Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 45 - GIUGNO 2005




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IL TERRITORIO HA UN RUOLO CRUCIALE

Sostiene Trigilia

Nella stampa generalista quando si parla di economia si ragiona di rischio di declino o di possibile ripresa senza considerare mai i parchi, cioé le aree naturali protette, come possibili interpreti della vicenda. Neppure quando quelle aree sono periurbane, metropolitane, e con tutta evidenza già oggi protagoniste di politiche di sviluppo economico sostenibile. Quando va molto bene, ci si domanda se le aree naturali protette - nel più ampio contesto delle risorse naturali e culturali - siano ulteriori attrattori turistici e quindi possibile valore aggiunto nelle politiche di sviluppo. Partiamo di qui. Come collochi la rete di parchi regionali e nazionali esistenti in Italia nella tua riflessione sui modelli di sviluppo economico da gestire ai vari livelli amministrativi, per migliorare lo sviluppo locale italiano?

< La rete dei parchi è certamente una risorsa importante, e dovrebbe essere ulteriormente potenziata. Mi sembra però che per il momento riesca a rispondere - seppure in misura minore di quel che sarebbe auspicabile- a una domanda di tutela dell'ambiente. Si potrebbe fare certamente di più per cogliere le opportunità che essa offre dal punto di vista dello sviluppo locale. Ma questo richiede specifici progetti che vanno promossi, coinvolgendo gli attori pubblici e privati locali, ma vanno anche selezionati. Per esempio un accordo quadro tra stato e regioni che tocchi questo specifico tema potrebbe essere utile. Anche forme di collaborazione più stretta tra le diverse esperienze dei parchi, da questo punto di vista, potrebbero essere di grande utilità.

Tu sei ordinario di sociologia economica. I tuoi lavori più recenti si sono occupati delle politiche per il Mezzogiorno e dei loro effetti perversi, delle istruzioni per l'uso del capitale sociale, e infine - nel tuo ultimo libro - dello sviluppo locale inteso come progetto per l'Italia. Quindi mi sembri la persona giusta per dirci quale rapporto esista (o potrebbe esistere) tra i distretti economici di Becattini, i nuovi distretti high tech, i patti per lo sviluppo locale, e la rete di parchi, il possibile "sistema nazionale di aree protette", inteso come sistema territoriale dove oggi si stanno sperimentando nuove forme di economia locale all'interno di nuove reti costruite quasi sempre dal basso (in una logica "autosostenibile", direbbe Alberto Magnaghi), adoprando forme nuovissime di radicamento sociale (l'area vasta territoriale che individua il parco, ed ogni sua governance), e sperimentando addirittura - come ha scritto Franco Cassano, giustamente - "un'altra idea di ricchezza".

< Ci sono anche tra gli economisti numerosi studiosi che si interessano al tema dell'ambiente e si impegnano su questo terreno. Ci sono riviste che se ne occupano. Ma mi sembra di cogliere un riferimento più generale: al dibattito sullo sviluppo del paese, sulle cose da fare per riorganizzare la nostra economia, che oggi è in serie difficoltà. Da questo punto di vista, sono d'accordo sul fatto che tutto ciò che ha a che fare con lo sviluppo locale e la valorizzazione del territorio tende ad essere considerato secondario. Per alcuni forse anche controproducente. Perché questo accada da noi - cioè in un paese per il quale l'organizzazione territoriale dell'economia è particolarmente importante - è difficile da dire. Molti, specie tra gli economisti, tendono a identificare lo sviluppo locale con i distretti. Siccome quest'esperienza è oggi più in difficoltà, si pensa di liquidarla. Credo abbia inciso anche la difficoltà incontrata da molte - ma non da tutte - le esperienze condotte nell'ambito della programmazione negoziata. Resta il fatto che il territorio in tutte le sue forme - dalla rete dei parchi, alle città - ha oggi un ruolo cruciale da giocare per il modo in cui è organizzata l'economia. Anche se i ruoli e le possibilità sono diverse, e così le politiche. Dobbiamo distinguere bene i distretti high-tech, quelli tradizionali, le aree protette, i parchi, ecc.. Hanno esigenze specifiche e richiedono interventi appropriati. Tutti però comportano un maggior protagonismo dei soggetti locali. Una maggiore capacità di coordinamento tra soggetti pubblici e privati per ottenere dei buoni risultati.

Se esistono sinergie, e se sul piano teorico potrebbero fare del bene al nostro Paese innestando nel tronco vecchio di processi in crisi la vitalità e la novità delle sperimentazioni ecologiste, come mai tutto si ferma a minime sperimentazioni, oppure anche a vistose sperimentazioni, le quali tuttavia vengono vissute come irrilevanti rispetto ai grandi processi economici sui quali la politica e la cultura sono chiamati a lavorare? Qual'è il problema? Si tratta solo di un ritardo culturale? Ci sono interessi e derive difficili da rimuovere? O sbagliamo noi ecologisti a considerarci una soluzione colpevolmente trascurata, mentre siamo davvero variabili marginali e solo e sempre aggiuntivi?

< Per i problemi che riguardano gli altri protagonisti del dibattito e degli interventi ho già detto prima. Forse si può aggiungere qualcosa sulla cultura ecologista. Forse anche da questo lato ci sono alcune responsabilità. Nel senso che spesso si ha l'impressione di una certa rigidità. Di un interesse più orientato alla tutela che alla valorizzazione. Naturalmente, questo non avviene tanto in teoria, ma più nella pratica. A volte si ha l'impressione di avere a che fare con chi sa dire soprattutto dei no, ma pochi sì. Dove per sì si intende la voglia e la capacità di cimentarsi in soluzioni innovative anche sul terreno di una valorizzazione adeguata delle risorse ambientali e storico-artistiche, e non solo della mera protezione (che ovviamente non è da trascurare). Ma questo richiede una sensibilità culturale e un impegno conoscitivo e operativo adeguati.

Nel tuo ultimo libro sullo sviluppo locale parli della necessità di ridefinire il modello sociale di tipo europeo a partire dal territorio. Personalmente ho verificato la capacità di molti Paesi europei di progettare e finanziare il necessario sviluppo territoriale a partire da un differente ruolo dell'ambiente e della cultura visti non soltanto come "attrattori turistici", oltretutto all'interno di un prodotto turistico complessivamente obsoleto, ma come nuovi motori di un nuovo sviluppo. Ho molto presente lo sviluppo di Lille e della sua area metropolitana, di parti della Rhur riconvertite, di intere zone della Spagna (la cintura verde di Barcellona, ma anche altri poli di nuovo sviluppo dove la cultura e l'ambiente fanno da motore, e i referenti amministrativi sono fortemente locali, ma in grado di gestire robusti finanziamenti nazionali e comunitari)… e potrei continuare in un esercizio di seccante esterofilia. Hai anche tu l'impressione che esista una sorta di straniamento e di spaesamento del nostro Paese, anche nei punti più alti delle amministrazioni centrali e periferiche, rispetto alle acquisizioni di altri segmenti della politica e dell'amministrazione europea? E come ti spieghi questo fenomeno?

< C'è un indubbio ritardo. Molte speranze ha suscitato la riforma degli enti locali con l'elezione diretta dei sindaci e il cambiamento di ruolo delle giunte. Ci sono stati dei progressi in termini di stabilità. Prima era impossibile anche ipotizzare una politica di largo respiro. Meno però di quanto si poteva sperare qualche anno fa. Tuttavia anche da noi alcune esperienze significative, legate alla sperimentazione di piani strategici urbani c'è stata. Così come si sono diffuse le aree protette. Molte città piccole e grandi sono coinvolte nelle nuove forme di pianificazione, specie nel centro-nord, ma ora anche nel Sud. Il punto è che bisognerebbe coltivare e diffondere queste esperienze. Sostenerle anche finanziariamente, rivedendo drasticamente il nostro sistema di incentivazione. Non sempre le Regioni giocano un ruolo positivo in questa vicenda. Hanno risorse e competenze in misura maggiore che nel passato, ma stentano a riconoscere i territori, a promuoverne la mobilitazione intorno ad obiettivi di sviluppo. Forse ci vorrebbero delle forme di collaborazione interistituzionale più impegnative. Accordi tra stato regioni e enti locali per promuovere e selezionare buoni progetti di sviluppo dei territori. Che potrebbero assumere forme diverse a seconda dei casi.

L' amministratore di aree protette che vuole diventare uno dei soggetti promotori di nuovi percorsi e di nuove reti in grado di animare lo sviluppo locale partendo da quanto si sperimenta nei parchi naturali e nelle riserve si trova a dover affrontare enormi difficoltà di tipo amministrativo e politico, che sarà suo dovere modificare, se ci riuscirà. Restando invece sul tuo terreno, quello dell'università, dell'insegnamento e della ricerca, non credi che anche in in quest'altro mondo saranno necessarie molte modifiche, in tempi brevi, di segno analogo e in qualche misura complementari?

< Come dicevo, molti studiosi che operano nell'università -economisti, giuristi, sociologi, urbanisti - sono interessati al tema dell'ambiente e del territorio. Forse mancano occasioni di interazioni più strutturate. Centri di ricerca specifica che possano affrontare i temi dello sviluppo locale in una chiave interdisciplinare e anche utile per gli operatori. Nell'Università di Firenze è stato da poco costituito un Centro europeo di studi sullo sviluppo locale che si propone di misurarsi su questo terreno.

di M.G.

Carlo Trigilia
Professore ordinario, insegna Sociologia Economica nel Corso di laurea in Scienze Politiche e nel Corso di laurea in Scienze dell'Amministrazione. Ha insegnato nelle Università di Palermo e di Trento ed è stato ŒLauro De Bosis professor, presso la Harvard University. Direttore della rivista Stato e Mercato, è membro del comitato di redazione delle riviste Meridiana e Sviluppo Locale.
Ha lavorato sullo sviluppo locale nelle regioni di piccola impresa e nel Mezzogiorno e sulle origini e sugli sviluppi più recenti della sociologia economica. Tra le principali ricerche in corso: un'indagine sulle politiche regionali comunitarie e sui patti territoriali; uno studio sui cambiamenti nella politica e nelle politiche locali nei comuni del Sud e del Centro-Nord; un'indagine per l'OCSE sui caratteri territoriali dello sviluppo economico in Italia.

Pubblicazioni principali
Grandi partiti e piccole imprese. Comunisti e democristiani nelle regioni a economia diffusa, Bologna, Il Mulino, 1986; Sviluppo senza autonomia. Effetti perversi delle politiche nel Mezzogiorno, Bologna, Il Mulino, 1992; (coautore), La construction sociale du marché, Parigi, Éditions de l'ENS, 1993; (curatore), Cultura e sviluppo. L'associazionismo nel Mezzogiorno, Roma, Donzelli, 1995;. "Dinamismo privato e disordine pubblico. Politica, economia e società locali", in Storia dell'Italia Repubblicana, vol. II, tomo I, Torino, Einaudi, 1996; "Italy: The Political Economy of a Regionalized Capitalism", in South European Society and Politics, 3, 1997, pp. 52-79; Sociologia economica, Bologna, Il Mulino, 1998; (coautore), Local Production Systems in Europe: Rise or Demise?, Oxford, Oxford University Press, 2000, e naturalmente Sviluppo locale: un progetto per l'Italia, Bari, Laterza, 2005.