Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 45 - GIUGNO 2005




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SEGNI, SOGNI, BISOGNI

Finisce il primo quinquennio del nuovo millennio e i fatti sono poco interpretabili. Magari è più facile interpretare i libri che vengono pubblicati per tracciare uno straccio di rotta, evitando di lasciarci portare dalle derive.
Perché Lucio Anneo Seneca diceva, nel lontano 49 d.C...

L'arte di interpretare i segni dei tempi non mi appartiene. Altrimenti riuscirei a trarre conseguenze dal frastuono di chiacchiere sulla domanda di partecipazione esplosa alle primarie del centro sinistra, che nessuno aveva previsto, ma tutti coloro che non l'avevano prevista si sentono autorizzati a spiegarne i significati più reconditi, e anche, sia pure con qualche imbarazzo, a impossessarsene. Io non sono andato a votare. Non mi pento, ma un pochino mi dispiace di non aver visto in faccia nelle lunghe file pazienti e ottimiste questo popolo di centro sinistra di cui tanti parlano forse a proposito, forse no. Se avessi l'arte di interpretare i segni dei tempi, che non ho, riuscirei a capire perché in questi mesi che pure sono stati ricchi di appuntamenti pubblici dedicati allo sviluppo sostenibile e alle aree protette, sono più interessanti i libri che escono piuttosto che i concetti che si rincorrono da una riunione all'altra e da un convegno all'altro. Non è stato sempre così. Ci sono stati periodi segnati dalla cronaca, pieni di fatti che ti prendono e ti convincono che la realtà supera ogni convegno e ogni ricerca (Non basta il chiacchiericcio sul ponte sullo stretto, la confusione in Val di Susa e la querelle sulla caccia applicata all'epidemia dei polli). Ci sono stati altri momenti, dove un convegno dava il senso di una fase. E' capitato una volta a Camerino. (Era un abbaglio, ma quell'abbaglio ha retto per anni). E infine ci sono fasi di stanca, come questa che attraversiamo, dove si finisce per rileggersi i classici, confrontando le sottolineature di un tempo con quelle che faresti ora, e naturalmente non coincidono mai.
Carlo Alberto Graziani ci ha mandato due libri niente male, che recensiamo nello spazio dei libri. Franco Pedrotti ne ha mandato un altro bello, e anche lui recensito. Uno dei libri mandati da Carlo Alberto (quello scritto da Carlo Desideri e da Emma A. Imparato) racconta storie inglesi e francesi di istituzioni che acquistano parti di territorio per tutelarlo nel migliore dei modi, che tornano molto utili anche per dare corpo a questa rubrica. L'istituzione francese lo fa sulle coste, acquistando aree con particolare "diversità biologica" e con maggiore "fragilità". Collegandosi con strumenti regionali (i CREN: conservatoires regionaux d'espaces naturels) che in circa venticinque anni di attività hanno a loro volta acquisito cinquemila ettari complessivi di territorio, in prevalenza agricolo. Sembra pochino (si tratta di un po' meno del parco del Conero, spalmato qua e la sulle coste francesi). Tuttavia i 28 CREN si aggiungono all'attività del Conservatoire (530 siti; 70.000 ettari: come dire l'11% di tutte le coste francesi!), e moltiplicano la loro funzionalità attraverso forme di gestione mista con i privati, arrivando a gestire più di 1.500 siti naturali, e coprendo una superficie di 40.000 ettari. Tutto questo in Francia coinvolge il ministero, le regioni, le associazioni ambientaliste, gli enti locali territoriali, i privati proprietari di terreni. Quello che colpisce piacevolmente in questa vicenda è la collaborazione, la gestione integrata, come da tempo suggerisce l'Unione Europea. La nuova Giunta regionale della Sardegna si appresta a costituire la Conservatoria delle coste sarde. Sarà un esempio di gestione integrata? Avrà un interlocutore nazionale simili a quello che esiste in Francia? Ci farà… "sognare"? Il National Trust britannico è un soggetto privato. E' radicato nella storia della Gran Bretagna. Oggi è proprietario di 250.000 ettari "fragili", ricchi di "diversità biologica". Sono il 20% delle coste inglesi, gallesi e dell'Irlanda del Nord. Gli associati all'associazione sono 3.300.000. Si tratta, come scrive Graziani, "di gran lunga la più grande associazione ambientalistica". Se fossi andato al seggio per votare Prodi, non so se avrei avuto la forza di raccontare a qualcuna di quelle oneste persone in fila, magari prendendo spunto proprio dall'uso molto anglosassone dello stare in fila, dell'esistenza del National Trust, e della sua benemerita opera di tutela e di salvaguardia delle coste britanniche. E soprattutto non so se nella fabbrica del programma del futuro possibile governo di centro sinistra qualcuno sta prendendo in considerazione l'idea di realizzare una gestione integrata dei punti pregiati della costa, come si era pensato di fare con l'idea "coste italiane protette" (familiarmente detto "CIP") parlandone molto nei convegni (a Torino, al Lingotto, fu tutto un cinguettarne…) senza farne assolutamente nulla. Quando scrivo che in questa fase sembrano più credibili i libri dei convegni, mi riferisco a cose del genere. Anche se faccio molta fatica a capire quali conseguenze vadano tratte da questa impressione. Franco Pedrotti ha scritto un bel volume dedicato alla storia del parco dello Stelvio. Per saperne di più basta leggere la recensione nella sezione libri. Qui tiro solo un filo, da quella ricca matassa di questioni. Ricordiamo tutti la dialettica di posizioni che divise la Lombardia dal Trentino Alto- Adige, e il Trentino dal Governo nazionale. Mi ha intenerito la citazione che Pedrotti fa di questa nostra rivista, dove uscì un articolo di Mario Di Fidio che Pedrotti riporta definendolo piuttosto critico su quanto si stava facendo. Grazie ai convegni del Centro Giacomini di Gargnano ho avuto il piacere di conoscere Mario Di Fidio. Oggi la buonissima notizia è che il direttore del parco dello Stelvio è il nuovo Sindaco di Bolzano. Altro "segno" da interpretare. Che vorrà dire? Intanto che a Luigi Spagnolli vanno fatti i rallegramenti e gli auguri... Ma poi? Infine, dulcis in fundo, c'è il libro di Ermete Realacci e di Antonio Cianciullo. Si intitola "Soft economy", costa nove euro, e ci incoraggia a sperare, che il declino economico nazionale possa essere fermato e che si avvii una ripresa aiutata dalla "soft economy", vale a dire da una spinta produttiva che nasca dal territorio, si basi sulla qualità, sulla creatività, sulla coesione sociale e su quello che nei parchi migliori già stiamo sperimentando. Il libro di Ermete ha il pregio di attirare i lettori, di partire come un evento editoriale, e quindi ha la qualità straordinaria di farci sperare che verità banali per noi diventino patrimonio dei decisori. Il pessimismo si dirada e arriva la speranza che si possa reagire alla barbarie, non tanto per i capitoli che inseriscono le Cinque Terre o i Sibillini nel mondo reale e comune, dove operano i nuovi eroi della ripresa economica possibile, ma per la figura che Realacci ha finito per assumere, probabilmente indipendentemente dalla sua volontà: una specie di Beppe Grillo politicamente corretto e invitabile ovunque, di ambientalista "buono" con carisma. Senza il libro di Ermete e di Cianciullo, con la copertina "rosa" come la speranza, avrei chiuso questa rubrica con pensieri pessimisti. Perché di fronte allo sperpero di energie (Alexander Langer, nelle sue vesti di consigliere provinciale, andò spesso in minoranza quando si batteva per un vero parco dello Stelvio! Lentius, profundis, suavius…, era il suo motto, ma poi anche lui ne ha avuto abbastanza…) e perché di fronte al rapporto fatiche / risultati che molti libri continuano a sbatterci in faccia, diventa ogni giorno più difficile capire il messaggio dei segni dei tempi. Però Ermete Realacci e Antonio Cianciullo hanno messo sul mercato del libro che si vende e si commenta nei dibattiti pubblici un seme di speranza. La prima presentazione a Roma ha chiamato molti curiosi, e forse anche molti interessati. I politici hanno mostrato attenzione. I quotidiani, l'indomani, anche. Speriamo che sia il segno di un cambiamento che matura nelle viscere del nostro strano mondo, in un percorso carsico che riesca a spegnere le fiamme nelle periferie parigine, a concludere positivamente il tormentato e tortuoso dibattito che si sta impantanando in val di Susa, tracciando una rotta chiara sulla quale navigare, seguendo l'indicazione che Lucio Anneo Seneca dava a Paolino nell'anno 49 dopo Cristo, nel "De brevitate vitae", quando scriveva che "non navigò molto, ma fu sballottato molto, quello che una tempesta violenta sorprese fuori dal porto e portò qua e la, e spinse in giro per lo stesso spazio con i mutamenti dei venti furibondi da direzioni opposte." Quelli tra noi che sono giornalisti (e non penso solo a me) per deformazione professionale e per scelta di vita si misurano più volentieri con le parole stampate piuttosto che con la vita. Comprendiamo più facilmente i libri. Li riscopriamo. Ce li passiamo come merce di contrabbando durante l'occupazione dei barbari. Ma forse una umanità più semplice, meno autoreferenziale, meno aristocratica, prima o poi romperà gli argini, e ci sorprenderà, come i quattro milioni che si sono presentati alle primarie del centro sinistra, e come noi stessi quando siamo stati giovani, e occupavamo l'università per cambiare tutto...

di Mariano Guzzini