Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 44 - FEBBRAIO 2005

 




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I PARCHI REGIONALI PER LA RETE ECOLOGICA NAZIONALE

La prima assemblea nazionale dei parchi regionali ha posto la questione al centro dei suoi lavori

Gentili ospiti, care colleghe e cari colleghi, grazie per la vostra presenza. È per me un grande onore presentare e introdurre i lavori di questa Assemblea dei Parchi regionali. Abbiamo voluto indicarla come “prima assemblea nazionale”, non per volontà di dimenticare quella che - meritoriamente promossa sedici anni fa da un gruppo di giovani enti parco - segnò in pratica la nascita della nostra associazione, ma per manifestare la volontà programmatica di rendere questo un appuntamento ricorrente negli anni a venire e per sottolineare la sua capacità di essere effettivamente, per la prima volta, evento “nazionale”.

Abbiamo scelto una sede emblematica, quella del Parco del Ticino Lombardo, che è il più anziano tra i parchi regionali e che è rimasto il più esteso: un costante e obbligato punto di riferimento per le esperienze di quanti hanno intrapreso successivamente lo stesso percorso. Siamo venuti in Lombardia, la Regione che per prima utilizzò, oltre trent'anni fa, i poteri di gestione del territorio delle neonate istituzioni regionali, per misurarsi con il compito inedito di salvaguardare rilevanti patrimoni naturali in aree di intenso sviluppo e forte pressione demografica. Il trentesimo anniversario della costituzione del Parco del Ticino ci ha fornito una felice occasione per rinnovare il sodalizio con un socio fondatore della Federparchi e con una Regione e una Provincia, quella di Milano, da moltissimi anni aderenti all'associazione. Anche per questo desidero ringraziare innanzitutto i presidenti Roberto Formigoni e Filippo Penati, le loro Giunte, e gli Assessori che ci hanno sostenuto nell'organizzazione. Grazie anche al padrone di casa, il Sindaco di Càstano Primo, Dario Calloni, e un ringraziamento particolare alla presidente Milena Bertani, che ha avuto un ruolo fondamentale nello stimolarci a procedere, al vicepresidente Maurizio Maggioni, al direttore Dario Furlanetto, all'Aidap e a tutte le persone che hanno così bene collaborato per la migliore riuscita dell'assemblea. Un ringraziamento particolare al Direttore Generale del Ministero dell'Ambiente, Aldo Cosentino, per la sapiente attenzione che dedica sempre alle nostre attività.
Non solo la sede è emblematica, ma è significativo anche il periodo che abbiamo scelto. Forse non sono proprio felicissimi i giorni, che non ci consentono di avere presenti molti amministratori regionali, ma il periodo è significativo perché è proprio quello dell'avvio di un nuovo mandato quinquennale per la larga maggioranza delle Regioni, in una situazione istituzionale già largamente modificata di recente e in ulteriore programmata modificazione futura, con il processo di revisione costituzionale già avviato e dopo gli atti che hanno portato il Parlamento a delegare il Governo per la riscrittura delle leggi ambientali. Si tratta di mutamenti che toccano direttamente nodi fondamentali del rapporto tra Stato e Regioni, che hanno avuto e avranno conseguenze dirette sulla attribuzione dei poteri, sullo svolgimento delle procedure e dunque sulla definizione dei programmi di gestione e, in definitiva, sulla realtà e la capacità operativa degli stessi enti parco regionali.

Sentiamo il bisogno che in questa situazione le Regioni rafforzino e svolgano per intero il “ruolo nazionale” che spetta loro. Che superino l'atteggiamento defilato degli ultimi anni, che a volte non le ha nemmeno viste particolarmente interessate alla valorizzazione delle proprie esperienze di costruzione, mantenimento e sviluppo di sistemi di aree protette spesso eccellenti. Che operino uno scatto di iniziativa, di impegno e creatività. Vogliamo, con la nostra discussione e le nostre proposte, contribuire a porre le basi per il recupero di quella visione lungimirante che ho già ricordato per la Lombardia, ma che consentì anche ad altre Regioni - dal Piemonte che celebra i trent'anni della propria legge alla Sicilia, dall'Emilia Romagna alla Toscana, con i venticinque anni del Parco di Migliarino – di dare il via in Italia ad una moderna politica dei parchi. Quando ancora il federalismo non era un concetto annunciato e mobilitante eppure era di fatto praticato, con azioni dalla grande capacità innovativa e con sperimentazioni che hanno trasformato positivamente il volto del Paese. Due parchi regionali su tre sono nati prima della legge quadro nazionale del 1991; quella stessa legge, la 394 i cui principi generali riteniamo irrinunciabili, è per gran parte debitrice nei confronti delle leggi e delle esperienze regionali fino ad allora condotte: ciò significa che c'è stato un periodo in cui le Regioni hanno indicato una strada, innovato la cultura di governo e dell'amministrazione svolgendo, appunto, una funzione “nazionale”, cioè efficace e produttiva per il Paese intero e non per i soli propri ambiti territoriali.

Con questa Assemblea - che abbiamo fatto precedere da un Convegno tenutosi a Ravenna nell'ottobre scorso, in cui il nostro presidente Fusilli presentò una relazione alla quale mi rifaccio - abbiamo l'ambizione, oltre che di fare il punto della situazione odierna cercando di riflettere sulla realtà concreta di ciò che oggi le aree protette regionali rappresentano con i loro tanti pregi e le inevitabili zone critiche, di delineare i contenuti di una nuova fase di protagonismo per le Regioni in questo campo. Un protagonismo che renda possibile praticare in concreto la strada del “sistema nazionale” per l'insieme delle aree protette e utilizzare le sue enormi potenzialità per contribuire ad affrontare alcuni dei problemi più importanti della vita del Paese, come quelli legati alla qualità della vita, alla tutela della natura, alla difesa del suolo, allo sviluppo ordinato e duraturo dell'economia, all'espressione delle identità sociali e culturali locali. Il titolo generale che abbiamo scelto: “I Parchi regionali per la Rete ecologica nazionale”, rimanda a questo obiettivo indicando a noi stessi e a tutti i nostri interlocutori quale debba essere il senso di marcia, il legame che deve unire – come Federparchi fa da sempre nell'ambito del proprio lavoro unitario – parchi nazionali e regionali, riserve terrestri e aree protette marine in una unica ricerca e in una identica concezione.

Del resto il numero, la varietà, l'estensione, e, perché no, la bellezza dei nostri parchi regionali sono straordinarie e per questo fondamentali, così come lo sono il lavoro che svolgono, i risultati che registrano, il peso che hanno assunto nei diversi contesti territoriali e nel loro insieme. Stiamo parlando di 127 parchi (o, meglio, di 127 enti parco), che gestiscono territori per una estensione di circa 1,7 milioni di ettari – il 5,6 % dell'intero territorio nazionale - che agiscono, con oltre 1.500 dipendenti diretti, in tutte le Regioni tranne il Molise, che coinvolgono quasi 1.400 comuni e pressoché la totalità delle province. Entro i loro confini è stata individuata la maggioranza delle aree di interesse comunitario che innervano la rete Natura 2000, a ulteriore dimostrazione dei valori ambientali che salvaguardano.

Non insisterò con una elencazione di cifre. Non ce n'è bisogno. Gli studiosi che hanno gentilmente accettato di svolgere le relazioni in questa mattinata, e che ringrazio vivamente, ne useranno altre per descrivere da diversi punti di vista la realtà di cui stiamo parlando, per rappresentare l'apporto che da essa viene ad un quadro generale e per mettere in luce quello ben maggiore che con le opportune scelte ne potrebbe venire. Ma soprattutto non sono esprimibili tutti in cifre, e ancor meno in percentuali, i contributi delle esperienze che sono state mobilitate, i valori che sono stati affermati, la passione impiegata e i risultati diffusi e permanenti che si sono realizzati. Nelle diverse sessioni di lavoro saranno direttamente i protagonisti - amministratori, direttori e tecnici – insieme agli interlocutori delle associazioni che hanno voluto accogliere il nostro invito, a descrivere e confrontare le loro esperienze e a ricavarne giudizi di quantità e di valore. Nella sezione poster - che inaugureremo nel primo pomeriggio con l'intervento di David Sheppard, che ringraziamo vivamente per la vicinanza sua e dell'UICN - sono evidenziati degli esempi di una attività intelligente fatta di studio e conoscenze approfonditi degli ambienti naturali, di azioni innovative ed efficaci per la difesa della biodiversità e, nello stesso tempo, di capacità di guardare oltre i propri confini, di lavorare in rete, di cooperare con partner, spesso disagiati e in difficoltà, in ogni parte del mondo. Lo stesso dicasi per gli esempi di “buone pratiche” contenuti nel bel volume pubblicato dalla nostra Federazione.

Ciò che a me sembra giusto delineare in questa introduzione è il senso generale di cifre, esperienze, contributi così rilevanti che fanno anche riflettere sull'opportunità del mantenimento di una separazione così netta, quasi di una concezione gerarchica, tra il livello nazionale e quello regionale. Come non apprezzare infatti l'apporto venuto dai parchi regionali all'affermarsi di una moderna e dinamica concezione dei parchi; quella, per dirla ancora una volta con Valerio Giacomini, che vede “il tema della conservazione dilatarsi alle dimensioni globali del territorio e a quelle interdisciplinari della pianificazione e dell'uso della risorsa ambientale”.

In questo senso i nostri sono stati e continuano ad essere veri e propri laboratori, nei quali il lavoro di ricerca delle soluzioni gestionali per la difesa di una ricchissima biodiversità si è accompagnata ad uno dei più ampi e diffusi processi di partecipazione delle comunità locali, spesso delle loro rappresentanze produttive, con forme a volte innovative e originali. Ha contribuito a ciò anche la diversificazione nella scelta degli Enti gestori la cui varietà ha favorito l'adeguamento alle situazioni storiche e culturali delle diverse aree, promuovendo ad esempio spesso a ruoli decisivi le Province, che hanno trovato così un modo di rendere più concreta la propria funzione di coordinamento. Queste varie forme di partecipazione hanno contribuito al formarsi di più di una generazione di amministratori, di tecnici, di operatori, tutti attori di un percorso di crescita che ha avuto conseguenze rilevanti non solo sull'ambiente, ma sull'economia, sulla cultura, nel tessuto sociale e civile del Paese. Agendo là – forse farei meglio a dire qui, tra Lombardia e Piemonte, ad esempio – dove il compito è principalmente quello di garantire la sopravvivenza di fattori naturali direttamente minacciati da uno sviluppo non adeguatamente regolato, o là dove, al contrario, occorre invertire la tendenza alla marginalità e all'isolamento, facendo leva su risorse locali di storia, saperi e tradizioni: i parchi hanno dimostrato ovunque flessibilità e rigore insieme; principi saldi e grande duttilità.

Non è retorica: lo dimostrano i numerosi accordi con le associazioni e le aziende agricole che promuovono produzioni tradizionali non impattanti, tipiche e/o biologiche, tanto nelle zone di pianura che in quelle di montagna. E la nascita di una imprenditorialità diffusa che del parco ha fatto la propria ragione d'essere. Lo testimoniano le innumerevoli azioni di sostegno e promozione della qualità di servizi, prodotti, strutture dei nostri comuni o le norme che salvaguardano e aiutano nello stesso tempo il mantenimento e il recupero di centri e fabbricati storici. O ancora i dati sull'incremento del turismo ecologico, che devono ai parchi gran parte della loro crescita. Indicativa, a questo proposito, la cifra resa nota nei giorni scorsi dal Parco dell'Adamello Brenta: in dieci anni la quota di turisti che ha scelto le sue località in ragione dell'esistenza del parco è salita dal 42 al 78%. E non si tratta certo di un caso isolato.

Infine, per confermare che non facciamo retorica nel rivendicare i meriti di un successo innegabile, voglio richiamare l'attenzione di tutti sul valore generale che hanno avuto e hanno le azioni di molti parchi regionali nei confronti di scelte infrastrutturali di grandi dimensioni e di interesse non solo regionale. Il rapporto del Parco del Ticino con l'aeroporto di Malpensa – e con tutto ciò che gli sta attorno – è senz'altro l'episodio più significativo. Ma il panorama è vasto ed è fatto di proposte di autostrade, bretelle e tangenziali, di centrali elettriche, discariche e impianti di risalita, di zone industriali o residenziali e così via. Ebbene, che nei confronti di queste richieste siano state di opposizione motivata, di controproposta modificativa o di accompagnamento ad un corretto inserimento, le azioni dei parchi hanno svolto sempre una funzione essenziale, aiutando la crescita di una consapevolezza diffusa delle esigenze ambientali e il progressivo prodursi – anche se molto lento e ben lungi dall'essere ottimale - di atteggiamenti, dentro e fuori le altre istituzioni, in grado di cominciare a guardare oltre i presunti bisogni immediati.

Del resto, anche i parchi regionali sono stati promotori, dentro la Federparchi e in piena sintonia con tutti gli altri enti gestori, di proposte politiche e gestionali di respiro nazionale e internazionale. È anche da questa loro esperienza, oltre che dal legame associativo che hanno saputo stabilire, che è venuta l'idea di quelli che chiamiamo “progetti di sistema”, relativi ai grandi sistemi geografici del paese – le Alpi, l'Appennino, le coste, il Bacino del Po - dei quali le aree protette non possono che essere i nodi, a partire dai quali costruire un grande sistema infrastrutturale ambientale - la Rete ecologica nazionale, appunto - che dovrebbe costituire uno dei fondamentali obiettivi di rinnovamento dell'intera nazione.

Tutto bene, dunque? Naturalmente no! Sono molte le difficoltà e i limiti ancora presenti, anche quelli soggettivi, sicuramente. Sono molti i motivi di scontento, di preoccupazione, in alcuni casi di vero e proprio allarme. Occorre innanzitutto dare conto di un elemento generale: questo quadro di successi e risultati positivi che ho descritto, le potenzialità di questo insieme che ho cercato di raccontare, non sono acquisiti da parte di tutti, non sono avvertiti e fatti propri dalla generalità delle istituzioni e delle persone che le reggono. Certo, le pubblicazioni che illustrano le bellezze naturali dei parchi sono sempre di più, e sempre maggiormente sono utilizzate, per scopi più o meno propagandistici, le vetrine rappresentate dai nostri paesaggi e dalle nostre realizzazioni. È cresciuta di molto, e giustamente, persino l'attenzione politica per le cariche che comportano le presidenze e i consigli dei nostri parchi. Ma la sostanza, cioè l'adeguamento degli atti di governo ai bisogni e alle richieste dei parchi regionali, alla necessità che essi hanno di essere concepiti e valorizzati in rete, di vedere rispetta ed esaltata la loro autonomia, di essere sostenuti nella loro difficile azione di frontiera, ebbene: questa sostanza è ancora lontana dall'essere pienamente soddisfatta. Si tratta, ripeto, di una critica generale, che avanziamo da tempo tanto nei confronti dello Stato che delle istituzioni regionali. L'abbiamo esposta con compiutezza già alla Seconda Conferenza nazionale delle Aree Protette di Torino, nell'ottobre di tre anni fa, dove tra l'altro le Regioni persero una occasione per essere protagoniste e far valere il loro autonomo orientamento. La riproponiamo in questa sede, dal momento che da allora la situazione non è migliorata. Lo Stato continua a fare per sé, le Regioni fanno da sé e addirittura ciascuna per conto proprio. Anzi, si sono accresciuti i conflitti tra lo Stato e le Regioni in materia di parchi, in questo caso di parchi nazionali ma, si badi bene, su questioni riguardanti le nomine e la composizione degli organi. Non su altre questioni fondamentali come, ad esempio, l'assenza di politiche concertate o il ritardo ultradecennale nell'elaborazione di strumenti generali quali il Piano nazionale del Mare e delle Coste, la Carta della Natura, il Piano nazionale della Biodiversità. Non su atti indispensabili quali gli accordi di programma per dare corpo ai progetti di area vasta previsti dalla legge 426, e nemmeno su provvedimenti funzionali alla gestione più adeguata dei patrimoni naturali, da cui le Regioni avrebbero tutto da guadagnare, come il trasferimento delle riserve statali, che si attende inutilmente da troppi anni.

Ciò di cui più c'è bisogno è di “sistema”, cioè di strumenti, collegamenti, azioni, che rendano più forte e coerente la funzione di ciascuna componente: lo Stato, le Regioni, le autonomie locali, i parchi. Anche e soprattutto i parchi regionali, o i sistemi regionali, non potranno mai esprimere appieno tutto il proprio potenziale, e saranno anzi sempre a rischio, in assenza di reti e sistemi più vasti, di carattere nazionale. Questa è la priorità principale.

Poi vengono le altre, ad essa conseguenti, che elencherò succintamente per ragioni di brevità.

- Le legislazioni regionali, che devono essere aggiornate sì, ma guardando avanti: per adeguarle alle ormai lunghe esperienze di gestione (alcune delle quali nate per affrontare situazioni locali e circoscritte), ma soprattutto per tener dietro alle acquisizioni maturate a livello scientifico e nei consessi internazionali come quelli recenti dell'UICN; per determinare i nuovi traguardi delle reti ecologiche e dell'integrazione con la rete Natura 2000; per assestare i nuovi equilibri determinati dalle modifiche costituzionali e dall'approvazione del Codice dei Beni culturali; per garantire basi normative all'inclusione dei parchi nei processi di costruzione dei programmi di sviluppo territoriale; per affermare nuovi criteri e strumenti più moderni di partecipazione da parte delle popolazioni e degli attori sociali e, infine, per le Regioni in cui il problema si pone, per assicurare agli amministratori dei parchi un trattamento giuridico adeguato; - La dotazione di fondi e strumenti per un ordinario e ordinato funzionamento. Troppi enti, in troppe regioni, sono ancora costretti in condizioni inaccettabili di pura difficile sopravvivenza, e comunque la media dei casi presenta risorse esigue, che vengono decise in tempi sempre incerti ed erogate con forti ritardi. Gli organici sono generalmente lontani dall'essere coperti e gli uffici centrali regionali spesso dotati solo del personale per l'amministrazione e non certo per il sostegno tecnico per la progettazione o la programmazione.
- Le pianificazioni territoriali e socio-economiche, che pure ormai sono state condotte a termine dalla maggior parte dei parchi ma che, al di là dei lunghissimi tempi medi di esame e approvazione da parte delle regioni, non hanno ancora determinato una modificazione sostanziale nell'atteggiamento delle regioni stesse. I piani sono vissuti e praticati, infatti, più come burocratici strumenti per il controllo fiscale delle decisioni dei singoli parchi che come elementi integranti di una programmazione complessiva ed unitaria, alla quale riferirsi con gli atti di governo rivolti allo sviluppo regionale e agli assetti territoriali generali. Chiediamo, a questo proposito, che finalmente in tutte le Regioni vengano istituiti i tavoli di concertazione Giunte-Parchi-Autonomie locali; - La creazione di nuovi parchi per i territori che ne hanno necessità, evidentemente a partire dalle Regioni che non hanno ancora provveduto, come il Molise, o che hanno lasciato inattuate in questi anni le previsioni delle loro stesse leggi. Lo sviluppo e l'integrazione di nuove forme di protezione - per i paesaggi tipici, i corridoi ecologici, le tante e diverse emergenze ambientali - può contribuire a rafforzare il sistema e ad incrementare ulteriormente il territorio tutelato.

Posso evitare di scendere in dettagli su questi temi legislativi, economici, della pianificazione, rinviando all'interessante e documentato articolo-inchiesta che pubblicherà il numero in stampa della nostra rivista Parchi e la cui copia trovate in cartella. E ancora ai contributi contenuti in Toscanaparchi e alla restante documentazione che vi è stata fornita. I dati raccolti in questa documentazione ci raccontano di molte situazioni difficili, ma ci dicono anche che comunque qualcosa comincia a muoversi, che qualche segnale di un indirizzo diverso si sta manifestando. Dalla nuova legge dell'Emilia Romagna che si è proposta - anche con la diretta collaborazione di Federparchi - di affrontare i temi nuovi che ho citato, alle dotazioni organiche del Lazio, che sono divenute cospicue e che andranno ora coordinate con efficacia, alla scelta della Campania e della Sicilia di affidare ai parchi la guida di vasti progetti di sviluppo territoriale con la gestione di risorse di molte decine di milioni di euro. Qualche indicazione che sembra andare nella direzione auspicata abbiamo raccolto anche in Regioni che hanno appena votato, attraverso le dichiarazioni dei nuovi presidenti, come in Piemonte, Abruzzo e Liguria, dove il presidente eletto ha accolto le sollecitazioni contenute nel documento predisposto dal nostro Coordinamento regionale. Anche in Sardegna e nel Friuli Venezia Giulia (con il presidente del quale abbiamo recentemente discusso) si affacciano intenzioni di riforma.

Vogliamo raccogliere questi segnali, sostenerli e contribuire a portarli a buon fine, attraverso il lavoro dei nostri Coordinamenti regionali. E lavoreremo soprattutto per cercare di portarli ad unità, sollecitando un impegno coordinato da parte di tutte le Regioni perché, lo sottolineo ancora una volta, è l'elemento della collocazione della politica dei parchi nelle politiche complessive che occorre modificare. Solo così il resto potrà concretizzarsi e consolidarsi.

Ecco perché, in conclusione, vogliamo sottoporre a questa nostra discussione e all'attenzione generale il nostro contributo di proposte per la crescita e la valorizzazione dell'intero sistema nazionale, a partire da quelli regionali.

Riteniamo sia indispensabile che le Regioni:

si dotino a livello nazionale di efficaci strumenti di coordinamento in materia di aree protette, in grado di assicurare un protagonismo condiviso nelle scelte nazionali, una collaborazione efficace, e la prospettiva di una graduale assimilazione delle tipologie e delle esperienze gestionali dei rispettivi parchi;

rivendichino, aiutino a realizzare e sostengano con forza strumenti di concertazione nazionale in materia di aree protette a partire dal Tavolo tecnico già costituito (e che si è riunito proprio ieri per la prima volta dopo troppo tempo) che va reso organico ad una sede istituzionale con potere decisionale quale la Conferenza Stato-Regioni-Autonomie. Si tratta di realizzare le condizioni anche operative per affermare la leale cooperazione tra istituzioni, sola strada per garantire un corretto funzionamento delle aree protette e per assicurare una integrazione senza gerarchie tra tutte le aree protette, terrestri e marine;

sostengano la proposta dell'introduzione di un Programma nazionale pluriennale per la Rete ecologica nazionale, da concertarsi nelle sedi istituzionali, con il compito principale di integrare le attività di tutte le aree protette nel quadro delle politiche nazionali e dei grandi progetti territoriali. In questo modo si esalterebbe l'efficacia dei programmi e degli stessi finanziamenti regionali, assicurando anche la necessaria coerenza con l'attività dei parchi nazionali, cui le Regioni sono per altro assolutamente interessate.

assumano come obiettivo proprio, rispondente agli interessi dei propri sistemi di aree protette e della propria pianificazione, la definizione degli strumenti nazionali tecnico- scientifici di riferimento previsti dalle leggi: il Piano nazionale della Biodiversità, la Carta della Natura e il Piano nazionale del Mare e delle Coste. La partecipazione diretta delle Regioni e dei Parchi regionali è condizione essenziale per l'elaborazione di questi strumenti.

sostengano, con una iniziativa propria e diretta, e facilitando la partecipazione di tutte le altre istituzioni interessate, i programmi per i grandi sistemi geografici, riprendendo il lavoro su APE per l'Appennino e CIP per le Coste, e avviando quello per le Alpi e il Bacino del Po, secondo l'elaborazione già condotta da parte della Federparchi;

rivendichino la rapida attuazione delle leggi che prevedono il trasferimento alle Regioni stesse delle Riserve naturali dello Stato, con l'impegno del successivo trasferimento ai parchi nei quali le riserve ricadono;

partecipino attivamente ai processi in atto a livello internazionale, per la creazione dei collegamenti necessari a stringere in rete le aree protette europee e mediterranee e le istituzioni da cui dipendono. È, questo ultimo, un punto che per brevità non ho trattato, ma che riveste una grande importanza, se si considerano le necessità che esistono di dare un ruolo e una connessione ai parchi anche su scala sopranazionale e di influire sulle scelte dei soggetti internazionali – l'Unione Europea innanzitutto – da cui dipendono anche in via indiretta, le condizioni generali e operative - ambientali, organizzative, finanziarie - delle aree protette. Esistono in questo senso elaborazioni e attività della Federparchi che vedono coinvolti anche molti parchi regionali e alla quale rinvio senz'altro: le fitte relazioni internazionali, le proprie rassegne fieristiche, la recente costituzione dell'Osservatorio dei Parchi Europei e l'avvio del processo di costruzione della Federazione dei Parchi del Mediterraneo.

Queste sono dunque le nostre idee e le nostre proposte. Il confronto di questa Assemblea, gli interventi, la partecipazione degli ospiti ne integreranno e miglioreranno i contenuti. Ciò che posso fin da ora assicurare è che faremo ciò che sta in noi per sostenerle e per rendere evidente, con il buon lavoro dei nostri parchi, che ogni sforzo loro dedicato è ben speso. Ricercheremo tutte le alleanze possibili, a cominciare da quelle con le associazioni delle Autonomie e con le associazioni ambientaliste, che vogliamo pienamente partecipi della nostra discussione e dell'azione conseguente. Sappiamo che la congiuntura non è delle migliori: le condizioni economiche generali stanno facendo sentire le loro conseguenze sulle finanze regionali e quindi su quelle dei parchi; c'è da fare i conti con un processo di deresponsabilizzazione accresciuto anche da improvvide scelte condonistiche, pericolose prima di tutto per i parchi; i processi di trasformazione istituzionale di cui abbiamo parlato rischiano di lasciare ai margini soggetti giovani e ancora gracili come i nostri. Ma siamo comunque fiduciosi che le nuove amministrazioni regionali possano raccogliere la sfida. Perché crediamo di avere argomenti e obiettivi chiari. Perché sappiamo di rispondere, con il nostro lavoro, ad una esigenza profonda e reale della società, in cerca di soluzioni a problemi ambientali sempre più evidenti. Perché infine possiamo presentare, insieme ai Comuni e alle Province dei nostri territori, un bilancio positivo che li conferma, come ha più volte affermato il Presidente Ciampi: “presidi di civiltà e parte integrante, costitutiva, della nostra identità, della nostra Patria”.
Vi ringrazio dell'attenzione.

di Valter Zago a Castano Primo