Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 44 - FEBBRAIO 2005

 




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LE COMPETENZE IN MATERIA DI AREE PROTETTE

1. Premessa

Il disegno di legge della regione Emilia Romagna sulla "formazione e gestione del sistema regionale delle aree protette e dei siti della rete Natura 2000" mette in chiaro in maniera molto valida ed efficace quale può essere il quadro delle competenze regionali - e indirettamente nazionali - in ordine alle aree protette, partendo con altrettanta chiarezza dalla precisa individuazione degli interessi e dei fini per i quali quelle competenze vanno esercitate.
Prima di spiegare questa affermazione vorrei però soffermarmi su due punti. Il primo riguarda il riparto delle competenze tra Stato e regioni quale può ricavarsi dal Titolo V della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n.3 del 2001. Il secondo riguarda alcune novità legislative introdotte di recente che non hanno ad oggetto direttamente le aree protette, ma comunque - come si vedrà - appaiono per esse rilevanti.

2. Le competenze dello Stato e delle regioni dopo la riforma del Titolo V

Cominciando dal primo punto, abbiamo ora una giurisprudenza costituzionale piuttosto ricca che può aiutarci a ricostruire il sistema delle competenze. Il dato letterale del testo costituzionale, secondo il quale (art.17, comma 2, lett. s) la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, non vuol dire - si ricava dalla giurisprudenza - che le regioni non abbiano competenza in tale campo. Infatti, l'ambiente non va considerato - afferma la Corte costituzionale a partire dalla sentenza n.407/2002 - una materia in senso proprio, ma un "valore", costituzionalmente protetto, trasversale che "si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze". Cosicché, nel momento in cui verranno curati dalle regioni tali altri interessi ed esercitate quelle competenze, si potrà, da parte delle regioni stesse, intervenire in ordine alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. Le regioni insomma - in base alle competenze concorrenti (art.117, comma 3) e residuali (art. 117 comma 4) loro attribuite (ad esempio, in ordine al governo del territorio, alla valorizzazione dei beni ambientali, all'agricoltura, all'industria, al turismo) e in base al loro essere enti esponenziali degli interessi collettivi della comunità regionale - potranno continuare ad esercitare, come del resto ormai avviene da anni, competenze anche legislative in materia di ambiente e, dunque, di aree protette.
La riserva di competenza legislativa statale va perciò intesa - secondo la Corte - nel senso che allo Stato spettano "le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale", o - altrimenti detto - il potere di fissare "standard di tutela uniformi". Anzi, in certi casi la Corte ha anche affermato che si tratta di standard "minimi" di tutela (sentenza n.536 del 2002).
Se si segue tale interpretazione ne deriva, inoltre, non solo che le regioni continuano ad avere competenze in materia ambientale ma che tali competenze possono avere anche contenuti di tutela. Che allo Stato spettino i profili unitari e uniformi della tutela non vuol dire infatti che - nel rispetto di tali standard - le regioni non possano anch'esse disciplinare e realizzare interventi di tutela (come sono, ad esempio, i piani ed i regolamenti delle aree protette). Non sembrano, perciò, fondate letture, basate su una interpretazione letterale ma schematica del testo costituzionale, secondo le quali in materia ambientale allo Stato spetterebbe la tutela e alle regioni la valorizzazione (espressamente ad esse attribuita dall'art.117 comma 3 come competenza legislativa concorrente riferita ai beni ambientali).
Partendo dagli elementi pur sinteticamente ora ricordati si può, dunque, ragionare su quali siano i contenuti, in particolare della disciplina delle aree protette, che - in quanto appunto rispondenti ad interessi ed esigenze meritevoli di una disciplina unitaria e uniforme - dovrebbero rientrare nell'ambito della competenza legislativa statale esclusiva. Tra tali contenuti dovrebbero esservi fondamentalmente la disciplina del regime giuridico speciale che consente di identificare una area protetta come tale (regime giuridico che attualmente è definito dalle finalità e dai principi fissati dalla legge n.394 del 1991) e la classificazione nazionale delle aree protette, anche se a proposito di quest'ultima - come sollecita anche la lettura della proposta dell'Emilia e Romagna - è necessario un chiarimento.
Che esista una competenza legislativa statale esclusiva in ordine alla classificazione nazionale - unitaria e uniforme - non dovrebbe di per sé escludere, infatti, eventuali classificazioni ulteriori fatte dalle regioni. La determinazione di cosa sia un parco o una riserva dovrebbe rispondere oggi - sulla base della legge n.394 - ad uno standard specifico, uniforme in tutto il territorio nazionale. Ciò non sembra impedire, però, alle regioni di individuare ulteriori tipi di aree da sottoporre a forme particolari di tutela che non rientrano nello standard uniforme del parco o della riserva. Una conferma in tal senso può ricavarsi dalla sentenza n.94 del 2004 della Corte costituzionale relativa ai beni culturali, che - sviluppando un ragionamento per analogia applicabile alle aree protette - riconosce la competenza delle regioni ad individuare una tipologia ulteriore di beni di particolare valore storico-culturale, anche se tali beni - precisa la Corte - non rientreranno tra quelli qualificati come beni culturali ai sensi della legge nazionale in materia. Allo stato dei fatti non sembra dunque da escludere che particolari altri tipi di aree possano essere classificate dalle regioni. Altra questione è, poi, se tali aree siano da considerarsi aree protette secondo le finalità e i criteri fissati dal legislatore nazionale. La questione, infatti, diviene qui di nuovo quella della specialità del regime giuridico (standard di protezione) delle aree protette, che innanzitutto consenta di distinguere queste dai beni paesaggistici in genere.
Oltre al regime giuridico e alla classificazione nazionale si può ritenere che rientri nella competenza legislativa esclusiva statale la disciplina del sistema nazionale delle aree protette, vale a dire delle attività (come la formazione della Carta della natura, la tenuta dell'elenco ufficiale delle aree protette) e degli strumenti ed organi nei quali si sostanzia tale sistema. L'esistenza di tale ambito di competenza statale è confermato, inoltre, dall'interpretazione che la Corte costituzionale (sentenze n.303 del 2003 e n.6 del 2004) ha dato del principio di sussidiarietà contenuto nell'art.118 comma 1 della Costituzione. La Corte, infatti, ha sostenuto che la sussidiarità - che nell'art.118 comma 1 regola il riparto delle funzioni amministrative - va vista come un criterio di attribuzione anche di potestà legislative, in quanto il conferimento delle funzioni amministrative - ad esempio allo Stato - porta con sé l'attribuzione allo stesso soggetto della potestà legislativa che serve a disciplinare l'esercizio delle funzioni amministrative attribuite. Viene così reintrodotto il parallelismo delle funzioni, anche se alla rovescia: mentre prima le potestà legislative portavano con sé le funzioni amministrative, ora quest'ultime portano con sé le prime. È del tutto evidente peraltro come in tal modo si finisce per introdurre una notevole flessibilità nei confini delle competenze legislative.
A conclusione del primo punto - e cioè il quadro delle competenze legislative in ordine all'ambiente e alle aree protette nel Titolo V della Costituzione - si può ritenere che oggi tale quadro, sicuramente da perfezionare, si presenti comunque meno incerto di quanto poteva apparire subito dopo l'approvazione della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione.

3. L'evoluzione della legislazione

Che la questione delle competenze relative alle aree protette comunque non sia risolta viene in evidenza, peraltro, non appena si passi a trattare il secondo punto di questo intervento. Infatti alcune incertezze - di altro tipo, rispetto ai profili prima considerati - sembrano provenire dagli sviluppi della legislazione nazionale ordinaria.
Mentre la disciplina legislativa delle aree protette è rimasta finora fondamentalmente quella della legge n.394 del 1991 con le modifiche introdotte dalla legge n.426 del 1998, è cambiata di recente un'altra disciplina, quella del paesaggio, che in realtà tocca anche le aree protette in modo tale da sollevare degli interrogativi, ancora prima che sulle competenze, sugli stessi oggetti e contenuti della tutela. Nel recente Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs 22 gennaio 2004 n.42) i parchi e le riserve, in quanto "beni paesaggistici" (artt. 134 e 142), vengono fatti rientrare nel "patrimonio culturale" (art. 2 commi 1 e 3). Ora - a parte le difficoltà che l'introduzione di nuove terminologie pone innanzitutto rispetto a quelle utilizzate nel testo costituzionale (dove non si parla di "patrimonio culturale", né di "beni paesaggistici", ma di "beni culturali e ambientali") - non vi è dubbio che le aree protette siano (anche) "beni paesaggistici". Il problema, tuttavia, è che, a questo punto, occorrerebbe una grande chiarezza in ordine a quale sia il regime che si applica alle aree protette. Dire che esse sono "beni paesaggistici", cioè, non dovrebbe voler dire che ad esse si applica in via prioritaria il regime giuridico dei "beni paesaggistici", mentre invece, proprio sotto questo profilo, sembra esserci una certa confusione nel Codice dei beni culturali e del paesaggio. Basti pensare a due disposizioni: l'art. 145 che disciplina il "coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione" al comma 1, mentre attribuisce al Ministero dei beni e attività culturali l'individuazione delle "linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio", non fa alcun riferimento alla Carta della natura (o comunque ad altre determinazioni in grado di esprimere gli interessi e i fini della tutela della natura); sempre l'art.45, poi, al comma 4 prevede che - entro il termine stabilito nel piano paesaggistico (non oltre due anni) - i comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette "conformano e adeguano" gli strumenti di pianificazione territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici. In tal modo, però, si finisce per modificare quanto stabilito dalla legge n.394, lì dove - art.12 comma 7 - prevede che il piano del parco sostituisce quello paesistico (e non viceversa).
La questione è, in realtà, tutt'altro che poco rilevante. Si tratta infatti di chiarire qual'è l'interesse prioritario che viene tutelato con l'istituzione delle aree protette; di stabilire se le aree protette siano o no un "oggetto" speciale che richiede una tutela specifica rispetto a quella del paesaggio in genere.
La questione è tanto vera quanto delicata: sta di fatto che il problema si è subito posto in occasione della sanatoria per lavori abusivi compiuti su beni paesaggistici prevista dal testo della proposta di delega ambientale nella versione approvata il 14 ottobre 2004 (art. 1 commi 36 e 37)*. Essendo anche i parchi e le riserve "beni paesaggistici", ci si chiede se la sanatoria si applichi anche per i lavori abusivi compiuti nelle aree protette. Si deve ritenere di no - in base, come si dirà tra poco, ad un fondamento giuridico forte - però è indubbio che in merito potrebbe generarsi una certa confusione.
In realtà, che i parchi e le riserve non possano essere considerati solo beni paesaggistici e siano da considerare aree protette, individuate come tali in ragione di un interesse specifico alla protezione della natura non riducibile all'interesse paesaggistico, e quindi siano aree sottoposte ad un regime giuridico specifico di particolare protezione, si può dedurre - sia pure indirettamente - da un'altra recente significativa sentenza della Corte costituzionale (la n.196 del 2004) relativa al condono edilizio (ex art 32 d.l. n.269 del 2003). Nella sentenza la Corte, intervenendo sul senso del carattere "primario" degli interessi alla tutela del paesaggio, afferma che la "primarietà" in tal caso non legittima un primato assoluto bensì "origina la necessità che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni" donde "l'esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali"; di qui la necessità della partecipazione di tutti i soggetti istituzionali e il "doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo". Quindi, da un lato la Corte costituzionale conferma il carattere fondamentale del pluralismo istituzionale - e in questo ambito del ruolo delle regioni - al fine di assicurare che gli interessi alla tutela del paesaggio vengano considerati in sede di bilanciamento con altri interessi. Dall'altro precisa con molta chiarezza che la "primarietà" di quegli interessi si esprime (e potremmo dire si limita) nel fatto che di essi va tenuto conto nei processi decisionali.
La fattispecie che si realizza con le aree protette appare tuttavia ben diversa e, sulla scia della legge n.394, la proposta di legge dell'Emilia Romagna ne fornisce una ottima rappresentazione. C'è in effetti un'area protetta - secondo la proposta - innanzitutto quando non si è (solo) in presenza di un generico interesse paesaggistico o ambientale ma di un interesse specifico alla conservazione degli ecosistemi (vedi gli articoli 1, 2, 3, 11 della proposta di legge). In secondo luogo, è la legge stessa - la legge n.394 e la proposta dell'Emilia Romagna - che stabilisce come prioritario tale interesse. Ciò non vuol dire che la considerazione di altri interessi - nel caso delle aree protette - sia esclusa. Anzi, tali interessi ben potranno presentarsi, ma potranno avere realizzazione solo adattandosi all'interesse scelto come primario. Infatti, la legge n.394 ammette attività ricreative ed attività economiche (art. 1, commi 3 e 4) nei parchi, ma tali attività dovranno essere "compatibili" (v., oltre la legge n.394, gli articoli 4, 5, 33 della proposta dell'Emilia Romagna) con l'interesse primario alla tutela degli ecosistemi naturali. Anche l'interesse o valore paesaggistico - inteso come interesse a mantenere una determinata forma esterna dell'ambiente, capace peraltro di suscitare sentimenti ed emozioni, non sparisce in presenza delle aree protette, anzi di esso dovrà tenersi conto nei piani dei parchi e nelle attività di gestione. Tuttavia quello paesaggistico non è l'interesse che (da solo) giustifica e legittima l'individuazione e designazione dell'area protetta. In questa prospettiva appaiono interessanti anche gli articoli 39 e 40 della proposta dell'Emilia Romagna, lì dove risulta con chiarezza che sono le pianificazioni di settore - tra le quali quella del paesaggio - che devono tenere conto della tutela della natura, e cioè delle aree protette, e che è il nulla osta dell'ente di gestione del parco che assume anche valore di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.

4. In conclusione

Per finire, ritengo che sia necessario fissare alcuni punti fermi in merito alla disciplina delle aree protette prima di affrontare la fase di riordino della legislazione che dovrebbe aprirsi dopo l'approvazione della delega ambientale. Di tutte le disposizioni elencate all'art 1 comma 9 lett.d della legge di delega la prima (che intende "confermare le finalità della legge 6 dicembre 1991 n.394") è sicuramente la più importante. Si tratta infatti di una affermazione che va presa non come meramente retorica, bensì come la garanzia che venga riconosciuto l'interesse specifico sotteso alla individuazione delle aree protette, il loro "plusvalore" rispetto al paesaggio in genere, e quindi che venga mantenuta la specialità del regime giuridico delle aree protette stesse. Che l'importanza sostanziale della disposizione appena citata non vada sottovalutata viene in evidenza non appena si consideri che - se così con si facesse - la specialità delle aree protette già potrebbe apparire in discussione in un'altra disposizione della legge di delega, dove si prevede di "articolare, con adeguata motivazione, e differenziare le misure di salvaguardia in relazione alle specifiche situazioni territoriali".
Da ultimo vorrei sottolineare come nella direzione qui indicata sembra ora andare in modo chiaro la proposta di modifica, ancora in discussione, dell'art.9 della Costituzione, al quale si intende aggiungere un nuovo comma: "La Repubblica tutela l'ambiente e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. Protegge la biodiversità e promuove il rispetto degli animali".
Mentre dunque il comma 2 dell'articolo 9 fonda la tutela del paesaggio, il nuovo comma - parlando di tutela degli ecosistemi (più correttamente dell'art. 117, comma 2 lett.s che parla di ecosistema), oltre che di ambiente - potrebbe dare un esplicito fondamento alla tutela delle aree protette e alla specificità del loro regime giuridico. Il nuovo comma, inoltre, confermerebbe ulteriormente che tutti i soggetti che compongono la Repubblica sono chiamati in causa con le loro competenze a realizzare la tutela. Cadrebbe, dunque, ogni possibilità di relegare il ruolo delle regioni e la loro competenza nel solo ambito della valorizzazione. Vedremmo così confermato espressamente - in ordine all'ambiente e alla protezione degli ecosistemi naturali - quel pluralismo di interessi e di istituzioni che è uno dei valori fondamentali della nostra Costituzione, direi ormai della Costituzione materiale oltre che formale.

di Carlo Desideri