Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 45 - GIUGNO 2005




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NEL PARCO DEL SASSO SIMONE E SIMONCELLO

Un percorso di educazione ambientale

Il presente lavoro fornisce degli spunti per la realizzazione di un percorso di educazione ambientale all'interno del parco del Sasso Simone e Simoncello, con l'obiettivo di accrescere negli studenti del 1° segmento della scuola superiore la consapevolezza del ruolo fondamentale che gli individui svolgono nel rapporto con l'ambiente naturale e artificiale. Gli studenti potranno acquisire la capacità utilizzare e gestire in modo sostenibile le risorse territoriali attraverso la maturazione di un senso di responsabilità nei confronti del patrimonio ambientale - paesaggistico.

L'area a parco: considerazioni generali

Il Parco Naturale del Sasso Simone e Simoncello è stato istituito nel 1994 con L.R. n. 15 e tutela un'area di 4.847 ettari che si sviluppa nella parte nord occidentale della Regione Marche e della Provincia di Pesaro e Urbino, al confine con la Toscana e l'Emilia Romagna. L'intero territorio ricade entro i confini di sei comuni (Carpegna, Frontino, Montecopiolo, Pennabilli, Pian di Meleto e Pietrarubbia) e due Comunità Montane (Montefeltro e Alta Val Marecchia) nella regione storica del Montefeltro. Una regione caratterizzata dal punto di vista morfologico da una serie picchi rocciosi che si innalzano a baluardi di controllo dei dolci pendii e delle zone calanchive che connotano il paesaggio feretrano. Rocche, torri e castelli e piccoli agglomerati di case in villa hanno a lungo e, ancora oggi, costituiscono il segno distintivo di quest'area montana che per secoli è stata mira di interessi politici opposti. L'intera area protetta, che si distingue per l'elevato valore naturalistico, paesaggistico, storico e culturale, prende il nome dai due rilievi montuosi che caratterizzano lo spartiacque tra le alte valli del Marecchia e del Foglia ai confini con la Toscana, il Sasso Simone (1204 m) e il Sasso Simoncello (1220 m) (1).
L'area dei due Sassi, attualmente di proprietà del Demanio Militare, già da tempo è sottoposta ad una serie di vincoli da parte sia dello Stato sia delle Regioni interessate al fine di garantirne la tutela e salvaguardia ma è soltanto attorno alla metà degli anni Novanta che la regione Marche istituisce il parco del Sasso Simone e Simoncello a cui fa seguito sul versante toscano l'istituzione di una riserva naturale. Lungo quest'area corre, infatti, la linea di confine tra le due regioni in base alla quale il Sasso Simoncello e la parte settentrionale del Sasso Simone ricadono nelle Marche mentre la parte meridionale di quest'ultimo fa parte del comune di Sestino(AR). Problemi politico-amministrativi hanno portato alla gestione separata di un'area che dal punto di vista naturalistico, paesaggistico e storico costituisce un unicum indivisibile per il quale era auspicabile l'istituzione di un'area protetta a scala interregionale. I due Sassi, invece, oltre ad essere gestiti da enti diversi, da una parte la Provincia di Arezzo e dall'altra la Regione Marche, sono diversificati anche nella classificazione come se le realtà tutelate fossero tipologicamente difformi. Tale frantumazione amministrativa non risulta certo vantaggiosa per questa porzione di territorio già penalizzata dalla presenza al suo interno di un poligono militare. Le attività educative del parco e della riserva male si coniugano con le esercitazioni militari che per alcuni mesi l'anno si svolgono sulla sommità dei Sassi. L'attuale perimetrazione del parco, che in base a quanto stabilito nel Piano del Parco in fase di approvazione dovrebbe portare ad un ampliamento dell'area protetta di circa 100 ettari, tutela come zona 1 la parte sommitale del Monte Carpegna (1415 m), compreso il versante est della Costa dei Salti, e il Monte Pietra Candella (1220 m) oltre ai rilievi del Sasso Simone e Simoncello e la vasta cerreta che dal Passo della Cantoniera si estende per oltre 800 ettari. La zona 2 si spinge poco al di là del perimetro della zona 1 fino a lambire i nuclei abitati sviluppatisi attorno al Monte Carpegna(2). Tutti i centri abitati ricadono al di fuori del perimetro(3), ad eccezione di una parte dell'insediamento di Ponte Cappuccini e dei due piccoli agglomerati di Ville e Cisterna che contano rispettivamente 32 e 28 abitanti(4). Quanto detto ci sembra possa essere utilizzato per presentare agli studenti una classificazione delle aree protette (parchi, riserve, zone umide, oasi) stimolando una riflessione sulle finalità (conservazione, valorizzazione del patrimonio naturale e storico- artistico-culturale) e sui diversi gradi di tutela che vi si possono applicare (concetto di zonizzazione: riserva integrale, orientata, area protezione, area di promozione economica e sociale).

Ambiente naturale e paesaggio umanizzato

L'area del Parco del Sasso Simone e Simoncello si distingue nel panorama collinare regionale per la sua singolare morfologia dovuta alla complessa storia geologica che ne ha determinato la formazione. I picchi rocciosi che la caratterizzano non sono altro che i resti di una vasta piattaforma calcarea formatasi in ambiente sottomarino nell'area del Mare Tirreno e arrivata ad occupare la posizione attuale attraverso una serie di movimenti avvenuti nel corso del Miocene superiore e del Pliocene. Il substrato sul quale la piattaforma originariamente si sedimentò era costituito da argille, marne e calcari, ma i progressivi sconvolgimenti a cui essa è stata sottoposta nel corso della sua lunga traslazione hanno determinato uno sconvolgimento dell'ordinato alternarsi di tali formazioni rocciose da cui sono derivate le originali forme plastiche proprie del Montefeltro. L'area è caratterizzata dall'alternarsi di terreni calcarenitici e terreni a prevalente componente argillosa che reagiscono in maniera estremamente differenziata ai processi erosivi. Formazioni resistenti all'erosione, calcareniti e marne, costituiscono l'intero rilievo del Monte Carpegna e compongono i Sassi Simone e Simoncello unitamente a formazioni argillose più facilmente erodibili presenti in più punti della regione montefeltrana. Le formazioni calcarenitiche determinano una morfologia abbastanza acclive con pendii anche subverticali, per lo più derivanti da faglie, che portano a repentini cambi di quota (Costa dei Salti, Sassi Simone e Simoncello), mentre le formazioni argillose danno origine a versanti a bassa pendenza, interessati da fenomeni di erosione accelerata, ad originali forme calanchive che si estendono anche su vaste aree come a sud dei Sassi, nei pressi di Villagrande di Montecopiolo e nella zona del Peschio. Vetta del Parco con i suoi 1415 m di altitudine è il Monte Carpegna, rilievo che svolge un ruolo centrale rispetto allo sviluppato sistema idrografico dell'area feretrana. Il Carpegna oltre ad ergersi a spartiacque delle due valli principali, quella del Foglia a sud e quella del Marecchia a nord, è anche il luogo dal quale scaturiscono le acque del fiume Conca e di una serie di tributari dei due fiumi maggiori: Apsa, Mutino, Seminico (affluenti del Foglia), Prena, Messa e Storena (affluenti del Marecchia). "I tre fiumi principali, Marecchia, Conca e Foglia, delineano una struttura idrografica divergente rispetto al principale nucleo orografico e nello stesso tempo tracciano i solchi di direttrici vallive che convergono nel cuore del Montefeltro"(Varani, 1971, p.18). E' lungo questa ricca rete idrografica e su una struttura orografica caratterizzata da una forte eterogeneità geologica e morfologica che nel corso dei secoli gli uomini hanno sviluppato viabilità e insediamenti. Aspetti naturali e lavoro dell'uomo si coniugano per dar vita a mirabili forme di un paesaggio in cui convivono toni discordanti apparentemente privi di armonia. Picchi rocciosi si stagliano tra dolci pendii spezzando quell'ininterrotto susseguirsi di colline, ma dando vita a forme plastiche di rara bellezza Visitando la zona del parco si attraversano paesaggi che, nel corso dei secoli, hanno subito l'inevitabile intervento dell'uomo: strade e sentieri, disboscamenti e coltivazioni, insediamenti arroccati e di fondovalle, strutture produttive e turistiche, testimoniano il mutevole e mutato rapporto dell'uomo con la natura, costituiscono la traccia del loro passato e suggeriscono possibili linee di sviluppo per il loro futuro. Le prime tracce della presenza umana nell'area del Montefeltro sono testimoniate da alcuni reperti risalenti all'epoca preistorica rinvenuti anche sulla sommità del Sasso Simone dove sono emersi frammenti di manufatti in cotto (Veggiani, 1989). Nella regione feretrana si stanziarono in seguito popolazioni umbre che prima minacciate dalla presenza etrusca in Adriatico e successivamente dalle incursioni celtiche che a più riprese si registrarono a partire dal IV sec. a.C., mantennero il controllo di questi luoghi almeno fino all'arrivo dei Romani. Fu soprattutto in epoca romana che si svilupparono le antiche vie di comunicazione essenzialmente lungo le valli del Marecchia e del Foglia che, attraverso i passi appenninici, si collegavano con il fondovalle tiberino. Nel corso dei secoli successivi il sistema viario ha registrato uno sviluppo assai limitato e ciò ha determinato l'isolamento di questa regione appenninica che ha così maturato una propria identità e individualità. E' principalmente durante il periodo medioevale che l'originale paesaggio, costellato di rupi ed alture, comincia ad animarsi di un sempre crescente numero di persone alla ricerca di luoghi più sicuri e più salubri delle pianure e dei fondovalle. Castelli, rocche e torri spuntano sulla sommità dei picchi rocciosi a difesa di un territorio che per la sua posizione di confine tra Toscana e Romagna, sarà per lungo tempo oggetto di aspre contese. Attorno al Monte Carpegna si sviluppano una serie di villaggi fortificati che si dispongono a cerchi concentrici: in un primo cerchio alla base del monte si trovavano Carpegna, Pietrarubbia, Montecopilo e Pennabilli, mentre in posizione più esterna si trovano Frontino, Macerata Feltria, Montecerignone e Maiolo. La maggior parte di questi centri, sorti come castelli nel corso dell'alto Medioevo a difesa dei possedimenti dei tanti signorotti locali spesso in guerra tra di loro, mostrano la loro fragilità nel momento in si scatenano le lotte tra i Comuni e poi tra due grandi signorie locali: i Malatesta e i Montefeltro.I conflitti tra le due casate hanno d'altro canto favorito la conservazione fino ai nostri giorni di alcune di queste fortificazioni che tra la fine del Trecento e la metà del Quattrocento vengono sottoposte a una serie di lavori di ristrutturazione. Per riuscire ad avere un maggior controllo sul territorio e quindi proteggere meglio i propri possedimenti i Malatesta pensarono di edificare sulla superficie sommitale del Sasso Simone, all'altitudine di 1204 m, una fortezza, là dove oltre tre secoli prima i monaci benedettini avevano costruito un'abbazia(5). Il progetto malatestiano della fortificazione sul Sasso Simone rimase incompiuto dal momento che i signori di Rimini persero di lì a poco i loro possedimenti nella zona. Fu in seguito Cosimo I de'Medici a riprendere l'idea e a voler realizzare sul Sasso una città-fortezza, tassello di un più ampio sistema fortificato ideato a protezione e rafforzamento del proprio stato. La fortificazione venne costruita senza essere mai abitata veramente. Nella complessa struttura composta da edifici militari, una cinquantina di abitazioni e una serie di opere necessarie per gli usi civici (forno, cisterna, ecc.), vi risiedettero per un breve periodo al massimo un centinaio di persone, la maggior parte delle quali faceva parte del corpo di guardia. Le avversità climatiche e la difficoltà dei collegamenti resero particolarmente difficile il soggiorno su questa affascinante, ma asperrima altura soprattutto quando l'annessione del ducato di Urbino allo Stato della Chiesa (1631) determinò il venir meno della funzione principale per cui la fortezza era stata costruita. Dopo circa un secolo dalla sua costruzione, la città del Sasso conosceva già la fase della sua decadenza. Abbandonata e privata di ogni cura di manutenzione la struttura si è ben presto trasformata in un cumulo di rovine: gli unici elementi che ancora oggi si conservano sono parte della strada lastricata che conduce fino alla sommità del rilievo e i resti dell'antica cisterna. Come la fortezza del Sasso Simone anche le altre strutture difensive arroccate sugli sproni naturali hanno perso la loro funzione con il placarsi delle lotte per il controllo del territorio feretrano. I periodi di pace e tranquillità politica che seguono determinano l'espandersi della vita anche al di fuori dei borghi fortificati. I secolo XVII e XVIII sono però caratterizzati da un consistente calo demografico che coinvolge tutta l'area del Montefeltro e si protrae fino ai primi decenni dell'Ottocento quando si inizia a registrare un'inversione di tendenza. E' durante il sec. XIX che in seguito al crescente incremento demografico le campagne feretrane riprendono ad animarsi e ad essere sottoposte a uno sfruttamento sempre maggiore. Nel corso dell'Ottocento la popolazione quasi raddoppia e ciò produce l'innescarsi di una serie di profonde modifiche al paesaggio e al territorio. I boschi e i prati che coprivano ancora i due terzi dell'intero territorio vengono progressivamente tagliati per lasciare spazio a nuove coltivazioni o al pascolo del bestiame. Il paesaggio agrario del Montefeltro registra un cambiamento radicale nel corso della seconda metà dell'Ottocento: tra il 1826 e il 1910 "sparisce l'incolto (-834 ha), si tagliano e si dissodano 4.919 ha di bosco e 5.244 di prato, l'arativo semplice e vitato cresce di 10.433 ettari"(Pretelli, 1995). Aumentano gli insediamenti sparsi dai quali i mezzadri svolgono e controllano direttamente i lavori agricoli mentre l'animarsi dei centri di fondovalle, sorti lungo le maggiori arterie di comunicazione, determina spesso il definitivo abbandono dei villaggi arroccati. Il nuovo insediamento si sviluppa a breve distanza dal vecchio, ma in posizione più favorevole: è il caso di Mercato Vecchio sorto in seguito all'abbandono del castello di Pietrarubbia e dell'abitato di Villagrande sviluppatosi ai piedi del villaggio fortificato di Montecopiolo. L'area del Montefeltro continua a registrare un trend positivo di crescita dal punto di vista demografico ed economico fino alla metà del secolo scorso quando la progressiva deruralizzazione dell'economia provoca un'inversione di tendenza. In poco più di un decennio si assiste ad un esodo della forza lavoro locale che abbandona le campagne per trovare impiego nelle aree urbanizzate costiere in altri settori economici. Un vero e proprio crollo demografico interessa il Montefeltro come le altre zone montane della regione. L'abbandono di queste terre ha innescato una serie di importanti modificazioni di carattere sociale e ambientale. Da un punto di vista socio-economico oltre ad un calo generalizzato della popolazione residente, si è registrata una diminuzione del numero degli addetti alle attività agricole e un aumento degli addetti all'industria e al commercio. Da un punto di vista ambientale, invece, l'intera area è stata interessata da un aumento del rischio di degrado idrogeologico dovuto al venir meno del secolare controllo a cui il minuzioso e attento lavoro dell'uomo ha continuamente sottoposto questo territorio (Persi, 1993).

Il parco come occasione educativa e di rilancio socio-economico dell'Appennino

L'istituzione di un parco naturale nel cuore del Montefeltro riveste, quindi, una particolare importanza per il ripristino degli equilibri ambientali ed economici dell'intera regione feretrana se le strategie di sviluppo applicate all'interno dell'area protetta diventano la base di una politica integrata di gestione territoriale su vasta scala. Si tratta di potenziare e sviluppare le prerogative di un territorio ad alto valore ambientale e paesaggistico che può trovare nel turismo e nel rilancio delle attività tradizionali la chiave di volta per una ripresa sostenibile dello sviluppo socio-economico. L'attuale flusso turistico è concentrato durante la stagione estiva, nei mesi di luglio e agosto, ed è essenzialmente costituito da persone che provengono dalla provincia di Pesaro-Urbino e dalle zone limitrofe della Romagna e della Toscana. L'obiettivo principale, quindi, è quello di favorire una de-localizzazione del turismo inserendo gli itinerari presenti all'interno del parco e nell'intera area montefeltrana nell'ambito di circuiti turistici più vasti nonché di promuovere un prolungamento del soggiorno, che nella maggior parte dei casi non supera la durata di una giornata, anche potenziando le strutture ricettive e ricreative(6). Tutto ciò risulta possibile solo grazie al riaffermarsi delle specificità culturali dell'area che favoriscono quel senso di identità e di appartenenza ad un luogo che è alla base di qualsiasi corretta forma di gestione e sviluppo territoriale. Compito del parco anche quello di potenziare il proprio ruolo educativo, attraverso la realizzazione di percorsi didattici che mirino a sviluppare nei giovani comportamenti responsabili, gli unici in grado di fare dell'area protetta un elemento di forza dello sviluppo locale.

Proposte didattiche

Finalità del progetto

  1. Realizzare un percorso di educazione ambientale all'interno del Parco del Sasso Simone e Simoncello con l'obiettivo di accrescere negli studenti del 1° segmento delle scuole secondarie di secondo grado la consapevolezza dell'importanza che l'individuo e le collettività svolgono nel rapporto con l'ambiente naturale e artificiale.
  2. Favorire negli studenti la maturazione del senso di responsabilità nei confronti del patrimonio ambientale - paesaggistico e nella gestione delle sue risorse, il cui uso razionale risulta fondamentale per qualsiasi piano di sviluppo territoriale.
  3. Realizzare un progetto didattico a più valenze: ambientali, culturali, turistiche, economiche.
  4. Utilizzare un metodo didattico di tipo costruttivista in base al quale gli studenti sono chiamati ad ampliare e organizzare le proprie conoscenze sviluppando le capacità di osservazione, analisi e critica dei fenomeni.
  5. Maturare le capacità di identificare, razionalizzare, formulare problemi, ipotesi e proporre soluzioni.

Obiettivi didattici generali

  1. comprendere il sistema territoriale individuando gli elementi naturali e storici e analizzarne la complessità. In particolare capire:
    1. il loro rapporto complesso e dinamico
    2. l'interdipendenza, l'interrelazione
    3. la catena a cascata di cause-effetti
    4. il ruolo e la responsabilità dell'uomo come agente modificatore
  2. sviluppare un senso di responsabilità nella gestione delle risorse e soprattutto di appartenenza al territorio e quindi al patrimonio ambientale e culturale

Obiettivi didattici disciplinari

  1. distinguere le tipologie di aree protette (parchi nazionali, regionali, riserve, oasi, zone umide, ecc.)
  2. comprendere i differenti gradi di tutela (concetto di zonizzazione: riserva integrale, orientata, area a promozione economica-sociale)
  3. conoscere e analizzare le componenti naturali del territorio
  4. conoscere e analizzare le stratificazioni storiche e sociali
  5. interpretare il paesaggio prodotto (tipi di paesaggio, di agricoltura, di economia)
  6. utilizzare una corretta terminologia
  7. leggere il paesaggio con tecniche tradizionali (carte geografiche a scala diversa, grafici, fotografie, atlanti) e informatiche
  8. rielaborare i dati ottenuti con la ricerca e comunicare ad altri le informazioni
  9. rappresentare con schemi geografici acquisiti carte mentali del territorio
  10. saper mettere in relazione ambiente, insediamento, popolamento, dinamica demografica, densità di popolazione, tecniche agrarie, investimenti, viabilità, sviluppo
  11. confrontare spazi diversi ricordando che ogni gruppo organizza il territorio in base alla propria cultura ed esigenze e in base alle risorse ambientali
  12. applicare le capacità acquisite ad altri casi regionali
  13. formulare proposte di salvaguardia del territorio
  14. formulare proposte di fruizione compatibile.

Metodologia

  1. Visita guidata al parco e acquisizione di materiali.
  2. Raccolta ed esame delle norme che regolano il parco.
  3. Individuazione dei lineamenti geomorfologici, pedologici e climatici.
  4. Uso di carte topografiche, mappe catastali, carte tematiche (utilizzo tecnica dello smontaggio)
  5. Lettura e interpretazione di immagini fotografiche (terrestri e aeree).
  6. Uso di strumenti informatici.
  7. Incontri e interviste con amministratori e esperti del territorio (colloqui, inchieste, questionari).
  8. Elaborazioni grafiche e statistiche.
  9. Correlazione dei dati geo-idrologici, storici, economici, ecc.

Verifica
I ragazzi dovranno essere in grado di:

  • articolare mappe concettuali intorno al concetto di area protetta;
  • costruire mappe concettuali a rete, sapendo collegare ad un problema centrale altri elementi, individuando così le relazioni che li legano, evidenziando "connessioni di significato tra i concetti che formano le proposizioni e rendere visibile una teoria o un modello, o quantomeno un'ipotesi" (Legambiente, 1998, p. 34);
  • dimostrare il coinvolgimento, la cooperazione e la capacità di intervento progettando, ad esempio, in classe un ufficio turistico avente l'obiettivo di offrire, ad eventuali fruitori, un depliant pubblicitario, di promozione dell'area, che evidenzi le caratteristiche della zona;
  • allestire una mostra fotografica su case rurali, chiesette, fontanili, oggetti, costumi di un mondo passato, tradizioni lontane, magari associando il materiale ai suoni (canti e interviste ad anziani);
  • costruire archivi di immagini, suoni, testi, testimonianze ed, eventualmente, laboratori di fotografia;
  • organizzare l'archivio in funzione di una utilizzazione informatica (cd rom …)
  • tentare, con un lavoro d'équipe, una proposta di fruizione di un'area protetta ponendo particolare attenzione a non alterare sistemi fragili e valorizzare i più suggestivi siti paesaggistici (verificare nel lavoro di progettazione la capacità di saper stabilire i punti ottimali di accesso al parco; prevedere aree di sosta e di ristoro in luoghi adatti; predisporre un'adeguata ed efficace segnaletica e infine pensare anche a un percorso culturale che preveda la visita ai beni storici e rurali).

Le finalità e gli obiettivi didattici presentati possono dar vita a un progetto a più valenze: ambientale, culturale, turistico, economico che potrà essere organizzato in vari nuclei tematici collegati al percorso ambiente-società e sviluppo ecocompatibile. E' quindi importante sottolineare che tale lavoro richiede la partecipazione, la collaborazione e l'esperienza di una pluralità di docenti (italiano, scienze della terra, informatica, musica…), l'apporto di esperti e amministratori locali e un numero di ore a disposizione abbastanza alto per consentire non solo il lavoro in aula, ma soprattutto sul campo, da realizzarsi in periodi e tempi diversi, che nel nostro caso è agevolato dall'Ente Parco, il quale mette a disposizione una struttura per ospitare gruppi scolastici. Il corpo docente dovrà, dopo la somministrazione di prove di ingresso finalizzate ad accertare conoscenze acquisite nei segmenti scolastici precedenti, calibrare il progetto e iniziare interventi di rinforzo e di recupero. L'ampio e articolato lavoro didattico di approccio al parco potrà essere distinto in due fasi: la prima è tesa a definire, per approfondimenti progressivi, le caratteristiche fisiche dell'area; ma non solo fisiche, se si vuole cogliere il paesaggio nella sua complessità e interezza quale prodotto di trasformazione del territorio operata dall'uomo. La seconda fase è quella del coinvolgimento, della cooperazione e collaborazione. Tali fasi, sintetizzabili come le "3 C" (conoscenza, comprensione, comportamento), vedono dapprima la raccolta dei dati, l'analisi e la definizione delle componenti fisiche e antropiche (conoscenza) per passare alla ricerca delle interrelazioni, ai fattori di conflittualità e ai fattori di sinergie (comprensione) e, infine, alle proposte di intervento personali, collettivi e normativi per ridurre l'impatto sociale e giungere al ripristino ambientale (comportamento). Un progetto pertanto non limitato esclusivamente al parco, ma necessariamente connesso con gli spazi limitrofi, che realizza una scuola aperta sia all'interno (perché sede di programmazione, che, in modo interdisciplinare, favorisce la discussione, l'elaborazione, la progettazione, l'autonomia, la ricerca come indagine/scoperta/azione), sia all'esterno (perché considera l'ambiente, le sue storie, i suoi linguaggi e tende all'attivazione di sinergie tra uomo e natura attraverso la salvaguardia, la difesa del proprio paesaggio e al tempo stesso del patrimonio storico e artistico). Questa scuola non solo studia problemi con l'ausilio di testi, l'apporto di altre discipline e l'aiuto di esperti e amministratori locali, ma attiva, suggerisce, attua soluzioni e, soprattutto, stabilisce empatie e coinvolgimento. Essa pertanto diventa regista: nello studio, nella scoperta di valenze e vocazioni ambientali, nella raccolta di tradizioni, nella ricerca e progettazione di ruoli, nella fruizione (turismo ecologico …), nella gestione (la scuola può formare competenze e favorire, al termine degli studi, la nascita di cooperative di giovani come guide, animatori ecc.). Un tale lavoro supera la semplice esplorazione e descrizione per giungere a un approfondimento che coglie le molteplici interconnessioni dei fenomeni, processi e componenti del sistema. Ecco perché si è parlato di uno studio sul campo, costruttivista, che parta sempre dall'osservazione e dall'indagine sul terreno per capire come funziona un territorio, per comprenderne la complessità, le eventuali tensioni ambientali provocate dall'organizzazione sociale. Si realizza così quella "crescita educativa, culturale e professionale attraverso il sapere, il fare, l'agire, finalizzata a sviluppare l'autonoma capacità di giudizio e l'esercizio della responsabilità personale e sociale" (Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, 2002, pag. 24). Una tale crescita si fonda sull'identità del ragazzo che nasce dalla scoperta, riconoscimento, accettazione di sé e dell'altro, ma che si sviluppa anche in rapporto al proprio ambiente; un ambiente che inevitabilmente è naturale, antropico e relazionale.

Bibliografia

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di Erika Roccato e Monica Ugolini
A E. Roccato vanno attribuiti i paragrafi n. 1-2-3 e a M. Ugolini il paragrafo 4.

  1. Primo vincolo ad essere stato istituito sull'area è quello idrogeologico, sancito con Regio Decreto n. 3267 il 30 dicembre del 1923, al quale ha fatto seguito il vincolo paesaggistico per la protezione delle bellezze naturali n. 1497 del 1939. Nel 1971 la Società botanica Italiana classifica l'area come biotopo di rilevante interesse floristico degno di protezione. In ottemperanza a quanto stabilito dalla legge Galasso (431/85) la regione Marche aveva previsto attraverso l'approvazione del suo Piano Paesistico Ambientale (3.11.89) l'istituzione nell'area dei due Sassi di una riserva naturale che ricadeva all'interno di un parco naturale comprendente anche il Monte Carpegna.
  2. La zona 1 ha un'estensione di 2.171,5 ha, mentre la zona 2 ha un'estensione di 2.675,5 ha.
  3. In base al piano del parco, in fase di adozione, si prevede l'inclusione nell'area del centro storico di Pennabilli, che ha però ridotto parte del suo territorio sulla costa del monte, e quello di Carpegna. Anche l'abitato di Ponte Cappuccini ha aumentato la superficie protetta e il comune di Pian di Meleto ha inglobato nel perimetro del parco la frazione di San Sisto.
  4. Dati Censimento ISTAT 1991.
  5. L'attività dell'abbazia di S. Michele Arcangelo, più semplicemente nota come S. Angelo, è documentata in una serie di pergamene conservate presso l'Archivio di Stato della Repubblica di San Marino, datate a partire dal 1124. Per un'analisi di questi documenti si veda: L. Donati, "Regesti di pergamene inedite del Montefeltro - sec. XII", in Studi Montefeltrani, I, 1971, pp. 117-138.
  6. I dati sono stati tratti dalla Relazione finale sul monitoraggio dei flussi turistic, estate 1998, elaborata ai fini della redazione del Piano del Parco dalla prof.ssa F. Carle dell'Università degli Studi di Ancona.