancora in Trentino. Interessante in Emilia-Romagna l'esperienza messa in atto da numerose aree protette. Parchi spesso vicini e di piccole dimensioni stipulano fra loro una convenzione che regola la condivisione del personale per alcuni servizi come la vigilanza, la gestione amministrativa, i servizi tecnici, la segreteria, oppure la promozione e la divulgazione. È un modello che la Regione sostiene già da tempo per i Comuni, spingendoli a forme associative. Ci guadagnano i parchi ma ci guadagnano pure gli operatori, che in questo modo non lavorano isolati ma in staff e scambiandosi reciprocamente le esperienze. Al modello emiliano-romagnolo guarda adesso anche il Piemonte. “Il nostro modello di enti sparsi è servito molto a radicare i parchi sul territorio, ma oggi è superato”, riflette a voce alta De Biaggi. “Ci ritroviamo con enti strumentali che dipendono strettamente dalla Regione, con poca autonomia di fatto e che quindi scaricano sulle strutture centrali una miriade di problematiche che non sono legate alla mission del parco, piuttosto al loro funzionamento interno. Occorrerebbe arrivare a una nuova organizzazione affinché su ambiti più o meno provinciali si formino soggetti nuovi, che associno gli enti attuali troppo polverizzati e poco autorevoli sul territorio”. Continua De Biaggi, unendo un'esperienza e una passione sicuramente fuori dal comune: “io penso a soggetti che sappiano concentrare i servizi, ottimizzando l'impiego delle risorse anche a seconda delle caratteristiche del territorio. Nella Provincia di Verbania, per fare un esempio, cosa ci stanno a fare a gennaio i guardiaparco su a 1800 metri di altezza, quando servirebbero invece a Ghiffa, a Mercurago, a Fondo Toce ? Noi abbiamo posto più di una volta in assessorato l'esigenza di una nuova organizzazione e razionalizzazione degli enti ma non se n'è fatto nulla, forse perché andava a toccare una serie di interessi che i parchi garantiscono sul territorio. Ma torneremo alla carica con il nuovo assessore”. Sulla vigilanza, poi, il discorso è a parte. In Campania la Regione ha stretto una convenzione col Corpo forestale dello Stato che interessa tutte le sue aree protette. Inoltre, nel parco del Matese, è operativa una convenzione con la Provincia di Caserta per l'utilizzo delle guardie provinciali che sembra funzionare a meraviglia. In Sicilia, al contrario, quella tra i parchi regionali e la Forestale - dipendenti da due assessorati diversi, l'Ambiente e l'Agricoltura - da sempre è una delle questioni più spinose. Nonostante la legge regionale (è ancora la 98/81) preveda la formazione di un corpo di guardie per ogni singolo parco, infatti, in realtà ciò non è mai avvenuto e gli enti gestori a tutt'oggi – come faceva notare Giuseppe Riggio nel precedente numero di Parchi – per tenere d'occhio il proprio territorio devono elemosinare un po' d'attenzione presso le locali stazioni forestali. Ancora diversa, e con risvolti di grande interesse, la situazione in Lombardia. Qui addirittura la vigilanza, in più della metà dei parchi, è affidata esclusivamente alla buona volontà dei cittadini organizzati: il rispetto delle leggi di tutela è il compito quotidiano delle Gev, guardie ecologiche volontarie. Per diventare una Gev bisogna seguire un corso di formazione trimestrale presso l'ente locale o il parco dove si preferirebbe svolgere servizio, e quindi sostenere l'esame di fronte alla commissione regionale; a quel punto è possibile ottenere il decreto di Guardia Particolare Giurata dal Prefetto, nonché l'incarico di Guardia Ecologica Volontaria dal Presidente della Giunta Regionale. Ogni cittadino che ha ricevuto tale riconoscimento è però tenuto a prestare servizio presso l'ente prescelto per almeno quattordici ore mensili. L'ente gestore provvede al completo coordinamento delle attività delle Gev, alla fornitura dei mezzi e delle dotazioni di servizio ed al rimborso spese sostenute. Non è invece prevista una remunerazione dell'attività svolta, né tantomeno la possibilità di trasformazione in attività lavorativa remunerata(20). L'esperienza delle Gev è in realtà diffusa in diverse altre Regioni italiane, come il Piemonte, l'Emilia - Romagna, la Liguria, le Marche, l'Umbria, l'Abruzzo. E la Toscana. Qui le guardie volontarie si chiamano Gav (guardie ambientali volontarie), quelle in servizio effettivo sono 540 e affiancano gli enti parco(21) e le Province, che ne coordinano e ne indirizzano le attività. Un'utile integrazione dei corpi di guardiaparco alle dipendenze dei vari enti gestori, a detta degli uffici regionali. Da notare, inoltre, che negli anni scorsi è stato firmato un protocollo d'intesa tra la FederGev- Federazione tra le Gev italiane(22) e l'Upi, Unione delle Province italiane, avente come oggetto il rispetto delle leggi sulla tutela ambientale e la collaborazione con i parchi regionali e locali.

Anche sulla questione delle risorse economiche assegnate ai parchi, l'Italia delle Regioni si conferma una realtà a molte facce. L'impressione generale è che gli stanziamenti siano rimasti negli ultimi tempi gli stessi, magari qualche volta pure ritoccati al rialzo: ma è la crescita numerica delle aree, da un lato, e l'assenza di una qualche forma di finanziamento statale dall'altro, ad aver messo in crisi i bilanci. In Toscana, addirittura, la Regione segnala di essere ancora in attesa – dopo tre anni e mezzo e numerose sollecitazioni – che il ministero provveda a mantenere gli impegni assunti. Alla stipula dell'accordo di programma(23) del novembre 2001, infatti, non ha fatto seguito alcuna erogazione del cofinanziamento statale che ammonta complessivamente a circa 3,3 milioni di euro. “Quanto alle risorse regionali impiegate per la gestione corrente dei parchi”, dice Edoardo Fornaciari, a capo dell'Ufficio Parchi regionale, “nel 2005 i fondi stanziati ammontano a 3,5 milioni di euro per i tre parchi e sono in sensibile aumento rispetto al 2004, quando erano 3,36”. Il riparto avviene sulla base di alcuni parametri che sono la superficie, la popolazione residente e la capacità di spesa, oltre a una quota base fissa. Riguardo invece agli investimenti, tra secondo e terzo programma triennale regionale i fondi pubblici destinati alle aree protette sono ammontati a 29 milioni di euro. Sugli importi complessivi hanno giocato la parte del leone i programmi comunitari con le Misure 6.3 dell'obiettivo 5/b e 3.8 del Docup, con importi pari rispettivamente a 9 e 7,5 milioni di euro. Dal Lazio alla Campania, sono i soldi di Bruxelles a dare oggi il vero ossigeno ai parchi: nella Regione di Napoli, addirittura, i fondi Ue del corrente programma (da spendere entro il 2008) ammontano a 460 milioni di euro ! Quanto ai finanziamenti regionali, sempre in Toscana ammontano da tempo a 2 milioni all'anno. Al riguardo la regola fissa è in ogni caso quella del cofinanziamento da parte degli enti gestori, per il 30% su interventi di valorizzazione e per il 20%(24) su interventi di conservazione. Dove il cofinanziamento è attivo anche sulle spese di gestione è in Emilia-Romagna. Qui i costi di funzionamento sono sostenuti dalla Regione solo per metà, e al restante 50 % pensano gli enti soci dei consorzi. Nelle aree più marginali, con piccoli Comuni montani, a coprire quella quota pensano soprattutto le Province. È una torta di 3 milioni di euro complessivi all'anno, tra parchi e riserve, ed è in leggero incremento. Altri 5 milioni sono invece stanziati per gli investimenti del prossimo triennio. Modello assai differente è quello che appare esaminando i finanziamenti di cui sono beneficiarie le aree protette in Sicilia. Qui i milioni complessivi sono ben 24, ma a ben guardare oltre 15 sono destinati al personale. Dei 9 scarsi restanti, la gran maggioranza va alle spese di funzionamento e gestione e una quota residua agli investimenti nei parchi (alle riserve, sostengono in Regione, non sono attualmente destinate risorse per investimenti). Anche qui un ruolo determinante è giocato dai finanziamenti comunitari, con Pit, Life e Leader Plus in prima linea. In Trentino, oltre ai 7 milioni erogati ai due parchi naturali (1,9 per il funzionamento e 5,1 per gli investimenti), vanno evidenziati gli stanziamenti a favore di riserve e biotopi per un totale di 1,8 milioni di euro. In Lombardia i milioni di parte corrente a favore delle aree protette, in leggero calo, sono oggi 8,7 (erano 9,1 nel 2002), cui vanno aggiunti i circa 10 milioni all'anno in conto capitale. “Da noi i contributi di parte corrente per il 2004 sono stati pari a 2 milioni di euro25”, dice Isarema Cioni, responsabile del Servizio aree protette della Regione Marche. Cioè quanti ne erano stati assegnati nel 2003, nel 2002, nel 2001. “Solo che aumentano le aree, perché ogni assessore che arriva vuole lasciare il segno. Questo è un problema che andrebbe risolto a livello nazionale. Sulle risorse da stanziare, individuati gli standard di necessità e fabbisogni proporrei di riconoscere una spesa storica dei parchi, da iscrivere una volta per tutte al bilancio regionale come la voce dello stipendio dei dipendenti”. Quanto ai contributi per investimenti, la Regione ha erogato altri 2 milioni di euro: in più, e per la prima volta, nel 2004 è stato assegnato un contributo di 51.000 euro al Wwf Italia, soggetto gestore della neonata riserva naturale regionale di Ripa Bianca. “Ci vorrebbero ben altri finanziamenti”, continua Cioni, “ma per procurarseli meglio lasciar perdere i ticket, piuttosto occorrerebbe iniziare a monetizzare l'apporto dei parchi alla sopravvivenza di noi tutti, e del resto del territorio che quindi deve farsene carico”. Come già ha iniziato a mettere in rilievo Federparchi, ad esempio in occasione dell'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto nello scorso febbraio, ricordando l'apporto in termini di ossigeno delle foreste incluse entro i confini dei parchi italiani. “Appunto. Ma dobbiamo essere convincenti”. Ci sarebbe, poi, da dar conto dei piani. Risalente al 2002, il rapporto del Politecnico di Torino per il ministero dell'Ambiente sul sistema nazionale delle aree protette parlava di un 46% di parchi con piani in vigore. Aggiungendo però che più di un terzo delle aree li aveva in corso di redazione o in fase di approvazione. Oggi la situazione fa registrare progressi, ma anche intoppi difficili da superare. In Toscana il piano delle Apuane – “il problema dei problemi”, lo definisce Edoardo Fornaciari – è ancora ostaggio dei cavatori e delle loro pressioni sui Comuni interessati, nonostante l'approvazione da parte della Comunità del parco risalga al maggio 2003. Per il resto hanno da tempo il piano approvato la Maremma (che lo sta aggiornando), Migliarino-San Rossore e ora anche i parchi provinciali dei Monti Livornesi e di Montioni. Anche per le riserve toscane la situazione è più che buona, con 33 aree su 41 dotate di regolamento approvato e vigente. In Basilicata l'inizio di 2005 verrà ricordato per l'approvazione, a febbraio, del piano del parco delle Chiese rupestri del Materano. Dov'è la memorabilità dell'evento? Ma nel fatto che finisce un'attesa iniziata qualcosa come quindici anni fa, con la legge istitutiva dell'area protetta. Finalmente, come recitava il comunicato delle agenzie di stampa, “vengono meno i vincoli dettati dalle norme transitorie ed entrano in vigore le regole che l'ente parco, insieme ai Comuni, ha stabilito”. Quel che non è ancora accaduto alle Serre, unico parco regionale in Calabria, in attesa del piano dal 1990. Tra i venti parchi piemontesi, la gran maggioranza ha il piano fatto e approvato. All'appello mancano ancora Laghi di Avigliana, Bosco della Partecipanza, Sacro Monte di Crea, Lame del Sesia, Rocchetta Tanaro, Stupinigi, Collina di Superga e Lago di Candia (in questi ultimi due il piano c'è, ma per ora solo adottato). Nelle Marche al vaglio regionale sono giunti da poco i piani del Simone e Simoncello e della Gola della Rossa- Frasassi, mentre al San Bartolo il lavoro è avviato. “Adesso cerchiamo di impostarlo insieme agli enti gestori e ai Comuni, con una sorta di concertazione preventiva”, dice ancora Isarema Cioni (che è un architetto) del Servizio aree protette delle Marche. “È un metodo avviato dopo l'esperienza negativa del piano del parco del Conero, che andrà rinnovato radicalmente aldilà delle varianti in corso d'opera”. In Lombardia, su ventidue parchi regionali istituiti, c'è il piano approvato per tre dei cinque parchi naturali varati (Monte Barro, Alto Garda e Ticino). Nel Lazio è recente la predisposizione, da parte degli uffici regionali, di un documento intitolato “Linee guida per la redazione del piano delle aree naturali protette”. L'auspicio è che serva a sveltire pratiche rimaste in sospeso già da tempo, come i piani di parchi importanti come gli Aurunci (che l'ha però già adottato nel giugno 2004) o Bracciano-Martignano. In Sicilia il parco dei Nebrodi ha adottato nel corso del 2004 il suo piano, un anno dopo quello dell'Etna, mentre il piano del parco delle Madonie attende già da tempo l'approvazione definitiva da parte della Regione. In Trentino il parco di Paneveggio ha affidato al Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale dell'Università di Trento l'incarico di revisionare il suo piano (è del 1996), mentre l'Emilia-Romagna ha di recente approvato la variante al piano di alcune aree come i Gessi Bolognesi e Calanchi della Badessa.

Agenzia sì, agenzia no

Sulla strada delle politiche regionali per i parchi, sulla scorta della prima esperienza a livello nazionale realizzata nel Lazio, da qualche tempo ha fatto la sua comparsa un nuovo soggetto. È quello dell'agenzia, di una struttura cioè a istituzione, controllo e finanziamento regionale ma con una certa autonomia e agilità operativa. “Noi ci stiamo pensando seriamente”, dice Maurizio Fraissinet, commissario al parco del Matese e soprattutto braccio operativo in materia di parchi dello staff tecnico della Giunta uscente in Campania. “Purtroppo la nostra Regione, che ha fatto registrare in questa legislatura l'exploit più significativo in materia di parchi, ha commesso il grosso errore di non aver adeguato a questa crescita la sua struttura amministrativa. Così ci ritroviamo con la materia parchi frammentata tra l'assessorato all'Ambiente, quello all'Urbanistica e quello all'Agricoltura e Foreste. Accanto all'ipotesi agenzia ci sono quelle che prevedono la creazione di un assessorato ad hoc per la Conservazione della natura (ha un precedente in Regione, due legislature fa) oppure di un'area di coordinamento presso la stessa presidenza regionale. Personalmente vedo meglio l'assessorato ad hoc”, conclude l'ex presidente del Vesuvio, “in ogni caso è una questione che il prossimo Consiglio regionale dovrà risolvere”. L'istituzione di un'agenzia sui parchi in Campania era il contenuto di una proposta di legge presentata dal gruppo regionale dei Verdi, rimasta al palo anche per contrasti nella stessa maggioranza. Stesso obiettivo ma diversa provenienza (qui veniva dal gruppo della Margherita) di una proposta di legge presentata in Toscana nell'estate scorsa: e stesso esito. “È stata spero definitivamente accantonata”, dice il responsabile dell'Ufficio regionale parchi Fornaciari. “Una proposta fatta senza valutare costi e benefici, che avrebbe portato alla inopportuna creazione di un soggetto tra Regione ed enti gestori, coi quali noi vogliamo invece avere rapporti diretti e continui. E poi i finanziamenti per farla funzionare sarebbero stati presi da quelli a favore dei parchi”. In realtà, una programmazione delle attività delle aree protette più marcata e “creativa” può innescare un circuito virtuoso capace di attrarre anche risorse, oltre che di migliorare le performance dei soggetti gestori. Il vero problema sta altrove e cioè nell'antagonismo che si crea tra agenzia e strutture regionali. Lazio docet. “Ma è un rapporto competitivo che può far bene ai parchi”, osserva Giuliano Tallone, direttore dell'Arp. “Negli uffici degli assessorati prevale la logica dei passaggi amministrativi, che tende ad essere la parte dominante del lavoro. In una struttura come la nostra, alleggerita da queste funzioni tranne ciò che riguarda il funzionamento interno, ci si può dedicare ad altro. Il progetto sull'educazione ambientale, quello sul turismo sostenibile, le attività di pianificazione e di progetto che abbiamo fatto, la relazione col mondo universitario, una struttura come l'agenzia riesce a gestirle in modo molto più dinamico che una struttura regionale. Questo è un grande valore che non si perde, che deve far considerare l'utilità di una struttura come questa. E poi”, conclude Tallone, “è un po' come la storia della polizia e dei carabinieri: perché in Italia non abbiamo un unico corpo di polizia ? Perché si controllano vicendevolmente, è una dinamica più dialettica”. Orfana del suo ex presidente e ispiratore Maurilio Cipparone, il cui mandato assieme a quello del direttivo è scaduto l'anno scorso, oggi l'Arp è guidata da un commissario,
Antonio Galano.

Parchi di carta

Ha compiuto da poco vent'anni e ogni mese arriva nella buca delle lettere di diverse migliaia di abbonati affezionati, spesso fedelissimi (il 15% la segue dal primo numero!), portando puntuale 48 pagine di colori e suggestioni, notizie e approfondimenti. È Piemonte Parchi, la rivista del sistema piemontese di aree protette che conta oggi circa novemila abbonati paganti cui se ne aggiungono quattromila gratuiti intestati ad assessorati, enti gestori di parchi, centri visita. Ulteriori tremila copie (cifre indicative) vengono ogni mese diffuse ad eventi come fiere, mostre e conferenze. Alla Regione stampare e spedire la rivista costa circa 90.000 euro l'anno, cui si aggiungono 5.000 euro al mese per i collaboratori esterni che forniscono testi, fotografie, illustrazioni e, naturalmente, i costi per le spese redazionali. Di fatto, la rivista diretta da Gianni Boscolo è il principale ed efficacissimo strumento di promozione del sistema regionale delle aree protette. Nell'angusto e volatile mondo dell'editoria di settore, è un'esperienza di successo spesso citata per ribadirne l'unicità. Oggi non è più così, o almeno da altre Regioni alcune iniziative di comunicazione si fanno strada. In Emilia-Romagna nel 2004 è nata Storie Naturali, la rivista delle aree protette regionali voluta e promossa dall'Ufficio Parchi. Esce solo una volta all'anno, in compenso è anche consultabile interamente su Internet(26). In un'ottantina di pagine, senza pubblicità, il primo numero conteneva articoli su alcune aree protette della Regione, su Natura 2000, i ripristini ambientali, il congresso mondiale di Durban, il turismo e l'agricoltura, nonché un'intervista all'assessore all'Ambiente Guido Tampieri. Senza spostarsi di molto, anche in Toscana una rivista del sistema delle aree protette esiste e anzi in questo 2005 ha intenzione di pigiare sull'acceleratore. È ToscanaParchi, espressione stavolta del Coordinamento regionale di Federparchi. La cadenza sarebbe quadrimestrale ma finora è uscita un po' a singhiozzo. Ha un taglio più politico-istituzionale e beneficia di un contributo regionale di circa 15.000 euro all'anno(27), per circa 24 pagine a numero. Da quest'anno è stampata da un editore proprio, la ETS di Pisa(28). Una rivista del Coordinamento regionale di Federparchi vorrebbero averla anche in Liguria, ma la Regione da quest'orecchio ancora non ci sente. Ne hanno persino fatto, più o meno esplicitamente, uno dei punti di programma sottoposti ai candidati per le elezioni amministrative di inizio aprile. Intanto però l'appuntamento annuale al parco del Beigua sulla comunicazione, con l'edizione del prossimo settembre diventerà nazionale: un premio giornalistico e il pieno coinvolgimento di Federparchi nazionale sono tra gli impegni assunti dal presidente Matteo Fusilli, e già concordati con l'ente guidato da Dario Franchello. Altre riviste annunciate e auspicabili sono nelle Marche (“meglio chiamarlo bollettino, uscirà con due numeri l'anno”, dice Isarema Cioni) e in Campania (“è tra le iniziative a cui stiamo lavorando con i fondi comunitari”, annuncia Maurizio Fraissinet).
E poi prosegue il suo cammino Parks, l'assai curata rivista dei parchi naturali alto-atesini(29). Uno degli ultimi numeri contiene una breve intervista al presidente della Provincia di Bolzano. “Quando la discussione sui parchi naturali venne avviata, verso l'inizio degli anni ‘70”, vi ricorda Luis Durnwalder, “io ero direttore dell'Unione Agricoltori e molto scettico nei confronti dei parchi naturali. Poi, come l'apostolo Paolo sulla via di Damasco, mi sono “convertito” e oggi penso che i parchi naturali svolgano una funzione estremamente importante”. E se è capitato prima a un presidente di Provincia, poi a un sottosegretario, perché non a un ministro?

di Giulio Ielardi

  1. La pubblicazione è sul Bollettino Ufficiale della Regione n.31 del 18 febbraio 2005. Il testo definitivamente approvato è disponibile sul web nell'archivio Demetra del Consiglio regionale, alla pagina http://consiglio.regione.emilia-romagna.it.
  2. In adeguamento alle disposizioni della legge nazionale sui parchi 394/91, la Regione nel 1992 ha poi approvato la legge n.40 “Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 2 aprile 1988, n.11 - Disciplina dei parchi naturali e delle riserve naturali”.
  3. Il 27 settembre 2004 si è svolta una Udienza conoscitiva presso la competente commissione Ambiente, il cui verbale di ben 68 pagine è scaricabile dal sito http://consiglio.regione.emilia-romagna.it/fr_att_norm_er.htm, dove sono disponibili anche il testo iniziale del progetto di legge e la relativa relazione di accompagnamento.
  4. Si veda anche l'articolo di Carlo Desideri in questo numero di Parchi.
  5. Dall'intervento di Sergio Fiocchi, Confagricoltura Emilia-Romagna, all'udienza conoscitiva del 27 settembre 2004 in commissione Ambiente.
  6. La legge “Realizzazione e gestione delle aree naturali protette”, approvata nel settembre scorso, è stata pubblicata sul bollettino regionale del 30 ottobre 2004.
  7. La legge n.10 del 14 luglio 2003 “Norme in materia di aree protette” è stata pubblicata sul Bollettino regionale del 16 luglio 2003, suppl. straordinario n.2.
  8. Rispettivamente, due parchi regionali (quello del massiccio dei monti Reventino, Mancuso, Condrò e Tiriolo e quello di monte Caloria), sei riserve, tredici monumenti naturali, sette paesaggi protetti, trentadue paesaggi urbani monumentali, centosettantanove parchi pubblici urbani e giardini botanici, per quanto riguarda il pdl n.552; e l'area marina protetta regionale “Parco marino Riviera dei Cedri”, per quanto riguarda il pdl n.583.
  9. Si veda, tra l'altro, il Dossier Parchi 2004 di Legambiente Lombardia disponibile sul sito web www.legambiente.org alla sezione Documenti.
  10. Sono il n.57, presentato il 20 maggio 2004, e il n.77, presentato il 4 ottobre 2004.
  11. È il n.83, presentato dalla Giunta su proposta dell'assessore all'Ambiente Dessì.
  12. All'appello mancano ancora i parchi regionali del Bernina-Disgrazia- Val Codera, della Brughiera, del Livignese e del Monte San Genesio.
  13. Come estensione delle aree protette conformi alla 394/91, cioè dove vige il divieto di caccia, la Regione Lombardia si colloca attualmente a circa 66.000 ettari complessivi dei parchi naturali cui si aggiungono i 10.000 ettari circa delle riserve naturali. Con una percentuale di superficie protetta su quella totale pari a circa il 3,18 % si colloca agli ultimissimi posti nella classifica delle Regioni italiane: volendo invece conteggiare l'intera superficie dei suoi parchi regionali, con 550.000 ettari balza al primo posto. Potenza dei numeri…
  14. La legge è dell'8 novembre 2004, pubblicata sul bollettino ufficiale n.45 dell'11 novembre 2004.
  15. Istituito dalla legge quadro sui parchi del Lazio, la n.29/97, art.23.
  16. Rispettivamente con 27 unità alla Maremma, 50 a Migliarino- San Rossore-Massaciuccoli e 31 alle Apuane.
  17. Sono 18 all'Alcantara, 41 all'Etna, 43 alle Madonie e 46 ai Nebrodi.
  18. In Sicilia, come noto, la gestione delle riserve regionali è affidata a un soggetto scelto tra le associazioni ambientaliste, gli enti locali, le università e l'azienda regionale foreste demaniali. Tra le 146 unità citate, precisano al Servizio Patrimonio naturale, non figura il personale dell'azienda foreste cui compete la gestione di numerose riserve e che fa riferimento a un diverso dipartimento regionale (Agricoltura e foreste; il Servizio Patrimonio naturale fa invece capo al dipartimento Territorio e Ambiente).
  19. Fonte: Le Regioni dei parchi, dossier Wwf ricchissimo di informazioni sui sistemi regionali di aree protette, a cura di F.Ferroni, 2001.
  20. Il 16 febbraio 2005 è stata approvata in Lombardia una nuova legge che regolamenta l'attività delle Gev. Le principali novità sono costituite dalla revisione dell'assetto organizzativo ai diversi livelli amministrativi (Regioni, Province, enti locali) e dal collegamento ai servizi di polizia locale, idraulica e forestale, nonché ai servizi di controllo ambientale (Arpa).
  21. Al parco della Maremma si affiancano alle guardie 5 gav, alle Apuane 6 gav e a Migliarino altre 6.
  22. Si veda il sito web www.federgev.it
  23. Si veda Parchi n.36/2002.
  24. In questo caso la quota richiesta agli enti è inferiore sia come maggiore incentivo sia considerando che, a seguito degli interventi sulla valorizzazione, l'ente beneficia talvolta di ricavi diretti (nel caso di fornitura di servizi come l'ospitalità in foresterie, le escursioni guidate, etc.).
  25. Gli uffici regionali ci hanno fornito anche i dati relativi a ciascuna area protetta: 567.022 euro al parco Gola della Rossa e Frasassi, 457.439 euro al parco del Conero, 455.979 al Sasso Simone e Simoncello, 270.347 al San Bartolo. Significativo che siano assegnate risorse anche alle tre riserve statali, vale a dire Abbadia di Fiastra, Gola del Furlo e Montagna di Torricchio (rispettivamente per 145.000, 145.000 e 42.2989 euro).
  26. A partire dalla pagina web dei parchi regionali, all'indirizzo http://www.regione.emilia-romagna.it/parchi/, peraltro in via di rinnovamento.
  27. Nel 2003 erano solo 7.000 euro.
  28. Edizioni ETS Piazza Carrar, 16-19, I 56126 Pisa, info@edizioniets. com www.edizioniets.com. Tel. 050- 29544 – 503868. L'abbonamento annuale, per tre numeri, costa 15 euro.
  29. Interamente consultabile su Internet, dall'indirizzo www.provincia.bz.it/natura/parks/index_i.htm. L'abbonamento è riservato ai residenti nella Provincia di Bolzano.